CGIL – POLITICHE EUROPEE

 

Susanna Florio

Il patto di Stabilità

Roma, 3 febbraio 2005

 

Perché la revisione del Patto di Stabilità e Crescita?

 

La Commissione Europea ha recentemente presentato la sua nuova Comunicazione sul rafforzamento della governance economica, varata il 3 settembre e presentata al Parlamento europeo nell’ottobre del 2004 (“Rafforzare la Governance economica e chiarire l’applicazione del Patto di Stabilità e Crescita”). Nel marzo del 2005 si arriverà, nel corso del prossimo vertice di Primavera del Consiglio, all’approvazione formale del testo.

Pur non rimettendo in causa i principi fondamentali che tutelano la stabilità della moneta europea, le proposte, secondo il nuovo testo della Commissione,  tendono ad introdurre “una logica più economica nell’attuazione del Patto di stabilità e crescita, rafforzandone insieme la sorveglianza e l’applicazione”.  L’obiettivo, si dice nel documento, è quello di assecondare la stabilità macroeconomia e garantire finanze pubbliche sostenibili, contribuendo a migliorare il potenziale di crescita dell’UE e ad attuare la strategia di Lisbona.

Da tempo ormai si erano levate voci, soprattutto da parte dei governi tedesco e francese e, strumentalmente, anche da parte del governo italiano,  che accusavano il Patto di Stabilità di frenare, o comunque di non stimolare abbastanza, lo sviluppo economico a causa di un’applicazione troppo rigida dei parametri di Maastricht, che mal si adattava alle particolari situazioni congiunturali ed alle condizioni dei singoli Stati membri.

 Dopo il conflitto venutosi a creare tra il Consiglio (allora presidenza italiana) e l’Esecutivo comunitario a seguito della sospensione della procedura di deficit eccessivo nei confronti di Francia e Germania (sulla quale si è anche pronunciata la Corte di Giustizia), il Consiglio europeo ha quindi chiesto all’Esecutivo di sottoporgli delle proposte tese a rafforzare e chiarire l’attuazione del Patto

  

 

Le proposte della Commissione  

Il Trattato ( ed il nuovo Testo costituzionale )  stabilisce il  principio che riafferma la necessità di “finanze virtuose e sostenibili” come obiettivo fondamentale dell’UE. Questo è il criterio usato sia per l’adozione dell’Euro, che per mantenere la disciplina di bilancio come fondamento di tutta l’area euro.

Sono due essenzialmente gli strumenti che completano il “quadro di controllo”: i “Grandi Orientamenti di Politica Economica (GOPE) ed il  Patto di Stabilità e crescita (PSC), che specifica quali sono le modalità per prevenire e correggere i deficit eccessivi. Per quanto il quadro di riferimento sia chiaro, manca però una riflessione approfondita sul tipo di bisogni strutturali necessari a rilanciare la crescita nell’UE  (investimenti in infrastrutture, nuove tecnologie, welfare, ricerca, ecc) e sulla loro possibile realizzazione.

Sulla base soprattutto degli sforamenti francese e tedesco del 3% (tetto stabilito per il deficit di bilancio in rapporto al PIL) si è manifestata la necessità di prevenire e correggere con strumenti adeguati, ma ancora non identificati chiaramente, i deficit eccessivi.  L’esigenza è quella di rendere maggiormente compatibili i Grandi Orientamenti di Politica Economica con il Patto di Stabilità e Crescita.

 Pur esistendo un quadro di politiche di riferimento, manca dunque ancora un’idea sui bisogni reali dell’UE e sulle regole di applicazione del Patto.  La nuova comunicazione della Commissione identifica i principali elementi per l’applicazione del PSC, che propongono soluzioni (moderate) per il superamento dell’attuale impasse.

Queste le conclusioni del documento: 1) la sostenibilità del debito non è presa in considerazione sufficientemente ed il criterio del “debito” (è il caso dell’Italia) deve essere usato più regolarmente. 2) Il Patto fino a questo momento non ha preso in considerazione lo stato e l’evoluzione economica e di sviluppo dei singoli paesi. La stessa correzione dei deficit eccessivi non tiene conto delle diverse realtà economiche (vedi Francia e Germania). 3) C’è una asimmetria nella sorveglianza di bilancio, che non crea incentivi per comportamenti virtuosi in particolare in periodi di crescita. La Commissione propone ancora maggiore rigore nella sorveglianza del debito e nella sostenibilità delle politiche di bilancio.

La nuova proposta della Commissione consente oggi una diversa valutazione delle circostanze nazionali nella definizione degli obiettivi a medio-termine per l’avvicinamento alla parità di bilancio (“close to balance”). L’obiettivo di medio-termine  ha due ragioni sostanziali: permettere un più ampio margine di manovra, in modo da evitare di sforare il tetto del 3% del PIL, in particolare in momenti di scarsa crescita economica. e consente la possibilità ai governi di rivedere la spesa pubblica soprattutto a causa dei cambiamenti demografici (un modo per invitare i governi a tagliare la spesa pubblica soprattutto in materia di protezione sociale e welfare).

