Camera dei Deputati
Discussione della mozione Lucidi ed altri n. 1-00486 concernente misure
a sostegno del personale addetto agli istituti penitenziari
(ore 19,48).
PRESIDENTE.
L'ordine del giorno reca la discussione della
mozione Lucidi ed altri n. 1-00486
concernente misure a sostegno del personale addetto agli istituti
penitenziari (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la
ripartizione dei tempi riservati
alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente
calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritta a parlare l'onorevole Lucidi, che illustrerà anche la sua
mozione n. 1-00486. Ne ha facoltà.
MARCELLA LUCIDI.
Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, il 28
settembre scorso, mentre in piazza del Colosseo si celebrava la festa
nazionale del Corpo della polizia penitenziaria, cinque sindacati
rappresentativi del personale portavano davanti a Palazzo Chigi i loro
iscritti - insieme ad altri operatori, assistenti sociali, educatori e
personale amministrativo - per protestare contro il grave stato di
decadimento del sistema penitenziario italiano. Vogliamo considerare
seriamente tale malessere.
Non serve ad una concreta e positiva politica carceraria marginalizzare,
come ha inteso fare il ministro Castelli, la dimensione ed il merito di
una protesta che ha segnalato l'esistenza di un sistema degradato. Non
serve dividere le forze sindacali, come se alcune - così ha detto il
ministro Castelli - siano irresponsabili e mettano a rischio, con
atteggiamenti sbagliati, l'immagine della Polizia penitenziaria.
La manifestazione del dissenso è, invece, espressione democratica che
riguarda tutte le rappresentanze: può non piacere, ma è legittima e va
ascoltata. È quanto l'Unione ha inteso fare presentando, a partire da
quanto è emerso in occasione della festa nazionale del Corpo nonché
dalla richiamata protesta, la mozione che oggi discutiamo.
Nel quadro complessivo della questione carceraria,
abbiamo voluto portare all'attenzione del Parlamento e del Governo la
condizione di disagio che, insieme ai detenuti, vivono tutti coloro che
lavorano negli istituti penitenziari o che seguono i detenuti nei
percorsi di reinserimento. Non possiamo trascurare che essi collaborano
con lo Stato all'attuazione dell'articolo 27 della Costituzione:
traducono quotidianamente ciò che è sostanza inderogabile della pena, il
senso di umanità, e ciò che ne è funzione, la rieducazione del
condannato.
Ha ragione il ministro quando sottolinea che il dettato dell'articolo 27
della Costituzione si realizza con un carcere il più possibile aperto
alla società. Mi permetto di dirgli che non basta celebrare in piazza la
festa del Corpo di polizia penitenziaria per garantire l'attuazione di
tale obiettivo; anzi, quella festa rimane una sporadica testimonianza di
presenza se non avviene dentro una politica complessivamente orientata a
creare e favorire un rapporto positivo e sicuro tra carcere e società. E
non è stato certamente questo il motivo ispiratore delle scelte compiute
in questi anni dal ministro della giustizia: è accaduto tutt'altro!
In questi anni, il carcere è apparso sempre più come il contenitore del
disagio sociale estremo, il luogo dell'esclusione, della messa al bando,
della recriminazione, della garanzia di un controllo sociale fondato
sull'ordine, il luogo del modello negativo esemplare (così come il
ministro Castelli voleva che fosse la minaccia di un'esperienza
detentiva per i minorenni).
Solo una riduzione del sistema carcerario alla funzione punitiva - altro
che sociale! - può aver spinto il ministro Castelli, nel suo intervento
alla festa della Polizia penitenziaria, a salutare con favore il
tendenziale aumento del numero dei detenuti, come fosse il frutto maturo
e sano di una politica che avrebbe così promosso sicurezza e certezza
della pena. Il ministro ha inteso dire: «se i detenuti aumentano,
significa che siamo bravi e, siccome si produce un problema di
sovraffollamento, costruiremmo nuovi carceri». Questo è un sillogismo
ardito, direi anche un po' baro, perché sono pochi coloro che possono
dare credito a tali argomenti e, se lo fanno, possiamo anche convincervi
che non è così; infatti, se i detenuti aumentano è perché in questi anni
sono state sempre più ridotte le risorse per il loro trattamento utile
ad assicurare un numero adeguato di operatori che li seguisse nella
attività di recupero e di reinserimento, cioè in quella attività che
Franco Cordero ha definito di giurisdizione terapeutica, ossia
rieducativa. C'è un'evidente impossibilità di seguire i detenuti nella
predisposizione di programmi trattamentali e nell'applicazione delle
misure alternative alla detenzione che provoca come effetto che il
condannato resti in carcere; quindi, tutto ciò è dovuto
all'insufficienza numerica degli educatori, degli psicologi e degli
assistenti sociali impegnati in queste attività.
