Basilicata
Calabria
Campania
Molise
Puglia
Sardegna
Sicilia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Relazione di Michele Palazzotto
(segretario generale Funzione Pubblica CGIL Palermo) 

 

Graditi ospiti, care compagne e cari compagni, 

Vi ringrazio per la vostra partecipazione all’8˚ Congresso della Funzione Pubblica CGIL Palermo. 

Siamo alla conclusione di un percorso provinciale, che ha visto realizzarsi una discussione impegnativa, appassionata , che si è svolto in un clima di serenità e franchezza, per la prima volta su un unico documento confederale. 

Il carattere del dibattito è stato importante per favorire la ripresa di un dialogo con le nostre iscritte e i nostri iscritti e per consolidare la prassi di una dialettica determinata dalla diversità di idee, di sensibilità e non dall’appartenenza politica. 

Questo Congresso è la fase iniziale per valutare assieme gli anni che abbiamo alle spalle, che sono stati intensissimi e duri, e per discutere e decidere come orientare la nostra iniziativa, per affrontare gli impegni e le sfide che ci attendono. 

Abbiamo scelto come titolo del nostro Congresso “RIPROGETTARE IL PAESE, LAVORO, SAPERI, DIRITTI, LIBERTA’”.

Perché siamo convinti che la CGIL debba farsi carico in tempi non sospetti, quindi prima delle elezioni, di elaborare un nuovo progetto di sviluppo economico e sociale del Paese. 

Se la nostra proposta politica sarà adeguata lo diranno i fatti e il consenso che eventualmente riceverà; per ora registriamo un’ampia partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici, un risultato straordinario, particolarmente importante in una società che induce alla semplificazione delle forme di rappresentanza, dove mancano le forme di confronto, e con istituzioni che sviliscono la partecipazione dei cittadini alla vita delle Organizzazioni Sociali e dei Partiti. 

Quello che insieme stiamo iniziando è un percorso democratico che ci ha consentito di rendere visibile il tessuto connettivo della nostra Organizzazione con i suoi simboli, la sua storia centennale e per quanto ci riguarda come FP venticinquennale. 

Un’idea di impegno che è per noi, prima di tutto, voglia di costruire un destino condiviso dai lavoratori, che coincide con una maggiore domanda di eguaglianza e libertà. Questa sfida ce la pone il mondo del lavoro che è tornato protagonista, ce la pongono i giovani da Genova a Porto Alegre, ce la pone quella forza dirompente del movimento per la Pace, ce la pone la volontà popolare di mandare a “casa” questo governo, in una grande occasione per tutti noi, per cambiare la società italiana, per una nuova Europa, per un altro mondo possibile. 

Questi i temi al centro del nostro Congresso che assumono in Sicilia e a Palermo un rilievo particolare, in quanto non si può parlare di riprogettare il Paese senza parlare di lotta contro la mafia e di riforme istituzionali. Con la forza di volontà da parte nostra, di approfondirli, per spostare in avanti la nostra progettualità. 

Un’occasione per proporre al popolo palermitano e siciliano il nostro messaggio a noi come Funzione Pubblica, ci è già stata data dalla manifestazione del Primo Maggio a Portella della Ginestra. 

Come avete visto dalle immagini una manifestazione eccezionale, il termometro del fatto che la gente si affida con fiducia alla CGIL, la senta suo punto di riferimento, ma è stata anche un messaggio, un simbolo e per dirla con le parole del nostro Segretario Generale Carlo Podda: << a mantenere viva quella promessa di equità e giustizia che si sarebbero volute soffocare 58 anni fa, un simbolo della volontà di resistere, di battersi perché le promesse di cambiamento, di giustizia vengano mantenute>>. 

La CGIL Funzione Pubblica sa che la Sicilia è il banco di prova a partire dal Pubblico Impiego, delle politiche di solidarietà e sviluppo. E’ la scacchiera su cui si gioca la partita della coesione nazionale e dove si gioca la partita per vincere le elezioni, ci fa ben sperare il risultato di Messina, dove ha vinto il candidato Sindaco del Centro – Sinistra.  

Da questo punto di vista, le esperienze delle elezioni primarie, per scegliere il Candidato alla Presidenza della Regione, dovrebbero essere una lezione. Rita Borsellino ha avuto una nettissima vittoria e credo abbia tutte le opportunità per battere il candidato del Centro – Destra che, io credo, non sia più Cuffaro. La Borsellino ha dalla sua, la capacità di entrare in sintonia con i cittadini di trasmettere empatia. Lei incarna con naturalezza le esigenze del popolo di Centro – Sinistra, prima fra tutte la possibilità di credere nel cambiamento. 

Le primarie, sia quelle nazionali che regionali hanno evidenziato una voglia di esserci di contare che, trasversalmente, coinvolge tutti i settori della società, quando sono chiamati a partecipare. Bisogna sapere leggere in questi fenomeni una ricerca e una proposta di “nuova politica”, di cambiamento rispetto a quello che il Centro – Sinistra è stato in Sicilia, per la sua debole capacità di fare opposizione, in questi anni di trionfante Cuffarismo. 

Occorre rilanciare questa voglia di partecipazione, ora che comincia la parte più importante e più difficile, elaborare il programma e moltiplicare la tensione, per vincere la sfida contro il Centro – Destra. Noi come Funzione Pubblica saremo al suo fianco, metteremo a disposizione tutte le energie e le esperienze, sia per la elaborazione, sia per le battaglie sociali a cui andiamo incontro. Solo tutti assieme potremo essere protagonisti positivi per gli interessi del mondo del lavoro, dei giovani, della società siciliana, orgogliosi, che oggi in Sicilia una donna può determinare il cambiamento. 

Così come è necessario impegnarci per il successo del Referendum per abolire la riforma del testo Costituzionale sulla “Devolution”. Il pronunciamento referendario è la strada adeguata per contrastare questo disegno. Si tratta di mettere in campo da subito un’iniziativa forte che, prepari il terreno per quella scadenza, costituendo e generalizzando i Comitati Territoriali sulla falsariga di quello nazionale, sviluppando discussioni ed informazioni. 

Ribadendo il nostro dissenso, perché è una legge iniqua, è’ contraria ad un vero federalismo ispirato a criteri di solidarietà e di sussidarietà, determinando sperequazioni  territoriali nel godimento di diritti fondamentali. Inoltre, il rafforzamento eccessivo dei poteri del Presidente del Consiglio, indebolisce il ruolo e la funzione di garanzia del Capo dello Stato e riduce gli spazi di confronto e di concertazione, tra l’esecutivo e le forze sociali. 

Invece l’approvazione del nuovo statuto della Regione Siciliana, con un ampio consenso parlamentare, ha permesso l’approvazione di alcune norme che apprezziamo, prime fra tutte il ripudio della mafia, la previsione di un terzo di donne in giunta e l’istituzione del difensore civico. 

Ma il bilancio definitivo sullo Statuto Speciale è negativo, da molti anni questa opportunità dei Siciliani è stata il maggior elemento negativo per la crescita e lo sviluppo della nostra Isola. 

Dobbiamo ribaltare questa tendenza, dobbiamo sconfiggere il “Sistema Cuffaro”, che ha stabilito una sciagurata connessione tra politica e malaffare, facendo propria la frase di un Ministro della Repubblica che invitava a “convivere con la mafia”, che ha avuto un rapporto equivoco e spesso complice e collaborativo tra la politica, la burocrazia e la mafia; dobbiamo invece valorizzare i processi e le scelte locali, che saranno ormai fondamentali per i compiti affidati per ciò che concerne il governo della spesa pubblica e quindi l’impatto che le scelte che vengono prese determinano su tutti i settori della vita economica e sociale dell’Isola. 

Troppe Riforme importanti ed operanti sul territorio nazionale hanno incontrato in questi anni ostacoli insormontabili, relegando la Sicilia al ruolo insopportabile di fanalino di coda sul terreno del cambiamento e della modernizzazione della società italiana. 

