QUALE STATO 2-04

 

 LA POLEMICA

  

NUOVA AGGRESSIONE NEOLIBERISTA DELLA COMMISSIONE EUROPEA

di Raoul Marc Jennar[1]

 Con un comunicato stampa nello stile caro ai “poujadistes” e alle associazioni imprenditoriali, la Commissione europea ha annunciato una nuova Direttiva tesa a “ridurre i vincoli alla competitività” (IP/04/37, 13 gennaio 2004). Dietro questi propositi populisti si nasconde un nuovo attacco irresponsabile della Commissione contro quel che resta del “modello europeo”, agonizzante dopo le privatizzazioni che si sono succedute e le ripetute rimesse in causa dei diritti sociali.

Si tratta di un progetto di Direttiva “relativa ai servizi per il mercato interno”, preparato dall’ultraliberista commissario europeo Bolkestein[2]. Il testo del progetto, il comunicato stampa e una valutazione generale della Direttiva si trovano nel sito della Commissione (Mercato interno):

http://www.europa.eu.int/comm/internal_market/fr/services/services/index.htm

L’obiettivo è imporre ai 25 Stati membri dell’Unione le regole della concorrenza commerciale, senza alcun limite, in tutte le attività di servizio che non sono già coperte da altre normative europee (servizi finanziari, telecomunicazioni e trasporti). Ciò significa che la logica del profitto s’imporrà ovunque.

Chi ha familiarità con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto) e dell’Accordo generale sul commercio dei servizi (Agcs/Gats), riconoscerà in questo progetto di Direttiva i principi e le procedure già stabilite da quegli accordi.

Ancora una volta l’Unione europea non protegge dalla globalizzazione neoliberista; ne prende, anzi, la guida.

 

 

Oggetto della Direttiva 

Il progetto di Direttiva stabilisce “un quadro giuridico generale per eliminare gli ostacoli alla libertà di insediamento dei fornitori di servizi e alla libera circolazione dei servizi in seno agli Stati membri”.

La Direttiva definisce (art. 4) i servizi come segue: “Ogni attività economica che, secondo l’art. 50 del Trattato istitutivo [della Comunità europea], si occupa della fornitura di una prestazione oggetto di contropartita economica”. Chiaramente sono presi in considerazione tutti i servizi eccetto quelli erogati direttamente e gratuitamente dai poteri pubblici: l’istruzione e la cultura, la sanità e le cure sanitarie.

Un promemoria della Commissione (Memo/04/03, 13 gennaio 2004, disponibile solo in inglese) presenta una lista incompleta dei servizi presi in considerazione dalla Direttiva, che vanno dai servizi giuridici alle professioni artigianali come l’idraulico e il carpentiere, l’edilizia, la distribuzione, il turismo, i trasporti, i servizi sanitari e di copertura delle cure sanitarie, i servizi ambientali, gli studi di architettura, le attività culturali, gli uffici di collocamento.

 

 

Eliminare gli “ostacoli” all’insediamento e alla libera circolazione dei servizi 

Gli “ostacoli” sono rappresentati dalle legislazioni e regolamenti nazionali, considerati dalla Commissione europea “arcaici, obsoleti e in contraddizione con la legislazione europea”. Occorre  “riformare” per “modernizzare”. Si ritrova qui il linguaggio tipico dei liberali di destra e di sinistra che, con la scusa della modernizzazione, smantellano le conquiste democratiche e sociali degli ultimi 200 anni. Ma questi “ostacoli” sono spesso disposizioni prese dai poteri pubblici per la migliore prestazione del servizio dal punto di vista dell’utilizzo dei fondi pubblici, dell’accesso di tutti al servizio, delle garanzie fornite per la sua qualità, del diritto al lavoro, delle tariffe, dei regolamenti sulla trasparenza. Gli “ostacoli” presi di mira dalla Commissione europea sono dunque decisioni che i poteri pubblici hanno preso per evitare che il settore dei servizi diventi una giungla in cui si scatena la concorrenza sfrenata alla ricerca della redditività e del profitto.

Ecco perché la Commissione europea, la cui legittimità democratica è quasi nulla, intende rimettere in causa “il potere discrezionale delle autorità locali” (IP/02/1180 del 13 luglio 2002), ossia delle istituzioni elette e controllate democraticamente. La Direttiva proposta è una vera e propria aggressione portata da un gruppo di tecnocrati al servizio delle imprese private contro le scelte operate in passato dalle istituzioni legittime, votate a suffragio universale.

