La Direttiva BOLKESTEIN
Michele Gentile

Coordinatore Dipartimento settori pubblici della CGIL
(novembre 2004)

 

PREMESSA

 

Le funzioni pubbliche sono i luoghi della società nei quali assumono valore i diritti di cittadinanza ( salute, istruzione protezione sociale).

         Equità, giustizia sociale protezione sociale  diritti rispetto all’ambiente possono essere volano di uno  sviluppo fatto di qualità e solidarietà. E per questo gli strumenti necessari non possono che essere le politiche pubbliche ed i servizi pubblici che debbono migliorare moltissimo le loro prestazioni, la loro efficacia e la capacità di fornire risposte positive alle diverse domande sociali ad iniziare da quelle delle situazioni più disagiate. Ma solo le politiche pubbliche ed i servizi pubblici possono impedire la deriva verso un modello sociale che lega i servizi essenziali al reddito e nega le funzioni di solidarietà e di crescita civile.

  La libertà di mercato può essere efficace nel valorizzare i beni individuali, ma è del tutto inefficace a valorizzare beni pubblici come ambiente, salute, istruzione formazione.

 

L’EUROPA

  Il modello sociale europeo può fare molto: la Costituzione europea anche. Nel Trattato appena firmato numerosi articoli parlano di servizi pubblici e tutti fanno riferimento a “concorrenza; condizioni economico-finanziarie; sviluppo sostenibile basato su crescita economica equilibrata e su un’economia sociale di mercato fortemente equilibrata (I^.3.2;I^.3.3;III^.6;);

III^.55.2 etc.

 A Lisbona nel marzo 2000 l’Europa, allo scopo di trasformare la UE, entro il 2010,  nell’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo,  protagonista attraverso il suo modello sociale, dichiarava l’indispensabilità di realizzare un vero mercato interno dei servizi, in tale contesto i capi di stato e di governo europei invitavano la Commissione e gli stati membri ad attuare una strategia volta ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi (punto 17 della conclusione della Presidenza al Consiglio europeo di Lisbona).

 Dopo Lisbona, la crisi economica e l’allargamento della UE a 25 stanno rischiando di snaturare tale modello facendo prevalere le logiche economicistiche e di mercato, supplendo al criterio del limite delle risorse finanziarie con la riduzione della qualità ed in ultima analisi delle stesse prestazioni.Se la competizione di mercato divenisse il fine, la molla, anche i beni comuni ( acqua, salute, educazione, protezione sociale) sfuggirebbero alla funzione di universalismo dei diritti.

 

La Bozza di Direttiva sui servizi nel mercato interno (cd Direttiva Bolkestein) rappresenterebbe l’attuazione del principio sancito a Lisbona, a detta della Commissione uscente. Ma così non è. Anzi occorre mettere assolutamente in chiaro che non esiste rapporto tra quanto deliberato a Lisbona e la Direttiva; o meglio che si può attuare Lisbona aumentando la qualità dei servizi oppure con previsioni che snaturano il modello sociale europeo. La Direttiva rappresenta questa seconda strada.

            Lo scopo dichiarato della  bozza di direttiva  relativa ai servizi nel mercato interno è quello dell’art.1: stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori di servizi nonché la libera circolazione dei servizi stessi (appunto la libertà di mercato interno relativi ai servizi).

         In tale logica la direttiva si pone come obiettivo quello di eliminare tutti gli ostacoli di qualsiasi genere che impediscano il raggiungimento di tale  risultato cioè la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilimento.

         E’ utile una piccola digressione. Non esiste una definizione comune di Servizi pubblici; né di servizi di interesse generale; né di servizi ad interesse economico generale. Né prima della direttiva, né con la direttiva tale quadro viene identificato. Ciò non agevola la costruzione di un punto di vista comune, ma anzi la direttiva aggrava tale situazione. Infatti la definizione dettagliata dei SIG è di competenza degli stati membri, così come le stesse modalità di erogazione dei servizi stessi, l’espressione SIG è conseguenza dei SIEG.

 I servizi di interesse generale sono sia i servizi di mercato che quelli che le autorità pubbliche statali considerano di interesse generale e quindi assoggettano ad obblighi di servizio pubblico.

I Servizi di interesse economico generale sono quelli di natura economica che in nome di interesse generale gli Stati membri assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico ( trasporti; energia; comunicazione; gas;) ma certo non è comprimibile il campo. Ad esempio per l’acqua è in atto uno studio di settore che dovrebbe concludersi entro il 2004.

Non esiste alcuna definizione di servizio pubblico

Ora forse prima di procedere dovrebbe l’UE introdurre alcuni criteri politici ai quali richiamarsi per la definizione di Servizi di Interesse generale e che possono essere desunti dal modello sociale europeo: universalità; continuità; qualità del servizio; accessibilità; diritti degli utenti; subordinazione delle risorse economiche per i servizi a questi obiettivi e non il contrario: in sostanza il rapporto che passa con la riforma del Titolo V^ tra garanzia di uniformità delle prestazioni relative ai diritti sociali e civili ( art.117) e specifico fondo perequativo (art.119).La stessa Commissione afferma che “l’obiettivo di creare un mercato interno aperto e competitivo deve essere compatibile con l’obiettivo di sviluppare SIG accessibili, di alta qualità ed a prezzi abbordabili” stante il grande peso che questo comparto riveste anche per la concreta fattibilità del modello sociale europeo. Ma la stessa Commissione risponde negativamente alla richiesta sindacale di far precedere la Direttiva sul mercato interno da una sorta di accordo quadro che definisca esattamente i criteri di riferimento per il sistema dei SIG.

