Articolo di stampa |
Modena: fare gli agenti in carcere? un lavoro duro e frustrante…
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Gazzetta di Modena, 4 aprile 2006
Uno, Due, Tre, Quattro. Li abbiamo chiamati così, senza troppa fantasia. Ma qui c’è poco spazio per la fantasia: siamo infatti di fronte ad una dura realtà, quella del carcere. Guardata con gli occhi di chi la vive ogni giorno sulla propria pelle da più di dieci anni. Raccontata dalla voce di coloro che, in questa realtà conosciuta dai più solo per sentito dire, ci lavora otto ore al giorno. "Ma sono necessarie molte ore di straordinario per poter accontentare chi comanda. E il cui primo obiettivo è fare pubblicità all’istituto". I "quattro" - che scelgono di restare anonimi - sono rappresentanti Cgil della polizia penitenziaria, tutti sposati e originari del Sud Italia. Il carcere è la casa circondariale di Sant’Anna, spesso data in pasto alle infelici pagine di cronaca cittadina. Ordinamento penitenziario (legge 354 del 1975), smilitarizzazione del Corpo (legge 395 del 1990), ruolo direttivo dei commissari (legge 230 del 2000), recupero e reinserimento del detenuto, principio di uguaglianza, principi legali (articoli 27, 3, 25 della Costituzione): come funamboli, gli agenti di polizia penitenziaria camminano sul filo teso da una lunga serie di norme. Uno: È un lavoro in cui bisogna usare molto la testa e poco le mani. Due: Le mani lì dentro non si usano, se non quando ti devi difendere.
Capita spesso di doversi difendere? Due: Essere aggrediti non è una remota possibilità. Soprattutto nell’ultimo periodo. Tre: "Fa parte dei rischi del mestiere". Così ha risposto il direttore del carcere ai giornalisti che chiedevano delucidazioni in proposito. Mi sembra tutto fuorché una risposta adeguata. Potete anche immaginare l’effetto che una simile dichiarazione può avere sui detenuti, sempre attenti e ipersensibili all’atmosfera che si respira nella casa circondariale. Si sentono ancor più legittimati a sputarti in faccia o a mandarti a quel paese... È vero che quando fai questo lavoro, in un certo senso metti in conto di subire aggressioni, ma non deve diventare la norma o qualcosa di prevedibile ma inevitabile. Quattro: Nelle condizioni in cui ci troviamo, non è facile far rispettare le regole.
La giornata rischia di essere lasciata al caso. Perché, in quali condizioni vi trovate? Uno: Il nostro ruolo è quello di protagonisti nell’azione di recupero del detenuto. Lo osserviamo ogni giorno per favorirne la riabilitazione. Ma le nostre buone intenzioni sono messe a dura prova da una carenza di risorse quasi cronica: da una parte il personale è insufficiente, dall’altra i detenuti sono in continuo aumento.
Quanti sono? Ben oltre 400 in una struttura attrezzata per ospitarne 180. Inoltre, le attività trattamentali per il recupero dei detenuti sono tantissime. Possiamo raggrupparle in sei categorie: sport, teatro, religione, famiglia, scuola, lavoro. Due: Attività che non si riescono a garantire se non c’è personale... Tre: Non è vero. Si garantiscono eccome, ma a discapito della sicurezza. Inoltre, in questa situazione, pensare di poter far rispettare le regole in modo rigido, si rivela una battaglia persa in partenza. Bisogna saper essere elastici, sì, certo, è un’elasticità che va sempre rapportata alla legge e ai suoi regolamenti. "Protagonisti nell’azione di recupero". Senza dubbio suona molto meglio rispetto a "guardie carcerarie" o "secondini"... Vincenzo Santoro (Cgil Modena - responsabile comparto sicurezza della funzione pubblica). La smilitarizzazione e la sindacalizzazione del corpo hanno contribuito ad un’evoluzione nell’ambito del percorso di recupero del detenuto. Due: Un’evoluzione che ci appartiene, anche sul piano culturale. Molti di noi sono infatti laureati, perlopiù in giurisprudenza. Santoro: Il ruolo della polizia penitenziaria all’interno del carcere si è fatto più esplicito. Siamo passati dalla vecchia logica del secondino ad una forma di partecipazione più idonea a favorire il recupero e il reinserimento del detenuto. Ci si preoccupa di prevenire piuttosto che curare. Questo nonostante un reiterato conflitto con l’amministrazione. Che, a quanto sembra, in merito alle vostre esigenze fa orecchie da mercante. Uno: Quel che rivendichiamo è un’attenzione maggiore da parte delle istituzioni nei nostri confronti. Sì, ci sentiamo trascurati, ma non per questo frustrati. Riportare in seno alla società un detenuto riabilitato è una grande soddisfazione, ma bisogna che ci