            Quindi da una parte la Commissione ammette che data la situazione di forte rallentamento della crescita economica non possono più essere fissate regole e criteri uguali per tutti i paesi dell’UE (sia paesi di area euro che paesi convergenti), dall’altra il debito pubblico rimane stabilmente la prima delle preoccupazioni ed i tagli a pensioni e sanità sono ampiamente raccomandati in numerosi documenti (“invecchiamento della popolazione”), come ormai da alcuni anni a questa parte.

Dice ancora il documento della commissione che nel caso di periodi di forte rallentamento nella crescita economica, la procedura sullo sforamento del deficit si è rivelata eccessiva e dunque vengono prese in considerazione “circostanze eccezionali” che permettono al paese in questione di non subire  le sanzioni previste (Germania e Francia).

 La Commissione propone inoltre di agire di più sulle politiche di prevenzione per correggere sviluppi inadeguati delle politiche di bilancio (raccomandazioni preventive, monitoraggio, ecc.) Si suggerisce inoltre di rafforzare il dibattito a livello UE sulle scelte di bilancio a livello nazionale.

Consenso unanime da parte dei governi (almeno nelle dichiarazioni ufficiali, ma spesso non confermato nelle scelte nazionali) è stato espresso sulla costruzione di un quadro di riferimento europeo relativo alle politiche di bilancio e fiscali, che passi anche attraverso l’impegno dei paesi della zona euro, in particolare nel controllo della finanza pubblica.

 

Il rapporto sui Grandi Orientamenti di Politica Economica 

Nel suo ultimo rapporto, presentato  il 26 gennaio, si rileva che i passi della maggior parte dei paesi UE sono limitati, mentre solo Belgio, Irlanda, Danimarca e Olanda stanno dimostrando (dice la Commissione) un qualche avanzamento. In realtà rimane uno stato di preoccupazione per un andamento lentissimo nel ritmo di crescita. Anche in questo caso la Commissione rileva che bassa priorità è stata data alla riduzione del debito pubblico, che in media rimane superiore al 60% rispetto al PIL. E l’Italia con il suo 106% (nonostante tutte le operazioni di Tremonti) ha un record negativo, anche se la situazione dei conti pubblici si è deteriorata in Germania, Grecia ed Austria.

L’Italia preoccupa anche per il deficit, che per la Commissione potrebbe arrivare al limite massimo consentito del 3%, mentre il nostro governo continua a sostenere che siamo sul 2,7%. Nel documento si danno ancora valutazioni “prudenti” sullo stato del mercato del lavoro (si dice “sarebbe necessaria maggiore flessibilità”) e sulla produttività oraria la valutazione è che nel nostro paese  sia ancora insufficiente . Nel 2003, dice il documento, la produttività oraria è diventata negativa a causa soprattutto degli scarsi investimenti per dipendente ed una insufficiente attenzione verso settori a forte incremento produttivo.

Dunque complessivamente nel rapporto GOPE, i punti deboli del nostro paese rimangono i conti pubblici, la produttività oraria ed il basso tasso di occupazione.

Il 2 febbraio uscirà la valutazione della Commissione sul piano di stabilità  italiano (legge finanziaria) presentato dal nostro governo all’UE, come stabilito dal PSC. Verso il Patto la preoccupazione del governo italiano è stata fin qui  quella di conquistare maggiore credibilità dimostrando il rispetto dei criteri fissati da Maastricht, trasformando però le proprie leggi di bilancio in una nefasta finanza creativa, che non ha diminuito realmente il debito pubblico, e ma al contrario ha gravemente minato lo stato di salute delle nostre finanze. Il giudizio della Commissione in questo senso sarà severo.

 

Le  prospettive finanziarie dell’UE 2007-2013 

La Commissione europea allora guidata da Prodi aveva preparato nei primi mesi del 2004 una proposta per le nuove prospettive finanziarie (strumenti di bilancio dell’UE) con una dotazione pari all’1,14 del PNL comunitario.. Ora tale proposta dovrà essere discussa dal Parlamento europeo e dal Consiglio, mentre a gennaio è stata pubblicata una lettera firmata da sei capi di governo di paesi UE che chiedono di non superare la soglia dell’1% per il bilancio UE. Se ciò dovesse realizzarsi tutte le politiche di coesione, compresi i fondi strutturali, praticamente per quasi tutte le nostre regioni a ritado di sviluppo salterebbero.  E’ un elemento in più di preoccupazione. L’Europa ha decisamente bisogno di investimenti, indispensabili per il suo rilancio economico; senza risorse finanziarie il bilancio dell’UE consente solo alle regioni più svantaggiate di potere usufruire ( e per un numero limitato di anni) di programmi funzionali allo sviluppo. Se a questo si aggiungesse un funzionamento “capestro” del Patto di Stabilità e Crescita, sarebbe difficile immaginare per l’Unione Europea quel futuro delineato a Lisbona nel 2000.

 

  

Le nostre proposte 

Nel semestre di presidenza  italiano, il governo ha contribuito alla demolizione del Patto, non ponendosi minimamente la questione di soluzioni alternative da proporre ed ad oggi non sono del tutto chiare e convincenti le possibili risposte che arrivano dalla Commissione e d’altra parte il basso livello di credibilità del nostro governo non ci consente di fare  previsioni sul possibile negoziato all’interno del Consiglio  in questo senso. 

