Prime idee
per un progetto di sviluppo e crescita del mezzogiorno La riunione del dipartimento Mezzogiorno della FP CGIL nazionale unitamente alle strutture Regionali e di aree Metropolitane, ha analizzato i provvedimenti del Governo e il loro impatto sui territori meridionali, alla luce delle esperienze fin qui maturate dalle singole regioni, ha avviato prime riflessioni per lo sviluppo socioeconomico del Sud. La riunione, svoltasi a
Napoli il 4 novembre, è stata un importante appuntamento per un confronto
e un ragionamento d’insieme delle diverse realtà, per selezionare priorità
ed obiettivi, definire modalità e un programma di lavoro per rilanciare la
nostra iniziativa. Un mezzogiorno non più
letto come realtà a se, come parte debole e sfruttata del paese, ma come
parte dell’Europa, inserita a pieno nei processi di integrazione Europea e
terra di mezzo con i paesi del bacino del mediterraneo. Malgrado ciò non bisogna dimenticare che esistono risorse già definite e stanziate, (fondi europei, fondi nazionali) che è opportuno mettere sotto osservazione per verificare, attraverso un’attenta analisi dei bilanci, come sono impiegate, quali effetti in termini di sviluppo producono e come si integrano con i documenti di programmazione regionale. Quello che ci si propone è la definizione di un programma di intervento sindacale con l’obiettivo di avviare una serie di iniziative per la promozione della crescita sociale ed economica e per la diffusione della cultura della legalità nelle regioni del mezzogiorno. In tutto ciò risulta fondamentale analizzare il ruolo svolto dal sistema delle autonomie, regioni, province e Comuni e capire come sia possibile intervenire affinché si passi da una funzione di gestione della cosa pubblica alla funzione di agente di sviluppo e sostegno del territorio, cioè come il sistema delle autonomie possa avere ruolo nel ripensare e sostenere lo sviluppo. Il rapporto con il territorio dell’economia produttiva cambia nell’epoca della flessibilità produttiva, alla grande azienda che contiene al suo interno tutte le funzioni si sostituisce l’esternalizzazione delle funzioni, la riduzione degli organici, lo snellimento delle strutture. Infatti, a differenza della
grande azienda che tende a reperire al suo interno ovvero a chiedere al
livello nazionale le infrastrutture del caso (ad esempio collegamenti
viari) l’azienda frazionata si rivolge a chi gia dispone di tali risorse. Nel momento in cui si
esternalizzano parte delle funzioni è necessario che la regione di
insediamento offra soggetti economici in grado di farsi carico di tali
funzioni siano esse lavorazioni o servizi. Per le aree del mezzogiorno possono aprirsi delle possibilità derivanti dal nuovo modello in quanto, mentre la grande azienda doveva rapportarsi con lo stato nazionale, il nuovo tipo di azienda ha come interlocutore il governo locale. Il governo locale assume,
quindi, un ruolo ben più importante che nel passato. Se è vero che le mafie contribuiscono a tenere il mezzogiorno nella sua situazione di sterilità imprenditoriale, economica, produttiva è anche vero che mancanza di servizi e di infrastrutture creano quella stagnazione socioeconomica nella quale prosperano le mafie. E' necessario, dunque, individuare quelli che sono che sono i maggiori fattori ostativi allo sviluppo e definire meglio il ruolo del governo locale • la mancanza di servizi di base ed innovativi per le aziende. E' oggi impensabile lo sviluppo di un sistema produttivo competitivo senza la disponibilità in ambito locale di tutta una serie di servizi, Mentre nei distretti industriali del Centro-Nord questo tipo di servizi è presente in misura considerevole e si evolve continuamente, in vaste aree del Sud, anche a causa della densità relativamente più bassa delle imprese, questi servizi non sono disponibili; • l'insufficienza della rete dei trasporti. Il sistema delle comunicazioni del Meridione non è ancora paragonabile a quello del Centro-Nord; e questo in una situazione di oggettiva distanza delle aree meridionali dal nucleo più sviluppato del sistema economico. • la difficoltà di accedere al credito. Il fatto che le aziende meridionali si trovino in un ambiente sociale difficile porta il sistema bancario ad un'estrema cautela nella concessione del credito e alla richiesta di tassi di interesse superiori di 5-6 punti percentuali rispetto a quelli dell'Italia centro settentrionale. Il risultato è che le aziende si trovano spesso costrette a ricorrere a canali alternativi di credito, spesso di dubbia affidabilità (finanziarie che operano riciclaggio di capitali