Premessa
Abbiamo sostenuto in questi mesi uno scontro durissimo, con le imprese e con il governo: in gioco era ed è la nostra idea di sviluppo, di qualità della democrazia, ma anche di funzione, ruolo e capacità di rappresentanza del sindacato confederale in questa fase storica, politica e sociale. La stessa partita, lo stesso scontro è aperto in Europa e nel mondo su entrambi i piani. La prospettiva che la CGIL ha tenuto aperta in Italia,per le nuove interdipendenze delle economie e delle società, è una prospettiva senza futuro se non dovesse prevalere,soprattutto nel profilo della nuova Europa,una idea di sviluppo che assuma come limite invalicabile la salvaguardia dell’ambiente, i diritti umani, i diritti del lavoro. La dimensione internazionale è dunque la necessaria dimensione della nostra azione sindacale. Lo è per gli effetti che scelte assunte in sedi diverse da quelle nazionali hanno sulle condizioni materiali delle persone che rappresentiamo. Non penso solo all’UE. Penso ai processi di internazionalizzazione delle imprese, al rapporto nuovo e diverso tra imprese e territorio nella competizione globale, ai processi di delocalizzazione produttiva, alla precarizzazione del lavoro, ma anche alle conseguenze di accordi che si stanno rivisitando sul commercio dei servizi in ambito WTO(GATS), accordi nei quali la messa al riparo dalla privatizzazione dei servizi pubblici essenziali (sanità, istruzione), nonostante le affermazioni del Segretariato del WTO, è tutt’altro che certa. Penso ancora agli effetti della politica del FMI e dalla Banca Mondiale sulle economie mondiali (Argentina). Lo è altrettanto sul piano dei valori. Nel mondo globalizzato il 20% delle persone consuma 83% delle risorse e la forbice tende ad allargarsi, con ciò non negando gli effetti potenzialmente straordinari che innovazione e “conoscenza” potrebbero determinare e hanno determinato, ma non nell’azzeramento di quel divario: quelle cifre danno conto della inadeguatezza delle istituzioni sovranazionali preposte alla “governance mondiale”. Così come la costruzione del sindacato nella sua dimensione europea e internazionale oggi, di fronte alla dimensione globale del tema della tutela e promozione del lavoro e dei diritti che non sono al riparo in un solo paese, rimane un problema aperto ed insieme ad esso gli interrogativi sul rapporto tra sindacato e movimenti, penso in particolare all’America Latina. A noi spetta il compito di tradurre la percezione della nuova dimensione in politica internazionale, in ruolo da giocare nelle sedi internazionali del sindacato, in cultura dell’organizzazione,in politiche contrattuali. Nelle riunioni che hanno preceduto questa sessione del Direttivo Nazionale dedicato alla politica internazionale (con le categorie a metà dicembre e qualche giorno fa con le strutture confederali), più di un compagno ha ricordato che era consuetudine consolidata iniziare le relazioni introduttive dei Comitati Direttivi della CGIL con l’analisi ed il giudizio sul contesto internazionale. Faceva parte della cultura del movimento operaio collocare la propria iniziativa sindacale nella prospettiva sovranazionale ,in un mondo diviso per blocchi. La scelta di dedicare una sessione di questo Comitato Direttivo alla politica internazionale nulla ha a che spartire con l’ipotesi di rinverdire quella tradizione. Ha invece il senso di provare a definire gli assi strategici della politica internazionale della CGIL oggi, in una fase storica, politica, sociale ed economica in cui la dimensione globale sempre di più è la dimensione nuova del nostro agire quotidiano. Definiti gli assi strategici, abbiamo poi bisogno di iniziative che li traducano, di un quadro di coerenze delle categorie e delle strutture confederali, di consolidamento della cultura dell’organizzazione che ispiri le politiche contrattuali, di ridefinizione della missione del nostro istituto di cooperazione allo sviluppo. La premessa logica alla definizione delle scelte si rintraccia nel giudizio sulle caratteristiche della globalizzazione in atto, sui suoi effetti sul lavoro e sui diritti, sul modello competitivo che la caratterizza e conseguentemente sul ruolo di rappresentanza del sindacato internazionale perché al centro del modello di sviluppo siano posti i diritti umani, i diritti del lavoro, la coesione sociale, garantiti da un ordine mondiale governato dalla politica:esattamente ciò che abbiamo provato a tradurre in pratica sindacale nell’anno che abbiamo alle spalle e che la manifestazione nazionale del 23 marzo ha dimostrato essere condiviso da tantissime persone.