Ed infine, non certo secondario il ruolo che svolge un’autonomia mal utilizzata, prodiga di mance anche per i propri dipendenti, strumento quasi feudale di Controllo del consenso, sollecitatrice di scorciatoie e mitiche leggi. 

Un’autonomia che ha nel tempo costruito un grande divario sociale e tra i propri dipendenti e quelli degli altri comparti del Pubblico Impiego. Lo scambio tra i privilegi economici (per altro assai variegato) e rinuncia all’autonomia professionale da parte del personale regionale è stato il compromesso su cui si è fondata buona pare del sistema di potere di Cuffaro costruito dentro e attorno la Regione. 

Uno scambio, che oggi ha condotto a processi di vera  e propria degenerazione dell’Amministrazione Regionale.

Nell’ultima finanziaria il personale regionale di ogni specie e grado ha avuto un occhio di riguardo. Per i massimi vertici burocratici, grazie ad una norma, di una riga, i direttori dei dipartimenti non potranno più essere rimessi da Presidente della Regione così come prevedeva la Legge 10 del 2000, sino alla scadenza dei contratti di dirigente generale. Per non parlare, in quanto ne ha parlato tutta la stampa nazionale, dei 20 mila euro assegnati al comitato di abusivi << salviamo le nostre case in Sicilia >>, in sostanza una serie di norme inqualificabili che offendono i Siciliani. E dunque rispetto a questo complesso di questioni che va costruita una risposta politica e sindacale di altro profilo. 

Io non so, se con questa Riforma elettorale, è così scontata la vittoria del Centro – Sinistra alle elezioni nazionali. Credo di si. Ma i guasti che ci troviamo a fronteggiare sono molto profondi, economici, ma anche morali. Per non parlare delle lacerazioni inferte al tessuto sociale e alla convivenza civile.

Siamo al punto   – per fare un esempio –   che di fatto, oggi in Italia la ricchezza non paga più le tasse, ma versa ogni tanto un obolo per i condoni. 

Gli errori madornali di questa Destra ci hanno consegnato un Paese nel momento in cui si internazionalizzava senza una nuova idea di sé e del proprio futuro. Senza di che diventa un’impresa disperata, collocare lo sviluppo italiano, su una nuova base e in modo non passivo nella nuova divisione internazionale del lavoro. 

Questo è il problema italiano. E in ciò sta il senso di quel nostro insistere nel dire che eravamo di fronte più che a una crisi economica a un declino economico e sociale. Al venir meno di una classe dirigente. L’assetto complessivo del Paese non regge più alle nuove sfide dell’integrazione europea e dalla mondializzazione. 

E’ venuto meno quello straordinario impasto di fattori (dal ruolo dell’I.R.I. cioè dello stato imprenditore, all’intreccio tra banca pubblica e capitalismo senza capitali, del fatto che la nostra piccola impresa furono i “Cinesi dell’Occidente”, alla possibilità di svalutare la lira, al compito di mediazione politica e sociale svolta dalla D.C. e alla funzione di progresso e garanzia degli interessi popolari a cui assolse il Partito Comunista); cioè quei fattori che hanno trasformato l’Italia povera e contadina in una potenza industriale con un tenore di vita tra i più alti del Mondo. 

Si è aperto un problema enorme. Non solo  economico ma altamente politico. Il problema di una classe dirigente che veniva sfidata del nuovo scenario storico a riempire il vuoto creato dalla fine dei suoi vecchi meccanismi di Governo. Un vuoto che nessuno ha riempito perché si tratta appunto di riprogettare e di riposizionare il Paese nella competizione mondiale. Insomma il problema di una nuova guida: quindi il compito tipico di una classe dirigente. 

Il Governo di questa Destra  così priva di senso dello Stato ha creato guasti,  molto profondi economici e morali. Non è infatti accettabile che in democrazia un leader politico sia proprietario di gran parte dei media, ne che cambi la Costituzione del Paese per fini puramente opportunistici. 

Non meno importante è il fallimento della leadership economica di Berlusconi. Giunto al potere come imprenditore prestato alla politica, con la sua sedicente capacità di rigenerare l’economia italiana, ha invece presieduto al suo accelerato declino. La crescita dell’Italia è la più bassa dell’Unione Europea, il suo tasso di natalità è sceso a livelli preoccupanti e il debito dello Stato è gigantesco.

Ormai solo poche industrie riescono ad essere competitive sul mercato globale. 

Un’economia, che già nel 2001, segnalava l’affanno degli investimenti produttivi e dalla bassa crescita della produttività e che vedeva diminuite le proprie quote nel commercio mondiale, andava fin da allora sostenuta con politiche di incentivazione. 

Il Governo, invece, a partire dall’eliminazione dell’imposta di successione sui grandi patrimoni, ha difeso le posizioni della rendita e i vantaggi patrimoniali acquisiti, e cercato di portare un attacco esplicito ai diritti dei lavoratori a partire dall’intervento sull’Art. 18. 

Nel Mezzogiorno del Paese ed in Sicilia, dopo anni di risveglio significativo, il Governo operava la più irresponsabile scelta che si poteva compiere: azzerare tutte le politiche e gli strumenti che avevano funzionato; ha cambiato quattro volte in quattro anni, normative e procedure per il sostegno agli investimenti. 

Se a questo aggiungiamo che corriamo rischio che saltano i fondi strutturali U.E., il quadro diventa catastrofico. Sui tagli agli aiuti regionali e a quelli per la competitività, nei prossimi anni si giocherà il destino della Sicilia e del Mezzogiorno, altro che tagli alla 488 o al credito d’imposta. 

Basti pensare che attualmente in Sicilia 50 mila persone, di ogni condizione, laureati, diplomati, ma anche operai e donne emigrano ogni anno verso il Nord Italia ed il resto d’Europa, se poi l’U.E. dovesse tagliare gli otto miliardi di Euro dei fondi strutturali sarebbe un vero disastro sociale ed economico, non solo per i Sud ma per tutto il Paese. 

Inoltre, di fronte ad una condizione del lavoro, che il rallentamento dell’economia, avrebbe portato verso una crescente instabilità dell’occupazione e della precarietà del lavoro, il Governo sceglieva di operare con l’intervento sull’Art.18 e poi con la Legge 30 un’azione di destabilizzazione del mercato del lavoro. 

Per fortuna c’è stata la CGIL e grazie a noi tanta parte del Paese ha resistito e si sono create le condizioni della riscossa, abbiamo rappresentato la parte notevole degli italiani che vogliono reagire al declino. Grazie a noi la coalizione di Centro – Sinistra  ha buone probabilità di tornare a governare. 

C’è da chiedersi se erediterà un Paese in condizioni di declino tanto avanzato da non consentire un’inversione di tendenza, c’è da chiedersi fino a che punto si è svuotata la democrazia italiana e cosa significa il fatto che il potere è sempre più fuori dalle istituzioni.

Perfino le leggi non vengono più fatte dal Parlamento, e le decisioni vere vengono prese altrove, volta a volta dai cardinali, dai centri finanziari, dalla mafia e dai poteri occulti. Questa è la vera partita che si gioca e che verrà decisa con le elezioni. Deve essere chiaro che se la perdiamo non vincerà uno schieramento politico, sia pure di Destra. Succederà un’altra cosa, l’Italia cesserà di avere un sistema politico autonomo, perderemo quel tanto di indipendenza che abbiamo ancora. 

Diventa urgente ricostruire un patto di cittadinanza che è stato minato in questi anni nei rapporti tra Stato e cittadini, tra Governo ed altre Istituzioni, in modo da suscitare forze ed energie indispensabili per dare credibilità ad una nuova prospettiva per il Paese; disegnare una prospettiva di reale trasformazione, rifuggendo dalla logica dei “due tempi”, prima il risanamento e poi l’azione di cambiamento e di giustizia sociale. E’ difficile. Ma lo spazio esiste. Non dimentichiamo che, alla fine di ogni crepuscolo sorge una nuova alba. 

