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Relazione di Giovanni Pinna
Amici e graditi ospiti, care compagne, cari compagni, IL CONGRESSO Con la celebrazione di questo VIII° congresso regionale si conclude per la nostra categoria un impegno politico che in poche settimane ha realizzato la partecipazione di oltre 4.800 iscritte ed iscritti al dibattito congressuale, attraverso le 220 assemblee di base, i sette congressi provinciali, e quello istitutivo, di reinsediamento organizzato della nostra federazione nell’Ogliastra che assume un particolare valore politico poiché chiude definitivamente una pagina triste della storia della Cgil, e che anche il nostro congresso saluta con grande soddisfazione. Un partecipazione alta quindi che ha coinvolto circa il 50% delle iscritte e iscritti, cui va dato merito anzitutto alle nostre delegate e delegati, che con sacrificio anche del proprio tempo libero, anche rinunciando a qualche turno di riposo, insieme ai dirigenti delle nostre federazioni provinciali, hanno consentito questo risultato. Questa nostra forza organizzata e militante, rappresenta la vera struttura su cui si regge la nostra organizzazione, il riferimento quotidiano della Cgil per i lavoratori negli uffici, negli enti, nei reparti di un ospedale o di una clinica, in una azienda privata, in una cooperativa, nei posti di lavoro in cui la nostra presenza è sempre più radicata. Come spesso mi piace dire, le compagne e i compagni che tutti i giorni arano, seminano, coltivano il campo e raccolgono i frutti delle battaglie e mobilitazioni della Cgil. Perciò credo giusto anzitutto a tutte queste compagne e compagni, di cui solo una parte rappresentativa è qui presente oggi, debba andare un caloroso e sentito ringraziamento e riconoscimento del Congresso tutto. Il percorso e l’azione della Cgil in questi anni ha determinato il naturale approdo alla celebrazione del congresso unitario, dopo quindici anni di congressi svolti con tesi alternative. Un percorso che ha visto anche nella categoria la sua naturale evoluzione politica che si conclude oggi con questo congresso. Pur con le naturali tensioni di ogni congresso, generate dalla passione ideale per la Cgil che anima ognuno di noi, tutti i nostri congressi hanno avuto una conclusione unitaria, che ritengo rappresenti una base solida per un assetto organizzativo all’altezza degli impegni che i congressi ci affidano. Con il tema del nostro congresso “diritti – pubblico è meglio - più stato - meno mercato”, abbiamo voluto riassumere in uno slogan la scelta di fondo della categoria, la sua collocazione dalla parte giusta, assunta in questi anni di destrutturazione dei diritti costituzionali, e quindi di attacco al lavoro pubblico e privato. In questi anni la Cgil è stata protagonista, anche da sola. Ha messo in campo la sua grande forza, la sua capacità di interpretare i sentimenti di giustizia, di democrazia, mobilitando milioni di uomini e donne nella manifestazione del 23 marzo 2003 a Roma ed in quella per la pace di Milano ed in tutte le iniziative che in questi anni ha organizzato. Oggi la Cgil arriva al proprio congresso anche con questo bagaglio politico che ha segnato le coscienze degli iscritti e delle iscritte, ognuno di noi che ha partecipato ad organizzare a determinare quei successi, rafforzando il segno ideale che ci unisce nell’essere militanti della Cgil, la nostra scelta di campo di tutti i giorni, nella ferma convinzione di stare dalla parte giusta. Perciò il nostro slogan “ diritti – pubblico è meglio – più stato – meno mercato”, coerente con l’impegno di questi anni e per i prossimi, ma anche per rafforzare questa scelta “dalla parte giusta” dentro il congresso della Cgil, di cui la funzione pubblica rappresenta i lavoratori dei diritti costituzionali di cittadinanza più significativi e nell’insieme dei lavoratori dei servizi pubblici.
INTERNAZIONALE Sempre più gli avvenimenti anche vicini a noi sono legati, intrecciati con gli scenari e i mutamenti che stanno interessando l’intero pianeta, e che abbracciano le grandi questioni sociali ed economiche che regolano la convivenza di questa grande metropoli di oltre sei miliardi di abitanti, come la immagino vedendola girare nella sigla di qualche telegiornale. Sono innescati processi e fenomeni di mutamenti epocali, migrazioni di uomini, incontenibili, tensioni che hanno al fondo la ribellione degli esclusi dai diritti di cittadinanza nella metropoli, siano essi immigrati, emarginati delle banlieu, o delle periferie delle nostre città. Una miscela di componenti in movimento scombinato, sempre più in equilibrio precario, ed a cui la globalizzazione selvaggia del libero mercato, non riesce più a dare risposte condivise, ne a imporle con le barriere legislative, con la legalità di chi sta bene, con la guerra. L’energia, l’acqua, l’ambiente, la salute e la malattia, la fame, la ricchezza e le povertà. Le religioni. Il 20% degli abitanti dispone dell’80% della ricchezza mondiale, e l’80% vive con il rimanente 20%. 2,7 miliardi di abitanti (circa il 50%), vivono con meno di due dollari al giorno, il 34% soffre la fame e 10 milioni di bambini muoiono ogni anno per mancanza di assistenza adeguata, acqua. Uno ogni tre secondi. Non intendo ovviamente fare una analisi generale di questi processi (Amnesty) ma brevemente evidenziare l’aspetto insito in queste dinamiche che ritengo di maggiore interesse per noi, per le implicazioni e le conseguenze che producono sul lavoro, sulle condizioni di vita e di lavoro dignitose di milioni di uomini e donne. Pensiamo all’ingresso della Cina su tutti i principali mercati internazionali dovuti anche ai massicci trasferimenti delle produzioni da parte delle multinazionali. Ai paesi in via di sviluppo che fanno a gara per incrementare le produzioni, spesso con l’ingresso delle multinazionali, basandosi sullo sfruttamento dei lavoratori, delle lavoratrici, e dei bambini. (In proposito ricordo la campagna condotta dalla Cgil i grandi a lavorare i bambini a studiare). Sempre più dobbiamo acquisire consapevolezza degli effetti e delle ripercussioni di