Gli
assi strategici della politica internazionale
1°
Nesso pace-diritti Alla fine della 2° guerra mondiale, la comunità internazionale, diede vita a organismi sovranazionali, l’ONU, il FMI e la Banca Mondiale ( e molti anni dopo al WTO ) con l’obiettivo che quegli organismi favorissero pace, sviluppo, stabilità economica e diritti universali. E’ nella carta dell’ONU che il nesso logico pace-diritti viene descritto e proposto come principio ordinatore di “governance mondiale”. La Costituzione italiana ha fatto proprio quel nesso e lo ha declinato nella sua prima parte. Quel nesso logico diventa in un mondo globalizzato, e dopo la fine della divisione del mondo in blocchi, l’unica alternativa ad una scelta, quella del governo del mondo unilaterale descritta nella teoria sulla guerra preventiva che l’amministrazione americana Bush ha recentemente varato (e che oggettivamente per le sue caratteristiche si propone come teoria geo-politica appunto di governo unilaterale).
In
concreto per la CGIL, che costitutivamente sta nella prospettiva definita da
quel nesso,discendono più conseguenze:sul piano delle relazioni internazionali
da privilegiare e dei contenuti cui
ispirare la nostra collocazione nel sindacato internazionali. Le
relazioni internazionali
Da un lato la necessità,per la CGIL nazionale ma anche per le categorie e i livelli confederali, di perseguire relazioni bilaterali-in Europa e nel panorama internazionale- e politiche contrattuali sovranazionali che a quella prospettiva diano fiato. Medio-oriente (conflitto Israele-Palestina) – Mercosur - Mediterraneo diventano in quella prospettiva le aree privilegiate di impegno per noi, per ragioni diverse ma legate da una medesima logica: lo sviluppo in quelle aree di politiche sindacali concrete che alimentando la catena dei diritti ed il consolidamento della rappresentanza democratica sindacale costruiscano la pace, contribuiscano ad eliminare le ragione del terrorismo, (medio-oriente); favoriscano aree integrate socio-economiche di sviluppo svincolate da ricette liberiste di crescita (Mercosur rispetto ad Alca -Mercosur: Mercato comune del Sud formato da Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay, Cile e Bolivia; Alca progetto di integrazione delle Americhe voluto dall’amministrazione Bush che dovrebbe andare a compimento nel 2005-); attivino relazioni tra i sindacati delle due sponde del Mediterraneo con l’obiettivo di creare un’area di pace, stabilità e comunicazione tra culture diverse, quelle al centro dello scontro Occidente/Islam di cui il terrorismo si nutre e che la guerra contro l’Iraq non farebbe che alimentare. E’ ciò che abbiamo già iniziato a fare:ma gli sforzi delle singole strutture della CGIL hanno bisogno di essere organizzati in un unico disegno,chiaro nelle priorità di utilizzo delle risorse. Abbiamo scelto da tempo come priorità quella del conflitto israelo-palestinese,la guerra che già c’è,nella prospettiva di due popoli,due stati in sicurezza. L’aggravarsi della situazione,resa ancora più drammatica dal rischio della guerra in Iraq,devono orientare maggiormente i nostri sforzi in iniziative che mettano in comunicazione i due sindacati (abbiamo definito con Progetto e sviluppo un progetto in questo senso)e nella richiesta forte all’Europa ,colpevolmente silente,attraverso la Ces di assunzione di responsabilità. Così come definire il Mercosur come area privilegiata di intervento,assume maggior rilievo oggi,dopo il successo di Lula.Anche in questo caso diventa fondamentale il ruolo della CES rispetto alla richiesta di orientamento delle politiche europee.Per noi ciò si deve tradurre in un potenziamento di rapporti con i sindacati di quei paesi a sostegno di sviluppo sottratto al ricettario del FMI. Analogamente individuare i sindacati dell’area del Mediterraneo quali soggetti di un rapporto-avendo presente i problemi anche democratici a cui quei sindacati non sono estranei-ha il senso di una scommessa su ipotesi di sviluppo che definiscano più baricentri della crescita globale. Su ciascuno di questi assi preferenziali credo sia necessario calendarizzare iniziative intanto di tematizzazione,facendo interagire le strutture più coinvolte per storia,per collocazione geografica e i dipartimenti della CGIL.
