Intervento all’VIII
Congresso Nazionale FP CGIL
di
Antonio Crispi
Compagne e compagni
Carlo ha fatto, a mio avviso, molto bene,
a sottolineare che abbiamo alle nostre spalle, quali sicuri punti di
riferimento di questo congresso, la lunga, importante fase d'assemblee di
base, comprensoriali e regionali che hanno evidenziato una buona
condizione della nostra categoria che ad oggi ha rinnovato positivamente i
contratti, dopo aver svolto un’importante conferenza programmatica e
irrobustita la propria capacità organizzativa che ci colloca, all’interno
della Cgil, come il primo sindacato tra i lavoratori attivi.
Il risultato è importante, ed è frutto di una gestione unitaria, evidente
nella qualità del dibattito, che credo, uscirà rafforzato ed esaltato dal
congresso, per far sì che la nostra categoria, al centro di un attacco
delle forze arretrate del paese che vogliono colpire la condizione in cui
operano i lavoratori del pubblico impiego e ridurre contemporaneamente
l’ampiezza e la qualità dei servizi che sono forniti ai cittadini, possa
invece essere protagonista, sempre più, nell’affermare la qualità dei
servizi e la loro diffusione, e nello stesso tempo tutelare i lavoratori.
Bisogna, insomma, sconfiggere l’azione prevalente di questo governo di
destra che vuole indebolirci per indebolire lo stato sociale.
Quest'attacco costante che il governo, conduce contro i lavoratori in
generale e del pubblico impiego in particolare, evidenzia una scelta
strategica tesa a rafforzare i privilegi dei pochi a danno dei molti che
secondo le teorie e le pratiche liberiste, si vuole far apparir e come
l’unica possibilità che esiste per far funzionare l’economia nella
globalizzazione. Così non è.
I fallimenti di questa strategia sono sotto gli occhi di tutti e non c’è
un cambiamento nell’azione di governo, anzi, Berlusconi prosegue nella sua
opera di sfaldamento della coesione sociale che comporta un costante
peggioramento delle condizioni di vita della popolazione che in ogni parte
del territorio vede aggravarsi la crisi economica, sociale, politica e
istituzionale che potrebbe tradursi in un collasso irrimediabile per il
paese.
Il paese declina, come più volte abbiamo affermato, e tutto ciò non è
imputabile solo all’apparato industriale che diviene ogni giorno sempre
più marginale nel confronto con l’economia globalizzata per cui non
reggiamo il confronto con le economie dei paesi Europei e rischiamo di non
reggererlo neppure con i paesi emergenti.
Il rapporto Svimez, del 2005, classifica il nostro Mezzogiorno agli ultimi
posti nell’Unione europea per il prodotto interno lordo, per i consumi
alle famiglie, per il livello d’investimento, per il tasso d’attività, al
terzo posto per il tasso di disoccupazione totale, al secondo posto per la
disoccupazione giovanile, al primo posto assoluto per la disoccupazione
femminile.
Nello stesso sviluppo dello stato sociale tendiamo a perdere terreno, a
diventare un paese dove anche l’assistenza più importante come quella
sanitaria sta diventando una chimera in un paese come il nostro che avuto,
fino a poco tempo fa, un servizio che per qualità e assistenza era tra i
primi a livello mondiale.
Berlusconi direbbe: ci modernizziamo.
Americanizziamo, dico io, per questo il rischio è di arrivare ad un
sistema sanitario che come negli Usa prevede la tutela della salute solo
per i ricchi, un’assistenza appena normale per chi ha una buona condizione
lavorativa e pressoché il nulla per tutti gli altri.
C’è la crisi ed è la più dura tra quelle che abbiamo subito dal secondo
dopoguerra.
Cinque anni di stangate, per un totale di 95 miliardi d'euro, non sono
servite a nulla.
I conti pubblici invece di migliorare sono peggiorati notevolmente.
Il debito pubblico e il rapporto deficit /Pil sono alle stelle e per il
2006 non si prevede nulla di buono.
Alcuni centri studi, tra cui l’Ires, parlano già, di una manovra economica
correttiva, post-elettorale, per rispettare i parametri Europei.
La crisi esiste, dunque, anche perché il governo sceglie, con una politica
fiscale classista di accentuare le difficoltà economiche dei lavoratori e
dei cittadini per fare arricchire pochi strati sociali
Un governo pericoloso per la stabilità sociale e per la democrazia che per
attuare i propri obiettivi non si ferma di fronte a nulla e tenta, con
colpi di maggioranza, di liquidare conquiste storiche modificando gli
stessi assetti costituzionali.