E speriamo che una nuova alba spunti anche per i giovani. Tutte le indagini statistiche confermano che, la mobilità sociale, e cioè la passibilità che tuo figlio faccia un lavoro migliore del tuo, è, in questi anni nel nostro Paese, pari quasi a zero. Il figlio dell’operaio farà l’operaio, il figlio dell’impiegato farà l’impiegato, però precario, mentre i figli di persone che fanno attività magari protette da legislazioni monopolistiche, faranno quello stesso lavoro, accedendovi per discendenza dinastica.

La vera domanda di un genitore di oggi è, non cosa farà suo figlio da grande, ma se farà qualcosa da grande. 

Nella nostra vita pubblica le persona tra i venti e i quaranta anni non contano quasi nulla.

Abbiamo la classe dirigente più vecchia dell’Occidente e i livelli di occupazione giovanile più bassi. 

Tra i meriti che si ascrive questo Governo c’è senz’altro quello che riguarda i tassi di disoccupazione che sarebbero a suo dire in costante calo. Anzi il calo sarebbe così significativo da costituire un paradosso rispetto all’andamento recessivo della nostra economia.

In realtà basta far riferimento alle ore lavorative per rendersi conto che non c’è stato nessun effettivo aumento dell’occupazione dovuto ad un incremento della produzione di beni e servizi. Abbiamo assistito alla ripartizione del lavoro che c’è. 

In più, quelli che lavorano sono precari, mal pagati e depressi da un livello di mobilità sociale bassissimo. 

Un giovane italiano dai venti ai trenta anni guadagna in media meno di diecimila Euro all’anno, la metà di un inglese o di un tedesco. Non stupisce che i soldi della famiglia d’origine la “paghetta”, siano la principale fonte di reddito per due terzi dei ventenni italiani, e che i due terzi dei maschi italiani tra i venticinque e i trenta anni vivono con i genitori. Il fatto che i due terzi dei trentenni italiani viva ancora con i genitori non scatena un dibattito sul diritto alla casa, come sarebbe naturale. E’ considerata comicamente una prova di attaccamento al valore della famiglia. Invece di essere vista per quello che è: una catastrofe sociale, la garanzia di un declino rapido e irreversibile di un sistema.

Una stanza per studenti, nella periferia romana, costa ad uno studente 500 Euro al mese; che sui colloqui di lavoro è ormai prassi rivolgere domanda sulla vita privata e sulle scelte politiche; che si lavora e non si è pagati. Chi

l’avrebbe detto, il salario è tornato come variabile indipendente, stavolta del lavoro svolto. Sono i miracoli della riforma del mondo del lavoro. E’ davvero un’Italia che odia i giovani e in questo è rappresentata da un Governo che demolisce la Scuola Pubblica (Moratti); sbatte in galera chi fuma uno spinello (Fini); incoraggia il più bieco sfruttamento del precariato (Maroni); parte alle crociate contro le discoteche (Giovanardi).

Per poi non parlare di un debito pubblico di 1550 miliardi di Euro, che taglia definitivamente le gambe alle future generazioni. 

Bisogna esporre i fondamenti di una nuova idea di società. Che però per emergere ha bisogno di una leva (Datemi una leva e solleverò il Mondo). Questa leva è una rivoluzione politica democratica come condizione per riorganizzare e rimettere in moto le forze più profonde della società italiana. 

Bisogna esporre i fondamenti di una nuova idea di società fondata su un nuovo spazio pubblico, intendendo per questo il luogo nel quale si identificano e si acquisiscono i beni comuni, i beni sociali, i beni collettivi. 

L’accesso a questi beni può essere garantito dal soggetto pubblico che ne deve garantire, anche attraverso le modalità organizzative caratteristiche universali. Ecco perché questi diritti possono essere garantiti solo dal lavoro pubblico. 

Emblematica a Palermo e in Sicilia la vicenda degli ATO idrico e dei rifiuti.

Quando parliamo di risorse idriche e di rifiuti parliamo di servizi di interesse generale, di servizi che hanno una rilevanza gestionale di carattere industriale, ma che in primo luogo devono assolvere alla loro missione sociale e devono, pertanto rispondere agli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, essere ad accesso universale, e contribuire alla coesione sociale e territoriale. 

Dalla disponibilità di acqua potabile dipende la sopravvivenza del Mondo, dal controllo della produzione dei rifiuti e del loro recupero a smaltimento dipende l’ecosistema e le qualità del mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli.

Il controllo, su entrambe le attività non può che essere pubblico: proprietà pubblica degli impianti, gestione pubblica del ciclo completo. 

Quello della Rifiuti S.p.a. è un mercato in piena regola, come emerge chiaramente dalle inchieste condotte delle forze dell’ordine e della Magistratura. Un mercato quello della gestione illegale dei rifiuti che è la seconda fonte di finanziamento della mafia, le prime sono i proventi dello spaccio delle sostanze stupefacenti. Un mercato con i suoi prezzi per ogni tipologia di rifiuti e con i suoi profitti, a dire il vero molto alti, considerando i bassissimi costi da sostenere e la totale inosservanza delle più elementari regole di sicurezza, rispetto dell’ambiente e della salute. 

Un motivo in più per farci dire che non si può prescindere dalla gestione pubblica. In una terra dove il semplice intravedere la possibilità di profitti suscita l’immediata attenzione di cosa nostra riteniamo non si possa prescindere dalla gestione pubblica di tutto il ciclo. 

Costruire quindi il soggetto gestore a partire dalla valorizzazione delle professionalità degli Enti Locali.

Conseguentemente la gestione non può che essere pubblica. A totale capitale pubblico o comunque a maggioranza pubblica, e l’eventuale partner non può che essere una grande azienda pubblica. 

Occorre superare la frammentazione.

Occorre allora ripensare il piano e ridurre gli sprechi a partire dal numero degli ATO, favorendo l’aggregazione fra gli Ambiti e considerando nei piani industriali la dimensione ottimale del gestore unico.

Ecco allora che il bacino provinciale appare sottodimensionato rispetto alle potenzialità impiantistiche legate al recupero energetico. Più Province dovrebbero collegarsi ad un impianto comune e il numero degli ATO costituiti in Sicilia: 27, di cui 6 solo nella Provincia di Palermo, frammenta il territorio e non agevola una gestione efficiente, efficace ed economica. Non è efficace una gestione che piuttosto di porre le basi per il riutilizzo, riciclo ed il recupero privilegia il conferimento indifferenziato all’inceneritore o termovalorizzatore.

Non è economica una struttura che solo per le indennità da corrispondere agli amministrativi spende, circa 6.500.000 di Euro l’anno. 

Non può essere efficiente, nella Provincia di Palermo, un servizio di pubblico interesse gestito da 6 piani industriali diversi che non interagiscono tra di loro.

Un così elevato numero di ATO, a nostro modo di vedere, può avere una sola risposta razionale da ricercarsi nei motivi di gestione politica e nell’individuazione di nuove postazioni di sottogoverno di sindaci trombati o politici, con costi esorbitanti e certamente non sopportabili dagli utenti. 

A proposito di tariffe, il Commissario dello Stato ha ritenuto, impugnando il comma 1 dell’Art.14 della L.R. 17/2004, che la competenza è affidata agli Enti Locali. Previsioni che non solo condividiamo ma facciamo nostre. La determinazione della tariffa non può prescindere dalla Costituzione di un Comitato consultivo degli utenti, che abbia il compito di vigilare e controllare sulle procedure messe in atto per la determinazione delle tariffe. La tutela delle fasce più deboli, il contributo degli Enti Locali con risorse del proprio bilancio per il mantenimento di un sistema di riduzione per i meno abbienti, è indispensabile. 