Il
sindacato internazionale e le sue politiche
.Dall’altro lato la scelta di caratterizzare il proprio profilo nelle centrali sindacali internazionali, “confederali” (CES e CISL Internazionale) e di categoria,su due obiettivi: 1) la riforma degli organismi sovranazionali, per la loro democratizzazione. Il mondo è molto diverso da quello che descrive la gerarchia dei poteri nelle istituzioni sovranazionali fotografata alla fine della 2° guerra mondiale, fondata per esempio per quanto riguarda il FMI sul potere economico dei diversi paesi alla conferenza di Bretton Woods (1944) e sul veto delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (5) in sede ONU. E’ questo tema, derubricato nella sostanza dall’agenda delle attività in paricolare della CISL internazionale;eppure costituisce la premessa alla definizione della possibilità di “governance mondiale”fondata su pace-diritti. 2) Il rafforzamento nel caso della CES, la costruzione nel caso della CISL Internazionale di soggetti sindacali veri, di rappresentanza delle ragioni e dei diritti del lavoro nel mondo globale, come tali interlocutori autonomi delle istituzioni sovranazionali, quali FMI, Banca Mondiale, WTO. Analogamente nei sindacati internazionali di categoria.
E’ bene distinguere ciò che va distinto. Molto diverso è il profilo sindacale della CES e della CISL Internazionale, se non altro per il diverso grado di omogeneità, esperienza e tradizione che accomuna i sindacati che compongono l’una e l’altra. La CISL Internazionale ha evidente difficoltà a rintracciare linee guida di riferimento a partire dalla stessa nozione di diritti sindacali fondamentali. E’ altrettanto vero però che i processi di globalizzazione, aumentano il grado di omogeneità, se non delle tradizioni sindacali, dei problemi con i quali i diversi sindacati si relazionano. Le scelte delle imprese di attraversare la competizione globale comprimendo costi del lavoro e diritti, la scelta della precarizzazione , in singoli paesi sviluppati o tra le aree del mondo, funzionale a mantenere livelli di profitto e consumo per fasce ristrette di persone o paesi ,è un elemento di quadro comune. Così come esiste un asse naturale tra alcuni sindacati, penso a quello tra CGIL-CCOO-Cosatu, CUT brasiliana, che va alimentato per rappresentare dentro la CISl Internazionale elemento di riflessione e stimolo sul ruolo, collocazione, agire del sindacato nella globalizzazione. Peraltro l’idea del rafforzamento del profilo sindacale della Cisl Internazionale è un’idea su cui è possibile mantenere il rapporto con CISL e UIL, pur non negando come anche nel panorama internazionale le differenze con le scelte di CISL e UIL sono evidenti. Un esempio per tutti: è recente nella Cisl Internazionale un tentativo del suo Segretario Generale di definire una strategia da qui al suo prossimo congresso (nov. 2004). Il documento che sostiene quella linea affronta un tema molto importante, quella delle risorse del sindacato stesso. La CGIL si è battuta perché fossero autonome le fonti di finanziamento per ovvie e troppo evidenti ragioni. La UIL ha sostenuto proposte diverse che hanno reso impossibile definire una posizione comune del sindacato italiano. Ma di certo è storicamente consolidato nel sindacato italiano confederale l’idea del sindacato quale soggetto di rappresentanza sociale,idea che nelle sedi internazionali spesso si misura con un’idea altrettanto consolidata di sindacato come lobby e quindi autoprivata di iniziativa sindacale autonoma. Le difficoltà della CISL Internazionale sono peraltro tutte evidenti nella posizione assunta di fronte al “paro” (sciopero) venezuelano, promosso insieme alle imprese (la Patronal), per ragioni esplicitamente non sindacali ,dalla CTV, sindacato con cui la CGIL ha scelto da sempre di non avere rapporti. La nostra affiliazione alla CISL e la confusione stessa della situazione ci hanno spinto ad inviare una lettera al Segretario Generale della CISL in cui abbiamo esplicitato le preoccupazioni della CGIL di fronte alle quotidiane affermazioni del Presidente della CTV che del silenzio-assenso della CISL Internazionale si fa scudo per dimostrare la bontà delle proprie ragioni.