 

 

Modus operandi

 

  1. Il principio del Paese d’origine (art. 16)

Allo scopo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi, il progetto rinuncia a una pratica consolidata nella costruzione europea, quella dell’armonizzazione, assurta quasi a principio fondatore. Per comprendere questo cambiamento radicale, occorre avere presente l’importanza dell’ingresso dei nuovi dieci stati membri, le cui legislazioni fiscali, sociali e ambientali sono quelle proprie dello “Stato minimo”. L’armonizzazione non risponde più necessariamente all’interesse delle imprese private e, dal momento che ciò ora serve, viene sostituita dal  “principio del Paese d’origine”.

Secondo questo principio, un fornitore di servizi è sottoposto esclusivamente alla legge del Paese in cui ha sede l’impresa, e non a quella del Paese dove fornisce il servizio. Ci si trova di fronte a un vero e proprio incitamento legale a spostarsi verso i Paesi dove le normative fiscali, sociali e ambientali sono più permissive, con il risultato che il nuovo principio, una volta diventato norma europea, eserciterà una forte pressione sui Paesi i cui standard fiscali, sociali e ambientali proteggono di più l’interesse generale.

Con il “principio del Paese d’origine”, la Direttiva viola l’art. 50 del Trattato istitutivo della Comunità europea, secondo cui “il fornitore di servizi può esercitare a titolo temporaneo la sua attività nel Paese in cui fornisce la prestazione alle stesse condizioni che questo Paese pratica alle imprese nazionali”. Così, la Commissione europea dispensa un fornitore di servizi che si stabilisce in un Paese dal rispetto delle leggi degli altri Paesi dell’Unione. La Commissione europea, che si considera al di sopra delle leggi quando si tratta di accontentare le imprese private, si sente autorizzata a modificare il Trattato attraverso una Direttiva. La regola del “Paese d’origine” diventerà pertanto una facile scappatoia per le imprese erogatrici di servizi.

 

 

  1. Regimi di autorizzazione e relative condizioni  (artt. da 9 a 15)

Per facilitare la libertà di insediamento, gli Stati dovranno limitare le condizioni poste all’autorizzazione di insediamento di un’attività di servizio. Queste condizioni dovranno essere non discriminatorie, obiettivamente giustificate da ragioni imperative di interesse generale, adeguate a tali ragioni, precise e non equivoche, obiettive e rese pubbliche in anticipo. Nel caso in cui i poteri pubblici non rispettino queste condizioni, il fornitore  privato di servizi  potrà ricorrere in giudizio.

Gli Stati non potranno più:

  • esigere la nazionalità del Paese di insediamento da parte del fornitore, del suo personale, dei detentori del capitale sociale, dei membri degli organi di gestione e di sorveglianza;
  • esigere la residenza nel territorio del Paese di insediamento da parte delle stesse persone;
  • subordinare l’autorizzazione all’insediamento all’esistenza di un bisogno economico o alla domanda di mercato;
  • subordinare l’autorizzazione alla valutazione degli effetti economici attuali o potenziali dell’attività prevista;
  • subordinare l’autorizzazione all’armonizzazione dell’attività prevista rispetto agli obiettivi economici dei poteri pubblici;
  • obbligare il fornitore a costituire o partecipare a una garanzia finanziaria o a sottoscrivere un’assicurazione presso un altro fornitore o organismo esistente sul territorio in cui egli  opera;
  • obbligare il fornitore  a essere stato iscritto a un registro o ad aver esercitato quell’attività per un periodo minimo di tempo.

Gli Stati dovranno modificare le proprie legislazioni per eliminare ogni caratteristica considerata “discriminatoria” nelle condizioni sotto specificate, in modo da giustificarne la ragion d’essere e per provare che tali esigenze non vanno oltre quanto [strettamente] necessario a raggiungere l’obiettivo:

·         limiti quantitativi o territoriali basati sulla popolazione o su una distanza geografica minima;

  • obbligo di costituirsi sotto una forma giuridica particolare (persona morale, società personale, ente senza scopo di lucro, società appartenente esclusivamente a persone fisiche);
  • esigenze legate alla detenzione di capitale: obbligo di disporre di un capitale minimo per certe attività o avere una qualifica personale particolare per detenere il capitale sociale o gestire certe società;
  • imposizione di un numero minimo di dipendenti;
  • tariffe obbligatorie (minima e massima) che il prestatore deve rispettare;
  • divieti e obblighi in materia di vendita a perdere e di saldi;
  • obbligo da parte del fornitore  di dare accesso a servizi forniti da altri;
  • obbligo da parte del fornitore  di servizi di fornire, insieme al suo, altri servizi specifici.

