“Modifica della Costituzione: la Carta violata”

Convegno della FP Cgil Sicilia e Nazionale su Riforma della Costituzione

Messina 24 maggio 2005


INTERVENTI AL DIBATTITO:  "Disunita e diseguale, l'Italia della devolution"

 

 -  FRANCO SPANO’ - Segretario generale Camera del lavoro di Messina
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Massimo Villone – Senatore
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LUIGI SAVIO -  Segretario generale Funzione pubblica Campania
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SALVATORE CHIARAMONTE - Segretario generale Funzione pubblica Piemonte
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LUIGI VERALDI -  Segretario generale Funzione pubblica Cgil Calabria
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LILLO OCEANO -  Segretario generale Funzione pubblica CGIL di Messina
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ENZO MORIELLO -  Segretario generale Funzione pubblica Cgil Lombardia



Intervento introduttivo al Convegno dal titolo “Disunita e diseguale: l'Italia della devolution”  
FRANCO SPANO’, Segretario generale Camera del lavoro di Messina

Porto il saluto della Camera del Lavoro di Messina, ma anche della CGIL della Sicilia, a questa iniziativa che la Funzione Pubblica nazionale, insieme alla Funzione Pubblica regionale, ha voluto organizzare proprio in questa città per dare un significato particolare allo stesso tema. Lo fanno in una data che è anche abbastanza emblematica, il 24 maggio, che nell’immaginario collettivo del nostro Paese rappresenta la conclusione di una fase risorgimentale che ha portato all’unità del nostro Paese. E’ il giorno successivo ad un altro appuntamento emblematico, quel 23 maggio che ha rappresentato per la nostra Sicilia anche un segnale di riscatto rispetto a quel ragionamento che si fa e che è legato alla uguaglianza, che è un altro dei valori contenuti all’interno della Costituzione, e all’uguaglianza nella lotta contro le ingiustizie. Un appuntamento, quindi, che riteniamo importante. Il titolo, la Carta violata, dà un senso effettivo della gravità che si vive nel nostro Paese rispetto ad questo provvedimento di modifica costituzionale e dà anche il senso della sacralità della Costituzione italiana, quella nata dalla Resistenza nelle battaglie partigiane, nata anche con il sangue della lotta per la libertà.  E questo è il significato di quella Costituzione che aveva anche il senso e il messaggio che “mai più si sarebbe dovuto verificare quello che si era verificato prima”. L’aver messo in discussione meccanismi così delicati, così sensibili, come quelli degli equilibri territoriali attraverso la devolution, l’aver fatto scattare, attraverso forme di egoismi, quelli più beceri, quelli legati a forme primordiali, rischia di creare altre forme di disgregazione, forme di disgregazione che mettono in discussione elementi fondamentali su cui era nata la Costituzione italiana. Inoltre si mettono in discussione anche i diritti fondamentali e la loro universalità, la possibilità di poterli esigere e di poterli gestire nell’ambito dell’unità e dell’uguaglianza fra le diverse classi sociali, diritti fondamentali come l’istruzione, la salute, la sicurezza. Sono messi in discussione anche gli equilibri fra i poteri dello Stato, meccanismi molto sensibili, molto particolari che tendono, invece,  a ricreare sempre  più condizioni di squilibrio che possono portare a forme di totalitarismi, che abbiamo detto bisognava sconfiggere per sempre. Credo che questo debba essere oggi il significato fondamentale della nostra iniziativa, della vostra iniziativa, una iniziativa che deve tentare di recuperare una discussione e un dibattito che stenta ancora a decollare. Se malauguratamente ci porterà a realizzare il referendum, occorrerà una forte mobilitazione, che ancora non è adeguata a livelli dello scontro che abbiamo in atto Credo che questo oggi sarà sicuramente recuperato, sarà recuperato in una città come Messina, in cui il ragionamento dell’elemento di difficoltà che vive oggi il Mezzogiorno, e che potrebbe ancora ulteriormente accentuarsi a seguito di queste iniziative normative e delle modifiche costituzionali, è un elemento presente, pregnante. A Messina, oltre che la Carta violata, è violata anche la possibilità di avere un futuro e uno sviluppo dignitoso. In questa direzione, quindi, l’occasione è proficua per fare in modo che si possa rilanciare una nuova stagione di mobilitazione che tende a mettere al centro i valori costituzionali, ma che tende a mettere al centro la possibilità di avere uno sviluppo per la nostra città e per la nostra popolazione. In questo senso dico grazie ai compagni della Funzione Pubblica nazionale che hanno ritenuto di dover dare un segnale così forte con l’iniziativa che stamattina si sta mettendo in campo. Buon lavoro e grazie ancora.



Intervento al Convegno dal titolo “Disunita e diseguale: l'Italia della devolution”  
Massimo Villone – Senatore
 

(Riportiamo le parti essenziali dell’intervento del senatore Villone che, in parte, è andato perduto a causa di una cattiva registrazione. Il testo è stato “visto” dal sen. Villone,  le manchevolezze od errori sono da attribuire al lavoro redazionale, l’intervento che qui riportiamo è perciò un resoconto.)

”La prima questione è relativa al carattere unitario della nostra Costituzione,nel senso che la sua approvazione(dicembre 1947) è avvenuta con un voto pressoché unanime dei partiti politici presenti in Parlamento,alla Costituente, nonostante vi fosse già stata la rottura dei governi antifascisti di unità nazionale e nel dicembre 1947 venne costituito il primo governo De Gasperi senza la presenza dei partiti della sinistra.

 Questa scelta unitaria, ha portato alla definizione di una Costituzione condivisa da tutte le forze che avevano partecipato alla guerra di liberazione nazionale pervenendo alla formazione di una Carta capace di raccogliere gli elementi migliori della cultura comunista,socialista,cattolica e laica. La nostra è perciò una Costituzione che assume al proprio interno alcuni diritti sociali, successivamente definiti di cittadinanza che risentono dell’influenza politica del mondo del lavoro. 

La nostra democrazia è perciò parlamentare e il suo governo è di tipo democratico-parlamentare e cioè è un governo che trova e ricerca nel Parlamento,il luogo per la propria legittimità istituzionale.

Quindi, una interpretazione moderna ed equilibrata di un costituzionalismo rispettoso dei diritti fondamentali della persona e del principio della separazione dei poteri. 

Da questo punto di vista, decisivo è il sistema delle garanzie che sono gli istituti presenti nella nostra Carta. In primo luogo, il Presidente della Repubblica, che è il riferimento unitario e colui che ha i poteri per garantire gli equilibri (tra l’altro è l’unica figura che può sciogliere le Camere dopo aver accertata la impossibilità di definire una maggioranza parlamentare).

Inoltre, è la figura che rappresenta l’unità del paese tenendo conto della storia complessa di una nazione di recente fondazione. 

Sul terreno della separazione di ruoli e poteri, forte è la funzione della Corte Costituzionale in quanto organismo che verifica la legittimità costituzionale delle leggi che vota il Parlamento. 