Straccia la Costituzione, colpisce i giudici, tollera la criminalità
organizzata, con il rischio che questo paese diventi, dopo l’uccisione di
Fortugno in Calabria e le rivolte, ormai all’ordine del giorno, contro la
polizia a Napoli, una sorta di stato ove la legalità è un optional che
risponde agli interessi dei ceti dominanti.
La maggioranza approva leggi pericolose che fomentano la violenza,
legalizzando un’autodifesa senza limiti.
Il governo scambia il tema della sicurezza con la più arretrata ideologia
del Far West.
In questo caos istituzionale e giuridico, c’è chi vede antichi e forti
pericoli per la democrazia che in passato abbiamo battuto, evitando
attacchi alle istituzioni e liquidando consorterie tra mafia, terrorismo e
pulsioni autoritarie.
Va ricordato che l’azione del governo, s’inserisce nell’intreccio tra
politica e illegalità che è antico, organico alla storia del nostro paese
e rende più complessa e difficile la battaglia per l’affermazione di
diritti diffusi ed eguali.
Salvemini definì, circa un secolo fa, in un famoso intervento
parlamentare, Giolitti “ministro della malavita” perché aveva modificato a
suo favore alcuni dati elettorali nell’Italia meridionale e lo aveva fatto
in spregio alle pur blande leggi esistenti.
Mi chiedo e vi chiedo come dovremmo definire questo governo? Certamente,
“non come quello degli onesti e del bene pubblico.”
Dobbiamo concorrere a battere le scelte dell’attuale governo, come un
impegno di liberazione nazionale, costruendo una strategia di lotta capace
di interpretare le spinte al cambiamento che sono forti nella società e ci
chiedono coerenza nell’iniziativa affinché non vi sia più, nella storia
d’Italia, un governo, privo della pur minima capacità di rappresentare gli
interessi generali.
La Cgil con le tesi approvate si pone quest'obiettivo e lo fa in piena
autonomia, consapevole di essere uno strumento della difesa degli
interessi di chi vive del proprio lavoro e questa scelta fondamentale è
alla base di una storia che si è tramandata nel corso dei decenni,
sostenuta dai lavoratori, dai militanti e dai dirigenti che insieme hanno
contribuito a difendere i lavoratori e il paese, soprattutto nei momenti
più difficili.
Lo facciamo da cent’anni e lo faremo anche domani.
Lo faremo nel prossimo e remoto futuro.
Nelle tesi della Cgil il tema del Mezzogiorno è parte fondante, perché lo
sviluppo di quell’area è una precondizione per il futuro del paese e per
rafforzare il suo ruolo economico anche a livello internazionale.
Un Mezzogiorno, a pieno titolo inserito in Europa e riferimento, per lo
sviluppo dei Paesi Mediterranei.
In questi anni, il Sud è stato il luogo di processi economici e sociali
che hanno visto la crescita contraddittoria dell’area meridionale dovuta
ad iniziative produttive significative e ad un utilizzo appropriato anche
se non esaustivo dei fondi europei.
Le cose, oggi, sono peggiorate perché, a causa della crisi e di
un'inesistente politica economica del governo, quelle novità sono travolte
dalle difficoltà e di nuovo la disoccupazione in quell’area è a livelli
elevati.
I giovani, soprattutto quelli con istruzione superiore sono costretti
all’emigrazione interna verso aree forti, o a trovare, spesso, soluzioni
lavorative solo nell’emigrazione all’estero.
Quelli che rimangono al sud non hanno lavoro, al Nord sono costretti a
adattarsi in occupazioni precarie, spesso inadeguate rispetto al proprio
percorso formativo.
La cooperazione sociale che nel Mezzogiorno potrebbe e dovrebbe avere, più
che altrove, un ruolo positivo per lo sviluppo, è sottoposta al meccanismo
di gara al massimo ribasso che rende impossibile il rispetto dei diritti
dei lavoratori e la salvaguardia della qualità del servizio.
Tutto ciò avviene a causa dei tagli ai finanziamenti decisi dal governo
agli enti locali, ed in ragione di una politica degli stessi che
privilegia il risparmio a danno della qualità.
Questa situazione si manifesta, anche laddove governa il centro-sinistra e
in realtà amministrative medio grandi. Sono colpiti tutti e in particolar
modo le persone più deboli della società come gli anziani e gli immigrati.
Da qui nasce l’esigenza di una battaglia per il lavoro qualificato e
stabile, capace di mettere in moto meccanismi conseguenti di sviluppo, ed
occorre farlo con una politica della formazione attenta alla realtà
locale, alle esigenze della produzione, della tutela delle persone e
dell’ambiente.