La scelta della termovalorizzazione, su cui noi siamo d’accordo, deve essere parallela alla strategia di riduzione dei rifiuti e al recupero delle materie prime: solo la parte finale del processo di raccolta, riciclo riuso, deve essere utilizzato come combustibile per usi industriali e per riscaldamento attraverso impianti sicuri, tenendo sempre presente in una scala di compatibilità ambientale, il recupero energetico sta sopra alla discarica, ma nettamente al di sotto del recupero di materie. 

Occorre quindi ripensare l’ubicazione del termovalorizzatore che dovrà sorgere nel Palermitano e certamente la sua sede non potrà essere Bellolampo. In posizione dominante rispetto alla città di Palermo, in zona sismica e con venti che spingerebbero, i fumi e le ceneri, verso zone densamente popolate, lontane dalle grandi vie di comunicazione ed in totale assenza di infrastrutture ferroviarie. 

Uscire dall’emergenza quindi non è solo possibile ma addirittura un dovere.

Così come è un dovere uscire dall’emergenza che si sta venendo a creare a Palermo rispetto all’ATO Idrico. 

I ritardi accumulati per l’attivazione dell’ATO idrico, a causa dei gravi contrasti politici tra la Provincia Regionale ed il Comune di Palermo, potrebbero comportare la perdita di 211 milioni di Euro di finanziamenti dell’UE finalizzati al miglioramento della rete idrica caratterizzata da un elevato tasso di dispersione. 

La CGIL Funzione Pubblica si è schierata apertamente con il Comune di Palermo perché riteniamo che il trasferimento del servizio idrico degli Enti Locali all’ATO, debba avvenire salvaguardando il patrimonio professionale dell’AMAP S.p.a. e dei Comuni della Provincia e che debba essere garantito anche attraverso l’assetto societario, il carattere pubblico del servizio. 

Bisogna contrastare l’idea del Presidente della Provincia Musotto, che è anche Presidente dell’ATO, di privatizzare il servizio per consolidare il blocco degli interessi politici e imprenditoriali a lui vicini.

In Sicilia e a Palermo è chiaro e noto a tutti che dalla distribuzione dell’acqua passa il controllo del territorio da parte della mafia e passano i grossi affari; non a caso Cuffaro è Commissario Straordinario per l’emergenza idrica e Musotto è Presidente dell’ATO. Qui più che altrove bisogne dire NO alla privatizzazione dell’acqua ed invece affrontare una gestione pubblica garantita ed efficiente che liberi questa risorsa dal controllo della Mafia.

 

Così come,

l’affermazione del diritto alla salute costituisce una priorità assoluta qui in Sicilia e soprattutto a Palermo dove, in non poche occasioni, la sanità è stata oggetto di speculazioni affaristiche e mafiose, dove la salute non viene messa in discussione soltanto per i ripetuti casi di malasanità ma anche da vecchie e nuove nocività, nei luoghi di lavoro e sul territorio, dove i problemi di emarginazione, separazione e abbandono sono gravi e pesanti. Impossibile garantire il diritto alla salute senza un ambiente di lavoro e di vita salubre. 

I cittadini sembrano assuefatti alle emergenze sanitarie, gli stessi operatori appaiono rassegnati. Questo quadro emerge chiaramente nel libro con DVD dal titolo “la Mafia è Bianca” che mostra un’inchiesta fatta da due giornalisti, Bianchi e Nerazzini, sulla Sanità Siciliana e sui rapporti Mafia – Sanità, ma già in parte era emerso al Convegno organizzato da noi con Magistratura Democratica su Mafia e Potere a Palazzo Steri. Ogni azienda sanitaria rappresenta un potentato di qualche politico e in particolare del governatore.

I direttori generali sono prestanome di deputati regionali nei salotti e nei retrobottega, si decidono i primariati e i favori economici alle strutture private.

 

Il titolo del nostro Convegno “Cadaveri non eccellenti” sta  a dimostrare che i casi di malasanità in Sicilia ormai hanno raggiunto  livelli insopportabili, si muore non per interventi complessi ma di “routine”. Si muore per un’ernia, un’appendicite, un’anestesia, un’ambulanza che non arriva o che quando arriva ti porta nel posto sbagliato. 

Il futuro prossimo si presenta ancora più drammatico. Se la modifica del titolo V della Costituzione, aveva portato il trasferimento di competenza alle Regioni che per la Sanità significa gestione diretta dei fondi e del loro impiego, e con la Devolution quindi dal modello solidale a quello egoistico si assisterà al taglio delle risorse.

Potrebbero essere tra un terzo e la metà le risorse che corrono il rischio di essere tagliate alla Sicilia, se si sommano il taglio dei trasferimenti alle Regioni e agli Enti Locali.

 

Tutto ciò determinerà un intreccio tra difficoltà, inefficienza e illegalità che di nuovo si calano oppressivamente nei confronti dei cittadini.

Il deficit sanitario in Sicilia del 2001, anno di insediamento del Governo Cuffaro, sino a Dicembre 2004 ha raggiunto la cifra astronomica di oltre 1800 milioni di Euro. Nel 2004 un terzo del bilancio regionale 750 milioni di Euro è servito per la spesa sanitaria delle nove Aziende, dei diciassette Ospedali, dei tre Policlinici, delle cinquanta Case di Cura e ai più di milleottocento convenzionati. E in tutto ciò si sono lasciate letteralmente deperire grandi e qualificate strutture non utilizzando gli immobili, emblematico il caso del polichirurgico di Villa Sofia, o non utilizzando la strumentazione scientifica a disposizione come ha dimostrato il nostro Segretario dei Medici  Franco Ingrillì nel DVD dell’inchiesta “la Mafia è Bianca” entrando in polemica con Cuffaro che voleva negare l’evidenza, e che quel che è più grave ne chiedeva provvedimenti contro Ingrillì. Tutto ciò, abbassando la qualità dell’assistenza ha favorito il potenziamento di cliniche private, spesso gestite con capitoli di dubbia provenienza ( vedi Clinica Aiello), verso le quali sono costretti ad indirizzarsi gli utenti che, in questo modo, subiscono un ulteriore diminuzione dei reddito disponibile, quando non sono addirittura costretti ad attendere tempi memorabili per ottenere un’assistenza che si rivela di scarsa qualità, a cercare un intervento sanitario pubblico in altre zone del Paese addirittura all’Estero. 

Consapevoli che le risposte ai bisogni di salute nascono dalla conoscenza epidemiologica del territorio. Occorre, una politica della salute che tenga conto delle conoscenze delle realtà locali, che renda compatibile la spesa con i diritti di cittadinanza in sanità, ecco perché è necessario attivare gli strumenti di rilevamento epidemiologico quali le Agenzie regionali per i Servizi Sanitari e gli Osservatori. 

Il Piano Sanitario Regionale in Sicilia siamo ancora fermi al primo, nelle altre Regioni al XV o XVI, invece di essere un volume di centinaia di pagine, senza garanzia di realizzazione deve stabilire quali sono le priorità di intervento, quali le iniziative conseguenti, quali i servizi e le strutture con cui farvi fronte. Particolarmente si deve affrontare la globalità dell’intervento sanitario. 

Rilanciamo pertanto le proposte che sono venute fuori dal dibattito di questi anni e dal dibattito Congressuale: 

  • Che bisogna assicurare maggiori risorse alla prevenzione a cui è destinato soltanto il 5 % del fondo sanitario e alla formazione degli operatori;

  • Che bisogna trasformare il servizio 118, che deve essere ricondotto all’interno di una gestione pubblica;

  • Che bisogna controllare i flussi di spesa verso i cosiddetti “Centri di Eccellenza” (l’ISMETT di Palermo è costato 54 ml di Euro nel 2004 e la fondazione Giglio – san Raffaele di Cefalù 19 ml di Euro”) che svincolati dalla conoscenza della realtà locale, non rende compatibile la spesa con i diritti dei cittadini;

  • Che bisogna costruire forme ormai indispensabili di collegamento tra le strutture e prefigurare una rete di servizi sul territorio che per ora convergono tutto sull’Ospedale.