L’altro istituto di garanzia è il Consiglio superiore della Magistratura che esprime giudizi sul lavoro della Magistratura, tenendola al riparo dai possibili condizionamenti politici. 

Le modifiche votate dall’attuale governo introducono una rottura degli equilibri che partendo da modifiche della forma di governo, in realtà tendono a scomporre l’assetto costituzionale. Infatti, partendo dall’assunzione che il voto popolare è esso stesso fonte di diritto; la maggioranza modifica di fatto la Costituzione potenziando quella che veniva definita la possibilità di una dittatura della maggioranza in opzione cogente che come effetto ulteriore produce una riduzione della complessità e una semplificazione che non può che andare a detrimento della tutela effettiva dei diritti sociali. 

Il Presidente del Consiglio diventa primo ministro,riassume in se tutti i poteri reali di governo e può cambiare ministro in qualsiasi occasione ed entra integralmente nel lavoro concreto di ogni singolo ministero;può sciogliere le Camere a proprio piacimento e diventa quasi impossibile l’esercizio del voto di sfiducia.
Il Presidente della Repubblica viene completamente spogliato delle proprie prerogative e diventa perciò una figura istituzionalmente inconsistente. Solo durante il fascismo ci fu un così grande accumulo di potere nella figura del Presidente del Consiglio che divenne Capo del Governo liquidando, di fatto, la figura del Re.

Ci troviamo in presenza di un assetto neoautoritario che non ha eguali in nessuna Costituzione dell’occidente democratico. 

Infine, la vicenda della devolution. In realtà, forse la modifica che abbiamo fatto nel precedente governo di centrosinistra con la modifica del titolo V della Costituzione,è stata una leggerezza.

Oggi,il governo di centrodestra punta ad accentuare il meccanismo di concorrenzialità tra le regioni nella fruizione di alcuni diritti fondamentali (istruzione, salute, sicurezza) che non sono più eguali nel territorio nazionale; ma vengono articolati in ragione della diversa capacità economica delle singole regioni e non c’è nessun elemento nazionale di riequilibrio delle disuguaglianze territoriali. 

Tutto ciò, soprattutto nelle regioni meridionali, porterà alla scomparsa dei diritti di cittadinanza per cui il rispetto di diritti fondamentali diverrà sempre più labile e le persone saranno sempre più costrette a pietre diritti che dovrebbero essere eguali in tutto il territorio nazionale come indica l’attuale Costituzione.

Ciò indurrà, nel Mezzogiorno, una ulteriore crisi di credibilità degli enti locali e delle istituzioni democratiche;uno sviluppo ulteriore del privato sociale che spesso è collegato ad elementi malavitosi o addirittura di criminalità organizzata”. 


 
Intervento al Convegno dal titolo “Disunita e diseguale: l'Italia della devolution”
 
  LUIGI SAVIO, Segretario generale Funzione pubblica Campania
 

Condivido l’impostazione che Teodoro Lamonica ha dato all’introduzione del dibattito stamattina, a partire dalla frase iniziale, le leggi sono di tutti, specialmente quelle che delineano i diritti di un popolo. Qui c’è una prima riflessione. Noi oggi stiamo discutendo dei guasti della riforma della Costituzione pensata, voluta e messa in itinere dal Centrodestra, però già stiamo facendo i conti con una riforma della Costituzione, quella del titolo V, fatta dal governo di Centrosinistra. Anche quella fu una modifica a colpi di maggioranza. Io penso che il primo segnale che dobbiamo dare stamattina, al di là della discussione di merito sui contenuti di una riforma che respingiamo in pieno, è che dovremo costruire sicuramente iniziative non solo di contrasto all’interno del Parlamento - e prepararci ad affrontare il referendum-, ma dare anche un segnale a chi sarà chiamato a governare dal 2006 in poi. Infatti errori rispetto a prove di forza su tentativi di modifica della Costituzione da parte di una sola parte del Parlamento sono errori che poi si pagano. Se la Costituzione è di tutti, bisogna che tutti contribuiscano a costruire gli elementi fondanti della Carta costituzionale. Teodoro Lamonica ha delineato i guasti che questa riforma porterà, io voglio sottolineare solo tre aspetti, che sono lineari all’idea dello Stato che ha questa maggioranza di governo. Idea che si traduce non solo nel tentativo di modificare l’assetto costituzionale, ma anche nella pratica quotidiana del suo governare rispetto allo smantellamento dello stato sociale, dei diritti universali, rispetto alla negazione di contratti collettivi di lavoro del pubblico impiego, elemento - guarda caso-, garante dei diritti e dell’utilizzo di questi diritti da parte dei cittadini. Non a caso ieri le Segreterie di CGIL, CISL e UIL hanno dichiarato lo  sciopero generale in tutto il Paese, sciopero generale che ha come parola d’ordine il rinnovo del contratto, ma che dietro ha il grande allarme che le strutture confederali lanciano rispetto alla deriva  che sta prendendo questo Paese riguardo l’assunzione dei diritti di una maggioranza che travalica tutto e tutti, all’accentramento di poteri forti che fa questa riforma costituzionale. Un accentramento che presuppone, a mio avviso, uno stato di perenne tensione del sistema, una sorta di crisi istituzionale permanente nei rapporti tra Stato ed altri livelli di governo o almeno la possibilità di una minaccia continua. Tutto il contrario, a mio avviso, di quello che è necessario per garantire un oleato e corretto funzionamento dei moderni sistemi di democrazia basati sulla pluralità di governo. Invece questa riforma rafforza la figura del Presidente del Consiglio tanto da apparire come una vera dittatura non solo della maggioranza, ma specialmente di chi ne è il leader, che può decidere da un momento all’altro vita, morte e miracoli della maggioranza e dello stesso Governo. Si limita, fino a sopprimere, il ruolo di arbitro del conflitto politico che oggi il Presidente della Repubblica svolge nel nostro sistema costituzionale, si indebolisce il ruolo della Corte Costituzionale, quindi  si creano, di fatto, i presupposti di una dittatura della maggioranza e del suo Presidente del Consiglio. Ma vi è un secondo rischio, a mio avviso ancora più grave: un sistema come quello che si vuole delineare non può in alcun modo funzionare secondo le regole della legalità costituzionale. Le inevitabili tensioni tra centro e periferie, legate al coesistere di una devolution che disfa l’unità nazionale, rappresentano un potenziale accentramento che soffoca ogni autonomia. Le inevitabili tensioni tra Camera e Senato, costruiti come due collegi di diversa natura e di diversa competenza, antagonisti tra loro fino al punto di chiedere un articolo sulla formazione delle leggi lungo più di una circolare ministeriale, la potestà legislativa regionale, acquisita attraverso la devolution e accompagnata da un sistema di finanziamento che premia le regioni con maggior capacità fiscale, possono modificare profondamente il peso, i valori dei principi sui quali è costruito il nostro sistema sanitario e i diritti ad esso legati, l’universalità, l’uguaglianza, la solidarietà. Contro questo noi siamo chiamati a fare una operazione di contrasto forte, sollecitando, anche da parte dell’opposizione, una maggiore incisività su questi temi che vanno al di là di una opposizione di principio rispetto a valori di questa controriforma. E’ necessario un grande movimento di massa all’interno del nostro Paese affinché si passi dall’illegalità alla legalità. Nella nostra regione è stato possibile impedire tutto questo grazie ad una discussione che ci ha affascinati ed interessati negli scorsi mesi rispetto alla questione dello Statuto. Statuto che è stato votato solo in prima lettura, quindi è chiaro che con la nuova legislatura bisognerà riprendere la discussione. E’ vero anche che questo Statuto è stato figlio di un clima politico all’interno della mia regione particolarmente difficile e pesante, dove i temi dei principi e della costruzione di una impalcatura quasi costituzionale sono stati messi in secondo piano rispetto alle discussioni per il numero dei Consiglieri, per il rapporto tra il Presidente e la Giunta, per la facoltà del Presidente di sciogliere la Giunta e il Consiglio. Ma alla fine abbiamo costruito uno Statuto che sicuramente va in controtendenza rispetto a quello che intende fare il Governo nazionale. Uno statuto che sottolinea all’interno di principi l’unitarietà e l’indivisibiltà dello Stato repubblicano, ma che è fortemente ancorato ai principi della democrazia, della solidarietà, dell’uguaglianza e della pace. Nel riconoscere l’unità nazionale, la Campania riconosce l’apporto delle diverse storie e culture, favorisce l’incontro tra civiltà e religioni del Mediterraneo e si riconosce come parte integrante del processo di integrazione europea. L’uguaglianza, il valore delle differenze di genere con  l’impegno a favorire la rimozione di tutte quelle cause che ostacolano la parità uomo donna, sono elementi principali del nostro Statuto. Nel quadro dei valori costituzionali la regione promuove il diritto al lavoro per tutti coloro che risiedono sul territorio nel pieno rispetto della loro dignità e libertà, favorendo l’elevazione sociale dei soggetti svantaggiati e proteggendo in particolare modo i giovani dai rischi di lavoro che possono minare il loro sviluppo psicofisico. C’è poi il grande riferimento all’importanza che la Campania intende dare al suo ruolo di centro d’incontro, di integrazione dei popoli del Mediterraneo, nel pieno rispetto dei loro diritti contro ogni forma di schiavitù, di torture e pena di morte, per  la tutela dell’ambiente, per la pace e la cooperazione tra popoli. Grande importanza viene data dallo Statuto ai capitoli della partecipazione della pubblicità dei piatti con l’istituzione, difficile per legge, di organi ad hoc disciplinando tutte le partite delle iniziative legislative popolari, questione dei referendum abrogativi e consuntivi, l’istituzione del difensore civico regionale e la costituzione degli organismi sulle pari opportunità, la consulta per gli immigrati. Grande risalto hanno la disciplina dei rapporti tra Regione ed Enti locali, con la previsione di trasferimenti di funzioni, risorse e personale da centro a periferia, con l’istituzione del Consiglio Regionale delle Autonomie, del Consiglio regionale dell’Economia con facoltà di iniziativa legislativa per regolamentare su materie economiche e sociali. Per ultimo l’istituzione anche del Consiglio regionale dell’Istruzione e della Formazione. La Regione assume inoltre la programmazione con metodo di intervento e di governo, prevede il documento di programmazione economico finanziaria, sancisce la netta separazione tra politica ed amministrazione con la responsabilizzazione della gestione da parte dei dirigenti. Questi sono i filoni cardine del redigendo Statuto della regione Campania che, ripeto, avrà bisogno di tornare in Consiglio per una rivisitazione generale, visto che non è stato possibile completare l’opera nella passata legislatura e che avrà bisogno di altri elementi, disposizioni regolamentari e leggi attuative per creare l’impalcatura tecnico-amministrativa a sostegno dell’usufrutto di questi diritti. La riforma della dirigenza regionale, la riforma della stessa struttura degli uffici e della struttura amministrativa della Regione saranno temi che ci porteranno ad un confronto serrato con il nuovo governo regionale, con la speranza, anzi con l’augurio e in alcuni casi con  la certezza, che riusciremo a fare un lavoro che sia un metodo che in questo Paese si può fare diversamente.



