CORTE COSTITUZIONALE n. 91 del 12 marzo 2004
Vi rammentiamo che i nuovi contratti prevedono che “A decorrere dal 1 gennaio 2003, l'indennità integrativa speciale (IIS) cessa di essere corrisposta come singola voce della retribuzione ed è conglobata nella voce stipendio tabellare”.
Agenzie fiscali art. 79
Aziende art. 20
Enti pubblici non economici art. 22
Ministeri art. 20
Presidenza del Consiglio dei Ministri art. 76
Regioni – Autonomie locali art. 29
Sanità art. 24
Non è costituzionalmente illegittimo prevedere, in favore dei pubblici dipendenti, il calcolo del trattamento di fine lavoro ricomprendendovi l’indennità integrativa speciale nella misura del solo 48%.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 91 del 12 marzo 2004, ha quindi nuovamente rigettato la questione relativa al calcolo della buonuscita dei pubblici dipendenti (Art. 1, comma 1, lettera b), legge 29 gennaio 1994, n. 87) ribadendo quanto ormai da tempo sostiene in materia: la necessaria inclusione dell’indennità integrativa speciale nella base di calcolo del trattamento di fine lavoro (secondo il precetto di Corte Cost. n. 243/1993) non significa togliere al legislatore la possibilità di modulare il quantum della prestazione attraverso una decurtazione della percentuale di indennità integrativa speciale nella buonuscita. Ciò in considerazione del fatto che le esigenze di tenuta finanziaria della spesa pubblica trovano l’unico limite nel raggiungimento di un minimum di tutela delle esigenze della persona, oltre il quale è possibile operare una legittima diminuzione del trattamento (nella sua funzione previdenziale). Per quanto concerne, invece, la natura retributiva del trattamento di fine rapporto, la Corte ha ribadito il discutibile principio (v. la recente sentenza n. 115 del 2003) secondo cui la congruità della retribuzione – ai sensi dell’art. 36 Cost. – deve essere considerata con riguardo alla globalità della stessa e non riguardo alle sue singole componenti, evitando quindi di isolare il computo dell’indennità integrativa speciale dal complessivo ammontare della buonuscita (o trattamento similare).
Nota a cura di Lorenzo Fassina ’Osservatorio della legislazione e della giurisprudenza delle Alte Corti italiane e comunitarie relative alla sicurezza sociale - Ufficio giuridico cgil nazionale
SENTENZA N.91 ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfonso QUARANTA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), promosso con due ordinanze dell’8 gennaio 2003 dalla Corte d’appello di Bologna nei procedimenti civili vertenti tra l’Istituto Postelegrafonici e Zucchini Edi e tra il medesimo Istituto e Fiorini Paolo iscritte ai nn. 340 e 441 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 28, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2004 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di due controversie previdenziali promosse nei confronti dell’Istituto Postelegrafonici (IPOST) al fine di ottenere il ricalcolo dell’indennità di buonuscita, la Corte d’appello di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, con due ordinanze di identico contenuto ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione, dell’art. 1, comma 1, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti).
Premette il giudice a quo che entrambi i ricorrenti, già dipendenti dell’Ente Poste italiane poi trasformato in società per azioni, collocati in quiescenza rispettivamente in data 30 dicembre 1994 e 25 settembre 1995, avevano chiesto che l’indennità di buonuscita loro erogata fosse ricalcolata inserendo l’indennità integrativa speciale nella misura del 60 per cento anziché in quella del 48 per cento effettivamente conteggiata. Radicatosi il contraddittorio con l’IPOST, il Tribunale di Bologna aveva accolto le domande dei ricorrenti rilevando che, in base a quanto stabilito dalla sentenza n. 243 del 1993 di questa Corte, la quota di indennità integrativa speciale del 60 per cento prevista dall’art. 1 della legge n. 87 del 1994 doveva essere aggiunta direttamente alla base contributiva di cui al d.P.R. n. 1032 del 1973 senza alcuna ulteriore decurtazione.
Entrambe le sentenze erano state gravate d’appello.
