BARI 22 MARZO 2005

LA FUNZIONE PUBBLICA NEL SUD PER I DIRITTI E LA LEGALITA’

RELAZIONE
di
Antonio Crispi

 

L’iniziativa, d'oggi, qui, a Bari, sui diritti e la legalità è una delle iniziative, decise dalla Segreteria Nazionale, di cui una sulle agenzie Fiscali già tenutasi a Roma e l’altra che si terrà a fine di mese, a Milano.

Esse contribuiranno alla definizione dei contenuti della Conferenza programmatica della nostra categoria che si terrà a Maggio, unitamente a quanto la Funzione Pubblica ha prodotto in tema d'analisi e di proposta in questi ultimi tempi, nella sua azione generale e quotidiana, dei comparti e dei settori di lavoro.

L’iniziativa qui a Bari, è importante per dare continuità di riflessioni e proposte per il Mezzogiorno, così come l’insieme della Cgil, a mio parere sta facendo, ricordo, in ordine di tempo, quella antimafia a Palermo, del 15/16 di questo mese, proprio perché la difesa dei diritti, sia quelli del lavoro che di cittadinanza, nel mezzogiorno, per la sua arretratezza, sociale ed economica, sono, storicamente di difficile coniugazione e spesso non usufruibili.

Condizione questa aggravata dal Governo Nazionale e la sua maggioranza politica, che dall’inizio del suo mandato s’è distinta per la messa in discussione dell’Art.18 dello statuto dei lavoratori (legge 300), e la precarizzazione del lavoro attraverso la legge Biagi, Con l’approvazione poi del testo unico sulla sicurezza, forse non ci sarà più confronto più contrattazione, nessuna rappresentanza, i lavoratori saranno in balia completa  della controparte.

 Nello stesso tempo a livello territoriale, insieme al Presidente di questa regione Fitto, per la verità in buona compagnia, con la sua riforma Ospedaliera si insiste in una scellerata visione di una società senza norme e regole, continuando a metterle costantemente in discussione.

La lotta alla criminalità organizzata, mafia, camorra, sacra corona unita, ndrangheta, problema, culturale, sociale, politico, economico, è minimizzato nelle prolusioni televisive di Berlusconi, dato, quasi per risolto, o assunto come problema di convivenza dal Ministro della giustizia di questo Governo, salvo a ricordarsi della loro esistenza quando, come a Napoli, scoppia la mattanza, dimentichi del fatto che la camorra, come la mafia i suoi migliori affari li compie nel silenzio e nel vuoto di iniziativa di contrasto quotidiano.

 La maggioranza parlamentare, oltretutto, sforna continui provvedimenti legislativi riguardanti la giustizia, anticostituzionali, ad personam, (falso in bilancio, salva Previti), che rendono la giustizia accondiscendente con i potenti e determinata con i deboli.

D’altro canto faccio fatica a pensare di poter affermare e diffondere, perché di questo si tratta, con buona pace di Berlusconi e i suoi mentori, diritti e lotta alla criminalità nel Mezzogiorno mentre il paese arranca ed è in pieno declino, basti pensare al calo della produzione industriale in Italia nel mese di Gennaio, (pari al 2,1 rispetto allo stesso mese del 2004) mentre altri paesi Europei hanno performance positive, primi fra tutti: Francia e Germania.

Il governo non ha nessuna politica per lo sviluppo del mezzogiorno.

Per la verità, non l’ha per l’intero Paese, che attraversa la più grave crisi del dopoguerra.

Nei giorni scorsi Bankitalia ha sottolineato che dal 2000 ad oggi, l’Italia ha perso il 25% di competitività contro un’erosione inferiore al 10% delle merci francesi e tedesche.

La crescita del Pil, quest’anno, sarà inferiore alla media Europea, al massimo arriverà al 1,1- 1,3, ben lontana da quel 2,1 previsto dal sempre ottimista governo Berlusconiano, che purtroppo non è la prima volta che sbaglia le proprie previsioni economiche, dal miracolo economico ad oggi, avendo la visione di un paese che non c’è, se non nella testa di Berlusconi, sostenuta da previsioni se non del tutto, sbagliate, quantomeno tutte a scopo di una perenne propaganda elettoralistica, e mediatica.

Queste cifre hanno un riflesso molto negativo sull'economia del Paese:

il taglio delle tasse, come sempre denunciato dal sindacato, non ha stimolato nessuna ripresa, l’annuncio a Porta a porta, di un nuovo taglio per l’anno prossimo, con un ulteriore regalo del 4% ai redditi superiori ai centomila euro, non avendo risorse a disposizioni, sarà ancora una volta un danno e una beffa per i redditi più poveri ed un vantaggio ulteriore per quelli più elevati.

Il calo della pressione fiscale di un punto percentuale è tutto da ascrivere alla stagione dei condoni, non certo alla politica economica del governo che avendo condonato tutto, il possibile e l’impossibile, si appresta a svendere il patrimonio dello stato e ad operare una selvaggia privatizzazione dei servizi.