Intervento al Convegno dal titolo “Disunita e diseguale: l'Italia della devolution”  
SALVATORE CHIARAMONTE, Segretario generale Funzione pubblica Piemonte
 

Voglio, innanzitutto ringraziare la Funzione Pubblica siciliana e messinese per avermi invitato ad intervenire a questo convegno e per avermi concesso l’occasione di “ricomporre” la mia storia personale: siciliano di nascita e formazione e piemontese per residenza e professione posso, qui e sull’importante tema oggetto del convegno, risolvere questa dicotomia e intervenire da cittadino italiano e dirigente sindacale. Molte sarebbero le questioni di cui mi piacerebbe parlare, fra quelle illustrate da Teodoro La Monica nella sua relazione introduttiva, ma, per esigenze di brevità mi soffermerò solo su alcuni aspetti di questa controriforma costituzionale e proporrò alcune riflessioni. Intanto, penso sia utile e necessario cominciare a chiederci, come grande organizzazione sociale democratica, cosa sia meglio fare per contrastare e battere questo progetto di scardinamento della legge più importante del nostro ordinamento, come contribuire a far crescere nel paese l’attenzione su questioni che possono apparire, alle persone normali ai non addetti ai lavori e in una fase difficile e dura come l’attuale, distanti e di valore accademico. Parliamo di assetti del potere democratico e delle istituzioni, del sistema di garanzie, di tutela di diritti costituzionali, di carattere universale e solidale del welfare. Tutti territori investiti dal vento freddo di una controriforma che, nata come concessione tattica alla Lega Nord, si è via via trasformata diventando, alla fine, un  tassello importante della politica di tutto il centro destra, punto di convergenza e composizione di richieste e istanze differenti presenti nell’attuale maggioranza di governo: sono infatti accolte nel testo le richieste di presidenzialismo forte (al limite dell’autoritarismo) sostenute da AN, la volontà di forte ridimensionamento del sistema di contrappesi istituzionali e dei controlli di garanzia insite nel berlusconismo, le pulsioni anti-unitarie e anti-solidali della Lega nord, e via dicendo. Penso sia necessario che il prossimo congresso della CGIL debba porsi, tra gli altri, l’obiettivo di elaborare strumenti e modalità utili a far si che gli argomenti, pure condivisi nella nostra Organizzazione, contro la controriforma possano diventare comprensibili e condivisibili dalla maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori, dei giovani, dei pensionati, della generalità dei cittadini italiani che saranno chiamati a decidere con il referendum che si terrà nel 2006. Mi piace pensare che questo convegno, oltre alle iniziative già proposte finora dalla CGIL  e dalla nostra categoria, possa dare un contributo in questa direzione. Del progetto di modifica costituzionale sappiamo già tutto, sappiamo che la strategia autoritaria e plebiscitaria che ad essa sottende è fondata su premierato assoluto; riduzione del potere legislativo e politico del parlamento; demolizione dei “contrappesi democratici” e riduzione delle funzioni e degli organi di garanzia, dalla presidenza della repubblica alla corte costituzionale; devolution e attacco al welfare; formazione di centralismi regionali a scapito del ruolo e dell’autonomia del governo locale. Su questi ultimi due aspetti penso sia utile un approfondimento. In molte zone del nord del paese, Piemonte compreso, la concezione del federalismo sostenuta dalla Lega nord è più diffusa di quanto possa apparire o si possa desumere dalla lettura dei risultati elettorali - la Lega non è così forte e radicata in Piemonte, a differenza del Lombardo-veneto- . E’ cioè da molti condivisa la convinzione che il federalismo sia, attraverso l’impiego diretto in loco delle risorse prodotte, una sorta di risarcimento di ciò che è stato in questi anni rubato da Roma per alimentare l’assistenzialismo e le istanze parassitarie del Mezzogiorno. In questa visione non vi è spazio alcuno per compensazioni dello Stato centrale, a valere sulla contribuzione di tutti, per dare a chi ha più bisogno, per attivare promozione sociale ed economica, realizzando solidarietà. Si determinerebbe, invece, un’azione di “controllo”, di “tutela” delle regioni forti (datrici) nei confronti di chi riceve risorse economiche. Naturalmente, in un tale quadro, il modello scelto per realizzare e gestire i servizi sul proprio territorio sarebbe imposto da chi dispone ed eroga le risorse, con tanti saluti alla autonomia e alla autodeterminazione di importanti porzioni del territorio. Anche questa convinzione è stata utilizzata per produrre le norme costituzionali che, sotto il nome di devolution, rischiano di dare un colpo mortale allo stato sociale, attaccandone due punti fondamentali quali la sanità e l’istruzione. E appaiono insufficienti e non tranquillizzanti le affermazioni circa il fatto che si manterrebbe allo Stato, in tema di Sanità, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che dovrebbero essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Come potrà tale norma essere esigibile se, con l’introduzione del cosiddetto “federalismo fiscale”, alle regioni sarà attribuita competenza piena anche sul prelievo delle risorse con l’imposizione fiscale? A quali continui e ripetuti conflitti assisteremo fra uno Stato che non volesse rinunciare a prescrivere i livelli di assistenza da garantire a tutti i cittadini sul territorio nazionale e le regioni che volessero difendere il potere (assegnato loro dalla devolution) di realizzare un proprio sistema sanitario regionale, concorrenziale sui costi ma non sulla qualità dei servizi?

