FP CGIL NAZIONALE
Convegno " Le donne nella Polizia penitenziaria "
LE DISPARI OPPORTUNITA'
CONVEGNO
SULLE PARI OPPORTUNITA’
Introduzione di Fabrizio Rossetti
ll tema delle pari opportunità è sempre appartenuto al patrimonio genetico della cultura politica e sociale della nostra organizzazione e questo anche quando le lotte e le rivendicazioni paiono difficili e minoritarie; come quando, ad esempio, si cominciò a parlare esplicitamente di molestie sessuali nei posti di lavoro: in Italia fu la CGIL a porre per prima il problema.
Il tema delle pari opportunità, poi, ha sempre qualificato, più di altri, gli interventi ed il carattere delle istituzioni poiché, per sua natura, appartiene ad un modo di interpretare l’attività della Pubblica Amministrazione secondo indirizzi di progresso e di garanzia dei diritti di cittadinanza.
Su come nella Pubblica Amministrazione si affronta il fenomeno tuttora si giudicano le sensibilità e le attitudini democratiche delle controparti.
E se la Funzione Pubblica Cgil dovesse giudicare complessivamente l’Amministrazione penitenziaria solo sulla base di quanto, nel tempo, è stata in grado di realizzare sul tema delle pari opportunità nel Corpo della Polizia penitenziaria il giudizio non potrebbe che essere estremamente negativo.
E’ inutile negare, poi, che il divario fra le affermazioni di principio, contenute nelle norme e nei contratti, e la pratica quotidiana che sistematicamente disattende il riconoscimento della professione al femminile, concorre in maniera determinante ad accentuare tale giudizio, poiché alimenta una ormai diffusa percezione di un Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria incapace di innovare sul tema; percezione, questa che, disgraziatamente, si somma ad una rassegnata certezza, fra le lavoratrici, di un DAP che, colpevolmente e consapevolmente, NON vuole lasciare segno.
Alcune Amministrazioni, sicuramente più "progressiste e democratiche" del DAP, sollecitate dal sindacato, hanno già adottato propri codici di comportamento contro le discriminazioni di genere.
Altre hanno già elaborato programmi di formazione specifici sul tema ed attivato canali di informazione fra le dipendenti.
Nel DAP, dopo ben 10 anni dalla legge di riforma, NULLA!
Quali credibili giustificazioni possono accamparsi per tutti questi anni in cui il tema delle pari opportunità non è stato ritenuto degno neanche di una piccola circolare o di una blanda direttiva?
E può giustificarsi il ritardo con il quale il DAP ha adempiuto all’istituzione del Comitato Pari Opportunità per la Polizia penitenziaria?
Nel frattempo la marginalizzazione delle donne continua a concretizzarsi in attività istituzionali che discriminano le poliziotte penitenziarie nei ruoli meramente esecutivi e di scarsa significativa responsabilità, così come emerge drammaticamente dai risultati del questionario che abbiamo proposto a tantissime poliziotte penitenziarie; risultati che verranno analizzati più approfonditamente nella relazione di Angela Scanga.
Continuano ad affermarsi organizzazioni del lavoro che non tengono conto delle esigenze delle donne che vi operano e le possibilità di carriera permangono difficili se non impossibili.
Reputo un dato fra tutti sintomatico di questa scarsissima attenzione del DAP sul tema delle pari opportunità: dei circa 220 istituti penitenziari della Repubblica, uno solo è comandato da una Poliziotta penitenziaria!
Accanto a questo dato, che oserei definire agghiacciante se letto in relazione alle discriminazioni subite dalle donne della Polizia penitenziaria, emergono, sempre più spesso, atteggiamenti diffusi che danno il senso di un’Amministrazione che terribilmente soffre il fastidio di aver e di dover utilizzare le donne.
Troppi problemi, troppi figli, troppa sensibilità, troppo carattere, finanche troppi diritti da dover calpestare.