Sarà la Commissione europea, di cui si conosce la “devozione” verso le imprese private, a verificare che la legislazione degli Stati membri si adegui alle nuove disposizioni.

Questo progetto sottrae ai poteri pubblici qualsiasi diritto di indirizzare l’organizzazione dell’attività, dello sviluppo e dell’espansione economica del proprio Paese.

In un’epoca in cui la criminalità dei colletti bianchi e le malversazioni dei dirigenti d’impresa sono in costante aumento e in cui - come constatato dalla stessa Commissione europea nella sua valutazione sui Paesi candidati all’allargamento - il crimine organizzato si è saldamente insediato in quei Paesi, è facile immaginare i vantaggi che l’abbandono delle vecchie regole offrirà a chi non possiede nemmeno un minimo senso etico. 

E’ più di una porta aperta per qualsiasi mafia.

  

  1. La nuova regolamentazione della sanità (art. 23)

 La Direttiva non prevede norme particolari per nessun settore dei servizi, tranne che per le cure sanitarie. Se un fornitore di cure sanitarie dello Stato A vuole stabilirsi nello Stato B, quest’ultimo non può subordinare l’autorizzazione dell’insediamento alla presa in carico delle cure sanitarie da parte del forniture di cure dello Stato A sulla base del sistema di sicurezza sociale dello Stato B (quello dove egli si vuole stabilirsi). Un fornitore di cure che si stabilisca in un Paese, non è quindi tenuto a rispettare il sistema di sicurezza sociale del Paese ospite.

Ci si trova in presenza della volontà deliberata da parte della Commissione europea di togliere agli Stati il potere di decidere della loro politica sanitaria. Così facendo, la Direttiva viola il principio di sussidiarietà previsto dall’art. 152-5 del Trattato secondo cui “nella sanità pubblica l’azione della Comunità rispetta pienamente la responsabilità degli Stati membri quanto a organizzazione ed erogazione di servizi sanitari e cure mediche”. Un altro tentativo di modificare il Trattato attraverso una Direttiva.

  

  1. L’armonizzazione della pubblicità commerciale (art. 29)

La Commissione riscopre le virtù dell’armonizzazione quando si tratta di decidere l’abrogazione di una norma etica: l’interdizione della pubblicità commerciale per le professioni regolamentate, che i tecnocrati della Commissione considerano “desueta e sproporzionata” (IP/04/37 del 13 gennaio 2004). L’abrogazione deve permettere per esempio ai medici, ai farmacisti, agli architetti, agli avvocati, ai notai, di entrare pienamente nella competitività commerciale e fare uso delle regole della concorrenza a scapito delle riserve che impone loro la deontologia. Il progetto preferisce affidare il rispetto della deontologia ai codici di condotta, senza alcun potere vincolante.

  

L’impatto

Le conseguenze di questa Direttiva, se adottata, sarebbero considerevoli.

 

1.      La nuova definizione dei servizi è molto ampia e apre la strada alla privatizzazione e alla messa in concorrenza di quasi tutte le attività di servizio, compresa la quasi totalità dell’insegnamento, la totalità della sanità e delle attività culturali; è una logica puramente mercantile destinata a prevalere in tutta una serie di settori dove oggi non ha posto.

  1. Il “principio del Paese d’origine” permette di deregolamentare e  privatizzare totalmente i  servizi che non sono forniti direttamente e gratuitamente dai poteri pubblici, consentendo al fornitore di stabilirsi nel paese più liberista e di offrire le sue prestazioni a quelle condizioni in tutta l’Unione.
  2. Il “principio del Paese d’origine” consente di destrutturare e smantellare il mercato del lavoro nei Paesi in cui è organizzato e protetto: un’impresa polacca che distacchi dei lavoratori polacchi in Francia o in Belgio, ad esempio, non dovrà più chiedere l’autorizzazione alle autorità francesi o belghe se ha già ottenuto l’autorizzazione dalle autorità polacche e a quei lavoratori si applicherà solo la legislazione polacca. Inoltre se l’impresa polacca utilizza personale che proviene, ad esempio, dalla Ucraina (Paese che non fa parte dell’Unione), solo la legislazione polacca verrà applicata a questi dipendenti. Infine il principio consentirà alle imprese ad interim di distaccare lavoratori interinali negli altri Stati membri senza la minima restrizione, alle condizioni salariali del Paese d’origine.
  3. La scomparsa delle restrizioni nazionali all’insediamento apre la strada allo “Stato minimo”, e cioè a uno Stato che ha perso il diritto di fare le scelte fondamentali nella politica dell’istruzione, della sanità, della cultura e dell’accesso di tutti ai servizi essenziali.