Senza la previsione in Costituzione di regole certe e cogenti per realizzare perequazione fra le diverse realtà sociali ed economiche, diventano privi di significato concreto solidarietà e impegno allo stato sociale minimo. Altrettanto forti sono poi le critiche alla devolution, se ne esaminiamo le conseguenze anche sul piano della tenuta delle regole contrattuali per il pubblico impiego.

Condivido tutta la preoccupazione espressa da Teodoro nella sua relazione. Si prefigura con la devolution e la formazione di 21 sistemi sanitari e scolastici regionali lo smantellamento del contratto nazionale di lavoro che aveva garantito fino ad oggi la garanzia di diritti fondamentali, dell’equità e omogeneità della retribuzione e della garanzia della sua capacità di tutelare il potere d’acquisto su tutto il territorio nazionale. Non è una ipotesi, ma una certezza, considerato che una differenziazione su base regionale dei trattamenti retributivi e normativi rappresenterebbe una codificazione delle cosiddette “gabbie contrattuali”, altra aspirazione della Lega Nord. Accanto allo smantellamento dei contratti nazionali, prospettiva contro cui naturalmente ci battiamo, verrebbe inflitto dalla controriforma un grave colpo al tessuto forte diffuso e democratico del governo locale e del sistema delle autonomie.

Balza subito agli occhi, infatti, che si prefigura nel progetto delle destre la formazione di nuovi centralismi regionali, accanto a quello – rafforzato – dell’autorità di governo centrale. In qualche modo si pensa di ripetere moltiplicandolo per il numero delle regioni un sistema di relazioni diretto (“plebiscitario”) tra governatore e cittadini. Solo a questi si rapporterebbero il Primo ministro e i “governatori” regionali, ignorando – e quindi – destrutturando un quadro democratico delicato ma fin qui efficace fatto di istituzioni locali, di associazioni e organizzazioni rappresentative degli interessi locali, di corpi intermedi politici e sociali. Altro che sussidiarietà  e federalismo solidale! La stessa risposta, preoccupata e condivisa (al di là delle differenze di segno politico) da pressoché tutti i soggetti del governo locale al disegno di legge costituzionale, sostanziata più volte anche in prese di posizione formali, sta a dimostrare la fondatezza di questa preoccupazione. Il governo locale e, in particolare, le Regioni hanno avuto a disposizione un’occasione importante per sostanziare con forza il rifiuto del quadro che ho delineato sopra: in fase di scrittura e approvazione dei rispettivi statuti ogni regione avrebbe, cioè, potuto rafforzare principi e rapporti messi in discussione dagli autori del disegno di legge. Poche regioni lo hanno fatto e il Piemonte, purtroppo, non è fra queste. Il nuovo statuto regionale piemontese appare come legge minima, fatta quasi solo per dovere, e quel minimo di confronto fatto anche con il sindacato non ne ha alzato il valore ne migliorato i contenuti. Il Consiglio regionale tutto, compresa la opposizione di allora, si è mostrato più appassionato a meccanismi elettorali o alla definizione puntuta dei poteri dei vari organi regionali, non valorizzando invece, come chiedevamo, gli strumenti della programmazione condivisa con i comuni e le province, la concertazione come metodo ordinario di rapporto con organizzazioni sociali e sindacato, evitando di osare sul terreno della valorizzazione dei diritti “aggiuntivi”. Pensiamo, ad esempio a quelli – sociali e politici – degli immigrati. Il nuovo quadro politico emerso dalle ultime elezioni mi fa sperare che un recupero dell’occasione perduta possa e debba essere tentato, a condizione che il dibattito politico e culturale su queste questioni sia forte e diffuso, più di quanto non lo sia stato finora. Per noi si tratta di lanciare una grande campagna di informazione e di sensibilizzazione sui temi della difesa delle istituzioni democratiche, del sistema di garanzie, del carattere universale e solidale dello stato sociale che accompagni e contribuisca alla crescita dell’opinione pubblica contro la controriforma costituzionale. Nello scrivere le nostre agende, riserviamo – da qui al giorno del referendum – spazio e tempo a questo lavoro, per poter segnare, alla data del referendum un impegno che suoni più o meno così: “oggi si vota e si rimanda al mittente una pessima legge”. 