La Funzione Pubblica CGIL continuerà a percorrere caparbiamente la strada per lo sviluppo delle politiche a sostegno delle donne, anche denunciando le evidenti inadempienze istituzionali sul tema.
Ed è per questo che oggi lanciamo una nostra piattaforma sul tema delle pari opportunità con l’obiettivo di rimuovere le cause culturali ed organizzative che producono discriminazioni, dirette ed indirette, e di favorire, attraverso la partecipazione ed il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori, la loro valorizzazione personale e professionale.
Una nuova fase di contrattazione che si proponga di promuovere interventi in grado di favorire lo sviluppo di un clima positivo tra gli uomini e le donne nel lavoro, incidendo fortemente sulle motivazioni al lavoro e sulla sua qualità.
Una nuova fase di contrattazione che favorisca la rimozione delle cause che incidono negativamente sugli avanzamenti professionali, salariali e di carriera delle lavoratrici e che promuova le donne ai livelli di responsabilità; che favorisca migliori condizioni per gli uomini e le donne di conciliare le responsabilità professionali e familiari ai sensi della legge 53/2000.
Una nuova fase di contrattazione che, alimentando la diffusione di una cultura della tutela della dignità delle donne sul lavoro, rimuova le cause di quel problema, drammaticamente emerso dai questionari, che risponde alle parole di "MOLESTIE SESSUALI".
Su questo argomento reputo indispensabile una riflessione a parte.
Il dato già di per se drammatico, diventa ancor più grave se letto in relazione all’assoluta inadeguatezza di interventi strutturali dell’istituzione carceraria a riguardo.
E’ un dato che può cogliere di sorpresa un po’ tutti e sul quale è necessario, nell’immediato convogliare le forze.
Per prevenire, o quantomeno limitare ogni forma di pressione, ricatto psicologico e fisico, anche di natura sessuale e per ridurre e risolvere efficacemente i casi concreti il DAP deve avviare, così come abbiamo fatto noi, una seria ricerca sul fenomeno, ricerca non autoreferenziale, ma che coinvolga anche enti esterni all’istituzione.
Il Dap deve immediatamente recepire e diffondere fra il personale maschile e femminile, le raccomandazioni e le risoluzioni europee sulla prevenzione e la lotta alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro e adottare un proprio codice di condotta contro tale fenomeno, codice che deve contenere chiaramente le sanzioni disciplinari previste nei casi di molestia, ricatto o pressioni di tipo sessuale poiché questi atti abominevoli, oltre a ledere ferocemente i diritti e la dignità personale di ogni donna, producono turbamento ed inquinano seriamente l’ambiente lavorativo.
E il DAP, allora, deve istituire la figura del consigliere di fiducia come organo terzo deputato ad affrontare il fenomeno con serietà e professionalità.
Il ruolo del Consigliere di fiducia deve essere quello di creare le migliori condizioni affinché il problema sia affrontato nella maniera meno traumatica possibile e la qualità professionale del suo intervento deve essere garantita da una sua visibilità, autorevolezza ed autonomia rispetto alle parti.
Una figura realmente terza, non ingessata nei rapporti gerarchici e funzionali e alla quale deve essere consentita piena libertà di azione, dentro regole certe e democraticamente condivise.
Ma il DAP, prima di tutto, deve raggiungere una piena consapevolezza che il fenomeno esiste ed esiste anche se non viene denunciato.
E’ solo raggiungendo tale consapevolezza che si elimina il rischio di alibi per non intervenire.
Questo ed altro è contenuto nella nostra piattaforma rivendicativa.
La Funzione Pubblica Cgil reputa necessario, sin d’ora, lavorare concretamente per porre con forza l’esigenza di tutela della dignità di ogni donna sul lavoro, ma soprattutto perché si rompa definitivamente questa fase di assoluto silenzio
Ed oggi, credo, siamo tutti qui
per questo.
Roma, 9 aprile 2001