forniscano gli strumenti e le risorse per poterlo fare. Nell’ultimo decennio la situazione è andata peggiorando, mancano addirittura i soldi per acquistare le medicine. E pensare che Sant’Anna vanta un’ottima infermeria - una delle migliori in Italia - dove, ad esempio, i detenuti affetti da Hiv vengono seguiti al cento per cento. Abbiamo scuole medie e superiori e corsi di vario genere come quello per diventare elettricisti. Santoro: Quando una persona passa davanti al carcere, di solito distoglie lo sguardo. Lo stesso fa l’amministrazione in merito ai problemi che affliggono gli agenti della polizia penitenziaria e non solo. Esiste infatti un intero universo che orbita all’interno della casa circondariale, un universo composto da medici, infermieri, assistenti sociali, volontari, psicologi, educatori... L’impressione è che si tratti di un microcosmo ricco di potenzialità ma a rischio di collasso. Uno: Un collasso dichiarato dallo stesso ministro Castelli. E con l’approvazione della legge sulla droga - cos’è... la Fini-Giovanardi? - e l’ex Cirielli andrà sempre peggio: si prevedono ventimila detenuti in più. Qual è il vostro atteggiamento nei confronti dei detenuti? Due: Conosciamo il detenuto meglio di chiunque altro all’interno del carcere. E col tempo abbiamo acquisito un senso di legalità, e soprattutto di umanità, che ci permette di capire i bisogni dei diversi soggetti. Tre: Attualmente, a causa della profonda crisi di organico, si tende più ad aiutare il detenuto piuttosto che guardare ad una reale sicurezza. Uno: Certo, le difficoltà non mancano e - purtroppo devo dirlo - soprattutto con gli extracomunitari. Senza dubbio ti rispetta molto di più il tossicodipendente. Tre: Con l’extracomunitario discuti e ragioni con maggiore difficoltà. E gli atti di autolesionismo sono all’ordine del giorno. In che modo si feriscono? In qualsiasi modo... con le lamette... ma è sufficiente un foglio di carta. Purtroppo ci si fa l’abitudine. E negli ultimi tempi sono inoltre aumentate le aggressioni tra di loro, entrano infatti in contrapposizione l’uno con l’altro. Anche perché sono in continuo aumento. Quattro: Sentiamo molto la mancanza di un interprete. Ci farebbe davvero comodo, anche solo per notificare un atto giudiziario.
E i suicidi? Anche quelli sono all’ordine del giorno? Due: No, per fortuna! In passato qualche suicidio c’è stato. Qui è un po’ come stare in un ospedale... Tre: Sono situazioni prevedibili...
Situazioni prevedibili che però lasciano il segno. È così? Uno: Il nostro, dal punto di vista umano e psicologico, è un lavoro pesante, molto impegnativo. Passare otto ore - massimo nove e non di più, altrimenti vai fuori di testa - in costante contatto con i detenuti non è certo facile. E gli eventi critici, quali appunto suicidi e atti lesivi, in qualche modo e alla lunga ti segnano. Se mi è successo qualcosa che mi ha particolarmente toccato? Beh, mi ha turbato il fatto che un collega abbia dovuto vigilare da solo su sei reparti dislocati su tre piani diversi. Oppure che un uomo sia stato costretto a vigilare sulla sezione femminile per mancanza di personale: ci sono ventidue agenti donna, di cui solo quindici effettivi. Questo ci ha davvero sconvolto, tanto che abbiamo pure manifestato. Se siamo arrivati a un punto tale è perché c’è qualcosa che non funziona.
Quanti detenuti ospita ogni reparto della casa circondariale di Sant’Anna? Due: Settanta. Seguiti da un collega che da solo - sì... disponiamo di un solo agente di polizia penitenziaria per settanta detenuti - apre ventisei celle quando è il momento dell’ora d’aria. E si vede venire incontro una massa di persone piuttosto consistente. Questo solo di giorno. Durante i turni notturni infatti, i reparti di cui occuparsi raddoppiano.
Quante sono le ore d’aria? Due: Sono quattro.
I vostri compiti si limitano alle attività interne alla casa circondariale? Uno: No, ci occupiamo anche delle traduzioni e dei piantonamenti, ad esempio nei luoghi esterni di cura. È nostro compito garantire la presenza all’interno della struttura sanitaria. Prima del 1990 questo servizio lo svolgevano i carabinieri, oggi è completamente nostro. Il carico di lavoro negli ultimi tempi è aumentato e, anche solo per organizzare un concerto, il personale deve fare gli straordinari. Il direttore dovrebbe ringraziare lo sforzo enorme della polizia penitenziaria. Il nostro obiettivo resta quello di ridurre al minimo il rischio, ma qui a Sant’Anna ultimamente è andata male.
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