Si profila una raffica di modifiche per il progetto di direttiva della Commissione europea per la creazione di un mercato interno nel settore dei servizi (la cosiddetta direttiva Bolkestein). La proposta è stata esaminata, l’11 novembre 2004, a Bruxelles, nell’audizione pubblica del Parlamento Europeo, organizzata dalla Commissione sul Mercato interno e la Protezione dei consumatori e numerose associazioni di categoria non hanno risparmiato le loro critiche. Al centro del dibattito vi era innanzitutto il cosiddetto 'principio del Paese d'origine', secondo cui un fornitore di servizi è sottoposto alla legge del Paese in cui ha sede l'impresa e non a quella del Paese dove fornisce il servizio. ''Gli stessi sostenitori della liberalizzazione (dei servizi) hanno ammesso che la proposta iniziale di Frits Bolkestein (ex Commissario Ue al Mercato interno) dovrebbe essere modificata'', ha dichiarato al termine dell'audizione l'eurodeputata belga Anne Van Lancker, che dovrà preparare il rapporto del Parlamento sulla questione. Il progetto di relazione del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva sarà pronto all'inizio dell'anno prossimo per essere discusso in seduta plenaria all'Europarlamento. Poi, verso la fine del primo semestre 2005, dovrebbe arrivare una prima votazione in prima lettura. Nel frattempo, gli eurodeputati hanno esaminato le varie possibili restrizioni al campo di applicazione della direttiva, anche in seguito alle critiche di alcuni settori, come quelli sanitario e del lavoro interinale. La coordinatrice del gruppo socialista sul Mercato interno, Evelyne Gebhardt, da parte sua, non ha dubbi: ''Il libero movimento dei servizi è un passo necessario per completare il mercato interno, ma questo non dovrebbe portare ad un ulteriore sfruttamento. Il rispetto dei diritti dei consumatori e dei lavoratori sarà essenziale''. Il Consiglio dell’Unione Europea Competitività (mercato interno, industria e ricerca) discuterà, per la prima volta, il 25 e 26 novembre 2004, a Bruxelles, nella sia 2624ma sessione, della direttiva sui servizi nel mercato interno.
Ricordiamo che la proposta di direttiva prevede: - maggioranza qualificata richiesta all’interno del Consiglio[1]; - procedura di codecisione[2] con il Parlamento Europeo
L’audizione del Parlamento europeo (11 novembre 2004)
LA FSESP: LA COMMISSIONE RITIRI LA SUA PROPOSTA
La Federazione Sindacale Europea dei Servizi Pubblici (FSESP) ha espresso con chiarezza il suo no alla proposta di direttiva. Ci sono almeno dieci buoni motivi, dice la più grande federazione di categoria della Confederazione europea dei sindacati (CES), : I cittadini europei vogliono un’Europa equilibrata, Questo è un momento cruciale per la costruzione dell’Unione Europea. l’ideologia della concorrenza a qualsiasi prezzo occulterà ogni altro aspetto? La FSESP è per un Europa che si ricolleghi ai suoi cittadini e che bilanci la concorrenza con gli altri valori, principi e standard che pure si trovano nel Trattato. le promesse non sono state mantenute la proposta di direttiva mette fine al dibattito sui servizi di interesse generale, La Commissione promise di consultare ampiamente la società civile sulla libertà dei servizi sociali per adempiere alle loro responsabilità liberi da una politica che li incateni alla concorrenza. La consultazione deve avvenire prima che siano proposte altre misure che influiscano sulla loro operatività. la proposta non è equilibrata; Persino i sostenitori della bozza di direttiva hanno dubbi sul suo contenuto. La FSESP ritiene che ci sia poco da guadagnare e molto da perdere nel cercare di migliorare una brutta proposta. La Commissione dovrebbe ritirare la sua proposta: gli standard dei servizi pubblici, le buone condizioni di lavoro e gli accordi collettivi sono porte, non ostacoli, alla qualità; Piuttosto che lanciare una proposta “fragorosa”, si dovrebbe trovare un percorso diverso per sviluppare la crescita, l’occupazione e la sostenibilità nella fornitura dei servizi – un percorso che distingue tra