(051101) INTERVISTA DI CARLO PODDA AL QUOTIDIANO IL MANIFESTO: "RICONOSCERE I BENI COMUNI"

Pubblichiamo di seguito il testo dell'intervista rilasciata da Carlo Podda, Segretario generale Fp Cgil, ad Antonio Sciotto, del quotidiano Il Manifesto, sabato 29 ottobre.

«Riconoscere i beni comuni»

Gli emendamenti Fp al Congresso Cgil. Podda: acqua, salute e istruzione servizi universali.
Il lavoro di qualità Servizi pubblici buoni e stabili esigono lavoratori stabili: stop al precariato. «Nel confronto stiamo sui temi, non sulle conte»

Antonio Sciotto
Il Congresso della Cgil si è aperto da poche settimane, e già nei posti di lavoro la discussione è animata. Oltre alle tesi di maggioranza di Guglielmo Epifani, e alle alternative proposte da Gianni Rinaldini (8 e 9) e Gian Paolo Patta (9), ci sono emendamenti molto interessanti, che parlano non solo al sindacato, ma anche alla politica, a tutti i cittadini. Tra questi, il discorso su una nuova sfera del «pubblico» e del «comune», il rapporto con il mercato e il liberismo, affrontato dalla Funzione Pubblica e dal suo segretario generale Carlo Podda. Accanto al merito dei temi, però, anche Podda conferma la preoccupazione che nella confederazione non si voglia affrontare fino in fondo la sfida di un congresso unitario: «Era un modello che io stesso ho appoggiato, appunto perché non ci si ingessasse sul confronto tra mozioni alternative - spiega - Ma ora vedo che c'è quasi una chiusura rispetto al libero dibattito, una parte dell'organizzazione sembra ferma al problema della conta dei ruoli di dirigenza».
 

Partiamo dagli emendamenti alla tesi 4, sul ruolo delle politiche pubbliche. Si parla di «intervento diretto nel settore dei beni comuni e nel controllo dei monopoli naturali, finalizzato a garantire l'universalità dei servizi e dei diritti».

Sì, credo che dobbiamo ripensare il ruolo del pubblico, e dargli nuovo spazio. Parlo di concetti fatti propri dai movimenti, ma anche da tanto pensiero liberal democratico, dove si parla più di «pubblico» e di «partecipazione», che del classico concetto di «Stato». Nel concreto, penso a un nuovo modello di welfare, il «welfare dei diritti», che supera quello semplicemente assistenziale: per capirci, non basta - per far star meglio le persone - assicurare loro un buon aumento contrattuale. Se una famiglia ha un figlio da portare all'asilo, o un anziano non autosufficiente in casa, saltano tutti i conti: ci vorrebbero più di due cicli di rinnovo per coprire quelle spese. Su 100 domande agli asili nido, solo 11 vengono soddisfatte dalle strutture pubbliche. Il «welfare dei diritti» definisce dei servizi di interesse generale, come io credo debbano essere ad esempio gli asili e l'istruzione, e li mette a piena disposizione dei cittadini. Ci sono beni essenziali che la politica dovrebbe riconoscere come «comuni» - e penso all'acqua, alla salute, all'istruzione, alla cultura - e fare in modo che a nessun cittadino venga impedito di accedervi.

Dei beni gratuiti? Molti nell'Unione staranno tremando.

Beh, qui cade il discorso degli emendamenti, del nostro Congresso. Non a caso la Cgil lo ha posto poco prima delle elezioni, perché vuole presentare dei temi ai prossimi candidati al governo, dunque certamente all'Unione. Parte dell'attuale schieramento di centrosinistra ha accettato negli ultimi anni la «dittatura del Pil», pensando cioè che il benessere dei cittadini si misuri in base alla ricchezza prodotta e non ai servizi a loro disposizione. Sono modelli falliti, è sotto gli occhi di tutti il precipitare del disagio e della crisi. La Cgil si è schierata nettamente contro la legge Bolkestein, che vuole privatizzare i servizi pubblici e i beni comuni europei: c'è una parte dell'Unione, però, che non ritiene la Bolkestein un problema, e credo che sbagli. Certo, perché l'acqua, l'istruzione e la salute siano realmente «comuni», servono molte più risorse in mano al pubblico, e questo può essere fatto riequilibrando il fisco - oggi iniquo - e con una decisa lotta all'evasione. Gli ultimi dati Istat dicono che i cittadini, per usufruire dei servizi locali, mettono ogni anno 1,2 miliardi di euro di tasca propria: avrebbero potuto spendere zero euro se fosse finito al welfare un solo quinto dei 6 miliardi regalati da Berlusconi alle classi abbienti con i tagli fiscali. La stessa privatizzazione dell'energia ha raggiunto i risultati che si volevano? Il servizio non è migliorato in efficienza, permangono i monopoli, le tariffe aumentano.

Nell'emendamento alla tesi 5, chiedete una legge per la stabilizzazione di tutti precari del pubblico impiego.

E' l'altro lato della medaglia: mettere i servizi pubblici in competizione sul mercato, sostituendo il risparmio sui costi alla qualità da offrire ai cittadini, ha portato a un esercito di precari che per necessità di cose offrono standard inferiori, per quanto molti di loro siano invece ragazzi (ma anche over quaranta) molto professionalizzati e preparati. Parliamo di 300 mila atipici su 2 milioni e mezzo di addetti a enti locali, sanità, ministeri. Oltre centomila, poi, rischiano il posto a breve, dato che la finanziaria taglia il 40% dei precari del pubblico impiego. Insomma, la battaglia politica per il futuro, che deve sfociare in leggi, è la trasformazione in rapporti a tempo indeterminato, per dare stabilità e qualità ai servizi.

Nell'emendamento alla tesi 9 parlate della «partecipazione come asse strategico per riprogettare il paese».

Sì, nel caso del discorso sulla rappresentanza prendiamo a modello la normativa sul pubblico impiego, che ha già dato ottimi risultati: chiediamo la generalizzione delle elezioni delle Rsu in tutti i luoghi di lavoro; la certificazione dei risultati, che combinata con i dati degli iscritti deve stabilire inequivocabilmente la rappresentatività; la validazione di tutte le Rsu su piattaforme e ipotesi di accordo; la possibilità di un referendum abrogativo su richiesta di una percentuale congrua di lavoratori, o Rsu, o di una organizzazione rappresentativa.

Infine bisogna riprendere il discorso sull'andamento del confronto, e sulla polemica sul cosiddetto «patto dei 12».

Io credo che quel patto possa essere letto in due modi, a seconda delle interpretazioni. E' vero che può rischiare di congelare burocrazie già date, ma è anche vero che Epifani ha dichiarato che verranno tutelate tutte le minoranze che si saranno formate successivamente a quel patto: e a queste parole è giusto dare fiducia. Quanto all'atmosfera generale, io credo che davvero dovremmo fare un passo avanti e confrontarci sul merito delle questioni: vedo anch'io i «nervosismi» di cui si è parlato nei giorni passati, ma più che sui luoghi di lavoro, piuttosto tra i dirigenti. Addirittura noto che creano tensione gli emendamenti, figuriamoci delle tesi. Dal 1986 non ci confrontiamo senza polarizzarci su documenti contrapposti, ci sono generazioni di quadri e lavoratori che non conoscono le opportunità di dibattito libero che si offrono: Trentin parlava di «maggioranze a geometria variabile a seconda del merito», lasciando le appartenenze. Io sottoscrivo in pieno.

 

2 novembre 2005