Ciò posto, la Corte di Bologna osserva che, com’è stato rilevato dall’IPOST negli atti di appello, per giurisprudenza costante della Corte di cassazione, da assumere in termini di diritto vivente, il computo dell’indennità integrativa speciale nell’indennità di buonuscita avviene mediante inserimento dell’aliquota del 60 per cento di cui alla norma impugnata nella base di calcolo poi utilizzata per la determinazione dell’effettiva base contributiva; e poiché su quest’ultima si opera la riduzione all’80 per cento prevista dall’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, in effetti è soltanto il 48 per cento dell’indennità integrativa speciale ad essere conteggiato nel calcolo della buonuscita.
In tale riduzione rispetto alla quota del 60 per cento il giudice a quo ravvisa una violazione dei richiamati parametri costituzionali. Come risulta dalla sentenza di questa Corte n. 243 del 1993, infatti, l’indennità integrativa speciale ha carattere retributivo, sicché le riduzioni delle percentuali di calcolo della medesima ai fini della determinazione della buonuscita non debbono pregiudicare il principio della sufficienza della retribuzione. La norma impugnata, invece, interpretata secondo il diritto vivente, risulterebbe in contrasto con il principio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione di cui all’art. 36 Cost., poiché determina un computo dell’indennità integrativa in misura inferiore al 50 per cento, palesemente insufficiente in considerazione del citato carattere retributivo dell’indennità stessa; d’altra parte la riduzione della quota effettiva andrebbe a vulnerare anche l’art. 38 Cost., stante la natura di retribuzione differita con funzione previdenziale dell’indennità di buonuscita, la quale è finalizzata a concorrere ad assicurare nel corso della vecchiaia quei mezzi adeguati alle esigenze di vita cui fa riferimento il menzionato parametro costituzionale.
Da tanto consegue, secondo la Corte remittente, la necessità di un intervento di questa Corte che dichiari l’illegittimità costituzionale della norma impugnata quale risultante dall’interpretazione giurisprudenziale sopra riportata; e la rilevanza della questione risulta dal fatto che, in caso di suo accoglimento, entrambi i ricorrenti avrebbero diritto a percepire un’indennità di buonuscita maggiore di quella effettivamente loro erogata.
2.— In entrambi i giudizi davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con memorie di diverso contenuto, che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Nell’atto di intervento relativo al giudizio di cui all’ordinanza iscritta al n. 340 del registro 2003 la difesa erariale ha osservato che il giudice a quo ha prospettato i propri dubbi di legittimità costituzionale in relazione ad una possibile interpretazione della norma, lasciando intendere che quest’ultima sarebbe conforme a Costituzione ove diversamente interpretata; ne consegue, in virtù del criterio fondamentale secondo cui il giudice deve privilegiare, tra più interpretazioni, quella conforme al dettato costituzionale, che la questione è inammissibile, ben potendo la Corte d’appello decidere la controversia secondo la diversa interpretazione ritenuta non in contrasto con la Carta costituzionale.
Nel merito, l’Avvocatura dello Stato ha sostenuto che la questione è da ritenere non fondata; la legge n. 87 del 1994, infatti, non è che una risposta del legislatore alla sentenza n. 243 del 1993 di questa Corte. E questa stessa Corte, chiamata a decidere numerose questioni di legittimità costituzionale, con la successiva sentenza n. 103 del 1995 ha già chiarito che detta legge è da valutare come del tutto conforme a Costituzione, rappresentando un intervento adeguato e tempestivo conseguente alla precedente declaratoria di illegittimità costituzionale.
Nell’atto di intervento relativo al giudizio di cui all’ordinanza iscritta n. 441 del registro 2003 la difesa erariale ha osservato innanzitutto che la legge n. 87 del 1994 rappresenta un tentativo del legislatore di contemperare quanto deciso dalla sentenza di questa Corte n. 243 del 1993 con le esigenze di bilancio. In periodi di crisi economica e di forte disavanzo pubblico il legislatore deve necessariamente coordinare la fruizione dei diritti economici dei cittadini con le disponibilità finanziarie esistenti, come più volte questa Corte ha riconosciuto; e, d’altra parte, la stessa sentenza in ultimo citata aveva riconosciuto rientrare nella discrezionalità del legislatore il potere di disporre in merito alla base retributiva da computare per i trattamenti di fine rapporto.
