Semestre europeo presidenza italiana: le priorità della Cgil
Di Titti Di Salvo


Premessa
I prossimi 6 mesi saranno decisivi per definire il profilo dell'Europa. Cambiano i suoi confini geografici, (l'allargamento), cambia il suo profilo istituzionale (così come la costituzione delineerà) e tutto ciò avverrà sotto il peso ed il condizionamento di 2 elementi decisivi: le nuove tensioni internazionali che la guerra in Iraq ha svelato e la congiuntura economia mondiale ed europea negativa.
I prossimi 6 mesi vedranno anche l'Italia presiedere la UE. La presidenza di turno ha sicuramente un peso nell'indirizzare le soluzioni dei problemi via via aperti nelle sedi europee. Non è un peso assoluto, ma non c'è dubbio che la funzione di iniziativa e mediazione assegnata alla Presidenza di turno, se pur all'interno di binari definiti, nel momento delle scelte assume un significato importante ed oggi sono all'ordine del giorno snodi decisivi.
Gli atti di politica estera del governo, fino ad oggi segnati da subordinazione a prescindere alle inclinazioni dell'amministrazione americana, quelli di politica economica e sociale, gli emendamenti del governo presentati al testo della Convenzione, l'idea di Europa come grande mercato che si estende alla Russia e a Israele, cioè dunque le inclinazioni del governo Berlusconi su ciascuno dei problemi aperti a livello europeo non ci rendono tranquilli sull'esercizio delle funzioni di mediazione che su quei problemi la presidenza di turno dovrebbe esercitare.
Per non parlare poi della debole cultura democratica e vocazione europea apparsa in tutta la sua rozzezza il giorno della presentazione del programma di presidenza italiana al Parlamento di Strasburgo e nei giorni successivi. Una rozzezza che rende sospetta "la politically correct" all'insegna della quale il programma della Presidenza del Consiglio per il semestre è stato stilato, al di là dei suoi contenuti, alcuni ovvi, altri generici, altri ancora non condivisibili, penso allo sbilanciamento di quel programma in tema di politica estera e rapporti UE-USA.
Poiché i problemi aperti sono di quella dimensione e poiché a seconda del profilo che l'Europa avrà, per le persone che rappresentiamo l'integrazione europea costituirà una opportunità di libertà e giustizia o resterà un'aspirazione positiva da realizzare, per queste ragioni siamo interessati non solo a partecipare al "dibattito", ma anche a costruire intorno alle nostre priorità iniziativa e mobilitazioni, a contribuire cioè a materializzare intorno all'Europa che nasce, la volontà e gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani che rappresentiamo.
Può quest'ultima affermazione apparire enfatica. Al contrario uno dei problemi aperti è la mancanza diffusa della percezione degli effetti delle scelte europee sulle condizioni materiali delle persone e dall'altro, come conseguenza, l'assenza di partecipazione democratica, di senso comune e quindi di pressione nell'orientare alcune scelte piuttosto che altre.
L'estraneità sostanziale al processo di integrazione europea che si sta compiendo può essere un boomerang molto pericoloso nel momento in cui, come spesso ha fatto e continua a fare il governo Berlusconi, l'Europa viene evocata per giustificare scelte di politica economica e sociale che riducono diritti e precarizzano il lavoro.
Conosciamo infatti da tempo il tentativo di piegare a fini interni o di piegare alle inclinazioni della maggioranza di governo le scelte europee; un tentativo che ha una doppia valenza. Da un lato creare a priori il clima mediatico per giustificare scelte di cui non ci si assume la responsabilità, il tema delle pensioni da questo punto di vista è assolutamente trasparente. Dall'altro tradurre a posteriori direttive europee, che non si è riusciti a contrastare, in una normativa che ne stravolge il senso. L'ultimo caso in ordine temporale è l'applicazione della direttiva contro la discriminazione nei luoghi di lavoro che riesce a realizzare il contrario di quanto la direttiva dispone, rendendo possibile la discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale.
E' preoccupante pensare in analogia alle normative di recepimento delle direttive europee che l'Italia sta bloccando da molto tempo sulla giustizia, sul mandato europeo di arresto e sul reato di xenofobia e razzismo. Ed è altrettanto necessario vigilare sul carattere che verrà dato alla Conferenza che chiuderà in Italia l'anno europeo dedicato alle persone disabili.