La stessa Bankitalia, l’ha ricordato al Governo, dopo l’incontro andato a vuoto sul rinnovo contrattuale del pubblico impiego, (sarà un caso ma il Governo ha convocato i sindacati a poche ore dallo sciopero), dopo circa due anni dalla scadenza contrattuale offrendo, di fatto, aumenti pari al 4,3% così come previsto dalla finanziaria, di fronte ad una richiesta del 8%, aprendo certo, finalmente la trattativa, ma visto l’entità delle proposte non si capisce altro dal fatto che ha una visione minima del ruolo del pubblico impiego, visto come un ulteriore legame al dispiegarsi di una azione del governo, senza freni e regole.

I pubblici dipendenti, a detta dello stesso, Berlusconi,   sono tutto sommato dei fannulloni, l’azienda Italia non ha bisogno di loro, ma solo di persone che ubbidiscono al sogno mediatico di chi si sente proprietario del paese e non presidente del consiglio di una repubblica democratica, e d’ altro canto se si  riduce al minimo, attraverso il blocco del turnover, il pubblico impiego, non c’è più chi deve erogare servizi, garantire diritti  di cittadinanza, la tutela della salute, la scuola pubblica, la tutela e la salvaguardia del territorio, tutto si può privatizzare, qualcuno di sicuro ci guadagnerà. Berlusconi, che le cifre sono quelle già note, salvo qualche, bontà sua, decimale da aggiustare, che quindi le condizioni per sottoscrivere il contratto non ci sono, lo annuncia in televisione, con la trattativa in atto.

Così l’arcano della convocazione è spiegato è tutto un spot elettorale in vista delle prossime elezioni, e purtroppo, come se non bastasse, anche il falso annuncio del ritiro dall’Iraq.

Lo sciopero, era, a quel punto inevitabile, tra l’altro, ha confermato, la giustezza delle posizioni del sindacato, l'inconcludenza delle proposte del governo, la compattezza dei dipendenti pubblici, che vi hanno aderito con una percentuale altissima pari all’ottanta per cento, e presenti alla manifestazione in piazza, a Roma, il 18 scorso, come non mai, oltre duecentomila lavoratori e lavoratrici.

Il Governo è avvertito, il sindacato non si fermerà fino a quando il contratto non sarà firmato nel rispetto della dignità di chi lavora e con piena soddisfazione dei lavoratori.

Il protagonismo dei lavoratori del pubblico impiego lancia un monito anche a Confindustria sottolineando che la logica dei bassi salari è perdente: solo una ritrovata capacità del potere d’acquisto dei salari, può rilanciare la domanda dei consumi e quindi una ripresa dell’economia italiana.

 La competitività dell’industria italiana si recupera aumentando la produzione, la sua qualità, le tipologie dei prodotti.

Il tasso di occupazione non cresce più, nonostante Berlusconi affermi ch’è costretto a ricandidarsi alle prossime elezioni politiche, avendo raggiunto insieme agli altri anche l’obiettivo di un milione e mezzo di occupati in più, così come previsto dal suo contratto con gli Italiani, firmato alla presenza dell’immarcescibile Bruno Vespa, senza prendere in considerazione le centinaia di fabbriche in difficoltà ed il fatto che aumentano le persone ormai fuori dal mercato del lavoro o che rinunciano a cercare un impiego.

I giovani meridionali, da tempo hanno ripreso la via dell’immigrazione per mancanza di opportunità qui al Sud, costretti, quindi, non per libera scelta, a far mancare il loro contributo, il loro sapere, le loro braccia, allo sviluppo del mezzogiorno, con danni sul futuro di questa parte del paese, ad oggi, incalcolabili.

Sono, ormai, quattro le finanziarie che tagliano le risorse agli enti locali e ridimensionano, quindi in malo modo, lo stato sociale e i diritti, del lavoro e di cittadinanza nel Mezzogiorno in particolare.

Per il quarto anno consecutivo, una manovra economica, iniqua per gl’Enti locali e il Mezzogiorno, penalizzante per tutti i cittadini, che causa la messa in discussione della qualità o l’erogazione dei servizi, determina l’aumento della contribuzione fiscale a livello locale scaricando su Regioni, Comuni e Province la responsabilità del fallimento della politica economica del Governo.

L’ultima finanziaria è la peggiore degl'ultimi anni.

 La drammatica situazione è frutto di una politica economica incentrata esclusivamente sulla riduzione delle spese, non accompagnata da strumenti di rilancio dello sviluppo e da riforme strutturali.