Rispetto alla politica sanitaria, ad esempio, i principi di base della Direttiva avranno il seguente impatto.

  • “Principio del Paese d’origine”: un fornitore di cure mediche di un Paese può insediarsi in un altro Paese senza dover rispettare la regolamentazione di quest’ultimo, il che porta alla privatizzazione totale della politica sanitaria.
  • Limiti quantitativi e territoriali: là dove esistono, dovranno scomparire le regolamentazioni in materia di insediamento di laboratori farmaceutici e servizi di radioterapia e di qualsiasi altro servizio medico specializzato.
  • Obbligo di adottare uno statuto giuridico: dovranno scomparire le legislazioni che impongono uno statuto o subordinano la concessione di sussidi ad uno statuto particolare.
  • Obbligo di inquadramento: dovranno scomparire le norme di inquadramento delle case di riposo e delle cliniche, e quelle relative al personale medico e infermieristico per numero di letti negli ospedali.
  • Tariffe obbligatorie minime e massime: dovranno scomparire gli accordi tariffari e la regolamentazione che limita i supplementi degli onorari.
  • Il rimborso delle cure attraverso il sistema di sicurezza sociale: sarà l’Unione europea a fissare le condizioni di rimborso sia per le cure non ospedaliere che per quelle ospedaliere privilegiando non i pazienti ma i fornitori dei servizi di cure.
  • Un certo numero di disposizioni che riguardano le semplificazioni amministrative a cui la direttiva avrebbe dovuto limitarsi, può  essere considerata in modo positivo.

  

La Direttiva e il Gats 

Il progetto di Direttiva si può applicare a quattro modalità di fornitura dei servizi, che il Gats così definisce.

·         Prima modalità: i servizi transfrontalieri, come quelli provenienti dal territorio di un Paese membro e destinati a un altro Paese membro; ad esempio, la trasmissione telematica di consulenze di avvocati del paese A al paese B senza spostamento fisico di una delle due parti.

  • Seconda modalità: il consumo transfrontaliero o quello all’estero, come l’affitto da parte di un turista del paese A di una macchina all’estero.
  • Terza modalità: la sistemazione di un fornitore di servizi di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro.
  • Quarta modalità: il distacco temporaneo di persone, come ad esempio operai edili del paese B occupati provvisoriamente nel paese A, nel quadro di un contratto edile eseguito da una impresa del paese B.

Il Gats riguarda tutti i servizi di tutti i settori, con una sola eccezione, i servizi pubblici forniti nell’esercizio del potere governativo a condizione che non lo siano su base commerciale (devono essere gratuiti), né in concorrenza con altri fornitori. La Direttiva sarà applicata a tutti i servizi forniti alle imprese e ai consumatori, eccetto quelli erogati gratuitamente e direttamente dai poteri pubblici.

  

La Direttiva e il Gats poggiano su principi comuni. 

·         La regola della trasparenza: l’obbligo di fornire informazioni sui servizi.

  • L’accesso al mercato: implica che i Paesi aprano il loro mercato ai fornitori di Paesi terzi e che questi ottengano il diritto di fornire quei servizi sul loro territorio.
  • Il trattamento nazionale: lo Stato membro deve riservare ai fornitori stranieri di servizi lo stesso trattamento riservato ai fornitori nazionali, con l’aggravante - rispetto al Gats - che, nel caso della Direttiva, lo Stato non può imporre le proprie leggi ai fornitori stranieri.

Nel quadro del Gats questi principi devono essere esplicitati per ogni settore e sono possibili delle restrizioni; non è così nella Direttiva. Essa prevede che gli Stati membri non possano subordinare l’accesso a una attività di servizio e alla sua fornitura ad un particolare regime di autorizzazione come ad esempio  test di necessità economica, salvo:

  • se l’obiettivo perseguito non può essere realizzato attraverso una misura meno restrittiva;
  • se il regime di autorizzazione non è discriminatorio verso un altro fornitore di servizi;
  • se la necessità di un tale regime si giustifica per motivi vincolanti di interesse generale.