Ci sono, nel Mezzogiorno, strutture d'eccellenza capaci di formare i
giovani per attività e professioni con gran contenuto tecnologico.
Si tratta di definire piani d'intervento costituendo consorzi tra
Università, strutture pubbliche, enti locali e imprese che in un confronto
con il sindacato definiscano pacchetti formativi destinati ad una rapida
collocazione dei disoccupati e dei giovani nel mercato del lavoro.
Il lavoro e l’occupazione si potenziano se nel Mezzogiorno sono realizzati
investimenti produttivi, come noi abbiamo sostenuto, anche a fronte di una
fiscalità di vantaggio; ma soprattutto se la spesa pubblica ridiventa
significativa e gli enti locali sono messi nella condizione di svolgere un
ruolo attivo nella determinazione dei bisogni delle popolazioni e dei
territori.
La battaglia per il potenziamento dei beni comuni e della loro gestione
pubblica, (acqua, scuola, sanità, trasporti, ambiente) che noi stiamo
sostenendo in tutto il paese con gran coerenza e continuità, trova nel
Mezzogiorno riferimenti fondamentali perché permette il rafforzamento di
condizioni minime di civiltà che sono essenziali per uno sviluppo equo e
solidale.
Troppe volte, sopratutto nel settore sanitario, il Mezzogiorno è stato
protagonista negativo nelle cronache nazionali per inefficienze che
evidenziano una condizione della sanità pubblica non adeguatamente
controllata perché, spesso, le strutture pubbliche sono lasciate deperire
a favore di quelle private dove sempre più è presente la mafia e la
criminalità organizzata.
In realtà è il complesso dei beni comuni che nel Mezzogiorno è in
condizioni più gravi rispetto al paese ed è esposto all'azione della
criminalità organizzata come avviene per l’utilizzo dell’acqua che
nell’arbitraria e discrezionale distribuzione ed erogazione nei territori
produce facili arricchimenti, condiziona i bisogni dei cittadini e di
vaste aree produttive.
Un ragionamento analogo va fatto, in rapporto ai rifiuti solidi urbani,
che sono direttamente controllati dalle ecomafie, con gravi problemi per
l’ambiente territoriale e la salute dei cittadini.
Di qui l’importanza dell’azione per la costruzione di termovalorizzatori
che sono strumenti utili per lo smaltimento dei rifiuti, ovviamente nella
tutela dell’ambiente, delle persone, e nell’equilibrio territoriale in
opposizione allo scandalo delle discariche.
Infine le grandi opere che dovrebbero potenziare il sistema dei trasporti
pubblici, profondamente carente nel Mezzogiorno.
Il governo ha lanciato alcune iniziative di reinfrastrutturazione che o
non servono al Mezzogiorno o rafforzano, di fatto, un rapporto tra spesa
pubblica e criminalità organizzata che è il problema fondamentale per
l’intero paese e non solo per l’area meridionale.
Mi riferisco al raddoppio della Salerno-Reggio Calabria, alla lentezza dei
lavori, dove in piccoli lotti, operano aziende legate alla criminalità;
così come all’idea dell'inutile costruzione del ponte sullo stretto che
attirerebbe la criminalità da tutto il mondo.
Questi elementi sui quali, ho posto l'accento, pongono la questione della
legalità che quotidianamente, nel Mezzogiorno, diviene sempre più
drammatica.
Mafia e politica hanno un rapporto organico e consolidato nel nostro
paese, che è stato alla base di patti di potere, tesi a perpetuare la
difesa d'interessi forti.
La mafia non è sinonimo d'arretratezza; ma è un'organizzazione inserita
nel nostro modello di sviluppo e quindi sconfiggere definitivamente la
criminalità organizzata non è un compito solo di chi opera nel
Mezzogiorno, ma deve essere un impegno nazionale e soprattutto delle forze
impegnate nella battaglia per il cambiamento.
Battere la criminalità significa far funzionare le istituzioni e gli enti
locali, modificare la legislazione di tutto il sistema degli appalti
pubblici, rinnovare l’apparato dello stato negli uomini e nelle funzioni
delle pubbliche amministrazioni.
Bisogna sostenere il lavoro duro e faticoso dei magistrati, della polizia.
Cambiare il modo di far politica dei meridionali “che vanno tutti dalla
parte del vincitore” come scrive Giorgio Bocca in Napoli siamo noi, che
riguarda anche noi il sindacato la CGIL.
Troppo spesso nell’affermazione del valore pubblico dei beni comuni la FP
s’è trovata sola nella casa madre, anche se ora il vento sta cambiando.