Il
punto non sta ovviamente nella richiesta alla CISL di farsi parte in causa
scegliendo con chi stare, la CTV e dunque i lavoratori che scioperano o Chavez;
il punto è la chiarezza, i criteri, le ragioni sindacali che presiedono al
giudizio della CISL stessa e dunque
il suo ruolo in quella situazione drammatica,drammatica soprattutto per le
lavoratrici e i lavoratori.
Non c’è dubbio che molto diversa è la natura, l’orientamento, l’esperienza della CES. Anche se, anche in questo caso, è in corso negli organismi della CES in previsione del prossimo Congresso, maggio 2003, uno scontro vero sulle modifiche statutarie che ne definiscono il profilo. Materia del contendere è esattamente il rafforzamento del carattere sindacale della CES quale soggetto autonomo, in grado di interloquire con la Commissione e con le imprese, sulla base di una propria idea. Il Congresso della CES, per il quale, ed è assolutamente significativo, a tutt’ora non sono stati varati i testi (la commissione politica si riunisce a gennaio e febbraio), sarà la sede dunque per una discussione vera: in gioco l’idea di rappresentanza sociale, il profilo del sindacato sovranazionale, il futuro dell’Europa stessa come spazio sociale in un contesto in cui 9 degli attuali 15 paesi sono governati da coalizioni egemonizzati dalla destra.
L’orientamento
di CGIL/CISL/UIL su questi temi é comune .Comune l’elaborazione ed il
giudizio dunque quantomeno sull’impalcatura futura della Ces e per questo
comune è la candidatura di Walter Cerfeda nella futura Segreteria. La nostra presenza nei sindacati internazionali di categoria è già fortemente caratterizzata nel senso che dicevo e spesso unitaria, anche se tale caratterizzazione spesso avviene senza che tutta l’organizzazione ne sia consapevole e ciò rende evidente la necessità di passare dal coordinamento confederale alla condivisione di scelte , necessaria non solo per far circolare le informazioni,ma anche e soprattutto per produrre un’azione sindacale più efficace. Penso all’impegno della FILTEA su lavoro minorile e “marchio etico”ed il risultato,ad esso conseguente di protocolli significativi con molte imprese del settore. Penso al lavoro della FLAI sulla catena alimentare. Penso alle scelte della FP per la difesa dei servizi pubblici essenziali e del Sindacato Scuola che insieme agli studenti stanno intanto svelando ciò che potrebbe celarsi dietro alla rivisitazione dei GATS. Ed ancora al lavoro della FILT che ha consentito la messa a punto di una posizione internazionale importante su diritti e globalizzazione. Alla stessa azione della FIOM in difesa dell’industria italiana dell’auto,legando quella difesa all’innovazione e alla produzione di motori e dunque auto a basso impatto ambientale. Alla scelta nostra e della FILCAMS per l’adozione di “clausole sociali”vincolanti per chi produce e chi commercializza,nella chiarezza che quelle clausole non possano essere “brandite” contro i paesi in via di sviluppo –pena il rischio che i sindacati di quei paesi stessi ne siano i più strenui oppositori in assenza di politiche di cooperazione allo sviluppo,di azzeramento del debito, di assunzione dunque di responsabilità della comunità internazionale.(Non vanno in questo senso le scelte del governo italiano:basti pensare alla sostanziale cancellazione in Finanziaria della L.209,legge con cui l’Italia contribuiva per parte sua alla cancellazione del debito dei paesi in via di sviluppo.) Al ruolo dello SPI dentro la FERPA per conquistare il diritto alla rappresentanza a pieno titolo degli anziani nella CES.