Noi riteniamo  positivo il fatto che si sia riaperto il dibattito sul Patto di Stabilità e Crescita, per altro sin dall’inizio messo in discussione dallo stesso Presidente della Commissione, Romano Prodi. La riapertura della discussione ci consente, nelle sedi a noi disponibili,  di chiarire ancora meglio il nostro punto di vista.

Crediamo anche che sia importante riprendere una riflessione nostra sulle politiche di bilancio comunitarie, approfondendo soprattutto i seguenti punti:  

1)       necessità di calibrare il Patto di Stabilità e crescita  alla  strategia di Lisbona;

2)       valutare la situazione italiana per il capitolo relativo alla sostenibilità del debito pubblico in relazione al Patto di Stabilità e Crescita, sul quale maggiormente si sono espressi organismi internazionali come il FMI e l’OCSE e la stessa Commissione UE;

3)       analizzare il documento  “Sulle prospettive finanziarie 2007-2013 dell’UE” varato dalla Commissione alla fine del 2004, ed oggi al centro di un vivace dibattito, non disgiunto dalle considerazioni sulla revisione del Patto di Stabilità e crescita.

Dal nostro punto di vista andrebbero esplicitamente indicati quali sono gli obiettivi del Patto, che per noi rimangono, coerentemente con quanto sancito dal Trattato, la piena occupazione ed un   migliore standard di vita per tutti i cittadini dell’UE (area Euro e area paesi convergenti), crescita economica sostenibile (rispettosa cioè della dimensione sociale e ambientale), raggiungimento degli obiettivi fissati a Lisbona .

Dunque non andrebbero confusi gli obiettivi con gli strumenti. Il Patto non è l’obiettivo, ma uno degli strumenti. Andrebbero sviluppati una migliore utilizzazione ed un migliore coordinamento delle politiche fiscali e delle politiche economiche.

 I rapporti annuali sia in materia di politica economica che quelli per l’occupazione sono stilati sulla base di dati, statistiche ed informazioni di provenienza governativa. Difficilmente le parti sociali possono direttamente interloquire con i funzionari che alla Commissione hanno la responsabilità di stilare i vari rapporti nazionali. Anche per questo sarebbe fondamentale che le parti sociali venissero associate e coinvolte anche nella definizione delle politiche a sostegno del Patto, sia a livello nazionale che a livello europeo.

La CES dovrebbe essere (con l’UNICE) un interlocutore della BCE e  della Commissione Europea , così come a livello nazionale le OO.SS. lo sono (dovrebbero esserlo) con i governi nella definizione delle leggi di bilancio che al Patto devono rispondere, sia nei programmi di stabilità (per i paesi area euro) che per i programmi di convergenza (per i paesi fuori UEM)

E’ vero che ricerca, tecnologie e formazione – come ormai ribadito in più documenti – devono essere il “nocciolo duro” dei prossimi investimenti, ma attenzione alle richieste della Commissione riguardo al debito pubblico, quando esplicitamente si afferma che il sistema pensionistico e quello della sanità andranno drasticamente riformati. La nostra posizione dovrebbe essere in questo senso netta: noi siamo per una spesa pubblica di qualità, con migliori performance, migliore efficienza ed al servizio di tutti i cittadini e contrari a tagli che favorirebbero ulteriore emarginazione, colpirebbero le fasce più deboli e quindi oltretutto creerebbero costi sociali ed economici ancora più gravi.

L’Italia ha un debito pubblico tra i più elevati di tutta l’UE,  una crescita ormai allo 0,7 % del PIL l’anno, un tasso di disoccupazione alto, in particolare nel Sud, un crescente precariato tra le donne ed i giovani . Proprio per questo nei prossimi anni se si vorrà puntare sulla crescita economica e sviluppo di qualità bisognerà pensare ad importanti investimenti  soprattutto pubblici,  non smantellando il sistema di protezione sociale, ma al contrario rendendolo più efficiente ed efficace di quanto non lo sia attualmente. Noi siamo a favore del rigore nelle politiche di bilancio, ed il risanamento del debito pubblico ci vedrà certamente impegnati per molti anni ancora. Ma il risanamento deve parallelamente realizzarsi con misure ed investimenti necessari al rilancio ed allo sviluppo. Non saremo noi a  sostenere distinzioni (come tenta di fare la Commissione per accontentare i paesi più forti) tra paesi di serie A, B, C (con la Germania e la Francia distanziate da paesi come  Olanda, Italia, Belgio e ancora di più dai paesi dell’Europa Centro Orientale) al contrario nel futuro bisognerà trovare soluzioni che servano a consolidare le politiche di coesione e che non creino competizioni, al ribasso, tra regioni a ritardo di sviluppo. Le potenzialità e gli strumenti ci sono. Il rischio è che nei prossimi anni, se non mesi, si giochi davvero il futuro dell’Unione Europea e tutto quello a cui siamo arrivati in questi decenni.