Com'è possibile seguire 60 mila detenuti ristretti negli istituti
penitenziari nei loro progressi o circa 53 mila condannati ammessi alle
misure alternative con soli 500 educatori e mille assistenti sociali?
In questi ultimi quattro anni non ci sono stati concorsi per integrare
il personale: sono stati assunti assistenti sociali, in virtù di un
vecchio concorso, nonché alcuni educatori e ragionieri a tempo
determinato. Ci vuole coraggio a dire che tante persone stanno in
carcere e che questo è un buon segno; la verità è che stanno in carcere
perché non si vuole prenderle in carico e non si vuole incoraggiarne
l'uscita. Ha poco senso ed è anche ipocrita mantenere scritto nel sito
ufficiale del Ministero della giustizia che: «nella fase di applicazione
delle misure alternative il condannato viene preso in carico dal centro
dei servizi sociali per adulti che opera in stretto contatto con i
servizi del territorio; l'assistente sociale realizza con l'affidato un
rapporto costruttivo e partecipato in cui controllo e sostegno entrano a
far parte di una azione unitaria finalizzata ad un graduale
reinserimento nel contesto sociale». Ha poco senso ed è ipocrita, quando
si è voluto, con una legge che la maggioranza ha difeso ed approvato, la
cosiddetta legge Meduri, impoverire e burocratizzare il rapporto con il
detenuto, mortificando il lavoro dei servizi di osservazione e
trattamento.
Voglio anche aggiungere che questa situazione non è per niente
sintomatica di maggiore sicurezza per i cittadini e di certezza della
pena, ovviamente quella pena che la nostra Costituzione finalizza alla
rieducazione del condannato, quella che ci fa dire che la certezza non è
solo un fatto temporale ma sostanziale; infatti, il problema non è tanto
quanto tempo si sta in carcere, ma come ci si sta e, soprattutto, come
si esce. Il tempo della pena non può esser un tempo inutile, altrimenti
la pena resta in ogni caso incerta.
Condividiamo le parole che il dottor Tinebra ha rivolto il 28 settembre
alla Polizia penitenziaria: «Il senso della riforma dell'ordinamento
penitenziario e della riforma che cambiò il Corpo degli agenti di
custodia fu quello di individuare nella partecipazione della polizia
penitenziaria al trattamento rieducativo uno dei punti nodali,
affermando il binomio sicurezza-trattamento che è alla base della
mission dell'amministrazione penitenziaria». Tinebra ha inoltre
osservato che «il fine della pena è tendere alla rieducazione del
condannato: la sicurezza e il trattamento non possono prescindere l'uno
dall'altro». Solo così si rende veramente omaggio al motto della polizia
penitenziaria: Despondere spem munus nostrum; ma tutt'altro che
speranza sembra emergere dalla situazione in cui sono stati ridotti gli
istituti italiani: la cifra della popolazione detenuta è allarmante. Il
ministro della giustizia ha parlato di 60 mila detenuti odierni rispetto
ai 45 mila del 1996 e ai 55 mila del 2001. Di questi il 30 per cento
sono extracomunitari, di cui 20 mila sono tossicodipendenti, 8.600
affetti da epatite virale cronica, 8 mila sieropositivi per HIV, 6.500
disturbati mentali. Tutti costoro abitano oggi 204 istituti di pena in
condizioni di insopportabile sovraffollamento.
Avete annunciato di voler cambiare questo stato di cose con un grande
programma straordinario di edilizia penitenziaria, affidando la gestione
di 500 milioni di euro a DiKe-Edifica spa: oggi di quel programma
straordinario si ha traccia soltanto nelle indagini della procura della
Repubblica il resto è affidato a impegni futuri da assumere, come è
affidata ad un impegno futuro la materia della sanità penitenziaria.