Il Gats riconosce invece che i Governi possono intervenire con la regolamentazione pubblica purché essa abbia un fondamento scientifico e non esista un’altra regolamentazione meno distorsiva della concorrenza.

Il progetto di Direttiva appare chiaramente per quel che è: una trasposizione del Gats, in chiave ancora più neoliberista.

Esiste d’altronde un legame diretto e dichiarato tra questo progetto di Direttiva e i negoziati  Gats. In nome della coerenza con le altre politiche dell’Unione, il progetto (a pag. 16) indica chiaramente che i negoziati del Gats “sottolineano la necessità per l’UE di stabilire rapidamente un vero mercato interno dei servizi per assicurare la competitività delle imprese europee e rafforzare la sua posizione negoziale”.

In poche parole, se l’Europa  privatizza completamente i servizi nel suo spazio interno, si troverà in posizione di forza per pretendere, nel quadro del negoziato Gats, la privatizzazione dei servizi in casa altrui.

Bolkestein-Lamy: stessa lotta!

  

La Direttiva e l’allargamento dell’Europa 

Questa Direttiva, una volta adottata dal Parlamento europeo, si applicherà a tutti i 25 Stati membri dell’Unione. Bisognerebbe essere ingenui per credere a una coincidenza tra la presentazione di questo progetto e l’allargamento dell’Europa. Il “principio del Paese d’origine” diventa interessante solo perché l’allargamento crea due spazi in seno all’Europa: uno formato dai Paesi che ancora conoscono – anche se non si sa per quanto – le regole di diritto in campo fiscale, sociale e ambientale; e  un altro spazio che, in seguito alle intense pressioni del FMI, della Banca mondiale e dell’Unione europea, è stato “riformattato” secondo i principi neoliberisti prima dell’ingresso nell’Unione dei Paesi che vi appartengono. Con questa Direttiva, viene legalizzato il dumping fiscale, sociale e ambientale. Se alcuni dubitassero ancora che la Commissione opera soprattutto in favore dei gruppi di pressione del mondo degli affari, ne ha ora la prova inconfutabile.

  

Le reazioni 

Per capire quanto i partiti politici e le organizzazioni sindacali sono interessati ai dossier europei, occorre ricordare che questo progetto di Direttiva, risultato di due anni di lavori, è stato presentato alla stampa il 13 gennaio 2004 e che da quella data figura sul sito Internet della Direzione generale incaricata del mercato interno. Quanto al principio contestabilissimo del “Paese d’origine”, esso è stato votato il 13 febbraio 2003 (punto 35 della relativa risoluzione) dalla maggioranza del Parlamento europeo: cristiano-democratici, liberali e la maggior parte dei socialdemocratici.

A livello degli  Stati membri, il Partito socialista del Belgio francofono è stato finora l’unico a dare l’allarme pubblicando il 20 febbraio un comunicato intitolato “La cultura, la salute e l’educazione sono in pericolo, il Partito socialista dà l’allarme e fa appello alla mobilitazione”. A parte una reazione identica dell’omologo Partito socialista fiammingo, nessun’altra formazione politica si è espressa in nessun altro paese. Da parte dei sindacati, la Federazione generale del lavoro del Belgio (Fgtb) si è espressa per prima contro questo progetto.

Fino a oggi[3] non si è espresso alcun gruppo politico presente nel Parlamento europeo. Sul piano sindacale il Comitato esecutivo della Confederazione europea dei sindacati (CES) ha preso in considerazione la Direttiva nella riunione del 17 e 18 marzo, al punto 10 dell’ordine del giorno. Molti sindacati sembravano ignorarne l’esistenza, e altri, dando preminenza alla “lealtà europea” rispetto alla difesa delle categorie sociali che pure dovrebbero proteggere, hanno preferito “addolcire” la risposta. Solo il Fronte comune sindacale belga (Fgtb e Confederazione dei sindacati cristiani) ha messo in discussione diverse parti della Direttiva. Nel linguaggio conciliante che le è abituale, la CES si è detta “seriamente preoccupata per l’applicazione del principio del paese d’origine”.[4]

  

Le scadenze 

Il mandato dell’attuale Commissione europea scade il 31 ottobre prossimo e la Commissione  intende far avanzare il progetto il più possibile prima di quella data, in modo che esso sia depositato al Parlamento europeo e possa essere adottato definitivamente nel 2005.

Ecco le scadenze conosciute allo stato attuale.