Tutti gli indicatori, economici e sociali, sono lì a dimostrare come la mancanza di una politica d'interventi a favore del Mezzogiorno, da parte di questo Governo, abbia bloccato un difficile processo di sviluppo (faticoso, problematico ma in crescita), con l’andamento del Pil, nel 2003, analogo a quello nazionale;

Con una timida riduzione del divario occupazionale, accompagnato tra l’altro da un recupero di produttività a fronte ad una contestuale riduzione della popolazione;

L’apertura graduale di alcuni contesti regionali, Abruzzo e Basilicata fra tutti, ai mercati stranieri, con l’aumento delle esportazioni, tra il 1999 e il 2002, dal 22,9% al 24,8%

Nel frattempo, però, un miliardo e 250 milioni d'euro d’incentivi sono stati tagliati alle imprese, compresi quelli riguardanti la 488.

Il taglio interessa per l’ottanta per cento imprese del Mezzogiorno

Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia le regioni più colpite, con una perdita nell’ultimo anno di decine di migliaia di posti di lavoro, mentre negli ultimi mesi è triplicato il numero delle aziende in crisi.

Questi provvedimenti, vanno ad incidere negativamente su di una realtà, quella meridionale, i cui tassi di crescita presentano un andamento molto differenziato da regione a regione e il sistema delle imprese, pur avendo negl’anni aumentato il proprio reddito complessivo, non cresce, non solo, in volume, come si evidenzia dal rapporto: mortalità-natalità aziendale, ma anche in dimensione, visto che le imprese con più di un addetto crescono meno.

Il sommerso, al di là degli annunci di presunte lotte da parte del Governo, presenta punte di gravità crescenti e strutturali, con irregolarità totale, passa da un minimo delle regioni del Nord-Ovest di circa l’11%, al 24,4 % delle regioni meridionali, con punte nella Calabria che arrivano al 29%.

Il lavoro autonomo, da dieci anni a questa parte continua a scendere, siamo già al 5,6%, con un andamento del tutto opposto a quello nazionale, segnalando che il lavoro intellettuale collettivo e personale sono due realtà ben lontane da rappresentare per il Sud quella fonte di alimentazione di speranze e sviluppo futuro come accade in altre aree del paese, grazie, forse, proprio a giovani laureati meridionali, immigrati.

Ovviamente, di fronte ad una politica carente di visione strategica per lo sviluppo del meridione, l’assenza di una politica industriale, la mancata ricostituzione di un credito meridionale, con le banche oramai tutte di proprietà e direzione centro settentrionali, la politica del Governo Berlusconi per il mezzogiorno, quasi ostile alla ripresa e allo sviluppo, fa del sud, un'area a bassissima attrattiva di investimenti esteri, pari al 6/7% della media nazionale che è invece aumentata del 20%, mentre le imprese meridionali hanno accresciuto l’occupazione in filiali estere delle loro imprese in percentuale quasi doppia del dato nazionale.

La ripresa in Parlamento della discussione sul Federalismo legata ai giochi di potere, nell’ambito del Governo, ai ricatti della lega, può ulteriormente dividere il paese se la legge fosse approvata, alla vigilia del rinnovo di quasi tutti i Consigli regionali, così com’è, avremmo una riforma priva di un federalismo cooperativo e solidale, tra le regioni ricche e povere del paese, con un neocentralismo delle norme, (leggi legge obbiettivo) e nella destinazione delle risorse espresse dai trasferimenti dal bilancio dello stato alle Regioni con tagli, alla sanità, alla scuola, che nei fatti nega il ruolo stesso degli Enti Locali, sia sul terreno delle scelte sia su quello della gestione.

La riforma della costituzione, tra l’altro, aumenta i poteri del capo del governo e nello stesso tempo diminuisce quelli del parlamento, della corte costituzionale, del capo dello stato, a fronte di un ragionevole aumento delle capacità di governo dell’esecutivo, di fatto si determina un ruolo preminente del governo sulle altre istituzioni e si annullano le capacità di controllo sull’esecutivo.

Con la modifica della costituzione, si mettono in discussione le norme, le regole di convivenza civile, si annullano certezze, si aumenta la precarietà nel mercato del lavoro e si abbatte la coesione sociale; esiste un solo diritto quello del più forte.

Il Sud in questo quadro per le sue debolezze strutturali, aggravate dal governo attuale, può perdere anche quelle isole di eccellenza, tali non solo per il Sud, ma per l’intero Paese, quali il tessuto industriale dell’area napoletana, seppure da rivitalizzare, o il cosiddetto modello adriatico, operante anche in Puglia, la vitalità della provincia di Benevento, (accordo con la scuola Sant’Anna di Pisa); a Matera, contratto di programma per il polo del salotto, a Cagliari, CRS quattro e Tiscali, ai fecondi rapporti tra il tessuto produttivo locale e l’università.

Lo stesso turismo nel Mezzogiorno, rispetto a nuovi bisogni, legati alla fruizione dei beni culturali, città d’arte, ed ambientali può giocare la carta di un ambiente ancora, per gran parte integro.

 In un paese dove il Governo fa della trasgressione costituzionale e legale la propria politica il tema della legalità e sicurezza và necessariamente rilanciato se si vuole un reale sviluppo del mezzogiorno, produttivo e sociale, visto che la società meridionale è inquinata dalla criminalità organizzata, presente in ogni appalto, in ogni iniziativa di spesa pubblica o privata, strozza le persone e il commercio, traffica in rifiuti, mostra ogni giorno la sua feroce presenza, regolando conti al suo interno, attaccando cittadini e imprese.