La difesa erariale ha quindi rilevato che le doglianze del giudice remittente si traducono, in effetti, in una richiesta di sindacato della discrezionalità legislativa, con conseguente inammissibilità della questione. D’altra parte, l’illegittimità costituzionale non deriverebbe – secondo il ragionamento fatto dalla Corte d’appello di Bologna – dall’inserimento dell’indennità integrativa speciale, nella misura del 60 per cento, nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita, scelta che non viene criticata; quanto, piuttosto, dall’ulteriore riduzione disposta dall’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, il che si traduce in un’intrinseca contraddittorietà della questione, finalizzata a contestare una scelta legislativa discrezionale, peraltro in sé già ritenuta congrua.
3.— Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 340 del 2003 il Presidente del Consiglio dei ministri, in prossimità della camera di consiglio, ha depositato una memoria nella quale ha aggiunto ulteriori argomenti a sostegno delle richieste avanzate nell’atto di intervento, ponendo principalmente l’accento sul fatto che il diritto vivente di cui attualmente si discute è del tutto conforme alla finalità primaria dell’art. 1 della legge n. 87 del 1994. Infatti la statuizione, in esso contenuta, secondo cui il computo dell’indennità integrativa speciale nell’indennità di buonuscita (e negli analoghi trattamenti di fine rapporto) deve essere effettuato in percentuale e l’individuazione di percentuali diverse rispettivamente per i dipendenti compresi nella lettera a) e nella lettera b) della disposizione sono principalmente finalizzate alla realizzazione di una soddisfacente equità ed omogeneità del risultato finale del calcolo del trattamento di fine rapporto tra i vari comparti del settore pubblico, da un lato, e tra questi e il settore privato, dall’altro, onde contenere gli effetti della diversità delle rispettive discipline, secondo le indicazioni fornite nella sentenza di questa Corte n. 243 del 1993. L’orientamento giurisprudenziale di cui si tratta ha valorizzato tale obiettivo, mentre la diversa interpretazione auspicata dalla Corte remittente darebbe luogo ad una sensibile sperequazione tra i vari settori a favore di quello pubblico.
Considerato in diritto
1.— La Corte di appello di Bologna dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1 – recte: art. 1, comma 1, lettera b) – della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), nella parte in cui – secondo la costante interpretazione giurisprudenziale costituente diritto vivente – dispone che per i pubblici dipendenti ivi contemplati (e, in particolare, per i lavoratori iscritti all’Istituto postelegrafonici) l’inserimento della prescritta percentuale dell’indennità integrativa speciale (60 per cento) nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita (e degli analoghi trattamenti di fine rapporto) debba avvenire attraverso l’applicazione anche a tale percentuale della decurtazione (del 20 per cento) stabilita, dall’art. 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, per tutti gli altri emolumenti che concorrono a formare la base contributiva da prendere in considerazione per la liquidazione dell’indennità di buonuscita.
Il giudice remittente ritiene che la norma censurata, in base alla quale la percentuale di indennità integrativa speciale presa in considerazione ai suddetti fini viene ad essere in concreto determinata nella misura del 48 per cento, sia in contrasto con gli artt. 36 e 38 Cost. in quanto l’incisiva riduzione della misura utile dell’indennità integrativa speciale che essa comporta, da un lato, si traduce in una quantificazione di tale indennità palesemente inadeguata alla sua natura retributiva e, dall’altro, dà luogo ad una quantificazione dell’indennità di buonuscita tale da non consentire al suddetto trattamento, nella sua natura di retribuzione differita, di svolgere la funzione di concorrere ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori nel corso della vecchiaia.
2.— La questione viene sollevata con due ordinanze di contenuto identico, pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti per essere definiti con unica pronuncia.
3.— Deve, in primo luogo, essere respinta l’eccezione di inammissibilità presentata dall’Avvocatura dello Stato sul rilievo che il remittente avrebbe dovuto egli stesso attribuire alla norma impugnata il significato ritenuto più idoneo a superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale. Si deve, infatti, osservare che, in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato che abbia acquisito i caratteri del "diritto vivente", la valutazione se uniformarsi o meno a tale orientamento è una mera facoltà del giudice remittente.
4.— Nel merito la questione non è fondata.