 
Intervento al Convegno dal titolo “Disunita e diseguale: l'Italia della devolution”
 
LUIGI VERALDI, Segretario generale Funzione pubblica Cgil Calabria
 

Stamattina, qui a Messina, discutiamo del progetto di riforma della Costituzione del centrodestra, un progetto che si sostanzia in una vera rivisitazione non solo di quello che è lo Statuto in generale, ma anche una sorta di esautorazione di quelle che sono alcune questioni che ci riguardano direttamente e per le quali - dobbiamo dirlo tra di noi - non abbiamo avuto opportuna forza. Allora, io penso che la cosa nella quale dovremmo essere impegnati, a partire dalla nostra conferenza di programma che si terrà a fine giugno - che penso sia l’occasione giusta, non irripetibile, ma una delle occasioni, così come diceva Chiaramonte, in agenda nella quale far rivivere queste contraddizioni -, altrimenti rischiamo di affrontare in maniera diversificata le stesse questioni a livello centrale. Io sono convinto che dovremo lavorare molto per quanto riguarda l’informazione, sapendo che lavoriamo in un momento particolare, che è il momento della crisi, della recessione economica, il momento in cui non rinnoviamo i contratti, il momento in cui c’è una attenzione- scusatemi il bisticcio di parole- che è disattenta rispetto a quelle questioni. Lo stesso senatore Villone lo affermava, c’è stata una sottovalutazione in una prima fase di queste questioni, anche noi - diciamocelo per intero - siamo stati in pochi ad immaginare di ragionare su alcune questioni che, invece, riguardavano tutti. Queste situazioni sicuramente noi dovremo rivederle, dobbiamo immaginare di creare soluzioni positive che sicuramente riguardano in piccolo le nostre regioni sapendo che c’è di mezzo anche questo grande conflitto. Noi abbiamo ampiamente maturato l’idea che l’aiuto che poteva venire al Mezzogiorno in questo bisticcio, in questa discrasia tra nord e sud e che è ancora di più acclarata da questa vicenda, sapere che l’intervento straordinario non poteva essere quello esaustivo è stato quello che alla fine abbiamo pure contestato. E immaginare che ragioniamo, anche rispetto alla riforma istituzionale di questo Paese, in maniera più congrua, diventa sicuramente la prima necessità. Ebbene penso che non c’è bisogno di inventarsi ricette, noi per un periodo abbiamo visto anche ha funzionato nelle nostre regioni la stagione della programmazione negoziata, non è il fatto di farla rivivere o perché siamo innamorati di quello strumento, ma penso che anche dalle cose che ho sentito stamattina dal rappresentante dell’Assindustria, dalla volontà di avere quello che noi rappresentiamo, una pubblica amministrazione trasparente che è sempre più in linea con i tempi, che non si occupa solo della contrattazione ma che cerca di riorganizzare. Il grande problema, ad esempio, nelle regioni meridionali –a partire dalla mia- dove non si sono fatti i famosi sportelli unici e i centri per le attività imprenditoriali, è il caso di riproporli, riproporli in maniera vecchia o diventa un elemento di insopportabilità di un decentramento amministrativo che non è avvenuto. Io non conosco il resto della mappatura, nemmeno quella siciliana, rispetto alla questione dei servizi, ma posso garantirvi che nella mia regione, al di là delle scritture, delle questioni che riguardavano lo statuto, è rimasta inalterata la questione dell’avvicinamento dei servizi alla cittadinanza, quindi siamo una regione che ha approvato il suo statuto ma ha inapplicato il decentramento amministrativo. Questa è una grande preoccupazione che, immaginerete, comporta che, accanto alle questioni a livello centrale, ci siano delle situazioni che si sposano direttamente con una prospettiva di attesa, di sviluppo, di democrazia che sicuramente non sono quelle contenute in un contesto che ci vede rintuzzare le grandi esclusioni. Non voglio nemmeno ripetere le questioni sulle quali vige una sorta di preoccupazione nel nostro Paese, ritengo fra l’altro che non riguardi nemmeno per intero la questione del Sud, del Mezzogiorno. Sapere di dover ragionare su questioni che riguardano la salute delle persone, l’istruzione, la sicurezza, come un qualcosa che attiene ai poteri esclusivi, significa sicuramente inasprire quella che era la vicinanza nel rapporto di diritto universale. Sicuramente non è questo quello che ci hanno insegnato, quello che abbiamo cercato di trasferire in tutte le nostre azioni, compresa quella della contrattazione. C’è una abrogazione, una abolizione in toto della solidarietà, come si può immaginare, e fra l’altro io non mi sento affatto garantito da una eventuale creazione di ventuno sistemi regionali di sanità, ventuno sistemi di polizia locale. Per quanto riguarda la polizia locale ci siamo tutti quanti sforzati per più di una legislatura, quindi fuori da ogni inciucio, che le forze di polizia rappresentavano, quanto meno anche per noi nel Mezzogiorno, quella forza di coordinamento e di unità che lottava contro quel fenomeno. E immaginare di doverla in un certo senso spezzettare senza una sua uniformità mi provoca un assurdo perché sicuramente riesco a comprenderlo meglio in quanto la mia regione insieme con la vostra regione è quella che vive di più queste problematiche, è sicuramente quella che di più proprio su questo problema, sulla questione di ordine ambientale, non ragiona sulle questioni di possibilità di sviluppo. E vorrei anche ricordare- e concludo- che la cosa che mi preoccupa di più, e di cui ho sentito solo un accenno, è che all’interno di questa situazione sicuramente non saranno più i vecchi meccanismi, da rivisitare d’accordo, quelli perequativi che garantivano una sorta di scambio sia a livello orizzontale che verticale; questo sicuramente scardina il nostro sistema, scardina il sistema nord sud, scardina il sistema delle regioni meridionali, e io penso che proprio il fatto di aver ospitato questa importante riflessione in una regione del Sud ci obbliga sicuramente ad essere più veementi nell’informazione, nella democrazia di consenso proprio per immaginare di costruire quelle proposte di cui si parlava prima in maniera più verosimile, in maniera più partecipata. Questo è il fine che cerchiamo, che immaginiamo, cerchiamo di evitare che ci siano imposte delle questioni che in pochi hanno deciso e cerchiamo, invece da parte nostra di attuare, di attivare percorsi di grande partecipazione democratica, di lotta, d’azione, ma anche di proposte formali.