Impegnarsi per costituire una classe dirigente meridionale nuova, sobria,
rigorosa nella politica e nell’amministrazione, nell’ambito di un
rinnovamento generale di coloro cui è affidata la direzione del paese, che
non stabilisca accordi col malaffare e sia fedele ai mandati etici
presenti nella nostra Costituzione.
Faccio queste affermazioni perché le ultime elezioni regionali hanno
riaperto le speranze per il cambiamento.
Sembra quasi una risposta diretta e positiva alle ansie che Francesco De
Sanctis, storico della letteratura italiana, ministro ed esponente della
sinistra storica ebbe a manifestare nel suo “Viaggio elettorale” in cui
davanti alle incomprensioni che dovette affrontare nei suoi incontri,
scrisse amareggiato “Il sole tornerà a sorgere a Calitri”.
Questo sole è sorto, il centro-sinistra ha vinto in quasi tutto il
Mezzogiorno; questo sole facciamo in modo che splenda su tutto il paese.
Modificare lo stato di cose esistenti significa avere maggiori
disponibilità finanziarie, con una gran capacità di spesa tutta incentrata
sulla qualità e nello stesso tempo un migliore funzionamento del fisco.
Ho accennato all’inizio al tipo di battaglia che dovremo fare per avere un
fisco più giusto ed equo; aggiungo che ciò è possibile se sono messe in
condizione di funzionare le strutture preposte all’accertamento fiscale
alla riscossione, al controllo.
Le Agenzie fiscali hanno in questi anni di Governo Berlusconi-Tremonti,
modificato lo scopo per il quale erano nate, l’agenzia delle entrate,
sulla quale credo dobbiamo ritornare a riflettere, grazie ai condoni, non
ha svolto il suo ruolo di lotta all’evasione, per questo emerge che il
sommerso ha raggiunto il 40% del Pil e con esso l’evasione fiscale,
l’unico gettito che è aumentato (12%) e quello dei lavoratori dipendenti,
che, tra l’altro sono sottoposti ad un aumento dei prezzi di prima
necessità vergognoso.
Si tratta di riaffidare una funzione decisiva alle agenzie fiscali che
questo governo ha oscurato, per conferire allo stato certezze di
disponibilità finanziarie e favorire la crescita economica del paese e del
Mezzogiorno, spostando masse finanziarie verso gli impieghi produttivi,
affidando a cooperative di disoccupati e di giovani, i beni sequestrati
alla mafia che il governo sta invece restituendo ai vecchi criminali.
Si tratta di potenziare il ruolo delle dogane, per evitare che il nostro
paese sia invaso da merci contraffatte o di scarsa qualità.
Noi, la Fp Cgil dopo aver partecipato attivamente alla conclusione
positiva del secondo biennio contrattuale dei lavoratori delle agenzie,
rivendichiamo per questi lavoratori una funzione conseguente al loro
ruolo.
Siamo consapevoli che solo il contratto, pur mantenendo l’attuale livello
nazionale e aziendale, non riesce più a restituire potere d’acquisto
sufficiente ai lavoratori, per questo sosteniamo la difesa dei beni
pubblici e la diffusione dei servizi, la loro qualità e nello stesso tempo
la necessità di un fisco equo nella distribuzione de redditi con la
restituzione del fiscal-drag, il riequilibrio delle aliquote sulle
rendite, il ripristino della tassa di successione sulle grandi rendite, la
realizzazione del cuneo fiscale per rilanciare la produzione e la domanda
interna, nel primo anno di vita di un probabile governo di
centro-sinistra.
Credo che con questi contenuti un patto fiscale vada fatto, così come una
battaglia per la democrazia, la trasparenza, l’equità sociale.
La Fp, come ho gia detto, ha svolto il suo congresso all’insegna
dell’unità, questa scelta è fondamentale anche per la Cgil e nei rapporti
con Cisl e Uil, le proposte, di percorsi unitari, avanzate da Carlo, a
Cisl e Uil di categoria, mi sembrano necessarie per dare forza alle nostre
iniziative.
Sarebbe del resto inconcepibile che di fronte ai guasti prodotti da questo
governo, al futuro incerto che ci aspetta e alla nostra scelta politica di
“riprogettare il paese”, concludessimo il congresso che tutti abbiamo
voluto unitario, divisi sui gruppi dirigenti.
Il progetto, l’autonomia, l’unità sono indispensabili a questa “CGIL
meticcia” perché sia sempre più forte, di questo hanno bisogno i
lavoratori, i pensionati, i giovani, gli uomini e le donne che guardano a
noi, perché è di questo, ne sono convinto, che ha bisogno l’intero paese.
Viterbo, 15 febbraio 2006 |