 

Ma la nostra idea dello Stato sociale non si ferma alla sanità.

Noi crediamo che la Regione abbia il compito di assicurare attraverso il suo intervento anche indiretto il miglioramento delle condizioni di vita dei siciliani e dei migranti. 

Questo vuol dire che bisogna avere politiche che aggrediscano le cause del malessere a cominciare da quello giovanile, la tossicodipendenza, la salute mentale, la cronicità e non autosufficienza, la disabilità grave necessitano di servizi sanitari e sociali sotto la responsabilità della Sanità Pubblica. 

Ho già detto della necessità di politiche assistenziali realmente diffuse e accessibili tutti quelli che ne hanno bisogno. Ma è necessario avere un’idea generale delle politiche inclusive, l’accoglienza, la tolleranza verso culture diverse dalla nostra, l’inclusione sono e devono essere l’approccio con il quale affrontare i problemi dell’ immigrazione, pertanto devono essere aboliti i CPT (Centri di Permanenza Temporanea per migranti) a cominciare da quello vergognoso e inumano di Lampedusa. 

La spesa socio assistenziale nella nostra Provincia è tra le più basse di Italia per non parlare di quella del Comune di Palermo.

Abbiamo fatto in questi anni in sede di discussioni di Bilancio di previsione  battaglie epiche per far aumentare le risorse messe a disposizione.

Purtroppo i tagli di risorse agli Enti Locali da parte delle finanziarie nazionali e regionali non ci hanno agevolato. 

In questi anni abbiamo assistito alla riduzione dei fondi alle politiche sociali, in una fase di bassa crescita economica bisognava invece potenziare queste politiche per i soggetti più deboli.

La Legge 328, che inizia a tratteggiare un sistema universalistico per le politiche assistenziali, arriva nel 2000 col governo di Centro – Sinistra, l’attuale governo la ha smontata sistematicamente, tant’è che gli obiettivi raggiunti dalla Legge sono insufficienti e ripropongono la necessità di una nuova e diversa politica sociale. 

Con l’ultima Finanziaria c’è stato un taglio del 30%  delle risorse destinata al fondo per le politiche sociali, tali risorse mancheranno per le politiche di natura “assistenziale” (a favore degli anziani, dei migranti, dell’infanzia, per il sostegno all’occupazione e contro la povertà e l’esclusione sociale). 

E’ necessaria la fissazione, a livello nazionale dei LIVEAS , bisogna in sostanza definire i livelli essenziali di assistenza, per un’adeguata programmazione e per razionalizzare la distribuzione delle risorse e delle competenze. 

Quello al quale pensiamo è un rafforzamento dell’intervento pubblico diretto in grado di garantire uniformemente i LIVEAS. Contemporaneamente il pubblico dovrà definire le caratteristiche e i parametri necessari sulla cui base altri soggetti, nell’erogazione di prestazioni aggiuntive ed integrative, possono essere considerati di “pubblica utilità”. 

Quelli che si candidano ad essere componenti del sistema di Welfare (terzo settore, no profit, associazionismo) dovranno uniformarsi e incorporare regole di funzionamento proprie dell’intervento pubblico diretto e rigettare l’idea di “dumping sociale” che è connessa all’utilizzo di trattamenti economici e normativi inferiori rispetto ai lavoratori pubblici.

Inoltrarsi in questa direzione significa anche mettere in discussione e ripensare l’attuale situazione in materia di appalti dei servizi, a cominciare da quelli del Comune di Palermo, sia nel senso di guardare a meccanismi più strutturati e duraturi nel tempo ( per intenderci, indirizzandosi  verso meccanismi tipo le convenzioni), sia superando le gare al massimo ribasso, sia studiando meccanismi di internalizzazione delle cooperative che svolgono questo servizio, sul modello della stabilizzazione degli L.S.U. 

Una riflessione particolare va fatta sulle Autonomie Locali. In provincia di Palermo abbiamo 81 Comuni che rappresentano il pilastro portante nell’erogazione del Welfare nella nostra Provincia, e questi hanno due nemici: la Finanziaria e la Direttiva Europea. Entrambe, intervengono pesantemente sui servizi e sulle loro qualità, impediscono di fatto agli Enti Locali di garantire i diritti di cittadinanza (sanità, asili nidi, trasporti, assistenza agli anziani). La Finanziaria che taglia risorse al sistema delle Autonomie Locali e la Direttiva Bolkestain, pretendono di uniformare al ribasso i servizi a livello europeo, grazie al Principio del Paese d’origine – che permette alle aziende di seguire la normativa contrattuale del Paese in cui hanno la propria sede legale – calpesta i diritti dei lavoratori minando la loro sicurezza e offrendo servizi qualitativamente inferiori. Se a questo si aggiungono le croniche disfunzioni e i ritardi delle nostre amministrazioni locali, il quadro è devastante. Basti immaginare che la Legge 328/2000 non ha trovato, finora pratica attuazione nella nostra provincia, a causa dei ritardi accumulati prima dall’amministrazione regionale, che doveva dividere le risorse con fini elettoralistici e poi dai  dieci distretti socio – sanitari della nostra provincia. 

Gli enormi ritardi nell’attivazione dei piani di zona, finalizzati a migliorare la qualità e la quantità dei servizi socio – assistenziali, stanno penalizzando i cittadini. 

In Sicilia il quadro è ancora più allarmante, i provvedimenti previsti dalla Finanziaria intervengono su un tessuto profondamente degradato caratterizzato da una forte centralizzazione amministrativa. L’efficacia delle prestazioni è stata affidata esclusivamente al controllo di una gerarchia che ha favorito la diffusione di un atteggiamento passivo da parte dei cittadini e lo sviluppo di forme di collusione tra livelli gerarchici differenti, all’interno degli apparati, tali da vanificare ogni funzione di controllo.

Il cittadino è stato totalmente privato di strumenti di controllo dal basso, anzi come sostiene Giancarlo Caselli, in un articolo su Micromega, << in molte famiglie siciliane, il favore offerto o richiesto, la speranza che “l’uomo potente” conosciuto o avvicinabile possa dare una svolta alla propria vita, sostituiscono spesso qualunque vissuto di diritti garantiti o rispettati >>. 

 A ciò deve aggiungersi che, la criminalità dei colletti bianchi in Sicilia, appare talora intrecciata al potere mafioso, nonché a “comitati d’affari” spesso collegati a centri di “poteri occulti”. 

Nonostante uno scenario così desolante anche in Sicilia comincia ad emergere una cittadinanza più matura che, di fronte ad uno Stato Sociale che si presenta insufficiente, corrotto, lontano erogatore di prestazioni spersonalizzate, manifesta esigenze di autonomia e di libera scelta richiedendo risposte diversificate e flessibili alle proprie aspettative di benessere. 

E di questo emergere di una cittadinanza più matura importantissimo e quasi determinante sono state le analisi e i percorsi che la Funzione Pubblica e la CGIL hanno fatto in questi anni, a partire dall’esperienze delle R.S.U. nel pubblico impiego e della Camera del lavoro di Palermo, del loro tornare protagonista e luogo di sintesi, di << aggressione >> dal basso alla Spoliazione Democratica in corso, sapendo individuare obiettivi e strumenti per provare una prima sintesi, un primo incontro fra diversi. 

Democrazia e partecipazione, come asse attorno al quale si sono definiti in questi anni a Palermo le Alleanze Sociali, che hanno espresso un protagonismo inedito che si è identificato prima di tutto con il tema del lavoro e della solidarietà, , con nuove forme di organizzazione anche non tradizionali, penso a fenomeni, apparentamenti  distanti tra loro come la lotta della FIATe il movimento degli studenti e a partire da quelli dell’UDU, e dei giovani della Sinistra Politica, palermitana, che si sono alla fine rivelate come parte integrante di quella strategia che, al Congresso di Rimini, Cofferati individuò all’interno del binomio lavoro – rappresentanza e diritti – democrazia. 