Dalla prima riunione del dipartimento mezzogiorno, tenutosi a Napoli, i compagni e le compagne, denunciarono con forza la ricollocazione della criminalità organizzata all’interno della società italiana, in particolar modo i nuovi intrecci tra criminalità e pubblica amministrazione, una rinnovata capacità di mimetizzarsi nelle pieghe della società italiana, senza determinare gli scossoni e i conflitti dei periodi precedenti.

Dopo la sconfitta dello stragismo e il tentativo di entrare direttamente in “politica” si è costruito un meccanismo di indebolimento della legislazione che colpiva la mafia, da parte di alcune forze politiche, quali le rogatorie internazionali; il condono edilizio, la sanatoria del falso in bilancio che ha permesso ad alcune aziende di rientrare nella legalità; il rientro dei capitali dall’estero, anche di natura illegale che giacevano nei paradisi fiscali e diventati di nuovo legali sono stati impegnati direttamente nei processi produttivi e nei settori finanziari.

Inoltre la disponibilità di masse finanziarie cospicue, ha favorito l’intervento diretto della criminalità organizzata nell'economia legale e nella finanza, determinando elementi d’inquinamento molto gravi, di difficile individuazione, rafforzando, tra l’altro, l’aspetto internazionale della mafia, garantendole nuovi mercati e specializzazioni.

Ci troviamo così di fronte ad una nuova tipologia mafiosa, capace se necessario di esprimersi ancora in modo violento, senza abbandonare le tradizionali attività criminali, dallo spaccio al racket, allo sfruttamento della prostituzione, ma soprattutto in un perverso intreccio legale-illegale, di intervenire in tutti i campi della vita economica del paese, non solo del Sud, di intercettare, quanto di innovativo di moderno si svolge nella vita civile ed in economia e di volgerlo a proprio vantaggio.

Nello stesso tempo si è accentuato l’attacco alla magistratura, quando soprattutto, nella sua azione di contrasto alla mafia, ne coglie i rapporti tra politica e istituzioni.

La cronaca di questi tempi, d’altro canto, ci dice, come sia difficile, il solo parlare di mafia ad esempio in televisione

Tutti noi, cittadini, lavoratori, giovani, pensionati, avvertiamo che siamo di fronte ad una caduta dell’etica politica e ad una cultura tollerante dei fenomeni mafiosi, da parte della maggioranza che governa il nostro paese, INTOLLERABILE e non è un gioco di parole, che mette in dubbio la possibilità di contrastare e sconfiggere la mafia, mentre, a mio avviso proprio dalla politica e dall'istituzione deve e può nascere l’avvio di una sconfitta della criminalità organizzata.

La pubblica amministrazione, gli Enti locali, Regioni, Comuni e Province possono e devono fare la loro parte attraverso la trasparenza degl'atti amministrativi e a forme di controllo degli stessi; la piena attuazione delle Bassanini; la generalizzazione del codice etico dei dipendenti pubblici e di tutti coloro che interagiscono con la pubblica amministrazione, aziende, cooperative, associazioni. Prevedere negli statuti e nei regolamenti delle regioni e degli enti locali esplicitamente la lotta ad ogni forma d’infiltrazione mafiosa, attraverso la certificazione volontaria di legalità delle imprese, prevedendo controlli e sanzioni;

il controllo degli appalti, dal protocollo di appalto all’estensione della clausola sociale;

riqualificando il tessuto urbano e delle aree degradate, finalizzate all’occupazione;

 politiche sociali di sostegno al reddito e alla formazione con  l’uso dei patrimoni confiscati e sequestrati alla mafia;

 la sottoscrizione e la diffusione dei Pon per garantire sicurezza ai cittadini e alle imprese.

 Una gestione corretta e trasparente dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed industriali, assumendosi le proprie responsabilità di fronte ai cittadini e soprattutto evitando l’esternalizzazione e la privatizzazione di servizi alle persone e di beni comuni di primaria importanza come l’acqua;

 non applicando la legge 30  che  non tutela i lavoratori. 

Per rendere pienamente esigibili, sicurezza, diritti individuali e collettivi nel mezzogiorno, a mio avviso bisogna partire dal rapporto Mezzogiorno-Europa e dal contributo che dall’Europa può venire allo sviluppo del Sud

Il mezzogiorno, come da più parti si  afferma è, oggi, sempre più,  nello stesso tempo Italia ed Europa, in quanto con la riduzione dei flussi economici provenienti dal bilancio dello stato, ha nei fondi Europei l’unica vera risorsa aggiuntiva.

Nello stesso tempo, oltre all’Europa, alla globalizzazione i rapporti geopolitici sono, e a mio avviso, devono, essere indirizzati verso il Mediterraneo e la sponda balcanica.