Secondo l’orientamento di questa Corte la disciplina dettata dalla legge n. 87 del 1994 deve considerarsi il frutto di una ragionevole scelta effettuata dal legislatore, nell’ambito della discrezionalità che gli compete in materia di introduzione di benefici di carattere retributivo e previdenziale, per perseguire in modo adeguato l’obiettivo considerato ineludibile dalla sentenza n. 243 del 1993, consistente nella previsione di meccanismi di computo dell’indennità integrativa speciale nell’ambito dei trattamenti di fine rapporto dei pubblici dipendenti (v., per tutte, sentenze n. 103 del 1995 e n. 175 del 1997).
La ragione che indusse la Corte a considerare necessaria – al fine di ricondurre la relativa normativa "a piena conformità ai principi costituzionali" – la previsione del suddetto computo e a ritenere, nel contempo, indispensabile, a tal fine, un intervento del legislatore, è stata quella di riuscire a realizzare un sistema idoneo ad assicurare "una effettiva e ragionevole equivalenza" del calcolo complessivo dei diversi trattamenti di fine rapporto – non solo nell’ambito del settore pubblico ma anche nei confronti del lavoro privato – modellato in modo da attribuire adeguata considerazione, oltre che ai principi di proporzionalità e sufficienza, alle persistenti diversità di regolamentazione, onde evitare l’eventuale creazione di forme di squilibrio ulteriori – e, in ipotesi, di segno opposto – rispetto a quelle all’epoca esaminate.
In base a quanto espressamente affermato dall’art. 1 della citata legge n. 87 del 1994 la determinazione dei suddetti trattamenti, con l’inclusione della prescritta percentuale di indennità integrativa speciale, deve avvenire "in applicazione delle norme già vigenti con riferimento allo stipendio e agli altri elementi retributivi considerati utili". La disposizione in oggetto, per la sua connessione sistematica con l’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, è stata quindi costantemente interpretata nel senso che anche l’indennità integrativa speciale, nell’indicata misura del 60 per cento, rientra nella base di calcolo della buonuscita e subisce l’ulteriore decurtazione del 20 per cento. L’attribuzione del suddetto contenuto precettivo alla norma impugnata non ne determina il contrasto con gli invocati parametri costituzionali.
L’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, è nel senso che la valutazione della congruità della retribuzione ai fini dell’art. 36 Cost. deve essere effettuata con riguardo alla globalità della stessa e non alle sue singole componenti (v., da ultimo, sentenza n. 115 del 2003); pertanto essa non può essere limitata all’indennità integrativa speciale isolatamente considerata, ancorché alla medesima sia da riconoscere natura retributiva, ma va riferita al complessivo trattamento di fine rapporto nel quale la suddetta indennità viene inclusa.
D’altra parte, l’indennità di buonuscita e gli altri trattamenti analoghi, avendo anche funzione previdenziale, devono essere disciplinati secondo i criteri della solidarietà sociale e del pubblico interesse a che sia garantita, per far fronte agli eventi indicati nell’art. 38, secondo comma, Cost., la corresponsione di un minimum la cui determinazione è riservata alla competenza del legislatore, il quale nell’operare le sue scelte discrezionali deve tenere conto anche delle esigenze della finanza pubblica (v., da ultimo, sentenze n. 506 del 2002 e n. 87 del 2003). Nel caso di specie il giudizio di conformità ai suddetti principi dell’adozione del criterio della computabilità dell’indennità integrativa speciale nell’ambito dei trattamenti di fine rapporto soltanto in una misura percentuale e non integralmente, già espresso più volte da questa Corte, deve essere confermato anche con riguardo alla riduzione della suddetta percentuale derivante dall’interpretazione giurisprudenziale contestata dall’attuale remittente. Tale diminuzione, infatti, comporta un contenimento delle risorse finanziarie necessarie per dare attuazione alla legge n. 87 del 1994 senza incidere sulla "garanzia delle esigenze minime di protezione della persona" che deve essere comunque salvaguardata (v. sentenza n. 434 del 2002 e ordinanza n. 342 del 2002) ed è, altresì, adeguata all’esigenza, sottolineata da questa Corte nella sentenza n. 243 del 1993, di omogeneizzare i risultati finali del calcolo dei diversi trattamenti di fine rapporto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), sollevata, in riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Bologna con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2004.
F.to: DI PAOLA