2° L’Europa Ci sono due domande che è legittimo porsi: la prospettiva della costruzione dell’Europa come soggetto è una prospettiva in via teorica utile al consolidamento ed alla estensione dei diritti sociali e del lavoro, può avere cioè un effetto positivo sulle condizioni di libertà, autonomia, valorizzazione del lavoro e sulle condizioni materiali delle persone e questa utilità teorica ha una reale possibilità di realizzarsi? La CGIL ha risposto da tempo positivamente. A nostro avviso l’Europa può essere non solo lo spazio di affermazione compiuta di quel modello sociale europeo che tiene insieme sviluppo e coesione sociale, ma dall’Europa è possibile promuovere quel modello come paradigma positivo della globalizzazione, paradigma dunque alternativo a quello di processi produttivi e finanziari globali che acuiscono le differenze tra nord e sud del mondo, tra ricchi e poveri, devastando l’ambiente, propongono la precarietà e l’insicurezza come criterio ordinatore dei rapporti sociali funzionale a soddisfare quegli stessi processi. Oggi il processo di costruzione europea è di fronte ad un crocevia: a seconda di come verranno risolti i problemi aperti, quella prospettiva può essere imboccata o può regredire. La prospettiva in un’Europa sociale, di pace e diritti, ha possibilità di concretizzarsi o allontanarsi a seconda che l’allargamento ad altri paesi della UE sia allargamento non solo di diritti sociali uniformi ma anche di tutela e meccanismi ridistribuitivi e fiscali uniformi, in luogo di un allargamento di mercati alimentati da dumping sociale; a seconda che la costituzione europea definisca nel profilo della cittadinanza universale l’indivisibilità di diritti politici sociali e civili in luogo di un profilo che scorpori i diritti sociali demandandoli ai singoli paesi; a seconda che il modello sociale europeo sia difeso all’interno dello spazio europeo e dunque promosso come paradigma positivo di globalizzazione in luogo della sua deregolazione in favore di altri modelli, quello “americano”; a seconda che si recuperi il deficit di legittimazione democratica che oggi esiste. Oggi nella realtà, nei diversi paesi europei le imprese hanno aperto uno scontro frontale con le OO.SS., sostenute da molti governi di centro-destra (9-15): l’obiettivo è quello di snaturare l’idea di fondo stessa che presiede al modello europeo. La considerazione che li muove è che diritti del lavoro, qualità del lavoro, protezione sociale, siano costi che le imprese europee non possono sostenere nelle competizioni con altre imprese che non sono gravate dagli stessi oneri. Non è casuale dunque che non solo in Italia, esista un attacco ai diritti che è tradotto in lingue diverse ma ha al centro le regole del mercato del lavoro e la prestazione di lavoro, le pensioni. Così in Italia, dove il governo Berlusconi ha definito e sta promovendo leggi,come ben sappiamo, che nella sostanza da un lato poiché definiscono il rapporto di lavoro come un qualunque rapporto di obbligazione tra le parti contraenti, smantellano tutto il diritto del lavoro e la contrattazione collettiva, dall’altro destrutturato la protezione sociale, lo stato sociale, le pensioni, la sanità pubblica, la scuola pubblica. Così in Spagna, attraverso il “decretazo” che intendeva ridurre le tutele nel mercato del lavoro ed in materia di licenziamenti. Lo sciopero unitario di CC.OO e UGT del 20/6 e la manifestazione nazionale del 5/10 a Madrid ha stoppato in parte quel progetto che oggi si ripropone sulla disoccupazione agricola,dando luogo ad una altra dichiarazione di sciopero generale per il 20/2. Così in Inghilterra dove la scelta di differenziare diritti e salari tra vecchi e nuovi assunti nei servizi pubblici ha prodotto, dopo anni, una ripresa fortissima di scioperi. Così in Danimarca, dove il governo ha puntato allo smantellamento della contrattazione collettiva, partendo dagli orari di lavoro demandati al rapporto individuale tra lavoratore ed impresa. Così in Portogallo, dove il 10/12 lo sciopero generale ha contrastato la cancellazione del codice del lavoro. In Francia l’1/2 tutte le OO.SS. hanno proclamato una manifestazione generale a sostegno di una piattaforma di difesa delle pensioni