questi processi e avvenimenti internazionali che ci appaiono molto distanti, impercettibili. La globalizzazione rende sempre più una unica la grande metropoli, e gli effetti sul lavoro di fenomeni lontanissimi fisicamente si ripercuotono anche a Cagliari, ad Arbus, a Ozieri, a Macomer. In occasione della tornata dei negoziati alla conferenza dell’OMC (organizzazione mondiale del commercio), tutte le organizzazioni sindacali internazionali hanno sostenuto la necessità che i governi siano impegnati alla creazione di “decent work” - lavoro decente (decoroso dignitoso) che comprende nel suo significato: l’occupazione, il rispetto dei diritti sul lavoro, dei diritti sindacali di libertà di associazione e di contrattazione collettiva. Senza un intervento di politiche attive, di sostegno per garantire un decent work da parte dei governi, avremo inevitabilmente pesanti conseguenze sull’occupazione, sui diritti dei lavoratori, e aumenteranno le condizioni di povertà nel mondo. Cioè la globalizzazione economica senza regole, il liberismo scarica il prezzo delle ristrutturazioni, le sue contraddizioni, sul lavoro, sui lavoratori, licenziando e riducendo i diritti sindacali. In questi anni come categoria siamo stati impegnati nella mobilitazione contro la famigerata direttiva Bolkestein, con la manifestazione a Bruxelles e a Roma, e nuovamente manifesteremo il prossimo 14 febbraio a Strasburgo. Una direttiva che ben riassume i concetti che ho su richiamato. La direttiva individua nel lavoro uno dei primi ostacoli alla libera circolazione dei servizi, ed introduce il principio del paese d’origine in base al quale il gestore dei servizi può applicare ai dipendenti il contratto di lavoro del suo paese di origine e non quello del paese dove fornisce i servizi. Il comitato esecutivo del Fsesp (il sindacato dei servizi pubblici europeo), ha recentemente condannato la decisione della Commissione per il Mercato Interno dell’U.E., di aprire alla concorrenza i servizi pubblici (istruzione, sanità, servizi sociali), e di limitare la possibilità delle autorità pubbliche di adempiere direttamente a questa funzione essenziale. Emerge una comunità europea sempre più attenta a definire un quadro di poteri e regole comunitarie per favorire la libera concorrenza e la liberalizzazione del mercato, mentre è molto restia a promuovere e definire regole e poteri comunitari in materia di diritti, welfar, solidarietà, dove ,anzi, è impegnata a restringere gli spazi statali pubblici nelle attività dei servizi che garantiscono diritti di cittadinanza come la sanità, l’acqua, l’istruzione. Il rischio è quello di una Europa insieme di nazioni funzionale al libero scambio come sempre auspicato dagli Usa, e sempre meno soggetto politico, a meno di un rafforzamento della presenza di governi europeisti. Da queste brevi note sul contesto e le dinamiche sopranazionali emerge, io credo, la nuova frontiera che deve impegnare il sindacato nella difesa ed estensione dei diritti del lavoro e delle tutele sociali. Lo spazio dove si decide è sempre più la grande metropoli di 6 miliardi di abitanti, da queste decisioni dipende sempre di più il futuro delle condizioni di un “decent work” per miliardi di lavoratrici e lavoratori, di diritto alla tutela della salute e all’istruzione, e della sostenibilità ambientale dello sviluppo. Cioè i temi delle nostre tesi, centralità del lavoro, diritti dei cittadinanza. E’ in queste dinamiche di interessi enormi, di globalizzazione, che anche i conflitti e le guerre devono avere la loro lettura e naturale spiegazione. Credo infatti non ci sia più bisogno di argomentare le ragioni vere della Guerra in Iraq, le ragioni dell’America anzitutto. Ricordo: preventiva, il pericolo Saddam Ussein, le armi di distruzione di massa, il terrorismo, poi la democrazia, il voto degli iracheni. Teorizzata e impugnata come il rimedio necessario contro l’emersione di un nuovo impero del male, di un nuovo mortale nemico dell’occidente moderno e civile, si è rivelata controproducente, ed agli Usa è toccato uno spiazzante e imbarazzante testacoda della loro super potente macchina militare da formula uno. Oggi è di fronte al mondo la sua sconfitta, sono ormai maggioranza i cittadini Usa che sentono di essere stati ingannati anzitutto dal loro presidente, sono morte trentamila persone. La verità e che la guerra non riesce a trovare motivi validi per essere giusta, ha fallito i suoi obiettivi, il mondo non è più sicuro. Gli attentati quotidiani sono ormai una notizia che non fa più notizia. L’azione militare, l’invasione di una area complessa come il medio oriente è equivalso a dare un colpo di martello ad una bolla di mercurio, attivando il mobilissimo universo di culture del mondo arabo, fatto di gocce e rivoli che, come il mercurio si ricompone e scompone molto facilmente. Un rilancio dell’egemonia dell’Islam nei vari paesi mediorientali e che, più di ogni altra religione al mondo, oggi è diventata il credo di uomini marginalizzati, e quindi strumento di riscatto e realizzazione che la globalizzazione ha negato. Un terreno in cui il terrorismo non solo non è stato sconfitto, ma Al Qaeda ha esteso la sua rete di reti, la sua struttura di cellule autonome, scomposte tra loro che si ricompongono nella bolla della stessa ideologia e nella figura dello stesso nemico. Un contesto che anche le recenti elezioni in Iraq rafforzano le ragioni del ritiro delle truppe di occupazione, e che lasciano aperto, incerto il futuro assetto politico di quel paese, che sempre più manifesta comunque la volontà di autodeterminare le proprie scelte, e sempre meno di accettare modelli estranei alla propria storia e cultura. In un altra area di crisi del medioriente, ancora permane uno stato di conflitto forte, con segnali via via contrastanti, che rischiano ancora una volta di allontanare pericoloscamente la pace e la costituzione dello Stato Palestinese. L’abbandono della Striscia di Gaza da parte di Israele, dopo oltre trent’anni di occupazione, ha rappresentato un importante passo avanti nel cammino della pace, ma contemporaneamente la costruzione del