XXIII Incontro del gruppo mediterraneo Mediterranean Conference Centre Malta, La Valletta 25 ottobre 2002 Il movimento sindacale europeo ed
internazionale non può restare in silenzio davanti alla prospettiva che la
guerra si affermi come la modalità di soluzione dei problemi e delle crisi
nazionali ed internazionali. La guerra è stata, è e sarà il più
grande nemico delle lavoratrici e dei lavoratori. E’ sicuramente la più
importante delle questioni che abbiamo davanti a noi, che riguarda la
politica internazionale, i rapporti politici, quelli economici e soprattutto
la coscienza delle persone. Paradossalmente, l’anniversario
dell’11 settembre si è trasformato in un preannuncio di guerra, e il
silenzio commosso di quanti hanno rinnovato il loro cordoglio per le vittime
dell’ignobile attacco terroristico sferrato contro tutta l’umanità si è
assurdamente confuso con lo stridore cinico degli annunci interventisti e
con l’allarme per l’eventualità che nuove vittime innocenti si aggiungano
presto a quella lista e proprio a causa dell’iniziativa di guerra che viene
annunciata. Sconfiggere definitivamente il
terrorismo internazionale resta una delle priorità che tutto il mondo civile
e democratico ha assunto e conferma senza condizioni, ma è del tutto
inaccettabile, ripetiamo, l’idea che sia la guerra il mezzo per raggiungere
tale obiettivo, e che possa essere la guerra il principio regolatore delle
ingiustizie del mondo. In Europa popoli, istituzioni e
Governi stanno esprimendo un’avversione esplicita ed in alcuni casi totale
ed incondizionata alla guerra verso l’Iraq. Negli Stati Uniti ex Presidenti
e premi Nobel, ex Segretari di Stato, uomini politici e ed opinionisti di
grande peso e prestigio, sindacati, richiamano l’Amministrazione americana
alla più grande prudenza o a profonde correzioni di rotta. Paradossalmente, ad un anno
dall’eccidio delle torri e dopo l’intervento in Afghanistan, gli Stati Uniti
rischiano di essere più soli. Si prepara quindi l’attacco militare
ad uno Stato sovrano e membro dell’ONU come l’Iraq senza, peraltro, basi
solide di prova attorno ai pericoli effettivi di aggressione che da lì
starebbero per provenire e al di fuori di ogni regola del diritto
internazionale, dal momento che la decisione strategica viene dichiarata
come già assunta e si dice – da parte dei Governi USA e britannico – di
essere pronti a procedere anche “da soli”, se l’Onu non deciderà in fretta,
allo scopo di abbattere comunque Saddam Hussein, probabilmente anche sulla
base di miopi calcoli elettorali e di strategia economica attorno al
controllo delle risorse petrolifere in quell’area. Si dimentica, sembra, che – a suo
tempo – il calcolo fu proprio quello di lasciare Saddam Hussein al suo
posto, a conclusione della Guerra del Golfo, mentre si è dimostrata del
tutto fallimentare la politica delle sanzioni e dell’embargo che ha
provocato enormi sofferenze a quel popolo rafforzando invece il potere
dispotico di Saddam Hussein, che oggi appare al massimo come la sostituzione
di un obiettivo certo alla indeterminatezza sulla sorte di Osama Bin Laden. In quest’anno appena trascorso, oltretutto, la situazione in Medio Oriente si è purtroppo aggravata benché tutti avessero riconosciuto che avviare a soluzione il conflitto israelo-palestinese fosse una delle condizioni fondamentali per infliggere un colpo decisivo all’area di consenso di cui il terrorismo internazionale può avvalersi in settori del mondo islamico che, nel suo complesso, segnala il rischio grave di una devastante destabilizzazione interna ed in tutta quell’area; Noi pensiamo che sia necessario • che all’ONU sia affidata la responsabilità effettiva, e non solo di facciata, di assumere la piena guida della soluzione politico-diplomatica del problema, imponendo al Governo iracheno, attraverso gli strumenti che saranno necessari, di accettare senza condizioni il ritorno degli ispettori, che vanno posti in grado di agire in piena libertà; • che l’Europa esca dalla sua sostanziale marginalità, conquistando una posizione coordinata, unitaria ed incisiva sia in sede ONU che nei confronti degli Stati Uniti; • che sia rispettato scrupolosamente il dettato costituzionale nei Paesi europei nei quali la guerra è ripudiata come strumento di soluzione dei conflitti, e sia data – in omaggio a tale inviolabile prescrizione ed alla responsabile coscienza dei singoli parlamentari - ai Parlamenti nazionali la condizione di poter discutere e decidere in piena autonomia e libertà anche rispetto agli orientamenti di quei Governi che, come quello italiano, eludono la responsabilità di operare perché l’Europa si faccia soggetto attivo ed autorevole di pace, e si preparano ambiguamente e passivamente ad assecondare comunque gli eventi; • che le organizzazioni sindacali mediterranee europee e mondiali coordinino ai vari livelli le proprie responsabilità perché si eserciti con efficacia il loro peso unitario nei confronti delle sedi istituzionali e politiche, immaginando anche azioni comuni. • e che stabiliscano rapporti di collaborazione e di unità d’azione con tutte le organizzazioni della società civile, laiche e religiose, che, su posizioni analoghe, ripudiano l’uso della guerra ed intendono impegnarsi per scongiurarlo; con il mondo della cultura, dell’informazione, e con tutti i movimenti che in questi anni hanno fatto della pratica non-violenta e dell’obiettivo della pace e della sconfitta del terrorismo il presupposto della loro iniziativa perché “un altro mondo sia possibile”. |