pubbliche minacciate dal governo francese, In Germania è aperto lo scontro sulla tutela reale delle retribuzioni che può portare dopo il 15/1 ad azioni di mobilitazione. Compito del sindacato oggi è lavorare e mobilitarsi nei singoli paesi per fermare quel progetto e al contempo, attraverso la CES, moltiplicare l’effetto dell’azione sindacale in ogni paese attraverso azioni coordinate che agiscano sia sul terreno della costruzione europea, intervenendo nella discussione/scontro oggi in corso sulla prospettiva europea, sia sul terreno della mobilitazione generale a sostegno dei diritti del lavoro e dei diritti sociali per fermare la loro deregolamentazione. Sul 1° punto, quello della Costituzione Europea, la nostra opinione è che la Costituzione Europea debba contenere, come parte integrante e qualificante del profilo di cittadinanza europea che descrive, la Carta di Nizza. Non consideriamo la Carta di Nizza la migliore “carta possibile”, né ci sfuggono le sue lacune: oggi però si tratta di conquistare l’obiettivo che i diritti sociali e del lavoro uniformi e il diritto alla contrattazione collettiva definiti nella carta, presiedano alla Costituzione, di fronte al tentativo esplicito, del vice presidente del Consiglio italiano, nonché vice presidente della Convenzione ed anche di alcuni parlamentari inglesi, per fare un esempio, di fare di quella carta un protocollo aggiuntivo, negandone quindi valenza, rilevanza ed esigibilità. Ciò che sembra maturare ad oggi nell’ipotesi in campo è al contrario il recepimento tra i principi della Costituzione di alcune parti della Carta. Il tentativo è anche più pericoloso ed esplicito: così come recitava l’accordo-lettera di intenti Blair-Berlusconi, è quello di sostenere che la politica sociale europea è esaurita ed in prospettiva quella politica va demandata sulla base del principio di sussidiarietà ai singoli stati e dunque la politica sociale non troverebbe posto nella seconda parte della Costituzione, quella che definisce gli strumenti di attuazione dei principi. La nostra opinione è netta:la scelta del vincolo della Costituzione come luogo in cui recepire la Carta, è il veicolo indispensabile per la sua “giustiziabilità”, la sua esigibilità in ogni paese. Esiste a nostro avviso un nesso inscindibile tra sviluppo e sua qualità, democrazia e sua qualità. O l’Europa è luogo di diritti uniformi, di qualità dello sviluppo e per questo di qualità della democrazia, o si ingigantirà l’effetto anche politico che precarietà, insicurezza, mercificazione del lavoro portati dalla globalizzazione senza regole producono, assegnando successo a formazioni politiche che a quegli effetti rispondono all’insegna dell’isolazionismo, del protezionismo, del corporativismo, della xenofobia e del razzismo, come è successo in Austria, Olanda e in Francia. Alla crisi della democrazia esposta al rischio di processi antidemocratici, occorre rispondere allargando ed estendendo i diritti che fanno qualità della democrazia. Da questo punto di vista non ci sfugge e ci riguarda l’importanza della richiesta di una nuova e maggiore legittimazione democratica della UE, e dei suoi poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), di un nuovo ruolo della BCE, le cui scelte vanno legate all’obiettivo della piena occupazione, e di un rapporto più solido e ancora da costruire tra le istituzioni, la società civile organizzata e i cittadini, già ora nella fase di costruzione del processo. Abbiamo bisogno poi di una mobilitazione generale europea a sostegno di tali idee: abbiamo proposto insieme a CC.OO che la CES la promuova in primavera, non solo per rispondere alle oggettive esigenze di coordinamento e sinergia delle mobilitazioni che sono aperte in tutti i paesi d’Europa, ma per affermare attraverso questa via la soggettività sindacale della CES che sceglie autonomia e rappresentanza in luogo del lavoro di lobby(la cui debolezza nella situazione politica dei governi d’Europa appare evidente) e per questo coinvolge e mobilita le persone spezzando il velo di silenzio che copre lo scontro oggi in atto sul futuro dell’Europa. E non c’è dubbio che il Congresso della CES rappresenti in questo senso un momento di ridefinizione strategica.