A questo proposito vi chiedo: vi siete accorti che la legislatura sta
per finire? Certo che per chi vive l'esperienza detentiva (non parlo
solo dei detenuti), credo sia un bene che questa scadenza arrivi, perché
dentro la vostra logica punitiva, dentro la vostra pessima gestione
avete compreso anche chi entra in carcere per lavorare, per svolgere un
compito che non è né semplice né scontato nei suoi effetti e gli avete
tagliato le risorse: sono stati ridotti in questi anni gli investimenti
sul carcere, sono stati apportati forti tagli sui capitoli di spesa del
DAP, che si è indebitato rispetto al reale fabbisogno di almeno 500
milioni di euro!
La situazione non cambia per i minori: le risorse per il loro
mantenimento negli istituti sono insufficienti; i volontari procurano
loro vestiario, coperte per l'inverno; anche per i minori le strutture
sono sovraffollate, vi è carenza di personale, di spazi aperti, di
laboratori, di aule.
Il capitolo di bilancio sul collocamento dei minori in comunità registra
6 milioni di deficit: si nega così l'essenza del processo minorile. Le
piccole comunità gestite dal privato sociale falliscono; le comunità più
qualificate rifiutano l'accoglienza. Il trattamento dei minori è oggi
possibile solo grazie all'intervento degli enti locali. È evidente che i
riflessi hanno interessato le voci più deboli di bilancio: le risorse
per l'assistenza sanitaria sono state drenate altrove e questo capitolo
si è ridotto del 30 per cento.
Con questa realtà così dura si confrontano ogni giorno migliaia di
operatori di polizia penitenziaria, circa 43 mila sulla carta, intorno
ai 33 mila effettivi, se si considera il fatto che circa 10 mila sono
occupati in funzioni amministrative.
L'organico della polizia penitenziaria è fermo alla riforma del corpo,
ma dal 1996 quest'ultimo ha aggiunto ai suoi servizi anche quello delle
traduzioni dei detenuti; in questi quattro anni non vi sono state
assunzioni; il ministro, di anno in anno, ha promesso l'assunzione di
500 nuovi agenti: lo ha fatto ancora ma quest'anno, nel prossimo
novembre, avremo altri 500 ausiliari in scadenza.
Questo personale non riceve la retribuzione delle missioni di traduzione
dei detenuti ed ha visto ridurre la retribuzione per gli straordinari;
mancano a questo personale della polizia penitenziaria 5 milioni di
euro, che vanno reintegrati per le indennità in favore di tutto il
personale.
Brutte nuove arrivano anche dalla legge finanziaria per il 2006: queste
interessano tutte le forze di polizia, ma io credo che anche il
personale della polizia penitenziaria non accetterà di buon grado il
fatto che si dica che per i rinnovi contrattuali 2006-2007 sono previsti
solo 9,50 euro di aumento mensile pro capite per il 2006 e quasi
15 euro per il 2007.
Si opera una forte riduzione dei fondi integrativi, destinati alla
retribuzione di importanti indennità operative; sono ridotti del 10 per
cento gli stanziamenti concernenti spese direttamente regolate da leggi,
come ad esempio il pagamento delle missioni operative del personale di
pubblica sicurezza; viene soppressa l'indennità di trasferta; si
riducono i risarcimenti per il personale che contrae infermità per
ragioni di servizio: non vi è copertura sanitaria per le conseguenti
cure.
Insomma, quando il ministro Castelli dichiara che, così procedendo, se
non vi saranno nuove risorse, entro il 2007 la situazione sarà
ingestibile, vuole davvero
che le cose cambino o sta solo constatando il lascito
pesante che graverà su chi verrà dopo di lui?
Noi crediamo che non si debba guardare molto in là per affrontare i
problemi; se abbiamo presentato una mozione è perché ci interessa
capire, già oggi, quali strumenti possano recuperare il senso di
un'esperienza che deve restare dentro la società per restituire ad essa
chi si è messo fuori e per offrire la libertà non come beneficio rigido
ma come fattore di identità e di reciprocità.
PRESIDENTE.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la
discussione sulle linee generali della mozione.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la giustizia,
onorevole Giuseppe Valentino.
GIUSEPPE
VALENTINO,
Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi
riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE.
Sta bene.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
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