La CGIL ha molto lavorato e da tempo con CISL e UIL e con la CES perché alla vigilia della Conferenza intergovernativa ci fosse in Italia una manifestazione sindacale di respiro europeo; la manifestazione ci sarà, sarà a Roma all'inizio di ottobre e avrà al centro il profilo sociale dell'Europa, l'idea dello sviluppo sostenibile fondato sulla qualità, sul valore del lavoro, sui diritti delle persone, native e migranti.
E' una manifestazione che va preparata, come tutte, ma forse un pò di più. Intanto perché le sue ragioni non sono immediatamente percepibili e vanno diffuse, come sappiamo fare.
In secondo luogo perché è unitaria e perché sarà collocata temporalmente nel pieno della Finanziaria, in un quadro i cui contorni oggi non sono chiarissimi, ma chiari ne sono i segnali di iniquità e inconcludenza.
Per questo val la pena di soffermarsi più diffusamente sui problemi europei aperti che nel semestre europeo a presidenza italiana matureranno e sul contesto che non sarà ininfluente, tuttaltro, sulle soluzioni che a quei problemi, tutti per noi importanti, verranno date.

La crisi internazionale: l'Europa attore globale

La guerra in Iraq ha rivelato, non determinato, la fragilità delle istituzioni internazionali, per eccellenza le Nazioni Unite, nate dalla 2° guerra mondiale con l'obiettivo della pace, della stabilità, dell'affermazione dei diritti definiti nella sua Carta.
L'origine di quella fragilità ha elementi interni, la stessa gerarchia di poteri che vede nel Consiglio di sicurezza solo le Nazioni che hanno vinto la 2° guerra mondiale, ma consiste soprattutto nella crisi dell'ordine mondiale diviso in blocchi che la storia si è incaricata di modificare e su cui la struttura dell'ONU era costruita e nelle stesse caratteristiche della globalizzazione, con un processo in cui cause ed effetti sono profondamente legati.
La guerra in Iraq, sbagliata in ogni caso e resa illegittima dal mancato consenso dell'ONU, ha rivelato che nella nuova situazione esiste più di un rischio che alla fragilità e all'insufficienza del governo politico del mondo si risponda con l'unilateralismo dei poteri forti e la teoria della guerra preventiva.
Esiste un'altra possibilità, che ha bisogno della "democratizzazione dell'ONU" e della sua riforma. Ha bisogno anche di soggetti che sulla scena mondiale agiscano in virtù di solidità politica, economica e sociale.
Il multilateralismo, che è giusto chiamare multi/polarismo, come è stato fatto sabato scorso nel seminario organizzato dalla Fondazione Di Vittorio con El Baradei, ha bisogno anche di una Europa forte, anche e non solo, perché ha bisogno altrettanto del consolidamento di processi di integrazione come quello a cui sta molto lavorando il Brasile di Lula nel Mercosur e di cui il Ministro Luis Dulci, in visita in Italia qualche giorno fa, ci parlava con entusiasmo e convinzione come possibilità per quei paesi di maggiore autonomia, stabilità e successo di modelli di sviluppo di qualità, per questo capaci di sottrarsi a modelli alternativi liberisti.
L'Europa, che in virtù del suo modello sociale può realizzare un paradigma positivo di globalizzazione, è dunque, condizione necessaria in quella prospettiva, l'unica coerente con i nostri valori e con gli interessi che rappresentiamo.
Oggi, nella discussione aperta nella Convenzione e da ottobre nella Conferenza intergovernativa sul profilo dell'Europa, è esattamente in gioco questa possibilità: una Europa forte, federale, dotata di istituzioni legittimate democraticamente, di un governo dotato di poteri, di un parlamento che può decidere con gli strumenti della democrazia, il voto a maggioranza.
Tra i governi esistono però opinioni diverse e pesa su di essi lo scarso interesse dell'amministrazione americana a che quel tentativo vada in porto. Così per quanto riguarda i paesi dell'allargamento, così per quegli 8 paesi che durante la guerra in Iraq, su iniziativa del governo italiano, avevano a prescindere deciso di stare dalla parte di Bush, scegliendo si disse tra 2 servitù l'asse franco-tedesco e quello americano, in realtà impedendo al governo di presidenza di quel semestre, quello greco, qualunque spazio di mediazione.