Così come è stata raccolta per tempo, con una grossa iniziativa, svoltasi a Palermo il 15 e il 16 Marzo, l’istanza dei cittadini di ridiscutere e riaffrontare i temi della Mafia.

In quel Convegno oltre ad attenzionare la caduta di tenzione verso la legalità che ha caratterizzato, anche dal punto di vista legislativo, gli ultimi quattro anni, agevolando l’espansione del campo di azione della mafia. 

 Evidenziamo la messa in discussione dell’autonomia della magistratura e l’attacco quotidiano ai giudici e pubblici ministeri che compiono il proprio dovere.

Indicammo che per contrastare e sconfiggere la qualità politica  della mafia, bisognava ridurlo a fenomeno criminale, rendendo la politica e l’economia impermeabili ad essa per batterla sul piano della repressione. 

La CGIL propose a tal fine, di intervenire sui terreni decisivi della responsabilità della politica, dei compiti dell’economia, della tutela della legalità nel lavoro, degli appalti, della lotta contro il racket e l’usura, del rapporto tra la legalità, della trasparenza ed efficienza della pubblica amministrazione.

Proponemmo misure particolari che qui sinteticamente riporto e che sono state già oggetto di proposta da parte della Conferenza programmatica della FP:

 

  • piena attuazione dei principi del decreto legislativo n. 29 e delle Bassanini, raggiungendo la separazione dei ruoli burocratici della politica;

  • istituzione, sul modello francese, di un autonomo sistema di valutazione, con piena responsabilità degli atti e con funzione di contrappeso del potere politico;

  • introduzione dei vincoli della normativa pubblica nella gestione delle aziende di utilità in presenza di capitale o di mono committenza pubblica;

  • introduzione al principio di sussidiarietà  e di solidarietà nel rapporto tra Stato e Regioni autonome;

  • testo unico delle normative di contrasto delle illegalità nel lavoro;

  • introdurre negli Statuti delle Regioni e degli Enti Locali espliciti principi che improntino l’azione legislativa ed amministrativa alla lotta contro la mafia ed al contrasto ad ogni forma di infiltrazione malavitosa;

  • obbligatorietà della presenza di codici etici negli statuti delle associazioni, aventi finalità politiche in senso lato, convalidate da autorità specifiche;

  • rapida attivazione e reale funzionamento delle stazioni uniche appaltanti, prevista dalle normative regionali sui lavori pubblici;

  • introduzione di un sistema volontario ed incentivato di certificazione di legalità delle imprese, sul modello della certificazione di qualità ambientale, dando vita ad un’apposita autorità di controllo e ad un sistema  di sanzioni per le dichiarazioni non veritiere;

  • politiche sociali di sostegno al reddito e alla formazione, con l’uso dei patrimoni mafiosi confiscati e sequestrati;

  • controlli sulla filiera dei grandi appalti, non solo alla testa e alla coda, ma anche attraverso un sistema di controlli sistematici a campione nelle opere pubbliche;

  • estensione della clausola sociale a tutti gli appalti;

  • controllo del protocollo di appalto;

  • applicazione generalizzata del codice etico dei pubblici dipendenti;

  • obbligatorietà del codice etico per le aziende che interagiscono a qualunque titolo con le risorse  pubbliche o che erogano servizi di interesse pubblico;

  • estensione dei protocolli di legalità, con particolare riferimento alle attività di maggior rilievo in campo economico e nei servizi;

  • aggiornamento delle normative penali per combattere le ecomafie e la gestione criminale dello smaltimento dei rifiuti urbani ed industriali.

Questa proposta insieme a quelle di un maggior ordine legislativo, con l’adozione di testi unici per la lotta alla mafia e alle illegalità nel mondo del lavoro, e insieme alla richiesta di un forte adeguamento delle risorse alle necessità delle forze dell’ordine, è necessario vengano attenzionate per sconfiggere la mafia.

E’ un compito che noi non possiamo assolvere se non insieme a tutta la società.

Ci guidano i tanti morti, da quelli di Portella a Carnevale.

 

A noi guardano i senza lavoro, i senza casa, i senza reddito e i giovani senza futuro.

Si tratta di dimostrare che quelle speranze possono essere incoraggiate, che la mafia può essere sconfitta e si può contribuire ad uno sviluppo e un futuro migliore.

Vogliamo uno sviluppo e un futuro che ruoti attorno alle opportunità da dare alle persone e all’affermazione della democrazia, intesa come allargamento di occasioni fondamentali come il lavoro e un giusto reddito. 

In questa luce va considerata la nostra battaglia quotidiana per la stabilizzazione dei precari.

I risultati che abbiamo raggiunto, grazie anche all’impegno del nostro Segretario Generale Carlo Podda, stabilizzando migliaia di lavoratori al Comune di Palermo, AUSL 6, a Villa Sofia, Policlinico e in moltissimi comuni della Provincia ed alla Provincia Regionale non risponde solo ad una aspettativa di avere un lavoro stabile o di dare stabilità alle funzioni pubbliche, ma di affermare la democrazia, intesa come allargamento nella fruizione dei diritti.  

E’, infine, necessario regolare il fenomeno del lavoro assistito.

Riteniamo che vada definitivamente a separata l’assistenza dal lavoro, e quest’ultimo vada contrattualizzato. 

E’ questo il senso che ha caratterizzato gli accordi che abbiamo sottoscritto nelle ultime settimane con il Sindaco Cammarata e il Governatore Cuffaro.

Abbiamo ribaltato l’idea del “Buono famiglia” che questo governo voleva mettere in atto, avendo la credenza diffusa che ci si possa basare sulla famiglia per risolvere i problemi distributivi, e abbiamo affermato l’idea di un sistema di assistenza sociale di ultima istanza. Cioè un reddito garantito minimo per tutti e un salario minimo per ogni lavoratore. Per realizzarlo ci vorrà coraggio perché è innegabile che ci saranno sia dei costi politici che fiscali. Per dare tutela comune a tutti bisogna spalmare su una platea più vasta le tutele che esistono oggi. 

Un esempio:

Ci sono corsi di formazione assolutamente inutili.

Meglio allora fornire un reddito e aiutare  a trovare un lavoro.

Con questo sistema usciremo dalla vergogna di questi ultimi anni degli elenchi di questo o quel politico, di questo o quel capo popolo, alcuni travestiti da sindacalisti, e finalmente si definiranno norme che possano far diventare questo, uno strumento di politiche attive, e non di creazione di bacini di precari.

Un sistema indispensabile nel tessuto delle città urbane del Meridione, affette da alti tassi di disoccupazione e di povertà, una possibilità per le fasce più deboli di avere forme di assistenza al reddito e contemporaneamente arricchimenti professionali. 

Così come è indispensabile in una città come Palermo che ha un incremento della natalità del più 6%, un decremento della mortalità del meno 9% e un aumento dell’immigrazione del più 8%, percentuali che si traducono in più bambini, più vecchi, più stranieri e quindi più scuole e più servizi, siano  messe stabilmente a reddito le risorse che vengono investite per gli “Ex P.I.P emergenza a Palermo”, e quindi ci siamo impegnati oltre a garantire la continuità del finanziamento del sussidio fino a Dicembre 2006 nel bilancio della Regione, ad avere riconosciuto formalmente la condizione di lavoratori precari e socialmente utili, precondizione che possa far uscire questi lavoratori dallo stato di incertezza permanente che ha reso questi lavoratori ricattabili e strumentalizzabili. Quindi la lotta  che abbiamo condotto non risponde solo ad un’esigenza di questi lavoratori ad avere un lavoro, si tratta di dare più servizi ai cittadini di Palermo e di dare stabilità alle funzioni pubbliche.