Intervento al Convegno dal titolo “Disunita e diseguale: l'Italia della devolution”  
LILLO OCEANO, Segretario generale Funzione pubblica CGIL di Messina
 

Io vorrei, intanto, ringraziare le personalità e le autorità che sono intervenute al nostro convegno, vorrei ringraziare le compagne e i compagni della CGIL nazionale, della Funzione Pubblica nazionale che sono qui venuti patendo i disagi e le difficoltà per raggiungere Messina. In queste difficoltà e in questi disagi l’unica cosa di cui non hanno sentito la necessità è quella del ponte che noi, come loro, ci auguriamo che non venga mai iniziato. Ringrazio, infine, la Funzione Pubblica nazionale e quella regionale per aver scelto Messina - questa città difficile, questa città dove le regole spesso devono essere inseguite dalle indagini della magistratura, dove le regole non vengono rispettate - per aver scelto questo luogo per trattare un tema così importante e così delicato. La modifica Costituzionale disegnata da questa maggioranza, voluta con determinazione da una parte specifica della maggioranza, aumenterà le sperequazioni tra il nord e il sud del paese, tra la Lombardia e la Calabria, tra il Piemonte e la Campania… e la Sicilia. Se guardiamo agli effetti del federalismo così come realizzato dal governo nazionale e da quello regionale qui in Sicilia, dobbiamo esprimere grande preoccupazione, denunciare che questo stato di cose penalizza fortemente i cittadini e compromette il futuro del welfare. I guasti che il centro destra ha provocato su gran parte del territorio nazionale, costituiscono un vero e proprio disastro sociale soprattutto nel mezzogiorno, più debole e più fragile, più arretrato e più povero, con meno tutele e meno diritti. Messina è una città di 250.000 residenti, area metropolitana, secondo le statistiche la 12° d’Italia per numero di abitanti e per estensione. Secondo la classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita è ultima, per il secondo anno consecutivo. Due soli asili nido, un’unica casa di riposo pubblica, servizi all’infanzia praticamente inesistenti, centri di aggregazione giovanile a intermittenza, assistenza domiciliare integrata erogata con il contagocce. Le già insufficienti risorse destinate ai servizi sociali, all’assistenza agli anziani, alla non autosufficienza, alle famiglie bisognose, all’handicap, al disagio sociale, alle dipendenze, vengono ulteriormente tagliate ed una parte importante di queste limitate risorse viene destinata a finanziare la politica attraverso la creazione di un vero e proprio carrozzone, l’Istituzione per i servizi sociali, soggetto per il quale la regione siciliana - caso unico nel panorama nazionale - s’è inventata la personalità giuridica, e il cui consiglio di amministrazione, il direttore generale e i dirigenti (a contratto di diritto privato), gli esperti, le spese generali etc. costano circa 500.000 euro, un miliardo delle vecchie lire. Il cofinanziamento previsto ai sensi della 328, di 3 euro per abitante a carico del bilancio comunale qui non costituisce, come dovrebbe, un finanziamento aggiuntivo per incrementare i servizi esistenti e per sovvenzionare servizi aggiuntivi, ma viene individuato all’interno delle risorse già destinate nell’anno precedente. Pochi soldi e spesi male, senza programmazione, guardando ai bisogni del passato, ignorando le nuove povertà, e pensando alle clientele elettorali. L’applicazione in salsa siciliana delle legge Ronchi produce la moltiplicazione degli Ambiti Territoriali Ottimali che da uno per provincia diventano 27, in provincia di Messina ben 5. Ottimali, diciamo, per creare 5 presidenti, 5 consigli di amministrazione, 5 amministratori delegati, 5 apparati, esperti, appalti e subappalti. Un gran numero di incarichi utili per il sottobosco della politica, per finanziarne gli intrallazzi. Il tutto a carico di società ad intero capitale pubblico, finanziato dalle tariffe a carico dei contribuenti, che aumenteranno sino a quintuplicarsi. La regionalizzazione della sanità così come realizzata non garantisce livelli uniformi di assistenza, nega il diritto alla salute e obbliga i siciliani ai ben noti viaggi della speranza. Lo spreco determinato dalla Regione che ha allargato a dismisura il convenzionamento delle cliniche private – ben 1826, numero addirittura 20 volte superiore a quello dell’Emilia Romagna e pari a quello di tutte le altre regioni messe assieme – ha provocato, insieme alla gestione allegra della spesa farmaceutica, l’esplosione della spesa sanitaria. A questo si somma la lottizzazione selvaggia degli incarichi manageriali e dei primariati e addirittura di tutti gli incarichi dirigenziali e delle assunzioni. Tutto questo ha portato al taglio dei posti letto pubblici, proprio a vantaggio di quelle strutture private che sono la causa dello sforamento della spesa, l’introduzione di ticket che incidono pesantemente sulle famiglie e che producono l’effetto, paradossale o cinicamente predeterminato, di dirottare le richieste verso il privato. Siamo in presenza di scelte studiate a tavolino, costruite attraverso comportamenti determinati. E’ la via siciliana alla privatizzazione della sanità: una privatizzazione fatta di denaro sporco, di personaggi ambigui, di intrecci tra mafia, politica, tessuto imprenditoriale, e, come ha denunciato il procuratore Grasso, del coinvolgimento nelle inchieste per mafia di una parte consistente del classe medica della nostra regione. Quest’ultima denuncia può sorprendere qualcuno, ma non sorprende noi che questo fenomeno lo denunciamo da tempo, da ultimo lo ha fatto la FP CGIL Medici siciliana nel convegno Cadaveri non eccellenti. Purtroppo, nella storia della nostra terra, i medici mafiosi non sono una novità: i medici Michele Navarra, Gioacchino Pennino, Antonino Cinà, Giuseppe Guttadauro, Vincenzo Greco sono soltanto i nomi più conosciuti della storia della mafia siciliana recente e meno recente. In questa quadro anche i diritti dei lavoratori vengono pesantemente messi in discussione: i tagli ai servizi sociali, le esternalizzazioni, il ricorso sempre più frequente ad appalti per la gestione dei servizi pubblici, ospedali, comuni, siti archeologici, tribunali, si traducono nella frammentazione del ciclo produttivo, nella contemporanea presenza, nel medesimo luogo di produzione, di donne e di uomini che svolgono lo stesso lavoro ma con retribuzioni e diritti diversi. Spesso, sempre più frequentemente, le retribuzioni degli addetti diminuiscono in valore assoluto, perché si divide il lavoro che c’è, perché i bandi di gara non tutelano i lavoratori. Perché si diffonde il lavoro nero dentro le pubbliche