Il governo italiano milita negli atti concreti a favore di una ipotesi diversa dalla nostra.
Lo ha mostrato con strappi alla politica estera europea e alla tradizione-vocazione diplomatica italiana in medio-oriente, lo ha mostrato con gli emendamenti (16) presentati alla Convenzione, volti a derubricare dal testo della Convenzione qualunque riferimento all'Europa federale e ai valori dell'Europa, come attore di pace e come spazio sociale.
Gli emendamenti sono atti ufficiali e scritti, le affermazioni di Fini semplicemente affermazioni.
Il testo che arriva dalla Convenzione sotto questo profilo è un testo che risente come è ovvio delle opinioni diverse; produce passi in avanti, il ministro degli Esteri, qualche decisione a maggioranza ma non la politica estera e qualche altra, molte, sottratte al voto a maggioranza.
La direzione di marcia è avviata, senza certezza che non abbia deviazioni nel passaggio dalla Convenzione alla mediazione diretta dei governi della Conferenza intergovernativa e l'Europa politica è ancora lontana.
Su questo tema, il profilo di un nuovo ordine mondiale multipolare e il ruolo dell'Europa coerente a tale obiettivo, la CGIL pensa di organizzare entro l'anno una iniziativa, che la discussione riaperta sulle ragioni della guerra in Iraq e i falsi dossier rende ancora più urgente

La congiuntura economia mondiale ed europea: il Patto di stabilità

Come è noto la congiuntura economica mondiale è sfavorevole. Tutte le economie mature ne sono investite (la produzione industriale USA è in caduta libera da 30 mesi; le previsioni recenti segnalano che il PIL crescerà del 2,1% negli USA, dell'1,2% in Gran Bretagna, dell'1% in Francia. In sostanza quelle economie non riescono a crescere sopra il 2/3%, mentre quelle emergenti - Cina, Corea del Nord, India - crescono a tassi superiori al 5%, nonostante la SARS.)
L'economia USA oggi in difficoltà, ha rappresentato dal '95 circa i 2/3 della crescita globale.
L'economia dell'area euro risente pesantemente degli effetti della congiuntura internazionale e soprattutto delle gravi difficoltà del motore interno della propria economia, quella tedesca. Così in Francia, nei Pesi Bassi, a casa nostra, con effetti conosciuti sul piano della quantità dell'occupazione, ma anche con effetti evidenti sulla precarietà del lavoro, sulla qualità e l'estensione dei sistemi di protezione sociale, sulla diffusa percezione di insicurezza delle persone.
Il rischio di declino che si palesa con le caratteristiche note in Italia, dove alla congiuntura si sommano le scelte inefficaci e inique del governo e di Confindustria, è un rischio presente per l'economia europea, che ha di fronte a sé anche il tema dell'allargamento a 10 nuovi paesi e della conseguente armonizzazione.
Le scelte necessarie per affrontare la congiuntura sono consegnate ai governi europei che 9 su 15 hanno maggioranze di centro-destra e le ricette anticicliche utilizzate ad oggi risentono, anche al di fuori di quei confini geografici, di monocultura liberista: meno tasse, più precarietà del lavoro, meno protezione sociale.
Ne è testimonianza viva l'ondata estesa di mobilitazioni promosse dai sindacati europei in quasi tutti i paesi d'Europa. E' un fatto politico che la stampa italiana ha mancato di far rilevare, a differenza della stampa straniera che, con in testa il Financial Times, ha descritto l'ampiezza della mobilitazione come frutto dell'opposizione del sindacato "conservatore" alle "necessarie modernizzazioni".
Nel 2000 d'altra parte , in un contesto economico e politico differente, l'Europa si era dotata di una strategia ambiziosa e per noi assolutamente condivisibile, quella di Lisbona, con l'obiettivo di puntare a rendere l'Europa stessa competitiva e protagonista nella scena mondiale attraverso la scommessa sulla innovazione, la qualità e dunque la conoscenza, il sapere, la qualità del lavoro, la formazione come strumento di contrasto all'esclusione sociale.