3° Il rapporto con i movimenti La CGIL ha scelto in questi mesi di interloquire con i movimenti che sono stati protagonisti di una forte critica radicale al modello di sviluppo liberista ed hanno avuto il grande merito di materializzare sulla scena della politica il tema degli effetti iniqui della globalizzazione ,per alcuni versi svelandoli. Quel movimento si è proposto oggettivamente come interlocutore tra i più importanti di chi pensa come noi che perché la globalizzazione sia una opportunità vanno modificati profondamente organismi politici ed economici, regole di decisioni e orientamenti che oggi presiedono alle scelte della comunità internazionale. Un movimento che da questo punto di vista ha assunto oggettivamente responsabilità, proponendo la partecipazione civile come atto politicamente rilevante. Lo abbiamo fatto sulla base dei nostri convincimenti e delle nostre analisi:questo il senso della nostra partecipazione ai lavori del Social Forum a Firenze, e a Porto Alegre,dove saremo presenti con una delegazione guidata dal Segretario Generale della CGIL ,che al Forum interverrà. Abbiamo provato anche a costruire un rapporto strutturato con il mondo dell’associazionismo, con il seminario nazionale del 30/10. Con alcune associazioni abbiamo un legame antico, con altre più recenti attraverso luoghi che abbiamo scelto insieme, penso alla Tavola della Pace. La nostra scelta è il frutto di una riflessione che ci porta a considerare decisivo un confronto, non episodico, con associazioni che hanno una presenza radicata nella società e che non rinunciano, con la loro capacità di ascolto, partecipazione, azione quotidiana e autorganizzazione a “invadere la politica”, a segnarla di valori e di utopie, quelle della pace, della solidarietà, della speranza, che per questo riescono ad interagire con moltissimi ragazzi e ragazze. Sul rapporto tra politica e sociale, tra primato della politica e primato del sociale, molto è stato detto, poco è stato indagato, tanto è stato offuscato sotto le parole e i loro sinonimi. Alla CGIL poi è stata ed è rivolta l’accusa di piegare la propria forza organizzata a fini non sindacali. Dietro tale affermazione si nasconde sicuramente un intento strumentale, l’obiettivo cioè di delegittimare le nostre scelte di questi mesi. Ma si tratta di una valutazione sottoscritta disinvoltamente da troppi per essere solo strumentale. Dietro c’è di più: l’impoverimento dell’idea stessa della politica, intesa come appannaggio autoreferenziale della rappresentanza politica o al meglio come coincidente con la rappresentanza politica. Ciò che viene negata a noi è la politicità del sindacato confederale come soggetto che compone la dialettica democratica. Ciò che viene oscurato, in via generale, è la rilevanza politica della partecipazione civile e dell’autorganizzazione sociale
La
scelta di interlocuzione positiva e non episodica con i movimenti e le
associazioni, sulla base delle nostre idee, è parte della nostra strategia di
politica internazionale..
Le
scelte concrete
Dicevo all’inizio che costruire una politica internazionale ha bisogno della individuazione nelle sedi decisionali della CGIL di assi strategici, ma ha bisogno anche di coerenze e assunzione di responsabilità da parte delle categorie e dei livelli confederali per realizzare quell’indirizzo che viene deciso. Poi ha bisogno di far crescere nell’organizzazione una cultura, traducendo la percezione del peso della dimensione internazionale sulle condizioni materiali delle persone che rappresentiamo in conoscenza, strumenti e politiche contrattuali coerenti: la formazione e la diffusione delle informazioni diventano fondamentali. Pensiamo di attivare l’uno e l’altro canale. E’ già allo studio l’analisi di fattibilità perché rassegna sindacale si doti di un supplemento mensile dedicato alla politica internazionale. Infatti per troppo tempo la politica internazionale o le relazioni internazionali sono state appannaggio nella organizzazione di competenze specialistiche(anche perché le competenze specialistiche sono particolarmente in questo campo indispensabili). Ma la verità è che fino ad oggi non abbiamo percepito complessivamente il cambio di fase e di velocità degli effetti della nuova dimensione internazionale ed europea, o meglio abbiamo faticato a tradurre tale percezione in pratica sindacale. La Segreteria Nazionale della CGIL ha già un anno fa tradotto sul piano organizzativo questa consapevolezza con l’istituzione del Segretariato per l’Europa e più recentemente nella nuova Segreteria Confederale è stato affidato un incarico specifico e distinto sulla politica internazionale. La riflessione che matura nella Segreteria, a cui si darà corso dopo il Congresso della CES, è che pur mantendo il Segretariato le sue attuali distinzioni funzionali dal Dipartimento Internazionale- per il peso che ha su di noi l’Europa e per la nostra stessa scommessa sul modello sociale europeo- la politica europea e quella internazionale abbiano un unico punto di direzione nella Segreteria Confederale.