Lo sviluppo di questa area e del Mezzogiorno si gioca essenzialmente su alcuni punti: il rilancio della politica Euromediterranea l’ottimizzazione dell’impiego dei fondi strutturali; la politica per la coesione sociale.

La politica euromediterranea deve tener presente la storia, la cultura, la civiltà, le religioni dei paesi del bacino del mediterraneo, per poter definire gli indirizzi, le priorità, le scelte da compiere e poter riprendere il discorso dello sviluppo.

Occorre rivedere l’impianto del partenariato, che nelle attuali condizioni, per com’è, non funziona, qualificando la spesa del MEDA, principale programma Europeo e rendendolo spendibile in tutta la sua interezza.

Va dato vita al Parlamento Euromediterraneo, come luogo di confronto e dialogo dei Paesi che ne fanno parte, anche se personalmente sono sempre più convinto che il modello politico-istituzionale Europeo, fatto salvo, gli adattamenti del caso, sia modello da indicare ai Paesi arabi del Mediterraneo, in quanto unico modello di democrazia che ha consentito all’Europa di vivere  in pace per decenni, e che può essere utile per superare le attuali difficoltà di rapporto tra i paesi del mediterraneo a partire dalla nascita di condizioni per lo svilupparsi del confronto e del dialogo tra religioni.

 Altro che democrazia esportata sulla bocca dei cannoni e la punta degli stupidi missili-intelligenti promossa da Bush, e condivisa dal nostro governo che, tra fuoco amico e nemico è gia costato al paese 28 morti e numerosi sequestri.

La politica europea del mediterraneo deve ripensare la logistica in funzione di un rapporto sempre più stretto di scambi, culturali, sociali e commerciali tra mezzogiorno e gli altri paesi del mediterraneo.

Il Parlamento Europeo nell’Aprile 2004 ha già approvato per l’Italia interventi per l’asse ferroviario da nord a sud: Berlino Napoli; interventi per le autostrade del mare, miranti a favorire gli accessi ai porti, e infine il discusso ponte sullo stretto di Messina.

Manca all’appello, per responsabilità del governo, l’asse ovest-est, ovvero il cosiddetto “corridoio 8” che se approvato garantirebbe i collegamenti tra l’Italia e l’est-europeo, assolutamente rilevante nell’Europa dei 25, con il mezzogiorno nel ruolo di tramite tra l’est e il sud del mediterraneo.

Il collegamento nord-sud già garantito, andrebbe esteso, fino in Calabria e Sicilia tramite l’alta velocità, al posto di un ponte che come più volte affermato dalla Cgil, unirà due sponde prive d’infrastrutture.

Lo sviluppo delle reti ferrovie, porti, quali Taranto, Gioia Tauro, Salerno, Napoli, Cagliari, rappresentano già una grande rete capace di movimentare merci e persone; sistemi interportuali quali quelli di Nola e Marcianise, e lo sviluppo del sistema  aeroportuale, possono essere il viatico per un Sud, proiettato tra l’Europa e il mediterraneo.

Da quattro anni le risorse nazionali in questa direzione, le infrastrutture, sono ferme al palo, bisogna investire e rendere le risorse disponibili, mentre le regioni meridionali devono ottimizzare l’uso dei fondi strutturali Europei, garantendo la qualità degli investimenti e concentrandoli sugli obiettivi della ricerca, dell’innovazione, e dell’internazionalizzazione dei processi di sviluppo del mezzogiorno, capaci di attrarre investimenti.

I governi di centrosinistra avviarono una politica di sviluppo improntata in questo modo, l’attuale governo ha cambiato completamente l’indirizzo.

Per affermare, inoltre, il Mezzogiorno come luogo privilegiato della politica euromediterranea, bisognerebbe dar vita ed allocare nel mezzogiorno una banca di affari per il Mediterraneo, con un intesa tra la Bei, le Regioni, gli imprenditori.

In questi giorni, nella distrazione totale, devo dire della campagna elettorale, si riapre la discussione sugli obiettivi fissati dal Consiglio Europeo,  il 22 e il 23 Marzo  del 2000, in sessione straordinaria, a Lisbona,  in tema di occupazione, riforme economiche e coesione sociale nel contesto di un economia basata sulla conoscenza.

 La rivisitazione dei parametri di Lisbona  può portare a definire nuovi limiti al ribasso, temo in modo particolare, per ciò che riguarda l’occupazione e la coesione sociale, nello stesso tempo è aperta la discussione sulla definizione dei nuovi fondi strutturali Europei, dopo l’allargamento dell’Europa ai paesi dell’Est, bisogna fare attenzione che i fondi, come chiedono alcuni paesi del nord non siano ridotti piuttosto che aumentati e che la suddivisione tenga nella giusta considerazione le esigenze del mezzogiorno, altrimenti la combinazione tra  decisioni negative finirebbe per  creare condizioni di svantaggio  per il nostro Sud.