muro, condannato dal tribunale internazionale dell’Aia, conferma la politica Israeliana di confiscare il più possibile spazi di territorio palestinese per determinare nei fatti confini più vasti per lo stato di Israele. Altresì sono cariche di incognite le prossime elezioni sia in Palestina che in Israele e dal loro esito può dipendere molto il segno positivo o negativo dell’evoluzione. Non mi soffermo su questo punto, perché il nostro amico e gradito ospite dott. Nabeel Khair rapprsentantede dell’Olp, nel suo intervento certamente illustrerà più compiutamente il problema. Voglio solo dire e ricordare che la Funzione Pubblica e la Cgil tutta ha sempre sostenuto la lotta del popolo Palestinese e continua a farlo nel rispetto dei principi della pace e della libertà. NAZIONALEIl congresso si celebra nella fase conclusiva della legislatura, e quindi in un contesto di forte tensione politica, che in verità ha caratterizzato tutta la legislatura. La legislatura che si chiude lascia un’Italia devastata sul piano istituzionale, economico e sociale dall’azione del Governo che incessantemente ha portato avanti il suo progetto. E’ cambiata l’Italia costituzionale, esce sconvolto il quadro dei diritti di cittadinanza, scardinati i principi di giustizia, equità e solidarietà, compromesso il contesto economico, drammatico il quadro finanziario dello Stato. Con la devolution si realizza uno Stato ridimensionato nella sua funzione primaria per la garanzia dei diritti di cittadinanza unitari e che perciò stesso viene meno il primo vincolo delle ragioni costitutive di uno Stato. A fronte di una pressione fiscale che è aumentata, lo Stato non garantisce più gli stessi diritti alla salute e all’istruzione per tutti i cittadini che garantiva ad inizio legislatura. Lo Stato è smontato in 21 pezzi e i diritti di cittadinanza dipenderanno prevalentemente dalle condizioni economiche delle singole regioni e dal reddito di ogni cittadino. La Cgil partecipa al Comitato promotore per il Referendum presieduto da Oscar Luigi Scalfaro, cui anno aderito partiti, organizzazioni nazionali, associazioni e movimenti. Comitati per la costituzione sono già costituiti anche in sede locale da tempo cui ha aderito anche la funzione pubblica. La prima Giornata della Costituzione ha visto in 700 piazze d’Italia oltre centomila cittadini firmare per rendere possibile il referendum popolare sulla legge di Riforma Costituzionale approvata definitivamente al senato il 16 novembre scorso. Un segnale di fiducia che dobbiamo coltivare, attivando tutte le nostre strutture nei territori affinché in collegamento con il Comitato, possiamo dare un forte contributo organizzato alla raccolta delle firme, e quindi al successo del referendum abrogativo. Lo Stato è ridotto in condizioni finanziarie fallimentari. Il fabbisogno statale ha registrato un aumento del 19,4% rispetto al 2004, che per altro, occorre sottolineare beneficia del mancato rinnovo dei contratti del pubblico impiego che scaricheranno gli oneri sul fabbisogno del 2006. mentre l’evasione fiscale ha raggiunto il record dei 220 miliardi di Euro. Rinnovi che in questi anni hanno accumulato gravi ritardi, e che peraltro ancora oggi non sono entrati nella fase negoziale i contratti del biennio già passato 2004-5, per il comparto della sanità, degli enti locali, delle agenzie fiscali. La finanziaria per il 2006 esprime un tentativo disperato del Governo di tenere i conti e di presentare ancora un quadro di prospettiva rosea agli italiani. Ma i tagli al sistema degli enti locali e alla sanità, si traducono in reali riduzioni dei servizi erogati ai cittadini ed in taglio dei posti di lavoro corrispondenti, anzitutto fra i lavoratori che non hanno un “decent work”, ossia i lavoratori flessibili, atipici ecc. All’ennesimo blocco del turn-over per il pubblico impiego si aggiunge l’obbligo di ridurre le spese per il personale dell’1% rispetto alla spesa del 2004, e per i precari che lavorano con le varie forme contrattuali per la pubblica amministrazione è imposto un tetto di spesa ridotto del 60% rispetto a quella sostenuta nel2003. I dati di misurazione del benessere dicono che è aumentata la povertà. Secondo il rapporto Istat i cittadini che vivono in condizioni di povertà relativa, definita dalla spesa di 918,98 euro mensile pro capite per famiglia di due persone, sono 7.588.000 pari all’13,2% dell’intera popolazione, e pari a 270.000 in più rispetto all’anno precedente. Di cui però il 25% è concentrato nel sud, ed in Sardegna è il 16%. Ma in questa fine legislatura, che preannuncia una campagna elettorale dai toni esasperati, pericolosamente si sono inseriti ulteriori elementi di attacco alla storia delle conquiste democratiche e di civiltà laica dello Stato. L’ingresso in campo della chiesa sta pericolosamente minando i capisaldi di tappe storiche nella evoluzione laica dello Stato, e che rappresentano il risultato di un ben definito periodo storico dell’Italia. Sono le conquiste delle nostre lotte degli ultimi trent’anni. La legge sull’aborto, la funzione dei consultori, la procreazione assistita, i diritti nella libertà di convivenza civile fra persone indipendentemente dal sesso, rappresentano un attacco alla laicità dello Stato inaudito, gravissimo. Un attacco che si cala nella campagna elettorale e che perciò ne vuole condizionare l’esito in modo più favorevole allo schieramento che si dimostra più clericale e integralista. Su un altro versante, ma che non è nient’altro che l’altra faccia della stessa medaglia, le finanziarie, le leggi, gli atti del Governo chiudono la legislatura con un quadro stravolto sui diritti del lavoro, con una crescita massiccia della precarietà, del “work indecente”, e di questo la pubblica amministrazione è diventata la prima causa, il principale attore. Richiamo solo un dato per brevità. Negli 8.100 comuni italiani a fronte di poco più di 400.000 dipendenti, operano 107.139 precari, di cui il 26% con contratti a termine, 24% part-time, co.co.co. 48%, 2% fra interinali e contratti formazione lavoro. A cui si aggiungono i 160.000 delle ex aziende municipalizzate.
