(060805)
lettera di Mauro Beschi a commento dell'articolo di
Pietro Ichino sul lavoro pubblico
ieri, il Prof. Pietro Ichino nel suo “Diario minimo” si avventura a disquisire sui dipendenti pubblici nullafacenti. Ora è del tutto certo che vi siano dipendenti pubblici nullafacenti cosi come in molte altre situazioni, anzi può succedere che vi siano condizioni nelle quali si possa essere persino dannosi. Il mio Sindacato, insieme agli altri Sindacati confederali, è impegnato in un difficile compito di mettere in valore il ruolo del lavoro pubblico di fronte alla campagna, messa in campo per ridurre la spesa pubblica, di rappresentare la pubblica amministrazione come un unico soggetto indistinto, pletorico ed inefficiente. Noi proponiamo di abbandonare le facili letture, un po’ vecchie ed un po’ opportunistiche, per affrontare, situazione per situazione, incongruenze, inefficienze, sprechi ma anche esigenze di valorizzazione del servizio al fine di dare al Paese un ruolo del pubblico in grado di aiutare il rilancio del benessere economico e sociale. Ora, per quanto riguarda il lavoro pubblico, ci si aspetterebbe dalla esperienza e dalla dottrina del Prof. Ichino un approccio meno superficiale; sarebbe davvero utile sentirlo affrontare le ragioni delle difficoltà nel percorso di trasformazione del rapporto di lavoro pubblico, la cosiddetta Riforma Bassanini, con il venir meno di quella riorganizzazione della rappresentanza pubblica che avrebbe consentito una Dirigenza più responsabilizzata verso la “mission pubblica”, la sua efficienza e la sua utilità; sentirlo ragionare sulla involuzione delle relazioni industriali ormai sempre più in balia delle emergenze finanziarie e delle esigenze della politica; sentirlo, appunto, investigare su un fenomeno non sufficientemente indagato che riguarda la dimensione crescente delle esigenze del consenso e la gestione delle Pubbliche amministrazioni. Invece Ichino ci propone come soluzione una sorta di legittima decimazione (“ogni anno per i prossimi tre ciascuna amministrazione potrà licenziare un proprio dipendente ogni cento…..) per eliminare, con criteri oggettivi e tramite organismo indipendente (sic!), i nullafacenti. Ma il bello arriva qualche riga sotto quando si propone che il lavoratore nullafacente “obiettivamente” licenziato possa opporsi al provvedimento ma “il lavoratore che impugnerà il licenziamento avrà l’onere di indicare e chiamare in causa un collega ancora più inefficiente e la cui prestazione sia ancora più inutile”. Quindi non il diritto del lavoro per difendersi da una decisione considerata ingiusta ma la delazione ( lui è più cattivo di me) come ultima, disperata opportunità. Per un Professore che è sicuramente uno dei punti di riferimento della dottrina giuslavoristica è un bel salto mortale. Ma, forse, la lettura da dare non attiene al diritto del lavoro ma al confronto politico, al quale Ichino, legittimamente, prende parte. Qui i suoi articoli agostani evidenziano elementi non condivisibili quali il superamento di questioni come lo sfruttamento del lavoro, la asimmetria di poteri nel rapporto di lavoro e, da ultimo, il ricorso a strumentazioni che, in barba a qualsiasi riformismo giuridico, oltrepassano il limite della decenza.
Mauro Beschi
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