Il pericolo è reale, oltre alle forze sociali, in queste ore, i partiti, del centrosinistra, l’Unione a mio avviso ne dovrebbe far oggetto di discussione e proposte, da realizzare con determinazione, nella misura in cui dopo le elezioni il centrosinistra, mi auguro, governerà, se non tutte, la stragrande maggioranza delle regioni Meridionali, a partire dalla Puglia.

   La mia affermazione è dovuta al fatto che l’attuale governo di fronte ad un iniziativa unitaria,             dei  protagonisti dell’economia e del lavoro, sindacati e imprese, che hanno dato vita al Progetto Mezzogiorno, per affrontare il declino industriale, economico ed occupazionale del paese, individuando:

 gli obiettivi del progetto per modificare in termini innovativi, la logica  attuale degli interventi nel mezzogiorno, partendo dai suoi punti di forza;

dalla valorizzazione delle risorse disponibili seppure ancora insufficienti di cui il Sud dispone;

 gli ambiti d’intervento, a partire dalla crescita della ricchezza disponibile, dell’occupazione, di uno sviluppo sostenibile e da un impresa competitiva;

l’individuazione dei fattori di sviluppo per attrarre capitali nazionali ed esteri con:

una fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno;

la riforma degli incentivi;

il completamento e l’adeguamento della dotazione infrastrutturale;

un positivo rapporto tra banche ed imprese;

una stretta cooperazione tra università, ricerca e innovazione d’impresa;

il consolidamento di normali condizioni di esercizio d’impresa, sicurezza, giustizia civile, semplificazione amministrativa,

le priorità di azione di breve periodo; il rilancio della concertazione;

  ebbene, il governo ha approvato, in questi giorni due provvedimenti, un decreto e un disegno di legge sulla competitività, che come tutti i provvedimenti di questo Governo per lo sviluppo non ci convincono, per il ritardo in cui sono assunti rispetto ai problemi che vogliono affrontare, in questo caso il declino dell’apparato industriale e del paese tutto, e la scarsità delle risorse economiche messe a disposizione.

In tutto ciò risulta fondamentale  il ruolo del sistema delle autonomie, Regioni, Province e Comuni per capire come sia possibile intervenire affinché si passi da una funzione di gestione della cosa pubblica alla funzione di agente di sviluppo e sostegno del territorio, cioè come il sistema delle autonomie possa avere ruolo nel ripensare e sostenere lo sviluppo.

Il rapporto con il territorio dell’economia produttiva è fortemente cambiato nell’epoca della flessibilità produttiva, alla grande azienda che contiene al suo interno tutte le funzioni si sostituisce l’esternalizzazione delle funzioni, la riduzione degli organici,  lo snellimento delle strutture.

Infatti, a differenza della grande azienda che tende a reperire al suo interno ovvero a chiedere al livello nazionale le infrastrutture del caso (ad esempio collegamenti viari) l’azienda frazionata si rivolge a  quei territori che già dispongono di tali risorse.


Allora è inevitabile che nel momento in cui decide di ubicarsi, ricerca in loco la presenza  delle capacità produttive, imprenditoriali ed amministrative.


Per le aree del mezzogiorno possono aprirsi delle possibilità derivanti dal nuovo modello in quanto, mentre la grande azienda doveva rapportarsi con lo stato nazionale, il nuovo tipo di azienda ha come interlocutore il governo locale.

Il governo locale assume, quindi, un ruolo ben più importante che nel passato.
E' necessario, dunque, individuare quelli che sono i maggiori fattori ostativi allo sviluppo e definire meglio il ruolo del governo locale, la mancanza di servizi di base ed innovativi per le aziende:

oggi è impensabile lo sviluppo di un sistema produttivo competitivo senza la disponibilità in ambito locale di tutta una serie di servizi, che mentre, nei distretti industriali del Centro-Nord questo tipo di servizi è presente in misura considerevole e si evolve continuamente, in vaste aree del Sud, anche a causa della densità relativamente più bassa delle imprese, questi servizi non sono disponibili;

 l'insufficienza della rete dei trasporti.

 Il sistema delle comunicazioni del Meridione non è ancora paragonabile a quello del Centro-Nord; e questo in una situazione di oggettiva distanza delle aree meridionali dal nucleo più sviluppato del sistema economico.

La difficoltà di accedere al credito.

Il fatto che le aziende meridionali si trovino in un ambiente sociale difficile porta il sistema bancario ad un'estrema cautela nella concessione del credito e alla richiesta di tassi di interesse superiori di 5-6 punti percentuali rispetto a quelli dell'Italia centro settentrionale.

 Il risultato è che le aziende si trovano spesso costrette a ricorrere a canali alternativi di credito, spesso di dubbia affidabilità (finanziarie che operano riciclaggio di capitali sporchi, usura);

la scarsa disponibilità di aree industriali attrezzate.