PIU’ STATO MENO MERCATO L’azione del governo in questi anni ha sconvolto e compromesso i diritti di cittadinanza, un massiccio processo di esternalizzazione, contrazione del lavoro pubblico e precarizzazione del lavoro e quindi del servizio stesso. Le tesi della Cgil in proposito avanzano una prima riflessione, ma ancora insufficiente per chiarire quale sia la scelta di campo chiara che possa determinare vincoli di coerenza per tutta l’organizzazione nell’agire quotidiano. Noi poniamo la domanda se per la garanzia dei diritti universali di cittadinanza serve più Stato o più mercato. Lo so c’è un problema di risorse, ma anche qui i fatti si stanno incaricando di dimostrare che ridurre il numero dei dipendenti pubblici (400.000 in meno in questi anni) e privatizzare i servizi, precarizzare il lavoro, non riduce la spesa pubblica. Anzi. Noi abbiamo anche qualche esempio eclatante dove si dimostra che i servizi in appalto costano di più. La gestione in appalto degli impianti ex Esaf, secondo il dato del consiglio di amministrazione ha determinato un aumento dei costi di cinque milioni di euro l’anno. Ma in proposito, sugli effetti delle esternalizzazioni, è ancora utile richiamare come altre volte abbiamo già fatto, le considerazione della Corte dei Conti fatte in occasione dell’inaugurazione del precedente anno giudiziario. Il modello privatistico di gestione dei servizi pubblici, con la finalità di contenimento della spesa pubblica, di incremento dell’efficienza e miglioramento della qualità dei servizi, è risultato spesso disatteso nella realtà concreta, che evidenzia invece un trend incrementale del livello di indebitamento di tutte le attuali gestioni sottratte all’area eminentemente pubblica e una progressiva dequalificazione dei servizi e della spesa. Una malintesa logica aziendalistica che si alimenta solo con il finanziamento pubblico e che sovente è la causa generatrice di illeciti, talvolta di inaudita gravità. Taluni principi ispiratori di queste scelte, sono dettati da eccesso di dogmatismo, da una malintesa logica di efficienza ed economicità che, individuano nel mercato il regolatore del diritto amministrativo e dello stato sociale. Principi incompatibili con il sistema pubblico, che pone alla base della propria azione, anziché lo scopo di lucro, fini di interesse generale di benessere e sviluppo coordinato della società. E quindi conclude non possono quindi venir meno i pilastri fondanti della distinzione e alternatività dell’amministrazione pubblica rispetto al sistema privato, sia per i compiti di garanzia costituzionale che per i profili essenziali della tutela delle risorse erariali coinvolte. Cioè si pone un problema a cui dobbiamo dare risposta collocandoci dalla parte giusta, coerenti con le lotte e la storia anche di questi ultimi anni. Noi crediamo cioè che i diritti di cittadinanza non debbano sottostare a tetti di spesa predeterminati, mentre riteniamo giusto un controllo rigorose della spesa. Una finanziaria ed una politica di risanamento rappresentano un obbligo dei governi a qualunque livello istituzionale. Ciò che fa la differenza fra i governi sono le scelte che si compiono, le priorità e il valore che si attribuisce ai diritti di cittadinanza, al lavoro in primo luogo. Su questo spartiacque si misura il colore politico di un risanamento. La spesa sanitaria per fare un esempio che peraltro calza nel contesto nazionale e regionale. La spesa sanitaria è un problema reale, ma la sua compressione significa comprimere i diritti e scaricare ulteriori costi sui cittadini, in particolare su quelli che pagano regolarmente le tasse. Già oggi infatti non solo il diritto alla salute non è più lo stesso per tutti i cittadini italiani, ma la spesa individuale dei privati cittadini in questa legislatura è passata da 10 a circa 30 miliardi di euro. Perciò la spesa sanitaria pubblica è incomprimibile. In conclusione credo che in modo netto la Cgil, il nostro congresso debba fare una scelta chiara sul governo e gestione pubblica dei diritti universali di cittadinanza, affermare la insostituibilità delle funzioni dello Stato. In breve su alcune grandi questioni come la sanità, l’acqua, la scelta di campo deve essere netta, senza equivoci. Più Stato meno mercato.
CENTRALITA’ DEL LAVOROCon questo spiritola Cgil deve lanciare una vera e propria campagna di mobilitazione contro i lavori precari indecenti, contro le esternalizzazioni. Rivendicare la stabilizzazione e le assunzioni nella pubblica amministrazione. Il lavoro in Italia si è conquistato diritti contrattuali e tutele che danno la dignità, decent work, a milioni di lavoratrici e lavoratori. Diritti frutto di anni di lotte e mobilitazioni, e che perciò non siamo disposti a sacrificare ne in nome di un risanamento finanziario, ne della globalizzazione. Come categoria in questi anni siamo stati e siamo tutt’ora impegnati in una vertenzialità diffusa per combattere il lavoro indecente in cui operano migliaia di ragazzi e ragazze, senza contratti, diritti, tutele. Nelle vertenze di questi anni abbiamo registrato importanti successi, e dato risposte a migliaia di ragazzi e ragazze. Penso alla vertenza dell’Esaf, non solo per i 550 lavoratori degli appalti, ma anche per i trimestrali (da 10/15 anni), per i lavoratori e lavoratrici con contratti atipici. Una vertenza ancora non conclusa che ci vede impegnati nella difesa dei livelli occupativi e nella battaglia per l’applicazione del contratto più favorevole per i lavoratori (federambiente), come è naturale che sia per un sindacato che sta dalla parte giusta. I lavoratori dell’ex Craai ai quali dopo una lunga vertenza della Fp finalmente si apre la prospettiva della stabilizzazione negli organici della Provincia. Altresì siamo riusciti a garantire continuità di lavoro ai giovani occupati nel progetto dello smaltimento delle pratiche per gli invalidi civili, siamo riusciti ad inserire negli organici della regione i lavoratori socialmente utili e a stabilizzare quelli dei progetti obiettivo. Massiccia e diffusa è stata l’azione in difesa dei diritti contrattuali per le centinaia di operatori del terzo settore e della cooperazione sociale, caratterizzato prevalentemente da lavoro indecente. Importanti risultati nelle vertenze aziendali, e a livello regionale con l’accordo siglato con tutte le centrali cooperative sul rispetto del CCNL e l’attivazione di una commissione congiunta con il compito di monitoraggio e verifica. (esempio coop. Ales). Ed infine in questi mesi abbiamo aperto la vertenza dei tremila medici precari che svolgono attività nell’ambito del servizio di medicina generale, senza tutele, regole trasparenti per gli incarichi. Queste vertenze hanno rappresentato la nuova frontiera del nostro fare sindacato, anche se spesso non ci sentiamo supportati in modo convinto da tutta la Cgil. La Cgil deve innalzare la bandiera della speranza per questi giovani, deve caratterizzare e rafforzare il suo Dna per i diritti, per il lavoro.