amministrazioni. Il lavoro nero degli LSU, che vengono utilizzati negli uffici pubblici nelle stesse mansioni di chi ha un contratto a tempo indeterminato, ma ricevendo soltanto un’indennità non paragonabile alla paga contrattuale, senza diritti, e senza il versamento di contributi previdenziali. Il lavoro nero dei dipendenti delle ditte che vincono gli appalti nei servizi, che non vengono messi in regola o per i quali viene applicato uno dei 49 contratti atipici previsti dalla legge 30, che non percepiscono le retribuzioni. Il presidente Cuffaro tenta di realizzare una società pubblica della Regione per la intermediazione di manodopera verso gli uffici pubblici regionali. E’ questa la sua risposta alla precarietà del lavoro!! Clientela e ricatto, abuso e spreco. Insomma si spendono più soldi, si erogano meno servizi, si garantiscono meno tutele, vengono aumentate le tasse e le tariffe locali. Si fanno affari e le donne e gli uomini siciliani vengono declassati da cittadini a sudditi. Questa situazione non è stata provocata solo dalla riduzione dei trasferimenti ai comuni ma anche dalla cattiva gestione degli stessi enti locali. Hanno pesato certamente i tagli imposti dalle finanziarie nazionali, dallo sfascio dei conti pubblici conseguito dalla dissennata politica economica del governo Berlusconi, dall’attacco al welfare condotto anche attraverso la riforma dell’Irpef, che senza apportare alcun beneficio alle famiglie sottrae importanti risorse ai servizi pubblici, e dalle finanziarie regionali e dalle scelte improntate ad un neocentralismo regionale la cui finalità principale è quella di asservire le autonomie locali ai gruppi politici dominanti. Ma si deve anche denunciare la gestione dei comuni e delle province, i cui sindaci e presidenti mugugnano in privato per i tagli ma non dicono nulla nelle sedi istituzionali, riducono i servizi sociali ma continuano a nominare esperti e consulenti, non si occupano dei bisogni dei cittadini, ma spendono tanti soldi, troppi, nelle sagre paesane e per pagare i giochi d’artificio. Il sistema dei controlli amministrativi è stato cancellato, è stato modificato il meccanismo di nomina del Consiglio di Giustizia amministrativo per renderlo ancora più controllabile, è stata condonata l’evasione delle tasse, si sanano gli scempi edilizi delle nostre coste, si mostra continuamente insofferenza per il ruolo esercitato dal Commissario dello Stato, costretto ad impugnare numerosissimi provvedimenti dell’ARS. Su tutto ciò si abbattono le inchieste della magistratura: vengono arrestati o coinvolti imprenditori, sindaci, tecnici comunali, medici, professori universitari, carabinieri, giudici, commissari regionali, assessori della giunta Regionale, le inchieste si accavallano, si intrecciano, e riguardano lo stesso presidente della regione. Questo stato di cose conferma come il sistema di welfare della nostra regione, anche per la quantità di risorse che sposta, si intreccia con l’altra grande questione di questa terra: il rispetto della legalità. Ecco, sta pensando qualcuno, la solita solfa della mafia della mancanza di legalità. Io credo, invece, che ci sia un nesso profondo tra l’assenza di legalità, il mancato rispetto delle regole, l’insofferenza per i controlli e gli organi di controllo, e il tema del nostro convegno. Una parte rilevante della legge di modifica della Costituzione approvata dal parlamento, cancella o depotenzia il ruolo degli organi di controllo. E’ la trasformazione in legge dell’insofferenza verso le regole, verso i controlli, verso l’equilibrio dei poteri, insomma dell’insofferenza verso la democrazia e la legalità. E’ la traduzione in norma costituzionale del lavorio di smantellamento dello Stato portato avanti dalla maggioranza di centro destra. La Costituzione del 48 ha reso impossibile la “dittatura della maggioranza”. Per questa ragione negli ultimi anni è stata vissuta come un impaccio, un insieme fastidioso di vincoli di cui sbarazzarsi. Questa la ragione che anima il tentativo di grande riforma che oggi ci troviamo a fronteggiare. Si vara una modifica - compreso quel significativo accessorio della riforma dell’ordinamento giudiziario - che costituisce un vero e proprio sfregio alla Carta Costituzionale, segna una reale e profonda discontinuità con la Costituzione vigente, minaccia concretamente l’universalità di diritti fondamentali, istruzione, salute, sicurezza attribuendo alle regioni competenza esclusiva su tali materie e sulle modalità di organizzazione dei relativi servizi. Quanto sarà ancora più diversa la sanità della Lombardia dalla nostra. E la scuola? La polizia amministrativa garantirà diversi livelli di sicurezza e legalità? I lavoratori siciliani avranno diritti diversi da quelli delle altre regioni? La mancata applicazione del federalismo fiscale, del fondo perequativo nazionale, rischiano di condannare le regioni arretrate ad ulteriore arretratezza, a far diminuire le già insufficienti tutele. Questa legge annulla tutti i meccanismi di garanzia esistenti: altera l’equilibrio democratico tra maggioranze e minoranze, l’equilibrio parlamentare tra poteri e contropoteri del governo, l’equilibrio nazionale tra unità e pluralismo territoriale; prevedendo un Premier con poteri vastissimi che esautorano il Parlamento; privando il Presidente della Repubblica di poteri effettivi, aumentando i giudici di nomina politica nella Corte Costituzionale. Questa riforma modifica in modo tanto esteso la seconda parte della Carta da rendere inevitabili ricadute dirette anche sulla prima parte della Costituzione, quella immodificabile, che stabilisce diritti e libertà dei cittadini. Diritti e libertà che ricevono solidità e saldezza dagli istituti attraverso i quali è stata organizzata la rappresentanza, e sono stati distribuiti, bilanciati e divisi i poteri. Senza tali istituti o con il loro depotenziamento, i diritti e le libertà appassiscono. Tutto questo ci porta a guardare come potrebbero essere l’Italia e la Sicilia della devolution, e ciò che vediamo non ci piace. Per queste ragioni questa legge non deve entrare in vigore, deve essere osteggiata, con l’unico strumento democratico che resta: il referendum Costituzionale. E i cittadini della nostra regione hanno, come vi sarete resi conto, qualche ragione in più per contrastare questo disegno. Le lavoratrici e i lavoratori che rappresentiamo le cittadine e i cittadini, già si sentono di serie b rispetto a quelli delle altri regioni ed è chiaro che con questa riforma lo saranno ancora di più. Perché è nello spirito di questa devolution assecondare gli egoismi, aumentando il gap e le differenze già esistenti, non appianandoli