L'insediamento di nuove aziende è frenato dalla scarsità di terreni industriali attrezzati;

 la mancanza di strade, in buone condizioni (che sopportino un traffico di mezzi pesanti) collegate con le arterie principali, disincentiva chi potrebbe avere intenzione di investire al Sud; l'inefficienza degli enti locali nella loro necessaria interazione con le aziende.

L'insediamento di una nuova attività richiede il rilascio di una serie di certificati e documentazioni che spesso gli enti locali non sono in grado di fornire in tempi utili.

Questi ritardi di Comuni, Province, Regioni hanno un impatto non solo sulle regolari procedure di insediamento di un'attività produttiva, ma anche durante la vita dell'azienda.

 Alcune esperienze di sportelli unici e di agenzie per lo sviluppo territoriali, ancora in fase d’avvio, tardano a dare il loro contributo allo sviluppo.

 Le carenze nella formazione.

 Le aziende necessitano di manodopera qualificata che spesso non sono in grado di reperire in zona. In questo caso le realtà produttive scontano la mancanza di istituzioni formative che operino sulla base di una ricerca dei reali fabbisogni, e l'inutilità a questi fini dei corsi di formazione professionale regionali, che sono stati finora più uno strumento di assistenza indiscriminata ai disoccupati che un reale supporto al sistema produttivo;

l'incapacità progettuale degli enti locali. Per lungo tempo gli amministratori locali hanno dedicato le loro energie più alla ricerca di un contatto preferenziale con lo Stato erogatore di fondi e dispensatore di appalti, piuttosto che alla progettazione di uno sviluppo del proprio territorio.

  La mentalità dell'emergenza ha indotto in molti casi un graduale peggioramento dell'efficienza della pubblica amministrazione, con il disperdersi dell'azione del governo locale in una serie di interventi contingenti.

 Da ciò è derivata una incapacità di previsione e pianificazione di comuni, province e regioni.
Ai fattori ostativi che attengono allo sviluppo economico si aggiungono fattori altrettanto ostativi sul piano dello sviluppo sociale e della tutela dei diritti.

Le carenze della politica sul lavoro. Alla crisi occupazionale ed alla necessità di sviluppare politiche attive per il lavoro le Amministrazioni locali hanno spesso preferito un sistema di sostegno al reddito in forma di rendita anche prescindendo dal reale utilizzo dei lavoratori.

L’assoluta mancanza di una programmazione della formazione collegata alle richieste di lavoro hanno caratterizzato il funzionamento dei centri per l’impiego.

Va a ciò aggiunto un forte sviluppo del precariato nelle strutture pubbliche raramente finalizzato ad un ampliamento dei servizi.

L’insufficienza dei servizi sociali e sanitari. Questi settori particolarmente colpiti dai tagli delle varie finanziarie e dei sistemi di trasferimento delle risorse sono ancor più penalizzati nelle zone del meridione, per via del meccanismo di assegnazione delle quote economiche.

Inoltre una storica politica di sostituzione, anziché integrazione, del privato al pubblico ha provocato una tendenziale degenerazione delle strutture pubbliche e un conseguente taglio di investimenti.

Le regioni del mezzogiorno continuano a essere interessate da forti migrazioni sanitarie verso il centro nord.

Sui servizi sociali la risposta è stata o un taglio dei servizi o la delega a soggetti, spesso del privato sociale o cooperativo, non solo della gestione ma anche della programmazione dell’offerta con delega da parte degli enti territoriali.

La mancanza di una politica dell’ambiente e di contrasto del degrado del territorio.

 I cambiamenti che occorre favorire riguardano principalmente:

 la sicurezza, difendendo il suolo dai rischi idrogeologici e sismici;

l’efficienza, migliorando il livello tecnologico e introducendo elementi di concorrenza, tra soggetti pubblici, nella gestione dei servizi locali;

la quantità, aumentando le risorse disponibili nelle aree meno servite (acqua e energia);

la qualità, assicurando un patrimonio ambientale disinquinato, conservato e fruibile, e promovendone la valorizzazione;

 la sostenibilità, rispettando nel lungo periodo della capacità di carico dell’ambiente.

Il superamento delle carenze di interconnessione con le università e gli enti di ricerca.

uno sviluppo della ricerca, dell’innovazione tecnologica e dell’alta formazione mirati alla salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e alla tutela della salute dell’uomo e all’ottimizzazione dell’uso delle risorse.


La crescita e la continua riorganizzazione dell’economia possono realizzarsi solo in un contesto dove siano garantite regole di convivenza e il rispetto dei diritti di cittadinanza.

Il senso di insicurezza, d’altro canto, presente all’interno del corpo sociale non aiuta certo a sviluppare e gestire un processo di sviluppo della multiculturalità, una società multietnica, com’è, oramai quella meridionale .

Le istituzioni sembrano oscillare tra scelte di rigore e scelte di solidarietà umana caritatevole, ma comunque caratterizzate da una assenza di volontà di investire risorse per il reale inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro e nella società.


Le istituzioni devono darsi rispetto al fenomeno migratorio una politica di inserimento sociale e di regolarità nel lavoro.