Penso che se si vogliono difendere i diritti, bisogna difendere le funzioni pubbliche.

Per farlo bisogna smettere di esternalizzare  funzioni e lavoratori, provando ad internalizzare il lavoro quando questo è proprio del ciclo lavorativo.

Alle lavoratrici e lavoratori, ai nostri iscritti in questi anni con la scelta di includere i precari all’interno della Funzione Pubblica abbiamo detto che stabilizzare il lavoro precario è un modo per difendere il nostro lavoro.

Ai cittadini dobbiamo riuscire a spiegare che difendere e valorizzare il nostro lavoro vuol dire difendere i diritti di tutti. 

Ecco il senso del nostro emendamento sul precariato, ecco perché riteniamo che sia necessario arrivare ad un atto normativo nazionale che stabilizzi, nella pubblica amministrazione e nei servizi, tutto il lavoro che è parte del ciclo ordinario e stabile della organizzazione dei servizi e delle funzioni pubbliche, quindi stabilizzare il lavoro e le funzioni, e con essi le persone che oggi lo fanno ponendo fine a vita da precario che durano, per alcuni, davvero da una vita.

In questo senso al Comune di Palermo siamo stati precursori di questa politica. 

Dobbiamo avviare nella Regione Siciliana una stagione di battaglie sindacali per l’affermarsi di diritti e regole trasparenti.

Costruire una nuova stagione riformatrice della Pubblica Amministrazione in Sicilia significa ammettere il fallimento della Legge di Riforma la Legge 10 del 2000. 

I guasti compiuti dal Governo di Centro – Destra sono assolutamente rilevanti: coerentemente con il Cuffarismo, cioè un’idea di accentramento dei poteri e ritrazione del ruolo della Regione si è messa in opera una pratica che, da una parte, ha sostanzialmente annullato la separazione tra politica e dirigenza, generalizzando e ampliando a dismisura il metodo dello spoil – siystem (si veda l’intenzione di dare vita alla vicedirigenza) e ripristinando un concetto di fedeltà agli indirizzi e alle scelte politiche; dall’altra, soprattutto con la moltiplicazione della consulenza e degli incarichi e degli uffici di gabinetto, si sono create vere e proprie “strutture parallele” che rispondono direttamente al potere politico; ancora, con lo svilimento del lavoro e la sua rappresentazione come improduttivo e magari anche privilegiato, si sono volutamente frustate le spinte  e le volontà, anche soggettive, di chi ritiene utile e possibile puntare all’efficienza e all’efficacia dell’azione della Pubblica Amministrazione. 

La filosofia e la pratica concreta che emerge è quella di una P.A. che non solo funziona  male, ma che è di ostacolo rispetto all’iniziativa dei soggetti privati e che, dunque, va semplicemente oltrepassata e ridimensionata.

Occorre avere la consapevolezza che riprendere un percorso di riforma, proprio per ciò che è successo in questi anni, non è un fatto semplice. 

Per essere schematici e sintetici, a noi pare che questo tema non possa prescindere dall’affrontare alcuni filoni di lavoro e di intervento. Per prima cosa bisogna rivendicare la contrattazione degli organici della Regione, non è solo un’esigenza di razionalità, né il desiderio di creare nuova qualificata occupazione a partire dai futuri contrattisti, tutto ciò risponde ormai ad un bisogno concreto di migliaia di lavoratori chiusi nel collo di un imbuto troppo stretto per valorizzare professionalità e costruire sbocchi selettivi di carriera rifuggendo da promozioni generalizzate.

Lo scambio tra privilegi economici (per altro assai variegati) e rinuncia  all’autonomia professionale da parte del personale regionale, è stato il compromesso su cui si è fondato buona parte del sistema di potere costruito dentro e attorno la Regione.

E dunque rispetto a questo complesso di questioni che va costruita una risposta politica e sindacale di alto profilo, articolata, coerente con la nostra elaborazione, lasciando demagogie e ricerca di consensi tanto facili quanto effimeri. 

Dobbiamo assumere come punto di riferimento una lettura in positivo dei poteri dell’autonomia, quelli reali non quelli che sogniamo e che non ci sono, e mettendo al centro del nostro progetto la battaglia antimafia e l’irrinunciabilità di un radicale ammodernamento della Pubblica Amministrazione finalizzato all’apertura di nuovi servizi, alla qualificazione di quelli esistenti, alla riqualificazione del personale, costruendo un sistema certo e semplice di regole per lo sviluppo della carriera, senza generalizzazioni, a partire dalla questione cruciale della dirigenza. 

Per questo la prima cosa  che vogliamo sottolineare  è la riforma della burocrazia. Attraverso la trasparenza, il cambiamento, la certezza delle responsabilità, la rapidità e il rapporto di fiducia con i cittadini, passa gran parte della lotta alla mafia e delle possibilità di sviluppare la Sicilia.

La Legge Regionale 10 del 2000 che doveva riformare la burocrazia regionale è per altro ancora inapplicata. Il Governo Regionale è colpevole di non aver fatto nulla nella direzione voluta da quella legge. Niente decentramento, niente certezza di responsabilità, niente accelerazioni delle procedure. Ha fatto invece un’operazione che con effetti perversi, ha portato a 2.400 i dirigenti della Regione per poi scoprire che i servizi ispettivi a cominciare da quelli dell’Assessorato al Lavoro non hanno dirigenti appena quattro e poi si farnetica e si dilapidano risorse sul lavoro nero. 

Inoltre il Governo ha fatto una operazione elettoralistica ha promesso a qualche migliaio di lavoratori una carriera automatica, che poi non ha potuto  mantenere nell’organizzazione del lavoro e quindi nei profili professionali e si risolta riconoscendo solamente la  quantità economica maggiore. 

L’ho detto e scritto tante volte non abbiamo nulla contro l’aumento dell’indennità ai dirigenti o le carriere dei lavoratori, ma queste devono essere legate alle funzioni e all’organizzazione del lavoro.

 Quel contratto che giustamente non abbiamo firmato, come ci riconoscono anche quelli che ci avevano criticato, non solo ha prodotto una sperequazione tra i dipendenti, ma aumentando esageratamente il numero dei dirigenti, ha aumentato i passaggi burocratici, ha frammentato le responsabilità, ha fatto funzionare peggio, molto peggio, la macchina burocratica e quindi la Regione. 

L’inefficienza della dirigenza regionale è sotto gli occhi di tutti, basta pensare a quella che ci sta facendo perdere le ingenti risorse comunitarie di Agenda 2000.

Ecco perché i rinnovi contrattuali dei dipendenti regionali, sia quello dell’Area della Dirigenza, sia quello del Comparto devono rappresentare l’occasione per voltare pagina, e finalmente mettere mano all’ordinamento professionale, ai profili professionali e all’organizzazione del lavoro , rifuggendo dai tentativi  di firmare un contratto soltanto sulla parte economica. 

I dipendenti regionali è da troppo tempo che aspettano questi diritti per recuperare la dignità del lavoro e non si può più rimandare.

Un compito importante ci attende: cioè quello che fa di noi un grande soggetto politico di rappresentanza sociale, che si misura alla pari con gli altri soggetti della politica e della società. E che dunque vuole interloquire con le forze politiche e i governi, quelli centrali e quelli territoriali. 

Ci proponiamo di rafforzare, il rapporto con la FPS CISL, con la FPL UIL, con la UIL PA con le quali, pur in anni non facili, abbiamo mantenuto un buon livello di condivisione e di unità di azione abbiamo cercato laddove ci siamo riusciti ad evitare divisioni che non giovano agli interessi dei lavoratori che rappresentiamo. Dobbiamo sviluppare una più alta capacità di un rapporto unitario nella sanità, sgomberando con pazienza, se necessario, le incomprensioni le differenze che si sono sedimentate in questi mesi, con l’approvazione di contratti decentrati separati. Ci ha aiutato in tutto ciò, oltre i buoni rapporti personali, il fatto di avere una legge sulla rappresentanza, e quindi di essere ancorati al lavoro quotidiano degli eletti R.S.U. 