CENTROSINISTRA Nei nostri congressi si è discusso molto di questi temi e anche della prospettiva della vittoria del centrosinistra. Io rimango tra quelli più ottimisti e meno criticoni verso noi stessi, anche perché in tutte le tornate elettorali di questa legislatura il centrosinistra ha sempre vinto, e le nostre riflessioni a volte sono apparse più critiche di chi ha votato per il centrosinistra. Credo nel centrosinistra siano saldi e condivisi i valori, i diritti di cittadinanza, i principi di giustizia, equità e solidarietà, su cui si deve fondarsi lo Stato, ed in tal senso leggo il valore della campagna referendaria che ci attende per abrogare la riforma costituzionale del centrodestra, e che vedrà impegnata la stessa Cgil. Oggi si ripropone una questione morale a seguito delle vicende Unipol. Il centrosinistra assunto una posizione di assoluto sostegno all’azione della magistratura, di rispetto per le indagini, e di presa di distanza da comportamenti che se provato illeciti, non sono compatibili con la storia del movimento cooperativo. Ma ciò credo non basti più. Il centrosinistra che si candida a governare, oltre i codici di comportamento che vanno pure bene ma sono affidati alla serietà dei singoli, credo che debba assumere un impegno legislativo forte che definisca regole rigide nel rapporto fra politica e affari, rafforzando la strumentazione di vigilanza e demarcando in modo più netto la distanza della politica dal mercato. Il rischio è quindi quello di una campagna elettorale caratterizzata da questo tema con i problemi in ombra. Perciò, anche con le tesi del nostro congresso, dobbiamo imporre nel dibattito politico, e sollecitare il centrosinistra ad un pronunciamento sugli obiettivi del programma di governo in particolare sui diritti del lavoro, sul superamento della legge trenta e quindi sulla prospettiva di costruire una prospettiva di “work decent” a migliaia di ragazzi e ragazze che oggi hanno un lavoro indecente. Occorre riprendere il tema della centralità del lavoro, il suo valore. Altresì chiediamo che il programma sia chiaro sulle politiche dello stato sociale, e più in generale come dice lo slogan del congresso Cgil che definisca la strategia necessaria per riprogettare il paese, il lavoro, i saperi, i diritti le libertà. So bene che non è tutto così semplice e che la campagna elettorale sarà infuocata e difficile. Ma io, ottimista, conservo anche la fiducia sulla consapevolezza che milioni di lavoratrici e lavoratori, di cittadini, hanno maturato a proprie spese, con un abbassamento del loro tenore di vita, gli effetti delle politiche del governo in questi anni. La difficoltà ad arrivare a fine mese non è un nostro slogan è un fatto reale.
REGIONE In questo anno la Regione ha avviato una profonda azione di cambiamento, ha imposto una svolta radicale nel governo della cosa pubblica. L’interesse della Sardegna ha preso il sopravvento sui vecchi interessi legati a poteri concentrati e diffusi, politici ed economici che per anni hanno mal governato la regione. Sono ritornati al centro i temi dello sviluppo, dell’ambiente, delle servitù militari, delle basi Usa, e da ultimo il problema del rapporto con lo Stato sulle entrate. La nuova Giunta si è trovata davanti ad un grande arretrato di riforme mai fatte, una amministrazione regionale paralizzata e ancora strutturata come 30 anni fa (la legge 1 è del 1977), la sanità senza piano sanitario da venti anni, gli enti regionali in larga parte assoggettati a consigli di amministrazione di nomina politica. Perciò credo per un verso giustificabile il primo segnale di rottura che la Giunta ha voluto dare su questo terreno, e quindi la scelta di procedere senza troppe attenzioni anche alla forma, anche al rispetto della normale dialettica e consultazione o concertazione anche con le parti sociali. Ma credo che questa prassi iniziale, discutibile e in parte forse comprensibile, non possa diventare anche accettabile come prassi anzitutto per il sindacato. Sono consapevole che porre questioni di metodo rischia di apparire come una rivendicazione di lesa maestà, e di essere utilizzata contro il sindacato. Qui il primo punto critico che deve imporre una svolta nelle relazioni sindacali con la giunta, che sempre più colloca il sindacato fra i partiti a cui ha chiesto di fare due passi indietro. Dobbiamo rivendicare e ottenere il confronto di merito sulle proposte. In questo anno, salvo rare eccezioni, abbiamo subito consultazioni frettolose, convocate alle 20 di sera per la mattina successiva alle 9, spesso su atti parziali, e talvolta già deliberati dalla Giunta, e comunque fuori da un percorso di concertazione. (vedi ultima finanziaria consegnato un testo con meno articoli di quello approvato dalla giunta). Al sindacato non si vuole riconoscere titolarità piena di intervenire nei processi di riforma, nelle scelte, ed anche sulla recente vertenza col Governo sulle entrate, lo stesso Presidente ha contrastato ogni possibilità che il sindacato fosse uno degli attori principali, salvo poi un ringraziamento per aver organizzato la manifestazione a Roma con 5.000 lavoratrici e lavoratori, dove ho vissuto come un esproprio l’assenza alla testa del nostro corteo dei segretari Cgil, Cisl, Uil. Perciò credo che sia necessario imporre un cambio di marcia e segnare distacco, esprimere dissenso su un metodo che diventa sostanza e che rischia di far apparire consenziente e silenzioso nel merito anche il sindacato, sulle scelte che hanno innescato conflitti nei posti di lavoro, nei territori, tra la gente che rappresentiamo. Mi soffermerò sugli aspetti che più direttamente stanno coinvolgendo la categoria e che in verità credo rappresentino l’aspetto più significativo dell’azione della giunta in questo anno, ancorando alcune riflessioni alla chiave di lettura che utilizziamo sempre per fare le nostre valutazioni in autonomia, con qualunque governo, il merito, il contenuto. Le riforme in discussione ed in parte già avviate, interessano e coinvolgono direttamente ed indirettamente oltre 50.000 lavoratori pubblici e privati che operano nella Amministrazione Regionale e nei suoi Enti, nei comuni, nelle comunità montane, nelle province, nei consorzi industriali, nel ministero del lavoro, nella sanità pubblica e privata, nel terzo settore, nell’igiene ambientale. Ma il lavoro, la sua centralità, non viene considerato per il suo valore, per la ricchezza che rappresenta ai fini del successo delle riforme. Il lavoro, e quello pubblico in particolare, non è una risorsa ma è visto come un impedimento, un ostacolo alle riforme. Quindi si persegue una linea di attacco al lavoro pubblico, cavalcando il malessere diffuso verso l’amministrazione regionale e quella pubblica in generale, inseguendo un facile consenso di immagine, ma compromettendo la possibilità di avviare un circolo virtuoso di partecipazione al processo di riforme. Iniziative che spesso appaiono più funzionali a fare clamore per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, carpire consenso facile, più che per fare veramente le riforme, che invece si presentano piene di contraddizioni. Sono stati soppressi gli enti turistici, sono state