·         Il 25 marzo, la Commissione (che prepara i testi) ha sottoposto al Vertice di primavera dell’UE il testo su cui i capi di Stato e di governo devono esprimere il proprio sostegno al progetto, dandogli il necessario impulso politico. La formulazione del loro “sostegno” è ancora in discussione in questo momento (solo in Belgio si cerca di ottenere una formulazione meno perentoria della Direttiva). Al punto 20 del progetto di conclusione del Vertice si dice che “serve più concorrenza nel settore dei servizi” e che occorre dare “priorità elevata” all’esame del progetto di Direttiva.

  • Le consultazioni tra la Commissione e i governi sono iniziate e proseguiranno nel gruppo di lavoro ad hoc. Non ci si può aspettare granché, tenuto conto che un solo governo (il Belgio) ha messo in causa alcuni principi base del progetto (il “principio del Paese d’origine”, l’abbandono del principio di sussidiarietà, la rimessa in discussione degli articoli 50 e 152 del Trattato) e ha chiesto che la sanità pubblica, l’audiovisivo e alcuni servizi sociali siano esclusi dal progetto. Questo non ci mette al riparo da un pericolo: se il progetto ricevesse troppe obiezioni, la Commissione potrebbe proporre di definire una lista di servizi provvisoriamente esclusi, sapendo molto bene due cose: primo, che un Parlamento europeo più neoliberista dell’attuale (che in materia di privatizzazione delle ferrovie voleva andare ancora più in fretta della Commissione) potrebbe chiedere una revisione al ribasso della lista; secondo, che anche i paesi terzi potrebbero chiedere la revisione della lista nel quadro del Gats e delle loro richieste all’Europa.
  • Il 19 maggio, in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, la Commissione sottoporrà il progetto al Consiglio dei Ministri competente sulle richieste relative alla competitività, con la speranza di raggiungere un accordo sulle grandi linee del progetto.
  • La Commissione conta sull’accoglienza positiva da parte del Parlamento europeo, e molto probabilmente sarà così. Ma, allora, il famoso “modello europeo” si potrà considerare morto.

A meno che……alle elezioni europee di giugno non vi sia un voto massiccio, da parte di coloro che vogliono un’altra Europa a favore dei candidati che si impegnano, senza ambiguità, a combattere l’Europa neoliberista, individualista, egoista e mercantile, per  costruire un’ Europa dei cittadini, dalla parte dei cittadini, per i cittadini.

 Maggio 2004


 

[1] Ricercatore presso Oxfam Solidarité (Bruxelles) e URFIG (Parigi)

 

[2] Frits Bolkestein è stato Commissario per il Mercato interno nella Commissione presieduta da Romano Prodi. La proposta di Direttiva di cui qui si parla, fu approvata unanimemente da tutti i componenti della Commissione.[NdR] 

[3] Inizi di maggio 2004 [NdR]

[4] E’ interessante e doveroso segnalare che, nelle settimane successive alla stesura di questo testo, l’opposizione – essenzialmente sindacale - alla “Direttiva Bolkestein” ha manifestato una notevole accelerazione e si è fatta via via più intensa. Il 5 giugno 2004 si è svolta a Bruxelles una grande manifestazione promossa dalle organizzazioni sindacali belghe CSC e Fgtb, con il sostegno della CES e della FSESP (Federazione dei Sindacati Europei dei Servizi Pubblici) e d’intesa con la rete belga delle ONG e dei movimenti sociali. Il Congresso della FSESP, svoltosi a Stoccolma dal 14 al 17 giugno scorsi, ha posto al centro dei propri lavori una severa critica alla Direttiva e ha  confermato l’impegno dei delegati a proseguire e ad intensificare la mobilitazione, dopo la manifestazione di Bruxelles.  Si vedano, al proposito:  Enzo Bernardo, “La privatizzazione non è più una virtù”, in Rassegna sindacale n. 25 del 2004 e, ancora, Enzo Bernardo, “Introduzione”a “Per lo spazio pubblico europeo”, in Quale Stato, n.1 del 2004, pp. 167 e segg.

In questo stesso fascicolo si veda, a pag. …….. “La privatizzazione dei beni comuni – I servizi pubblici: quale modello europeo?” e, a pag……., “Servizi pubblici: la forza dell’Europa”, intervista a Carola Fischbach-Pyttel, segretaria generale della FSESP, sull’andamento e le prospettive indicate dal Congresso.  [NdR]