sporchi, usura); • la scarsa disponibilità di aree industriali attrezzate. L'insediamento di nuove aziende è frenato dalla scarsità di terreni industriali attrezzati; la mancanza di strade secondarie in buone condizioni (che sopportino un traffico di mezzi pesanti) collegate con le arterie principali a disincentiva chi potrebbe avere intenzione di investire al Sud; • l'inefficienza degli enti locali nella loro necessaria interazione con le aziende. L'insediamento di una nuova attività richiede il rilascio di una serie di certificati e documentazioni che spesso gli enti locali non sono in grado di fornire in tempi utili. Questi ritardi di Comuni, Province, Regioni hanno un impatto non solo sulle regolari procedure di insediamento di un'attività produttiva, ma anche durante la vita dell'azienda. Alcune esperienze di sportelli unici e di agenzie per lo sviluppo territoriali, ancora in fase d’avvio, tardano a dare il loro contributo allo sviluppo. • le carenze nella formazione. Le aziende necessitano di manodopera qualificata che spesso non sono in grado di reperire in zona. In questo caso le realtà produttive scontano la mancanza di istituzioni formative che operino sulla base di una ricerca dei reali fabbisogni , e l'inutilità a questi fini dei corsi di formazione professionale regionali, che sono stati finora più uno strumento di assistenza indiscriminata ai disoccupati che un reale supporto al sistema produttivo; • l'incapacità progettuale
degli enti locali. Per lungo tempo gli amministratori locali hanno
dedicato le loro energie più alla ricerca di un contatto preferenziale con
lo Stato erogatore di fondi e dispensatore di appalti, che alla
progettazione di uno sviluppo del proprio territorio. Il graduale
peggioramento dell'efficienza della pubblica amministrazione ha inoltre
portato al radicamento di una mentalità dell'emergenza, con il disperdersi
dell'azione del governo locale in una serie di interventi contingenti. Da
ciò è derivata una incapacità di previsione e pianificazione di comuni,
province e regioni.
Ai fattori ostativi che attengono allo sviluppo economico si aggiungono fattori altrettanto ostativi sul piano dello sviluppo sociale e della tutela dei diritti. • Le carenze della politica sul lavoro. Alla crisi occupazionale ed alla necessità di sviluppare politiche attive per il lavoro le Amministrazioni locali hanno spesso preferito un sistema di sostegno al reddito in forma di rendita anche prescindendo dal reale utilizzo dei lavoratori. La assoluta mancanza di una programmazione della formazione collegata alle richieste di lavoro hanno caratterizzato il funzionamento dei centri per l’impiego. Va a ciò aggiunto un forte sviluppo del precariato nelle strutture pubbliche raramente finalizzato ad un ampliamento dei servizi. • L’insufficienza dei servizi sociali e sanitari. Questi settori particolarmente colpiti dai tagli delle varie finanziarie e dei sistemi di trasferimento delle risorse sono ancor più penalizzati nelle zone del meridione dal meccanismo della quota pesata. Inoltre una storica politica di sostituzione, anziché integrazione, del privato al pubblico ha provocato una tendenziale degenerazione delle strutture pubbliche e un conseguente taglio di investimenti. Le regioni del mezzogiorno continuano a essere interessate da forti migrazioni sanitarie verso il centro nord. Sui servizi sociali la risposta è stata o un taglio dei servizi o la delega a soggetti, spesso del privato sociale o cooperativo, non solo della gestione ma anche della programmazione dell’offerta con delega da parte degli enti territoriali. • La mancanza di una politica dell’ambiente e di contrasto del degrado del territorio. I cambiamenti che occorre favorire riguardano principalmente cinque livelli: - sicurezza, difendendo il suolo dai rischi idrogeologici e sismici; efficienza, migliorando il livello tecnologico e introducendo elementi di concorrenza nella gestione dei servizi locali; quantità, aumentando le risorse disponibili nelle aree meno servite (acqua e energia); qualità, assicurando un patrimonio ambientale disinquinato, conservato e fruibile, e promovendone la valorizzazione; sostenibilità, rispettando nel lungo periodo la capacità di carico dell’ambiente. • Carenze di
interconnessione con le università e gli enti di ricerca. Manca uno
sviluppo della ricerca, dell’innovazione tecnologica e dell’alta
formazione mirati alla salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e alla