 


 Intervento al Convegno dal titolo “Disunita e diseguale: l'Italia della devolution”  
ENZO MORIELLO, Segretario generale Funzione pubblica Cgil Lombardia
 

Condivido il titolo di questo Convegno. La modifica della Costituzione fatta approvare dal Parlamento in prima lettura dalla maggioranza di centrodestra è una violazione della nostra Carta Costituzione. Dalla Regione Lombardia è partita, con forza  l’idea di quel federalismo regressivo ed antisolidale che rischia di essere sancito nella nostra Costituzione formale. Voglio cogliere l’opportunità di questo importante convegno per smentire l’idea che la devolution regressiva per l’unità, sia utile e positiva per i cittadini della Lombardia. Lo ricordava Teodoro Lamonica nella sua relazione. In questi anni il governo nazionale sta rompendo l’equilibrio sociale e democratico che, nel bene e nel male, ha segnato la storia politica nel nostro paese. C’è il tentativo di sovvertire il patto di  solidarietà nazionale  che si regge sul rapporto tra fiscalità generale  e Stato Sociale. L’esperienza lombarda non è diversa, anzi è emblematica  dell’idea di società che le politiche del centrodestra stanno cercando di affermare nel nostro paese. C’è il tentativo di rompere - lo ricordava Lillo Oceano - gli equilibri istituzionali, con un progetto di revisione Costituzionale che concentra i poteri nelle mani del Presidente del Consiglio dei Ministri legittimato per via plebiscitaria, senza controlli né contrappesi. La Lombardia sta già sperimentando un processo di graduale stravolgimento della Costituzione formale. Non a caso molti suoi provvedimenti, negli ultimi anni, sono stati impugnati per sospetta legittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale. Formigoni ha cercato, nei mesi scorsi, di  costruirsi un’immagine di autonomia, dal Governo nazionale e dalle sue politiche. Ha cercato di dimostrare di essere capace di essere punto di riferimento di uno schieramento di forze e culture diverse, da quelle che si richiamano al solidarismo cattolico a quelle espressione del riformismo italiano e lombardo. Un’immagine senza alcun fondamento reale, cui credono sempre meno anche i cittadini lombardi che hanno ridotto  il consenso al centrodestra della Lombardia e allo stesso di Formigoni di 10 punti  percentuale e di 750.000 voti. Ripeto  una diversità  senza fondamento come dimostrano le politiche  dei 10 anni passati e quelle preannunciate per la prossima legislatura regionale.  Alla fine della scorsa legislatura la Giunta Formigoni uscente ha presentato un progetto di legge sulla sussidiarietà che è stato giudicato dalla CGIL Lombardia e dalla  FP eversivo. Eversivo perché rovescia principi costituzionali in quanto è basato sul principio ideologico del primato della persona  con una radicalità ispirata  più che alla nostra Carta Costituzionale al modello culturale  dei  neoconservatori americani. Nel PdL regionale si afferma  che: “La Regione e gli Enti Locali esercitano le funzioni amministrative  solo qualora la finalità pubblica non possa essere perseguita efficacemente dalla persona, dalle famiglie o da ogni altra formazione sociale  attraverso  la propria attività”. Un progetto che, se venisse approvato, comporterebbe la liquidazione dello spazio pubblico, lo svuotamento del ruolo delle istituzioni locali, l’affidamento al mercato di funzioni e servizi finora considerati garanti di diritti di cittadinanza. Si tratta di un progetto, tra l’altro, affidato ad una legge  ordinaria su temi che dovrebbero essere oggetto di quello Statuto regionale che la Regione, a differenza di quasi tutte le altre Regioni non ha ancora approvato. Un’idea di federalismo molto distante dal federalismo solidale che avevamo immaginato per mantenere unito quanto rischiava di dividersi sotto la spinta  secessionista della Lega. Il federalismo solidale che avevamo sostenuto era ispirato all’art. 5 della Costituzione, dall’idea che un più forte regionalismo ed un più ampio decentramento amministrativo potessero contribuire ad attuare meglio, e con una maggiore prossimità ai bisogni e alle domande dei cittadini, il principio di uguaglianza  sostanziale dell’art.3 della Costituzione,  quello ritenuto  da tanti costituzionalisti la bussola con cui leggere tutta la Costituzione: è compito della Regione, e quindi  dello dei Comuni, delle Province, delle Regioni e dello Stato, correggere le disuguaglianze di fatto e promuovere  il pieno sviluppo della persona. Quella lombarda è un’idea di federalismo egoistico  e competitivo che rischia  di ricevere una più forte spinta dalla violazione della Costituzione che il progetto di modifica del Governo vorrebbe realizzare. Ma vorrei cogliere l’opportunità di oggi anche per denunciare un altro rischio di involuzione democratica dell’assetto istituzionale della Regione Lombardia. La nuova Giunta sta definendo il proprio modello politico organizzativo all’insegna della ulteriore  centralizzazione delle decisioni e della gestione delle risorse. Si va rafforzando un modello imperniato sul Governo del Presidente, che si potrebbe definire una dittatura del Governatore. Infatti, tra il Presidente e gli Assessorati Formigoni ha collocato un corpo intermedio, politico organizzativo, costituito  da Sottosegretari e da 22 Direttori Centrali che rispondono direttamente al Presidente. Dopo  aver ridimensionato i poteri del Consiglio si vogliono ridimensionare  quelli degli Assessori e della Dirigenza con un  svuotamento di delega e di responsabilità  dal basso verso l’alto. Un modello da alcuni definito come neofeudale. Al vertice il Governatore e alla base una rete privata di soggetti cui è affidata la gestione della  cosa pubblica. In questo modello non c’è bisogno dei servizi pubblici, sostituiti da un ritorno alla famiglia e dai voucher. Una concezione ritenuta da alcuni commentatori  premoderna  e predemocratica. Se questo modello non  implode  per le forti contraddizioni interne allo schieramento di centrodestra i rischi  sul versante sociale  sono altissimi. Penso in particolare alla sanità. In Lombardia si sta già sperimentando da tempo un modello sanitario alternativo a quello universalistico. Un modello sanitario fondato sulla libera scelta delle persone, non sulla programmazione e sull’appropriatezza  degli interventi. Un modello fondato sulla parità pubblico/privato che ha visto crescere vertiginosamente le risorse del SSN destinate al privato. Un modello che punta alla privatizzazione delle Aziende Ospedaliere come sta già  accadendo per gli Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico e per altri  Ospedali con l’alibi della sperimentazione pubblico/ privato. Un modello che nelle aree di maggiore vulnerabilità – anziani famiglie a basso reddito - sta diminuendo la capacità di cura delle persone, perché i costi crescenti della sanità  sui cittadini, inducono in molti casi, le persone a non curarsi. Un modello ispirato alla devoluzione che sta rendendo più costosa e con meno qualità la sanità della Lombardia, e che ci fa dire che la devoluzione, se è egoista nei confronti del Sud,  fa male anche alla salute dei cittadini della Lombardia e porta benefici solo a chi è interessato a trarre dalla cura delle persone vantaggi economici e profitti. Le riforme istituzionali non sono mai neutre e quelle volute da Berlusconi e Formigoni, come sta emergendo dal dibattito che qui stiamo affrontando, esprimono un modello sociale regressivo. Da respingere con convizione. La nostra Corte Costituzionale va difesa dagli attacchi che sono portati al cuore  dei diritti sociali che sanciti nella prima parte sono supportati da un’appropriata architettura istituzionale. Scardinando la seconda parte si attacca la prima parte della Costituzione. Sono convinto che un moderno sistema di Welfare, in grado di rispondere efficacemente alle nuove grandi emergenze e  domande sociali, all’invecchiamento della società, alla precarizzazione del lavoro, ai crescenti flussi migratori, ha bisogno di un sistema fondato su forti istituzionali nazionali e locali e sul valore delle funzioni pubbliche a garanzia dei diritti universali dei cittadini, e della loro partecipazione.  Una direzione del tutto contraria a quello che prefigura la trasfigurazione della Costituzione e la sperimentazione  che sta avvenendo in Lombardia. Al paradigma della società competitiva di Berlusconi e di Formigoni va opposto un diverso modello sociale  nel quale l’obiettivo primario sia la  costruzione di socialità, di solidarietà di coesione sociale  e sia attribuito più valore al lavoro. Dobbiamo chiedere più forza e maggiore coraggio, in questa direzione, a chi si candida a  governare il Paese in alternativa al Governo di centrodestra. Se la Carta Costituzionale dovesse essere violata con la definitiva approvazione della legge di revisione costituzionale della seconda parte della Costituzione, bisognerà costruire una ampio blocco politico e sociale per cancellare questa violazione e per far vivere nelle politiche pubbliche di un Parlamento rinnovato lo spirito progressista ed attuale della nostra Costituzione.