Gli indicatori di competitività individuati sono indicatori relativi a investimenti in reti infrastrutturali, materiali e immateriali, ricerca, formazione in virtù dei quali, a mò di esempio, l'Italia è al penultimo posto della classifica europea prima della Grecia. (tabella OCSE).
Quella strategia che è la nostra ed è il cuore di ciò che nella letteratura si intende per modello sociale europeo, non ha avuto fin qui gli strumenti comunitari per decollare, né, nel quadro politico mutato, le convinzioni e le condizioni.
La domanda che è necessario porsi oggi è se, di fronte alla congiuntura rapidamente descritta, quella strategia è viva, è archiviata o se al contrario, ed è ciò che noi pensiamo, ha bisogno di nuovo protagonismo, nuova linfa e soprattutto della messa a punto di strumenti e risorse che la rendano praticabile. Detta diversamente se le politiche pubbliche rimangono strumento per creare e orientare sviluppo o se al contrario è necessario orientarsi verso "l'abbassamento delle tasse, la riduzione del costo del lavoro, dunque l'intervento sulle pensioni, sui salari pubblici, sulla sanità, perché competiamo con paesi che hanno a disposizione schiavi" queste le parole di Guidi, vice-presidente di Confindustria nell'incontro di Varese all'apertura del semestre di presidenza italiana dei Ministri europei del lavoro e del welfare.
La domanda ne postula altre ed in particolare una, come finanziare quelle politiche pubbliche, che richiedono ingenti risorse nei vincoli del patto di stabilità?
La Commissione ha appena annunciato un piano di infrastrutture di collegamento europeo (il piano Van Miert) finanziato dalla BEI (Banca Europea delle Infrastrutture) che è dotata in realtà di scarse risorse.
Il patto di stabilità e di crescita, approvato nel 1997 aveva implementato i criteri contenuti nel Trattato di Maastricht (1992) e affermato che nel medio-breve termine il bilancio deve avvicinarsi al "close to balance", al pareggio. Il deficit è eccessivo se supera il 3% del PIL.
Maastricht ha condotto il contrasto dell'inflazione in quella fase agendo sulla politica monetaria. Ha raggiunto quell'obiettivo, ma non quello della crescita. Oggi gli indicatori economici sono quelli classici della deflazione e del ristagno economico, quelli sociali sono quelli della precarietà e dell'insicurezza.
Il piano Delhors già 10 anni fa , affermava che la politica dell'offerta andava combinata con quella della domanda. Oggi la crescita dipende solo dalla domanda esterna (USA), bisogna dotare l'Europa di una domanda interna, ora, senza aspettare la ripresa.
E' per questo che si rende necessaria la rilettura intelligente del Patto di stabilità, scorporando dagli indicatori di debito le risorse utilizzate per investimenti che creano sviluppo.
Si tratta non di riproporre la politica "democristiana" per dirla in italiano del debito pubblico e di allentare dunque il rigore, ma di individuare le priorità e non può essere che la Commissione a dire quali investimenti creano sviluppo, attraverso il metodo del "coordinamento aperto".
La rilettura del patto di stabilità dunque non è la via di uscita da proporre a governi, per esempio quello italiano, che hanno il debito pubblico più alto per alimentare "finanze creative", per esempio l'iniqua controriforma fiscale di Tremonti. Quando abbiamo definito le ragioni dello sciopero contro il declino del 21/2, abbiamo anche avanzato l'idea di una tassa di scopo per finanziare quegli investimenti in ricerca e innovazione, così drammaticamente necessari in Italia e drammaticamente assenti.
Quell'idea, si integra con la rilettura intelligente del patto di stabilità.
La CES ha nel suo Congresso di Praga ha approvato una mozione d'urgenza in questo senso e quella richiesta figura nelle priorità che nel corso dell'incontro richiesto a Berlusconi, presenterà alla presidenza del semestre europeo, unitamente, ma c'è un nesso logico, al profilo sociale del nuovo Trattato Costituzionale; ad una politica di integrazione per le persone che dal sud del mondo vengono in Europa a cercare lavoro; alla riproposizione delle caratteristiche del modello sociale europeo, negando altresì l'utilità e la possibilità delle Maastricht delle pensioni; alla richiesta della definizione precisa della posizione dell'Europa a Cancun al vertice del WTO, che si svolgerà a settembre dunque durante il semestre europeo di presidenza italiana. Su questo la CGIL ha una posizione netta, elaborata nella iniziativa con le categorie di marzo, diventata unitaria e assunta dal Congresso della CES, che chiede la moratoria dei negoziati del WTO e la richiesta di standards sociali e di regole che presiedono al commercio mondiale, come condizione necessaria per ipotesi di sviluppo fondate sulla qualità e non sul dumping sociale.