tutela della salute dell’uomo e all’ottimizzazione dell’uso delle risorse. Tutti questi fattori, presenti in misura più o meno rilevante a seconda delle aree, possono comunque avere una stretta relazione con la presenza e l'attività delle organizzazioni criminali. E' ormai ben noto che il dominio criminale in numerose aree del Mezzogiorno si è di nuovo configurato come triangolazione tra criminalità organizzata, imprenditori e politici. La presenza delle organizzazioni mafiose ha spesso inciso pesantemente sui deficit di infrastrutture in quanto tra le opere pubbliche preda degli interessi politico-imprenditorial-mafiosi erano p.es. le autostrade, le strade, i collettori, gli acquedotti elementi dei quali le aziende sane non potevano e non possono fare a meno per sopravvivere. Il deficit infrastrutturale è quindi anche causato dalla presenza delle mafie. Analogamente l’incapacità del livello locale nel gestire la “cosa pubblica” ha consentito la penetrazione delle organizzazioni mafiose attraverso la scarsa trasparenza negli atti amministrativi, l’esasperata lentezza burocratica e, soprattutto, la mancata gestione delle risorse economiche per garantire i diritti di cittadinanza ed i servizi pubblici. A ciò va aggiunto l’immancabile clientelismo e il fatto che ogni atto prodotto dalla pubblica amministrazione venga spesso assunto come qualcosa di eccezionale che, per essere condotto a termine, necessita di forme più o meno evidenti di pilotaggio. Dunque la criminalità organizzata è uno dei fattori che inibiscono la crescita economica e sociale di una determinata area. Infatti le organizzazioni mafiose: • pesano, con usura ed estorsione, sulla vita dell'economia legale; • scoraggiano gli investimenti produttivi da parte di privati, contribuendo al mantenimento di un'immagine negativa a livello nazionale ed internazionale; • determinano l'esportazione dei proventi delle attività illecite, tramite riciclaggio e investimenti in altre zone, drenando così capitali da zone che ne avrebbero invece bisogno; • costituiscono un incentivo alla fuga di risorse umane qualificate; • provocano un'allocazione
non razionale delle risorse, sostituendo i propri interessi agli obiettivi
di servizio e di sviluppo. La crescita e la continua riorganizzazione dell’economia possono realizzarsi solo in un contesto dove siano garantite regole di convivenza e rispetto dei diritti di cittadinanza. Va quindi affrontata e tenuta sempre presente la questione della legalità in un contesto sociale, però, in forte modificazione strutturale a causa del flusso migratorio che ha portato gradualmente anche le regioni meridionali a configurarsi come società multietnica. Il senso di insicurezza presente all’interno del corpo sociale non aiuta certo a sviluppare e gestire un processo di sviluppo della multiculturalità. Le problematiche dell’immigrazione, in queste regioni, devono essere analizzate secondo due distinti fenomeni il primo che attiene al meridione come “terra di passaggio” il secondo che riguarda i fenomeni di occupazione o sottooccupazione presenti principalmente nei settori agricoli o dell’edilizia. Appare utile per prima cosa
interrogarsi sulla percezione della popolazione del fenomeno e impatto
reale del problema dell'immigrazione clandestina In effetti, a fronte
dell'elevato numero di clandestini in transito ogni anno, risulta
significativa l'assenza di fenomeni di reazione violenta da parte della
popolazione locale, simili a quelli che si sono avuti a Torino e in altri
centri del Nord. L'atteggiamento della popolazione è stato fino ad oggi
generalmente positivo, e ciò è spiegabile se si tiene nel dovuto conto una
serie di fattori.
Il primo di essi è
l'invisibilità dei clandestini, e la visibilità del fenomeno ha più peso
sull'insorgere dell'allarme sociale che l'oggettiva gravità del fenomeno
stesso.
Le istituzioni sembrano
oscillare tra scelte di rigore e scelte di solidarietà umana caritatevole,
ma comunque caratterizzate da una assenza totale di volontà di investire
risorse per il reale inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro e
nella società. Appare che l’unica lettura
che le istituzioni vogliono dare al fenomeno migratorio sia quella di
transito eludendo il problema di una politica di inserimento sociale e di
regolarità nel lavoro. Tale comportamento risulta
ancora più rischioso in quanto la legge attuale non prevede che
l'immigrato possa lavorare finché è in attesa di permesso di soggiorno.
Inoltre, una volta ottenuto il permesso di soggiorno egli perde il diritto
a qualsiasi sussidio e deve abbandonare il centro d'accoglienza. A questo
punto si trova davanti a due possibilità: arruolarsi nelle file della
delinquenza, oppure allargare la schiera dei lavoratori sommersi.