Tale comportamento risulta ancora più rischioso in quanto la legge attuale, Bossi- Fini non prevede che l'immigrato possa lavorare finché è in attesa di permesso di soggiorno. Inoltre, una volta ottenuto il permesso di soggiorno egli perde il diritto a qualsiasi sussidio e deve abbandonare il centro d'accoglienza.

A questo punto si trova davanti a due possibilità: arruolarsi nelle file della delinquenza, oppure allargare la schiera dei lavoratori sommersi.

 
Intervenire su questi fenomeni affinché il sistema delle autonomie diventi fattore di sostegno allo sviluppo e soggetto di condizioni di sviluppo del territorio è uno degli obiettivi fondamentali che vanno perseguiti.


I vari livelli del sistema delle autonomie devono essere in grado di operare reciprocamente: questo è il requisito fondamentale per favorire lo sviluppo, la semplificazione amministrativa e l'uso corretto delle risorse in favore dei cittadini

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Il decentramento istituzionale deve andare oltre il livello delle regioni dove sembra essersi fermato, attraverso comportamenti e procedure accentratrici.

Quello a cui si assiste è il riproporsi del meccanismo stato-regioni nel rapporto regioni-enti territoriali dove il concetto di decentramento decisionale e gestionale è interpretato come mero trasferimento di risorse economiche.

A ciò va aggiunto il limite delle capacità programmatiche  delle regioni che raramente utilizzano tutti gli strumenti a loro disposizione a cominciare dal documento di programmazione regionale.


L’assenza di questo atto, tutt’altro che burocratico, costituisce un forte limite alla programmazione dei servizi e ad una gestione integrata del territorio e rischia di provocare scelte determinate dal contingente o, peggio, esclusivamente dalle risorse economiche storicamente distribuite ai vari territori

Per rendere operativo il lavoro è necessario realizzare a livello locale interventi negoziali che verifichino l’uso delle risorse, sia nazionali che comunitarie, attraverso una attenta analisi dei bilanci consuntivi e delle spese ed investimenti realizzati.

Verificare le priorità perseguite nella gestione economica degli enti territoriali permetterà, anche, una più corretta analisi degli effetti di tali scelte sia nell’immediato che, soprattutto per quanto attiene i fondi europei, di utilizzo nel lungo periodo.

Rilanciare la programmazione negoziata, a livello locale è reso ancora più urgente dalle nuove normative che questo governo ha approntato; per gli imprenditori di avere benefici economici e nazionali senza avere dipendenti, attraverso l’utilizzo del tempo determinato non farà che aggravare la condizioni dei lavoratori e rendere difficile l’intervento e il controllo dell’organizzazione del lavoro.

Rispetto ai nostri obiettivi vanno, quindi, definite azioni specifiche e priorità nei singoli territori che mettano al centro il lavoro e il superamento di una dilagante precarizzazione del lavoro.

Tra le priorità di intervento è possibile, fin d’ora, definirne alcune:

 

Intervenire sulle politiche e sulle scelte gestionali delle risorse idriche da parte dei soggetti pubblici attraverso una attenta valutazione dei costi, delle modalità di gestione e degli investimenti per una più corretta distribuzione e gestione.

Rivendicare un ruolo attivo degli Enti territoriali sulla politiche dell’accoglienza e dell’integrazione attraverso la verifica della destinazione di fondi e l’assegnazione di risorse umane formate capaci di gestire i progetti per gli immigrati extracomunitari.

Definire e contrattare interventi sulle politiche formative e sul sistema dei soggetti operanti nel mercato del lavoro dando ruolo e capacità ai soggetti pubblici e alla programmazione dei percorsi a sostegno delle politiche per l’occupazione

rilanciare i progetti finanziati dalla comunità europea collegando ad essi percorsi di formazione e politiche di gestione del personale affinché attraverso questi progetti si possa intervenire in modo stabile sul funzionamento della P:A.

intervenire sulle politiche di esternalizzazione o di cessione di funzioni da parte di soggetti pubblici ( Enti locali, sanità) e sul controllo della garanzia dei diritti dei cittadini e dei lavoratori

 porre in evidenza le innovazioni e le novità che pur ci sono state nella Pubblica Amministrazione meridionale per diffonderne l’applicazione e i vantaggi per i cittadini, i pensionati, i lavoratori.

 

Infine per promuovere, lo sviluppo, la coesione sociale, la tutela dei diritti, del lavoro e di cittadinanza, per trasmettere e affermare il nostro motto, della campagna delle RSU, “pubblico è meglio”, per difendere la pubblica amministrazione, la nostra gente, intensificare il contrasto alla mafia, abbiamo sottoscritto con la confederazione e il sindacato nazionale di pensionati un documento sulla contrattazione territoriale, che possa, dalle piattaforme da costruire a livello territoriale, da spendere anche in termini unitari con Cisl e Uil, in primo luogo nel mezzogiorno,  contrattare soluzioni di qualità dello sviluppo avanzate e di prospettive.