trasferite competenze e personale alle province e alla stessa Regione (ex Esit), e si organizza una struttura privatistica parallela per gestire le funzioni rimaste in capo alla Regione. Nella nuova finanziaria si prevede la istituzione di una Agenzia Regionale delle Entrate per ricerche sui flussi di entrata e sugli effetti economici delle imposte, per lo sviluppo della politica regionale delle entrate, vigilanza e controllo sulle tasse regionali. Non discuto l’esigenza che può essere giusta per quelle funzioni, mi chiedo perché una nuova struttura, esterna all’amministrazione, otto unità selezionate, attenzione, solo per titoli, e inseriti nel comparto contrattuale della regione. Mi chiedo perché e se non fosse più razionale, logico, nell’ambito della annunciata riorganizzazione e riduzione degli assessorati, delle loro funzioni, istituire un servizio ad oc nell’ambito dell’Amministrazione Regionale, e se fra i quasi quattromila dipendenti dell’Amministrazione non vi fossero otto funzionari all’altezza di questo compito. Credo invece che dal merito di diverse scelte di riforma emerga sempre con più chiarezza la difficoltà di questo governo regionale a concepire l’amministrazione pubblica distinta e separata dall’amministratore pubblico, e che strumentalmente si confonda e si accomuni la responsabilità delle inefficienze dell’amministratore pubblico con quelle dei funzionari. Anche le riforme degli enti in agricoltura, con l’istituzione delle agenzie regionale in sostituzione degli attuali enti, che possono rappresentare anche una giusta scelta nella forma, nella sostanza, nel merito, sono strutturate con un assetto delle funzioni e poteri fortemente centralistici e rigidamente, rigorosamente dipendenti dalle decisioni della Giunta Regionale, con margini di autonomia molto più ristretti anche rispetto ai vecchi enti regionali. Più volte abbiamo salutato favorevolmente il superamento dei vecchi consigli di amministrazione, anche da un punto di vista della razionalizzazione della spesa, ma il disegno che si afferma è quello di una pubblica amministrazione aziendalistica, con a capo uno o pochissimi uomini, che scelgono gli uomini della gerarchia aziendale, decidono su tutto, e mal sopportano il controllo sociale e le obiezioni politiche. Mentre altre riforme sono ancora in mezzo al guado. L’amministrazione regionale, i suoi enti, le nuove province, le comunità montane, l’Arpas. Solo da poche settimane esiste la legge che riorganizza i servizi per l’impiego, con il personale che era già da tempo trasferito alle province. A questa filosofia sono stati piegati anche i diritti sindacali più elementari, è stata gravemente compromessa la contrattazione di tipo privatistico affermata in tutto il pubblico impiego. L’ultimo episodio, di fine anno, solo per brevità. La giunta regionale ha respinto l’accordo sul contratto di lavoro della dirigenza siglato con il Coran, è ha approvato una delibera che riscrive le tabelle delle indennità di funzione, impegnando il Coran a riconvocare le OO.SS. per sottoscrivere il contenuto della delibera come accordo sindacale. Non basta. Sempre con delibera, la Giunta ha determinato l’incremento della retribuzione del Direttore Generale della Presidenza (sarebbe meglio dire del Presidente), che ricordo fa comunque parte dell’area contrattuale della dirigenza. Una logica padronale, che in verità in Italia in una azienda privata sindacalizzata, non si permette più neppure il vecchio padrone. Ovviamente la risposta non si è fatta attendere, abbiamo proclamato lo stato di agitazione, rifiutato di siglare come accordo il contenuto della delibera sul contratto, attivato le vie legali per la denuncia per comportamento antisindacale, che voglio ricordare, questa giunta ha già subito in proposito due condanne. Per contro la Giunta Regionale, anche attraverso atti impegnativi come il Dpf, non perde occasione di propagandare l’idea del contratto unico della pubblica amministrazione in Sardegna, un’idea molto vicina a quella del Governo. A mio avviso è una proposta che denota anche una certa ignoranza sui comparti che abbraccia il pubblico impiego e che peraltro se malauguratamente dovesse avverarsi avremo uno dei contratti più poveri d’Italia. Inoltre ho seri dubbi sulle competenze statutarie della Regione Sarda in materia. Come categoria abbiamo avanzato da tempo una proposta per avvicinare i due comparti che nelle regioni a statuto ordinario hanno un contratto unico, e cioè la regione e gli enti locali. Intervenendo da un lato sulla legge regionale 31/98 e adeguandola identica al contenuto delle norme che regolano il rapporto di lavoro negli enti locali e in tutto il pubblico impiego. Dall’altro finanziando con la legge regionale 19/98 le competenze trasferite e delegate agli enti locali, tali da coprire nell’arco di un triennio le differenze retributive esistenti fra i due contratti. Ma al dunque, in occasione delle finanziarie, quando cioè si può misurare concretamente la coerenza con le dichiarazioni fatte, puntualmente mancano le risorse anche per un minimo avvicinamento fra i due contratti. Mentre sul fronte legislativo attraverso le norme intruse nelle finanziarie, si stravolgono i principi delle riforma del sistema contrattuale pubblico, allontanando il comparto regione dagli enti locali e da tutto il pubblico impiego, senza peraltro alcun confronto neppure informativo con il sindacato. So bene che queste considerazioni possono facilmente indurre a dare l’idea di una federazione ostile alle riforme, magari con la motivazione che rappresentiamo interessi corporativi, e forse anche poco difendibili. So anche che questi pensieri qualche volta si annidano anche in qualche angolo ancora troppo industrialista della Cgil, ed in qualche stanza sempre più sommersa da carte e teorie, inchiodata a files scaricati da internet sulle politiche di buon governo economicistico e talvolta liberista, ma molto distante dai problemi reali di chi rappresentiamo. Ma questo non lo permettiamo a nessuno. La categoria è stata determinante in questo anni per far crescere la consapevolezza confederale delle riforme della pubblica amministrazione come priorità per le politiche dello sviluppo socio economico della regione, ed ormai è acquisito come patrimonio delle piattaforme per gli scioperi generali. La nostra storia, le iniziative regionali e diffuse nei territori, sono la testimonianza concreta dei nostri convincimenti sulla necessità delle riforme. Ma noi non siamo ne assessori, ne consiglieri regionali, ne esponenti di partito. Siamo un sindacato e gelosamente ci teniamo a stare in campo sui problemi per rappresentare la centralità del lavoro in tutti i processi, a difendere il valore della risorsa umana, delle professionalità, sempre collegando questi interessi con quelli più generali della qualità ed efficienza dei servizi. Perciò stiamo al merito delle cose, degli atti, alle loro conseguenze. Mentre sulle riforme permangono perplessità di merito e di concertazione con il sindacato, la nostra azione ha sicuramente inciso e modificato alcuni atteggiamenti iniziali della Giunta sulla sanità, e gli atti di programmazione avviati almeno in parte