barriere “buone” e “cattive” e che rispecchi un ampio interesse pubblico; la qualità: l’ingrediente mancante; Ci sono molti interrogativi sul modo in cui la direttiva influirà sulla qualità di tutti i servizi, non soltanto su quelli pubblici. Nell’assenza degli standard di qualità, la direttiva non migliorerà il livello dei servizi forniti agli utenti ed ai cittadini; i Servizi di Interesse Generale non devono diventare un ghetto; La FSESP ritiene che le sfide di fronte all’UE riguardo alle cure sanitarie o alla cura degli anziani siano troppo importanti per essere lasciate al mercato. Le autorità pubbliche devono essere in grado di esercitare il controllo; non è questione di “economico “ e “non economico”; Tutte le attività hanno un aspetto economico. Questo non è il punto, quello che conta è se queste attività abbiano prevalentemente scopi commerciali o meno. Nell’affermare che non avrà alcun effetto sui SIG ‘non economici’ la Commissione evade la questione reale; i gestori pubblici e privati non sono uguali; La FSESP respinge con forza un concetto di ‘neutralità’ che pone i gestori pubblici e privati su un piano paritario. Il settore pubblico non può abdicare dalle sue responsabilità verso i cittadini, laddove gli operatori privati possono sia scegliere, sia limitare le loro. Questa è una differenza fondamentale; le sentenze della Corte di Giustizia Europea non possono essere l’unica fonte d’ispirazione Mentre si dovrebbero prendere sul serio le sentenze della Corte di Giustizia Europea esse non avrebbero dovuto costituire la base principale della bozza di direttiva. Le sentenze sono, và da sé, fondate su casi specifici mentre la proposta di direttiva propone un ampio quadro (de)regolatorio.; sono necessarie la solidarietà e la sussidarietà, Per affrontare le sfide future, serve un approccio europeo positivo sui SIG. Oggi ci sono dibattiti separati che si sovrappongono, sui SIG, sui partenariati pubblico-privati, gli appalti pubblici, le attività in-house, gli aiuti di stato, la bozza di direttiva sui servizi, ecc. Un quadro legislativo sui SIG farebbe convergere tutti questi dibattiti. I principi di parità, costi abbordabili, accessibilità, continuità, efficienza, responsabilità e partecipazione dei cittadini nei servizi pubblici – e l’inclusione di garanzie economiche – sono il punto d’inizio per tale dibattito.
Il volantino della FSESP: 10 no alla bolkestein (in inglese) (PDF) Il testo del contributo della FSESP alla audizione (DOC)
LA CES: UNA PROPOSTA DA MODIFICARE IN MANIERA CONSISTENTE
I sindacati europei si schierano contro il progetto di direttiva della Commissione Ue per la creazione di un mercato interno nel settore dei servizi: secondo la Confederazione europea dei sindacati (CES) alcune proposte della direttiva minacciano i diritti dei lavoratori e la fornitura dei servizi essenziali ai consumatori dell'Unione. La CES esorta gli europarlamentari a ''fare modifiche fondamentali alla bozza esistente, in modo da salvaguardare e rafforzare la protezione e la coesione sociale in Europa''. ''La CES ha sempre adottato un atteggiamento positivo rispetto alla creazione di un mercato interno, che può portare a una maggiore crescita, occupazione e ad un livello più alto di welfare. Ma questo deve essere accompagnato dalla protezione sociale e da diritti dei lavoratori adeguati. Per lavorare bene i mercati devono essere basati su regole chiare che promuovono standard di condotta e di qualita' elevati''. Le proposte, sono troppo a favore della deregolamentazione, a cominciare dal 'principio del paese d'origine', secondo cui un fornitore di servizi e' sottoposto alla legge del Paese in cui ha sede l'impresa e non a quella del Paese dove fornisce il servizio. Questo principio, si legge nella nota, minaccia l'occupazione nel settore dei servizi. Le leggi che regolamentano il mercato del lavoro, inoltre, ''non devono essere trattate come ostacoli da eliminare'' e le forze di mercato non ''devono avere la priorità'' nel settore dei servizi di interesse generale.