Abbiamo l’esigenza di rendere  la vita associativa più viva e partecipe stimolando verso questo approdo la cresciuta sensibilità politica dei lavoratori. 

Occorrerà sempre di più sviluppare la formazione e la conoscenza dei lavoratori e del gruppo dirigente: conoscenze contrattuali, sistematiche e quindi di funzionamento della macchina amministrativa a tutti i livelli, tecniche di bilancio degli enti.

Per fare tutto ciò avremo bisogno di un’organizzazione più efficace e più efficiente e all’altezza dei nuovi compiti. Dovremo promuovere una nuova generazione di dirigenti  in primo luogo giovani e donne, ai quali affidare questo compito. 

Dovremo rivitalizzare la forma organizzativa che ci siamo dati in questi anni e che ha prodotto buoni risultati, cioè l’istituzione dei Dipartimenti Specifici per aree tematiche, che ci ha permesso di uscire fuori dalla vecchia importazione asfittica dei Coordinamenti e degli Esecutivi di comparto. Abbiamo creato strutture trasversali ai comparti in modo ad affrontare le tematiche in un’ottica generale. 

Una direzione, quindi che non è afferente soltanto alla Segreteria della Funzione Pubblica, ma trasversale, coinvolgendo i responsabili dei Dipartimenti. 

Tutto ciò ha rappresentato la base di partenza per una fase nuova, una fase nella quale il lavoro sociale, del Servizio pubblico o privato, ha ritrovato l’orgoglio della propria identità. 

Compagni e compagne, 

In conclusione ritengo mio dovere spendere qualche breve parola sulla nostra categoria, sul lavoro che abbiamo svolto in questi quattro anni sui compiti che ci attendono. 

La Funzione Pubblica ha nel tempo contribuito ai processi di cambiamento che ci sono stati in questa città, a favore delle battaglie per la legalità e contro la mafia.

Abbiamo consolidato il rapporto con quel vasto mondo di Associazioni e Movimenti, con cui, abbiamo registrato un avanzamento importante, dal punto di vista delle convergenze sulle analisi, sulle proposte e sulle iniziative di contrasto alle politiche del Centro – Destra sia sul piano nazionale che su quello locale. 

Dalla grande mobilitazione per la Pace e contro la Globalizzazione, alle lotte per i diritti del lavoro  

(straordinaria la partecipazione alla Manifestazione del 23 Marzo); dalle elaborazioni sui “Beni Comuni” e sui “Beni Sociali”, dalla lotta per la casa, alle manifestazioni per le stabilizzazioni dei precari, abbiamo incontrato nuove forze e movimenti, e anche una nuova generazione di giovani, e costruito un rapporto, una contaminazione che ha inciso in profondità nel nostro stesso modo di essere, di un movimento sindacale che ha incorporato nel suo orizzonte fondamentale l’intreccio tra tutela dei diritti dei lavoratori, costruzione della solidarietà e affermazione dei diritti generali di cittadinanza, e insieme contribuire a delineare una nuova prospettiva per il Paese, in grado di chiudere la stagione regressiva del neoliberismo e dell’accrescimento dell’ingiustizia sociale e di aprire una fase di sviluppo economico, sociale e civile, che riesce a mettere al centro i diritti del lavoro e delle persone come misura e leva di una società più giusta e libera. 

La Funzione Pubblica di Palermo insomma è cresciuta e ha consolidato la propria influenza e capacità di agire in campo aperto.

Abbiamo quasi raddoppiato gli iscritti. La composizione della categoria è mutata profondamente.

I Comparti più rappresentativi sono gli Enti Locali, seguiti dalla Sanità e dallo Stato. Ma è cresciuta notevolmente la presenza dei lavoratori e delle lavoratrici della sanità privata del terzo settore, degli L.S.U. 

Un dato questo, che rileva che la nostra categoria non è più fatta di soli dipendenti pubblici e che ci impone di rivedere ed aggiornare la composizione dei nostri gruppi dirigenti, in modo da tenere maggiormente in conto l’apporto dei comparti emergenti, ma anche quelle categorie, minori per numero ma non per ruolo, che contribuiscono in maniera significativa non solo alla maggiore capacità di penetrazione della CGIL FP nel mondo del lavoro, ma anche e soprattutto al miglioramento civile del nostro Paese, cito per tutti i Vigili del Fuoco, la Polizia Penitenziaria, ma soprattutto vanno attenzionati i Medici, che a Palermo sono una grossa realtà sia in termini di iscritti che in termini di lotta sindacale. 

Arriviamo a questo nostro Congresso provinciale avendo svolto 96 assemblee e coinvolto 2.800 iscritte e iscritti.

Una straordinaria prova di partecipazione e democrazia. Pur in presenza di una pesante situazione economica e sociale la Funzione Pubblica ha consolidato il suo radicamento nei luoghi di lavoro e nel territorio. 

E’ merito, anzitutto, del lavoro prezioso svolto quotidianamente da voi tutti che siete in questa sala, a cui va il mio ringraziamento.

L’arricchimento dell’elaborazione, lo sviluppo dell’iniziativa si sono accompagnati a uno sforzo della nostra struttura organizzativa. 

In questi anni faticosi e difficili, abbiamo potuto accrescere la forza e il prestigio perché un gruppo dirigente ricco di individualità, ha saputo sviluppare la dialettica e il confronto, ma permettetemi in questo consesso di voler ringraziare a nome mio e di tutti i lavoratori al servizio dei quali si sono adoperati in questi anni, i compagni della Segreteria che sono giunti alla scadenza del loro mandato, grazie Ennio, grazie Marilena, grazia Giovanni, grazie Mario, la vostra dedizione e il vostro impegno ci mancheranno, ma sono convinto che nelle postazioni che andrete ricoprire, continueremo la comune ricerca di estendere: i diritti, di fare diventare la società in cui viviamo più giusta e solidale. 

Con questo spirito dobbiamo lavorare anche in futuro.

Proseguire il rinnovamento dei gruppi dirigenti che abbiamo attuato in tanti punti importanti della nostra organizzazione.

Adeguare la nostra struttura per renderla più sensibile alle innovazioni, più snella e funzionale, più vicine alle esigenze dei lavoratori. 

Dobbiamo, inoltre, affinare la nostra proposta, incrementare la nostra iniziativa, al servizio esclusivo degli interessi e dei valori che rappresentiamo.

Lo richiedono i compiti impegnativi che abbiamo di fronte, le scadenze importanti che ci attendono. 

Questo Congresso deve rappresentare la base di partenza per una fase nuova. Una fase nella quale il lavoro sociale ritrovi l’orgoglio della propria identità, e riconquisti il ruolo e la centralità che gli competono in un Paese che vuole chiamarsi civile.
 

Compagne e compagni, 

Ci aspetta un compito importante, mettere nelle discussioni di questi giorni la stessa passione che ho visto in molti di voi e che ci ha permesso di radicare la nostra presenza, sorretti sempre dalla voglia di conquistare un futuro migliore senza mafia, per una maggiore equità, per una vita migliore. 

L’altro giorno ho visto mio figlio che indossava una maglietta con una frase di uno dei poeti siciliani più significativi, Ignazio Buttitta che recitava: 

“Cu camina calato torci a schina

si è un populu torci a storia” 

nessuno di noi in questi anni ha camminato calato, siamo qui perché ci muove una grande passione, siamo qui perché vogliamo camminare assieme al popolo palermitano e siciliano a testa alta, per scrivere una storia che riaffermi l’orgoglio di essere siciliani e italiani.

Questa è la ragione primaria della nostra identità. 

Difendiamola. 

BUON CONGRESSO A VOI TUTTI.