hanno raccolto il contenuto delle nostre osservazioni. Occorre dare atto all’Assessore che in pochi mesi si sono recuperati vent’anni di blocco della programmazione regionale, con la approvazione del Piano Sanitario Regionale e del Piano Socio Assistenziale, anche se bloccati da troppo tempo in Consiglio Regionale. Come categoria abbiamo posto anzitutto l’esigenza che la programmazione sanitaria ponesse le basi per affrontare e risolvere i problemi delle condizioni lavorative e contrattuali di migliaia di operatori, in primo luogo per le situazioni di più diffusa precarietà e mancato rispetto dei contratti e ritardo nel pagamento degli stipendi come nel caso della sanità privata e terzo settore. Cioè ancora anche ossessivamente, testardamente, poniamo la centralità del lavoro. Non crediamo possibile che una buona programmazione sanitaria possa produrre qualità ed efficienza, con operatori che non godono dei più elementari diritti e tutele contrattuali, con strutture e mezzi precari, con un aumento di gestione quasi clandestina dei servizi. Un contesto che in prospettiva rischia di aggravarsi per effetto dei tagli della finanziaria del Governo, con ulteriore precarizzazione contrattuale per migliaia di lavoratori, ma anche di licenziamenti, di cui i si registrano già i primi segnali. Nella sanità sarda si fanno avanti politiche di programmazione positive accompagnate però da azioni di Governo ricondotte quasi unicamente nella logica del rientro dal disavanzo, e quindi meramente finanziarie. Ed in questo ancora sentiamo nel dibattito politico una caricatura inaccettabile della spesa sanitaria per giustificare una politica di tagli. I disavanzi delle Asl sono un problema nazionale, un fatto strutturale da anni, e sono la conferma della sottostima del finanziamento del Servizio Sanitario, come sostiene la stessa Cgil nazionale. Continuiamo un po’ da soli, come categoria, a sostenere che nella sanità sarda non si spende troppo, ne più delle altre regioni italiane, ma si spende male, questo sì. Perciò la Cgil deve sostenere ad alta voce che il finanziamento della sanità sarda è incomprimibile. La scelta di imporre alle Asl una riorganizzazione dentro i limiti di spesa al netto dei disavanzi del 2004, sta determinando una organizzazione del sistema con 250 milioni di euro in meno, con conseguenze sui servizi e sugli organici (- 3,3% nel triennio) e perciò il sindacato non può condividerla. Lo sciopero della sanità nuorese del 12 dicembre è emblematico in proposito, e rappresenta il primo campanello di allarme degli effetti di questa impostazione a cui, anche la Cgil ha dato l’assenso non contestando i tagli della finanziaria 2005, e di cui la funzione pubblica ne denunciava e preannunciava le conseguenze. Sul piano finanziario noi sosteniamo e rivendichiamo una decisa azione anzitutto nella riqualificazione della spesa, la razionalizzazione dei servizi, la deospedalizzazione, il contrasto agli sprechi negli acquisti, l’attivazione di una vera sanità distrettuale. Lo abbiamo dimostrato e testimoniato in questi anni con le iniziative, a livello regionale e nei singoli territori. Dai temi della razionalizzazione della rete ospedaliera e le aziende miste, ai piccoli ospedali, alle liste di attesa. Ma siamo contrari ai tagli. Convinti sulla centralità del lavoro nelle riforme, abbiamo avanzato una proposta di protocollo regionale sulle politiche del personale che opera nella sanità pubblica, privata e terzo settore. Un protocollo che impegna la Giunta e quindi le aziende sanitarie, a politiche di formazione e riqualificazione, al governo dei processi di mobilità conseguenti alla riorganizzazione del sistema, al superamento di tutte le forme di precarizzazione del lavoro diffuse nel sistema. Ma non si va oltre le dichiarazioni di interesse e condivisione del protocollo a parole, e nel mentre crescono i conflitti, permangono precarietà e lavoratori senza diritti contrattuali, con ritardi negli stipendi, e da ultimo anche contrazione dei posti di lavoro. Così non va. Sul terreno delle riforme si gioca una partita vasta che ci coinvolge più direttamente, attiene al nostro ruolo, alla nostra funzione di rappresentare gli interessi dei lavoratori e alla capacità di unirli agli interessi più generali che sono il vero obiettivo delle riforme. Il Presidente ha annunciato che il 2006 sarà il vero anno delle riforme. Noi ce lo auguriamo, ma sottolineando che parallelamente deve cambiare radicalmente il livello di coinvolgimento del sindacato, nel rispetto di ciò che rappresenta, il lavoro anzitutto, e che come sempre i autonomia valuteremo il merito delle proposte e i metodi, da cui dipenderà il nostro conseguente comportamento, anche di mobilitazione se necessario. I temi delle riforme e della sanità hanno caratterizzato in questi anni, in particolare l’ultimo, le nostre iniziative e le nostre vertenze, per l’intreccio stretto fra obiettivi di riforma, organizzazione dei servizi, diritti e tutele contrattuali e sindacali dei lavoratori coinvolti. Ho già fatto cenno alla vertenza sulla riforma del servizio idrico integrato, dove abbiamo unito la battaglia contro la privatizzazione e quella in difesa dei posti di lavoro e diritti contrattuali. Un richiamo solo per sottolineare la grande mobilitazione che ha sostenuto e sostiene la vertenza. Scioperi e manifestazioni regionali, generali e di settore, occupazione degli impianti con parziale interruzione del servizio, occupazione di sedi istituzionali, incontri con amministratori locali e autorità pubbliche. Abbiamo impedito l’affermarsi di una politica di tagli e di precarizzazione delle condizioni di lavoro per centinaia di lavoratori. Purtroppo non siamo riusciti ad arrestare il processo di privatizzazione del servizio che ha già determinato l’effetto di un aumento medio delle tariffe del 27%, e con la prospettiva nei cinque anni di un incremento del 50%. In questi anni particolare impegno abbiamo dedicato alla vertenza, continua direi, della situazione delle carceri nell’isola. Denunciamo da anni le condizioni strutturali spesso fatiscenti, comunque vecchie, alcune con qualche secolo di vita. Il Ministro Castelli le ha catalogate come Grand Hotel, trascurando che oltre le strutture le condizioni e carenze generali che non consentono di garantire le condizioni di sicurezza degli operatori, e di cui fanno le spese anche i detenuti ben oltre il numero della capienza regolamentare e le stesse loro famiglie. Una altro comparto di grande rilevanza per dimensione e per la valenza sociale che assume come attività è quello dell’igiene ambientale, su cui si sta concentrando l’iniziativa del Governo che con il decreto legislativo che si propone di modificare la legge Ronchi. In base a questo decreto vengono derubricati anche i rifiuti tossici al rifiuto secco urbano prodotto dalle famiglie. Per impedire l’approvazione del decreto è già in programma nel mese di gennaio la mobilitazione del comparto, che sarà necessario estendere a tutti i comparti per la rilevanza generale che riveste il decreto. Perciò in queste settimane è necessario organizzare e sostenere una mobilitazione diffusa, coinvolgendo anche le rappresentanze