La Convenzione: il Trattato Costituzionale

La Conferenza Intergovernativa che si apre a Roma a metà ottobre avrà in consegna dalla Convenzione un testo che è il frutto di orientamenti diversi dei governi. E' un prodotto importante positivo per molti aspetti, in primo luogo perché dota la nuova Europa di una Costituzione, che è l'atto necessario per la definizione dell'Europa Politica, dopo l'Europa monetaria realizzata con l'ingresso dell'euro.
In secondo luogo perché contiene scelte in sé importanti, prima fra tutte l'inserimento della Carta di Nizza, che definisce così il profilo della cittadinanza europea come un nesso inscindibile di diritti-sociali, diritti-politici.
La valutazione sull'esito dei lavori della Convenzione è ovviamente complessiva e dunque positiva e occorrerà vigilare perché il semestre di presidenza italiana non determini passi indietro.
Ma per riassumerla e individuare gli obiettivi ancora da raggiungere è bene avere presente ciò che insieme alla CES ritenevamo utile che il Trattato Costituzionale contenesse e la sintonia tra la 1° e la 2° parte della Costituzione, quella dei valori e dei principi, con la parti successive, quelle che individuano gli strumenti attuativi.
A suo tempo la CES aveva posto questioni di assoluto rilievo, prima tra tutte l'inclusione, con valore giuridicamente vincolante, della Carta dei Diritti fondamentali nella Costituzione, ma anche la citazione dei servizi di interesse generale tra gli obiettivi comuni elencati all'inizio della parte istituzionale; la definizione dell'obiettivo di una "economia sociale di mercato", così come quello della "piena occupazione"; il riconoscimento del valore istituzionale del dialogo sociale; la definizione e la strumentazione per un "governo economico europeo" e per una strategia di sostenibilità economica e sociale dell'Unione; la coerenza tra le linee guida per la politica economica e quelle per l'occupazione ed altre specifiche notazioni tutte convergenti verso la richiesta di fondo che il nuovo trattato costituzionale contenesse e promuovesse "più Europa", con l'obiettivo del raggiungimento di una effettiva unione politica e sociale tra tutti gli Stati membri.
Se si valuta la risposta della Convenzione esclusivamente in rapporto alla prima e seconda parte della Costituzione, il bilancio appare positivo, e tuttavia non completamente soddisfacente: molte cose sono state recepite; altre, come ad esempio i servizi di interesse generale o l'obiettivo di un vero governo economico europeo, mancano; altre ancora sono formulate in modo piuttosto ambiguo, per cui il coordinamento di politica economica e di politica occupazionale è presente, ma nella forma di due procedure disgiunte di coordinamento, senza intreccio apparente tra di esse; inoltre per l'economia l'Unione formula indirizzi di massima e per l'occupazione solo orientamenti.
Altra vistosa assenza è quella di ogni pur minimo richiamo al metodo aperto di coordinamento, strumento che, pur con la necessità di qualche modifica per renderlo più vincolante, è diventato particolarmente importante nell'attuazione delle politiche sociali ed occupazionali, a partire dal Consiglio europeo di Lisbona e ulteriormente con quello di Nizza.
Il successo conseguito con il riconoscimento del dialogo sociale nella prima parte della Costituzione va completato con una più puntuale definizione dei suoi ambiti ed effetti applicativi.
La Carta dei diritti fondamentali entra a far parte a pieno titolo della Costituzione e questo è un fatto di enorme rilievo, e però vengono aggiunti dei commi che sottolineano una sorta di giustapposizione tra diritti e principi che rendono più limitativa la possibilità di far valere questi ultimi come norma in sé a fronte di atti legislativi o esecutivi sia a livello dell'Unione che a quello di Stati membri, la cui preminenza, di prassi o legislativa, viene ulteriormente ribadita.