Abbiamo poi bisogno di ridefinire la missione dell’Istituto di cooperazione, PROSVIL. Progetto Sviluppo ha in questi anni risolto i problemi di un tempo, il punto dunque non è la sua stabilità –fragilità economica. Il punto a mio avviso invece sta nell’individuare in Progetto Sviluppo lo strumento di cooperazione internazionale funzionale alla politica internazionale della CGIL. La Cooperazione internazionale, promossa da un istituto di fonte sindacale, si deve caratterizzare per il suo profilo sindacale: cooperazione volta alla promozione di diritti del lavoro ,di diritti sindacali, alla promozione di sindacati liberi e democratici, alla promozione di sviluppo solidale. La solidarietà è il terreno storico dell’esistenza stessa della CGIL ed è bene che la CGIL continui a caratterizzarsi in questo senso anche sul piano internazionale. Ma la nostra attività di cooperazione deve caratterizzarsi per un profilo squisitamente sindacale che consenta specializzazione e ne giustifichi l’esistenza. Ovviamente ciò pone più che nel passato il tema delle risorse cui,delimitando il campo dei canali di finanziamento PROSVIL può attingere. Stiamo lavorando insieme al coordinamento nazionale dei servizi per studiare forme che possano consentire che le risorse che già oggi sono messe a disposizione da molti servizi, penso al servizio fiscale, per solidarietà e cooperazione internazionale, possano definire sostegno all’attività di cooperazione, coerente con le scelte di politica internazionale della CGIL.
Infine su ognuno degli assi strategici individuati,come già detto, l’intenzione è quella di promuovere in tempi brevi iniziative di approfondimento. Non penso solo a seminari destinati al gruppo dirigente, ma anche ad appuntamenti anche più impegnativi e già in fase di preparazione insieme ad altri sindacati: CUT, Cosatu, CC.OO. Così come credo che l’esigenza che nelle riunioni preparatorie a questo Direttivo si è palesata da parte di molti compagni di periodiche riunioni del gruppo dirigente sui diversi temi sia non solo legittima, ma assolutamente necessaria per tutto quanto detto precedentemente.
Non ho parlato fino ad ora della guerra in Iraq e del suo avvicinarsi.Non l’ho fatto perché da molti mesi ormai, da settembre ’02, abbiamo definito una posizione netta di contrarietà, coerente peraltro a quel nesso pace-diritti che ho premesso a fondamento della prospettiva della CGIL. Abbiamo da settembre richiesto a CES e CISL Internazionale una iniziativa del sindacato internazionale per scongiurare la guerra. Siamo contenti che la CISL italiana sia arrivata alla medesima conclusione, come apprendiamo dai giornali di venerdì scorso. Ciò rende più forte la nostra posizione nel sindacato internazionale. Abbiamo argomentato la nostra posizione di rifiuto della guerra:per ciò che significa,per le sue conseguenze sulle persone ,sulla geografia del mondo,sul ciclo economico e come strumento di risoluzione dei conflitti tra gli Stati .Abbiamo riaffermato unitamente la condanna assoluta del terrorismo. La guerra alimenterebbe peraltro il consolidamento di un blocco estremista islamico in Medio Oriente, dunque il terrorismo stesso. Abbiamo anche argomentato come un eventuale via libera dell’ONU, non ci farebbe cambiare idea e peraltro il capo degli ispettori in Iraq continua a negare l’esistenza di un “casus belli”, “bellum” che la carta dell’ONU prevede solo come atto difensivo. Il tema della legalità e del diritto internazionale è un tema molto importante. Ma non si può confondere il consenso su una scelta, con la presa d’atto di una presunta conformità al diritto internazionale con cui quella scelta viene presa. Abbiamo partecipato convintamene alle manifestazioni per la pace di questi mesi: quella straordinaria a Firenze a novembre, il 10 dicembre in tutte le città italiane. Lo faremo anche il 15 febbraio a Roma, quando in tutte le capitali europee si manifesterà per la pace. Continuare a farlo ovviamente non ha il senso della testimonianza che pure in questo caso ha un valore straordinario, ma quello di non arrendersi alla inevitabilità della guerra, alla sconfitta cioè della politica e con essa della prospettiva di pace e diritti,unica vera risposta efficace al terrorismo.
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