Testo della posizione CES (12 novembre 2004)
Gli industriali europei: si alla direttiva con qualche chiarimento
L'Unione delle Confindustrie europee (Unice) invita la Commissione Ue a chiarire alcuni aspetti della proposta di direttiva per la creazione di un mercato interno nel settore dei servizi ed auspica che il documento definitivo venga approvato in tempi brevi soprattutto in funzione della strategia di Lisbona. La creazione di un ''settore dei servizi forte in Europa - ha indicato l'Unice – è cruciale per raggiungere gli obiettivi di Lisbona per una maggiore crescita e occupazione''. La costituzione di un mercato interno ''genuino'' in questo settore è attesa dal 1992, ha proseguito, e rappresenta un elemento ''chiave'' del processo di riforma economica avviato dal Consiglio europeo. Secondo l'organizzazione, l'approccio proposto dalla Commissione fornisce una base ''utile'' per ridurre gli ostacoli alla libera costituzione delle imprese e alla fornitura di servizi transfrontalieri: tuttavia servono alcuni chiarimenti. L'Unice chiede maggiore chiarezza, in particolare, sugli articoli relativi a questioni coperte dalla direttiva sullo spostamento temporaneo dei lavoratori ('posting of worker') poiché, sottolinea, potrebbe sembrare che la bozza attuale punti a minare la sua attuazione pratica. Gli industriali invitano quindi le istituzioni Ue ad esaminare con attenzione l'applicazione del principio del paese d'origine nelle varie aree Ue e le condizioni per la deroga del principio stesso. I servizi, secondo l'Unice, costituiscono il 66% del prodotto interno lordo e il 75% dell'occupazione Ue. La proposta di direttiva – seco0ndo gli industriali europei - mira ad aumentare la scelta, migliorare la qualità e ridurre i prezzi per i consumatori e per le imprese che fanno ricorso a questi servizi, incoraggiando le attività transfrontaliere e migliorando la concorrenza. Bruxelles è convinta che, eliminando gli oneri amministrativi e le procedure burocratiche eccessive, sarà più facile per le imprese di servizi aprire filiali negli altri Stati membri e offrire i propri servizi oltre frontiera. Adesso, infatti, è spesso difficile e costoso per le imprese espandere le proprie attività in altri Stati membri, specialmente per le piccole e medie imprese, che rappresentano l'ampia maggioranza dei fornitori di servizi e che sono dissuase dagli ostacoli ad espandersi oltre frontiera.
[1] A partire dal 1 novembre 2004 entra in vigore la disciplina sancita dal Trattato di Nizza, che prevede una nuova ponderazione dei voti assegnati a tutti i singoli Paesi e richiede per l’adozione di un atto 232 voti favorevoli su un totale di 321. Il Trattato prevede anche che ciascun Paese membro del Consiglio possa chiedere di verificare che gli Stati membri costituiscano una maggioranza qualificata rappresentante almeno il 62% della popolazione dell'Unione. [2] La procedura di codecisione (articolo 251, ex articolo 189 B, del trattato CE), introdotta dal trattato di Maastricht, conferisce al Parlamento europeo il potere di adottare una serie di atti congiuntamente con il Consiglio. Prevede una, due o tre letture e si traduce in un maggior numero di contatti tra i due colegislatori, ovvero il Parlamento e il Consiglio, moltiplicando anche i contatti con la Commissione europea. In pratica la procedura di codecisione ha rafforzato il potere legislativo del Parlamento europeo nei seguenti settori: libera circolazione dei lavoratori, diritto di stabilimento, servizi, mercato interno, istruzione (azione di incentivazione), sanità (azioni di incentivazione), consumatori, reti transeuropee (orientamenti), ambiente (programmi generali d'azione), cultura (azione di incentivazione) e ricerca (programma quadro). Il trattato di Amsterdam ha semplificato la procedura di codecisione al fine di renderla più efficace e più rapida e rafforzare il ruolo del Parlamento. La procedura è stata inoltre estesa a nuovi settori, come l'esclusione sociale, la sanità pubblica e la lotta contro le frodi lesive degli interessi finanziari della Comunità europea. Il Parlamento deve partecipare all'esercizio del potere legislativo per rafforzare il carattere democratico dell'azione comunitaria. È per questo motivo che per ogni strumento normativo adottato a maggioranza qualificata è ipotizzabile il ricorso alla procedura di codecisione. Così, nella maggior parte dei casi alla procedura di codecisione in sede di Parlamento si accompagna il voto a maggioranza qualificata nell'ambito del Consiglio. Tuttavia in relazione ad alcune disposizioni del trattato la procedura di codecisione e l'unanimità continuano a coesistere.
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