Intervenire su questi
fenomeni affinché il sistema delle autonomie diventi fattore di sostegno
allo sviluppo e soggetto creazione di condizioni di sviluppo del
territorio è uno degli obiettivi fondamentali che vanno perseguiti. I vari livelli del sistema
delle autonomie devono essere in grado di operare reciprocamente: questo
il requisito fondamentale per favorire lo sviluppo, la semplificazione
amministrativa e l'uso corretto delle risorse in favore dei cittadini. Purtroppo il decentramento istituzionale sembra si sia fermato al livello delle regioni attraverso comportamenti e procedure fortemente accentratrici. Quello a cui si assiste è
il riproporsi del meccanismo stato-regioni nel rapporto regioni-enti
territoriali dove il concetto di decentramento decisionale e gestionale è
interpretato come mero trasferimento di risorse economiche sottostimate. A ciò va aggiunta una forte
crisi programmatoria da parte delle regioni che raramente utilizzano tutti
gli strumenti a loro disposizione a cominciare dal documento di
programmazione regionale. L’assenza di questo atto, tutt’altro che burocratico, costituisce un forte limite alla programmazione dei servizi ed ad una gestione integrata del territorio e rischia di provocare scelte determinate dal contingente o, peggio, esclusivamente dalle risorse economiche storicamente distribuite ai vari territori. Per rendere operativo il lavoro è necessario realizzare a livello locale interventi negoziali che verifichino l’uso delle risorse, sia nazionali che comunitarie, attraverso una attenta analisi dei bilanci consuntivi e delle spese ed investimenti realizzati. Verificare le priorità perseguite nella gestione economica degli enti territoriali permetterà, anche, una più corretta analisi degli effetti di tali scelte sia nell’immediato che, soprattutto per quanto attiene i fondi europei, nel lungo periodo. Prima di affrontare, però,
trattative per il funzionamento o l’ampliamento dei servizi bisogna
rilanciare e rafforzare i patti territoriali per la legalità. Individuare progetti ed iniziative che coinvolgano gli enti, la società civile, i partiti politici ed i movimenti per radicare la cultura della legalità nel corpo sociale. Già il Censis alla fine degli anni ‘ 90 sperimentò questa forma di lavoro a Reggio Calabria, a Lecce, a Catania e in un quartiere di Napoli si tratta ora di rilanciare l’iniziativa coinvolgendo ed impegnando fortemente il sistema delle autonomie. L’utilizzo di tali patti è
reso ancora più urgente dalle nuove normative che questo governo ha
approntato; in particolare il condono edilizio rischia di trasformarsi in
una occasione ulteriore di collusione attraverso la regolarizzazione di
uno dei settori storicamente controllati e governati dalle organizzazioni
mafiose. Il riproporsi di forti infiltrazioni nella gestione politica e amministrativa del territorio trova, in questa legge, una nuova occasione di potenziamento e di difesa di interessi di parte contro gli interessi della comunità. Sul piano del lavoro la previsione, nella legge 30/2003, della possibilità per gli imprenditori di avere benefici economici e nazionali senza avere dipendenti attraverso l’utilizzo della somministrazione a tempo indeterminato non farà che aggravare la condizioni dei lavoratori e rendere difficile l’intervento e il controllo dell’organizzazione del lavoro. Rispetto ai nostri obiettivi vanno, quindi, definite azioni specifiche e priorità nei singoli territori che mettano al centro il lavoro e il superamento di una dilagante precarizzazione del lavoro. Tra le priorità di intervento è possibile, fin d’ora, definirne alcune. • Affrontare il nuovo connubio tra illegalità e Pubblica Amministrazione attraverso i patti per la legalità e la trasparenza delle scelte e dell’azione amministrativa della pubblica amministrazione. • Intervenire sulle ragioni delle scelte nella gestione dei servizi a maggior rischio di infiltrazione malavitosa a cominciare dalle politiche ecologiche e della gestione dei rifiuti urbani e speciali. • Intervenire sulle politiche e sulle scelte gestionali delle risorse idriche da parte dei soggetti pubblici attraverso una attenta valutazione dei costi, delle modalità di gestione e degli investimenti per una più corretta distribuzione e gestione. • Rivendicare un ruolo attivo degli Enti territoriali sulla politiche dell’accoglienza e dell’integrazione attraverso la verifica della destinazione di fondi e l’assegnazione di risorse umane formate capaci di gestire i progetti per gli immigrati extracomunitari. • Definire e contrattare interventi sulle politiche formative e sul sistema dei soggetti operanti nel mercato del lavoro dando ruolo e capacità ai soggetti pubblici e alla programmazione dei percorsi a sostegno delle politiche per l’occupazione • Rilanciare i patti territoriali ed i progetti finanziati dalla comunità europea collegando ad essi percorsi di formazione e politiche di gestione del personale affinché attraverso questi progetti si possa intervenire in modo stabile sul funzionamento della P:A. • Intervenire sulle politiche di esternalizzazione o di cessione di funzioni da parte di soggetti pubblici ( Enti locali, sanità) e sul controllo della garanzia dei diritti dei cittadini e dei lavoratori. • Porre in evidenza le innovazioni e le novità che pur ci sono state nella Pubblica Amministrazione meridionale per diffonderne l’applicazione e i vantaggi per i cittadini, i pensionati, i lavoratori. • Avviare da subito con le nostre strutture territoriali iniziative specifiche per il rilancio del nostro protagonismo e lo sviluppo del mezzogiorno, integrando ed integrandosi con le scelte della Confederazione a tutti i livelli e con i Dipartimenti Nazionali FP, al fine, tra l’altro, di ampliare la capacità negoziale e contrattuale del Mezzogiorno.
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