Per una valutazione più compiuta è poi necessario allungare lo sguardo alla terza parte della Costituzione, quella degli strumenti attuativi dove si conferma un vizio ricorrente anche nei precedenti trattati: le definizioni solennemente sancite dalla prima parte cambiano o si attenuano lungo il percorso. Per fare due esempi significativi, l'economia sociale di mercato diventa una "economia di mercato aperta e in libera concorrenza" (emendamento del governo italiano), mentre l'occupazione perde l'aggettivo "piena".
Bisognerà poi valutare attentamente le parti che definiscono il profilo istituzionale che sembrano preludere a una definizione contraddittoria dei poteri (Commissione e Parlamento) e sembrano disegnare più un soggetto somma di governi (basti pensare al voto a maggioranza), che un soggetto federale.

Il Programma del semestre al governo italiano

Va innanzitutto ricordato che non c'è stato fino a questo momento, tranne che presso il Ministero del Welfare, un incontro tra governo e sindacato, né europeo né italiano sui contenuti del programma, che si presenta formulato alla insegna della "politically correct", ma anche della generica continuazione di impegni assunti nei semestri precedenti, come si è detto smentiti continuamente dagli atti concreti. Della politica estera si è già detto. Anche su temi caldi, come quello delle pensioni, tema che non compare nell'agenda ufficiale delle priorità del Presidente dei Ministri europei competente per questi 6 mesi, cioè Maroni, e compare invece nel Programma ufficiale, la genericità è d'obbligo e il tema viene descritto come il problema da un lato dell'invecchiamento demografico dell'Europa e dall'altro dell'invecchiamento attivo.
Sgombrato il campo, e lo ha fatto prima di tutto la Commissaria competente Diamantopoulou, della inesistenza di intervento comunitario come la "Maastricht delle pensioni", rimane sul tappeto la rilevanza italiana e la confusione italiana del tema, oggetto di trattative all'interno della maggioranza di governo e di desiderio come strumento per far cassa dal Ministro Tremonti.
Al contrario l'orientamento che Maroni nel suo ruolo europeo ha proposto è stato quello di promuovere scelte del Consiglio Europeo che rendano evidente il legame tra ministri dell'Ecofin e ministri del lavoro e del welfare per la evidenza, dice Maroni in sintonia con la Diamantopoulou, (e con il sindacato), che le politiche di sostenibilità finanziaria vanno indissolubilmente legate a quella della sostenibilità sociale, poiché la coesione sociale è volano dello sviluppo e non viceversa.
Così come, il tema dell'invecchiamento dell'Europa, e quindi dell'innalzamento del livello dell'età anagrafico per andare in pensione, dice Maroni, sempre in sintonia con la Diamantopoulou, è un tema che non può che essere affrontato nei singoli paesi in analogia a tutti i temi che riguardano i sistemi previdenziali, legati indissolubilmente a storia, cultura, tessuto produttivo, mercato del lavoro, ecc.. di ogni singolo paese.
Le priorità che sono state avanzate nel semestre dal Ministro del welfare in realtà sono i titoli che già figuravano nell'agenda europea stilata precedentemente e dal confronto diretto tra il Ministro ed i Segretari Generali di CGIL CISL UIL, così come a Varese, parrebbe emergere la volontà di non fare strappi in questa fase alla deontologia europea, più di quella già fatta dalla presidenza Per evitarli l'intenzione annunciata è quella di non approcciare nemmeno ipotesi di direttive come quelle sul lavoro interinale o sulla OPA, che arrivano irrisolte al semestre italiano in assenza di condivisione dei diversi governi europei.
Ciò nonostante è importante mantenere alta l'attenzione e il profilo della nostra iniziativa sui temi indicati dal ministro del welfare come priorità: ruolo della famiglia, che evoca il Libro Bianco del welfare che già conosciamo, lavoro nero, relazioni industriali nell'allargamento, responsabilità sociale delle imprese, rafforzamento delle politiche per l'occupazione.