istituzionali regionali e del sistema delle autonomie locali. In questo quadro dobbiamo sollecitare gli enti locali a rimodulare tutta la gestione dei rifiuti nel rispetto dei termini della proroga che la regione ha deliberato fino al 30.6.06, per il conferimento in discarica esclusivamente rifiuti precedentemente trattati. Un contesto in cui anche il rinnovo contrattuale ha risentito negativamente dei condizionamenti del Governo, comportando per la prima volta nella storia dei rinnovi contrattuali la necessità di ricorrere a ben sei scioperi nazionali. una mobilitazione premiata comunque dal risultato di aver siglato due contratti (Fise e Federambiente), sostanzialmente identici e quindi registrando un decisivo passo avanti verso il contratto unico di settore. Progetto inca………… Tutto ciò è in primo luogo una conferma che nella nostra categoria non c’è frattura fra lavoratori e sindacato. E’ conferma che il gruppo dirigente dei nostri territori, si misura e vive quotidianamente tra i problemi dei luoghi di lavoro, che li rappresenta e se ne fa carico misurando e verificando il proprio consenso nel rapporto costante con i nostri delegai e delegate, con le Rsu, con i lavoratori. Tutto ciò in uno dei passaggi più difficili che interessa tutti i nostri settori che subiscono gli effetti delle politiche dei tagli del Governo, ma anche di alcune decisioni della Giunta regionale. Un contesto in cui occorre farsi carico del malessere diffuso, del malcontento fra i lavoratori che operano negli enti, nella sanità pubblica e privata, nell’amministrazione regionale, nei comuni, nelle province, nelle comunità montane, nei consorzi industriali, nei servizi per l’impiego, in tutte le attività esternalizzate, negli appalti e convenzioni, nei processi di ristrutturazione in atto nei servizi di igiene ambientale. Un malessere che esprime bisogno di tutele, di sindacato, di cui la categoria è stata capace di farsi carico, sempre dalla parte giusta, anche se molto spesso con la sensazione di essere sola e persino, diciamo, non capita anche in Cgil nelle ragioni e negli obiettivi delle vertenze, pur sempre sostenute dal consenso dei lavoratori interessati. Sulla partita delle riforme, sul governo sindacale dei problemi che presenta, non per spirito polemico, dobbiamo dire che in questi anni hanno pesato molto i limiti seri di direzione politica che esistono e permangono all’interno del livello confederale, peraltro con una gestione che sistematicamente ha cercato di confinare la categoria in un ruolo marginale, nella convinzione che nelle riforme il nostro compito deve essere limitato alle implicazioni contrattuali sui lavoratori. Una posizione in contrasto con la storia della categoria, con la scelta della Cgil di costituire 25 anni fa la Funzione Pubblica nel congresso di Rimini dal 14 al 18 aprile del 1984. Una grande intuizione strategica della CGIL, uno strumento organizzativo straordinario che ha concorso in modo determinante a grandi innovazioni nella Pubblica Amministrazione, ponendo al centro il valore e la risorsa del lavoro pubblico. Oggi la FP CGIL è il Sindacato più votato dai lavoratori e lavoratrici del Pubblico Impiego in occasione delle elezioni delle RSU. In Sardegna siamo il primo sindacato nel pubblico impiego, ed in particolare nella sanità e negli enti locali. La FP rappresenta oggi la più grande Categoria in termini di iscritti fra i lavoratori attivi della CGIL. Questo successo organizzativo e di rappresentanza della FP è il risultato di anni di lavoro difficile e paziente. E’ stato smantellato il vecchio modello contrattuale, si è dato un nuovo valore al lavoro pubblico, perseguendo obiettivi di qualità ed efficienza della Pubblica Amministrazione. Una categoria che negli anni ha avuto la capacità di collegare la lotta per i contratti con quella per le riforme della Pubblica Amministrazione. Questa è una categoria animata da profondi sentimenti di giustizia sociale, che ha maturato la propria funzione e ruolo nei diritti di cittadinanza e dei lavoratori che rappresenta. Ma si è anche costruita una propria identità, come soggetto unico, una sua dignità politica da rispettare, si è formato un proprio carattere, libero nel pensiero, non disponibile a facili accomodamenti. Un gruppo dirigente che discute sempre con competenza, passione, schiettezza di tutto e di tutti, e con tutti. E’ certamente la categoria più viva, rock, che ha il potenziale reale per concorrere ad esprimere a tutti i livelli il quadro dirigente della Cgil, ed a cui non intende rinunciare. A questo congresso portiamo credo il risultato di una stagione di successi organizzativi, dalle elezione delle Rsu al superamento dei 10.000 iscritti certificati con l’anagrafe. Ma credo che il dato più significativo, che in verità rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia, sia rappresentato dalla crescita politica di tutto il gruppo dirigente, dalla capacità espressa in questi anni di misurarsi e confrontarsi anche pubblicamente con i temi delle riforme, della pace, dei diritti. Il cammino fatto insieme dal precedente congresso ad oggi è stato fruttuoso, siamo riusciti a costruire un gruppo dirigente unito, solidale, che anche nei momenti di contrasto sul merito delle vertenze, dei problemi, come è giusto che sia, coerente con il nostro spirito libero di cui andiamo orgogliosi, sempre comunque ha prevalso la via del dialogo, dell’ascolto, dell’incontro. Intelligenza unitaria Noi vogliamo proseguire questo cammino, consapevoli che oggi il lavoro pubblico e privato che la categoria rappresenta, deve misurarsi con problematiche nuove, che investono e toccano direttamente e indirettamente sia i diritti contrattuali che le condizioni più generali delle lavoratrici e dei lavoratori. L’attacco ai diritti costituzionali, di cui i lavoratori che rappresentiamo ne sono i portatori materiali per i cittadini, carica la nostra categoria di responsabilità superiori, di valenza generale. Le nostre iniziative e le nostre lotte rappresentano uno straordinario contributo alla battaglia generale per i diritti, per la difesa della costituzione, dei suoi valori, della democrazia, e perciò steso rappresentano la nuova frontiera della confederalità per la Cgil, di cui ci sentiamo protagonisti a pieno titolo. I 300 compagni e compagne che compongono tutti i nuovi organismi provinciali già eletti e domani anche quello regionale che verrà eletto, rappresenteranno il nuovo punto di riferimento per le iscritte e gli iscritti, per i lavoratori nei luoghi di lavoro e nella nostra federazione. Il quadro dirigente a cui i congressi affidano l’incarico di gestire e governare questo sindacato, a cui viene chiesto di assicurare e garantire il proprio impegno di dirigenti e militanti, per il raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi che il congresso si propone. La crescita politica del gruppo dirigente tutto della federazione a tutti i livelli, la qualità delle compagne e dei compagni, credo rappresentino un buon punto di partenza per consegnare al prossimo congresso ancora nuovi successi per la categoria e per la Cgil. Grazie a tutti.
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