Per ciascuna delle priorità, nel semestre si prevedono in Italia Conferenze europee, con la presenza delle parti sociali, europee e italiane, e il vero tema aperto è la costruzione per quegli appuntamenti di posizioni sindacali unitarie da far valere, con le contraddizioni che si aprono, almeno su alcuni capitoli e che ben conosciamo.
La CES sta definendo una piattaforma di proprie priorità, come si è detto, da presentare nell'incontro ufficiale con la Presidenza del semestre, quindi con Berlusconi. Stiamo lavorando con la CES perché le nostre opinioni siano al meglio comprese in quel testo.
Particolare accento, nel programma e nelle conferenze europee programmata in Italia dal Ministro, viene dato al tema della responsabilità sociale delle imprese, che è tema impegnativo e delicato.
Discende da una iniziativa della Commissione cominciata con il Libro Verde del 2001, che definisce la responsabilità sociale delle imprese come "l'integrazione su base volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate".
Sappiamo che il Ministero sta mettendo a punto e vorrebbe , nella Conferenza prevista a novembre a Venezia, lanciare una sorta di griglia di indicatori per misurare il tasso di responsabilità delle imprese: sappiamo, ed è dunque problema aperto molto significativo, che tra gli indicatori non figurano le relazioni industriali ed il rispetto di contratti.
Il dubbio che per il ministro quella della responsabilità sociale delle imprese sia una via alternativa alla dinamica delle relazioni industriali è assolutamente fondato.
Più dipartimenti stanno lavorando su questo tema, quello di Paola per gli aspetti ambientali e quello di Marigia, in termini generali: nella Segreteria si è definita l'utilità di una iniziativa della CGIL che preceda la Conferenza europea di Venezia.
Anche sull'immigrazione nel pronunciamento e nei programmi c'è molta cautela e come su ogni altro capitolo la citazione è all'ultimo vertice europeo del caso, in questo è quello di Salonicco.

In conclusione

Si propone oggi a livello europeo un grumo di scelte importanti per il futuro dei cittadini d'Europa e quindi anche per noi.
Riguardano il peso dell'Europa sulla scena internazionale e la possibilità di condizionarne positivamente l'evoluzione, il profilo della cittadinanza europea, il destino del modello sociale europeo.
La CGIL ha indicato, lo ha fatto il Segretario Generale nella Conferenza stampa di qualche giorno fa, le sue priorità: la "giustiziabilità" della Carta di Nizza, lo sviluppo e dunque la rilettura intelligente del patto di stabilità, la difesa del modello sociale europeo, lo sviluppo di politiche per l'integrazione dei migranti e il diritto d'asilo.
Il vero rischio è che il ruolo precipuo della presidenza di turno, quello della mediazione, su nodi aperti di cui si è detto, in particolare su politica estera e rapporti con gli USA, Convenzione e congiuntura economica possa produrre guasti o possa produrre il nulla. Entrambi gli scenari non ci sorridono.
Per questo è importante utilizzare l'occasione della manifestazione europea di ottobre per far crescere tra le persone l'informazione, la consapevolezza ed il legame molto forte che lega il nostro impegno sui diritti in Italia con il destino degli stessi diritti in Europa. E' altrettanto importante produrre iniziative di merito che la Segreteria costruirà in relazione al Segretariato per l'Europa, che dopo l'elezione di Cerfeda nella Segreteria della CES ha un nuovo responsabile, Antonio Panzeri.
Così come sarà importante costruire una iniziativa che metta in evidenza il carattere regressivo che segna le scelte annunciate nel semestre dal governo italiano di nuova soggezione delle donne. E' un segno presente negli emendamenti presentati dal Governo alla Convenzione, nella riproposizione di una cultura familista (priorità annunciata da Maroni nel semestre), nel recepimento delle direttive europee contro le discriminazioni e sulle pari opportunità e che si aggiungono alla soppressione per decreto della Commissione Nazionale per le pari opportunità, oltre che alla ispirazione profonda dei provvedimenti di precarizzazione del mercato del lavoro.
Infine a novembre si svolgerà a Parigi il Forum Sociale Europeo. La CGIL insieme alla CES sta partecipando alla preparazione di quell'appuntamento, che se pur collocato fuori dall'Italia, sarà durante il semestre a presidenza italiana un passaggio importante di riflessione, forse il più largo pensando a Firenze, sull'Europa che nasce.