Ora l’Europa vive una profonda contraddizione tra enunciazioni politico-programmatiche e scelte concrete.

Proprio tale contraddizione, unitamente all’ambigua definizione dei servizi interessati, rende questa direttiva da un lato pericolosa per le stesse sovranità statali sui servizi e dall’altro rende l’attività connessa non molto diversa da quanto definito in sede di WTO e di GATS.

Proprio la piena libertà di stabilimento,  l’eliminazione dei vincoli statali e la particolare strumentazione adottata, quale ad esempio la disciplina dei distacchi dei lavoratori da uno Stato ad un altro Stato membro, e soprattutto il principio del paese di origine in base al quale il prestatore è sottoposto unicamente alla legislazione del paese di origine ( di residenza) e non a quella del paese nel quale diviene prestatore di servizi, viene considerata come  base necessaria per raggiungere l’obiettivo  di incrementare posti di lavoro e sviluppare i servizi nel mercato interno.          

Nella Direttiva non è prevista alcuna armonizzazione di discipline diverse sul tema dei servizi di interesse generale, ma solo parzialmente sui diritti dei consumatori.

 Non si definisce un quadro positivo di regole, qualità, standards e garanzie tale da definire un nuovo modello europeo dei servizi pubblici necessario in quanto la direttiva riguarda un settore che rappresenta il 50% sei servizi ad interesse economico ed il 70% del Prodotto Nazionale Lordo europeo.

La direttiva, in nome del principio della creazione di un mercato interno,alla fine  esercita un’opera demolitoria progressivamente fino al 2010 di norme, regole specifiche, valori sociali, financo accordi sindacali che, introdotti per legare strettamente scelte sociali alla fruizione dei servizi nel territorio, considerate tutte come vincoli da rimuovere o da valutare per la loro rimozione che limitano fortemente il mercato interno e la libera circolazione di imprese prestatrici di attività e dei servizi. Il mercato diviene quindi il presupposto del nuovo modello europeo di pubblico.

 Molti sono gli esempi ( dalle regole per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, alla stessa sanità: diritto di accesso, qualità delle prestazioni, professionalità addette come parte della qualità; all’assistenza agli anziani; ma anche ad alcuni servizi essenziali come l’acqua).

 

 

IL MERITO

 Quali le iniziative da assumere per favorire la libera circolazione?

 Un vasto e progressivo processo di “modernizzazione” che comporti:

·                    Sportelli unici, semplificazione amministrativa, snellimento delle procedure di autorizzazione, silenzio assenso;

·                    Eliminazione dalla legislazione di prescrizioni che ostacolano l’accesso alle attività e l’esercizio della attività (obbligo di nazionalità; residenza;iscrizione ad albi;obbligo di esercizio di attività per un determinato periodo, solvenza economica); valutandone comunque a cura degli Stati la compatibilità con gli obiettivi della Direttiva;

·                    Garanzia della libera circolazione di servizi provenienti da altri paesi adattando le norme che potrebbero ostacolarla (il principio del paese di origine);

·                    Verifica, a cura dei singoli Stati, se l’ordinamento giuridico  dei paesi membri subordini l’accesso ad un’attività al rispetto di alcuni requisiti non discriminatori (requisiti diversi da quelli relativi alle qualifiche professionali che riservano l’accesso alle attività a prestatori particolari;obbligo ad un minimo di dipendenti;obbligo di tariffe minime e massime;requisiti di particolare stato giuridico)

 

 

La Direttiva prevede anche  un’opera di armonizzazione entro il 2007 della legislazione per garantire una tutela equivalente dell’interesse generale sui diritti dei consumatori “informazione;assicurazione professionale;controversie; informazione sulla qualità del prestatore.

Spicca quanto si afferma in ordine all’adozione di misure di accompagnamento volte ad incoraggiare i prestatori a garantire su base volontaria:  certificazione dell’attività e sua valutazione da parte di organi indipendenti; elaborazione o adesione di una carta dei qualità messa a punto da organismi professionali.

  

Il Tema della deregolamentazione contenuto nella Direttiva unitamente alle politiche governative sui servizi e l’attuazione in progress rischia di determinare una situazione non controllabile.

 

Le attività coperte dalla direttiva sono : qualsiasi attività economica non salariata che consiste nel fornire una prestazione oggetto di un corrispettivo economico: la relazione afferma come tale definizione copra una gamma vasta di servizi quali ad es. i servizi di certificazione;i servizi di assunzione comprese le agenzie di lavoro interinale;la distribuzione;i servizi di sicurezza;i servizi turistici;i centri sportivi;i servizi ricreativi;i servizi legati alla salute;i servizi a domicilio come l’assistenza agli anziani. Addirittura in base ad una sentenza della Corte qualsiasi attività mediante la quale un prestatore partecipa alla vita economica, indipendentemente dal proprio stato giuridico, costituisce un servizio. Rientrano quindi tutti i servizi ai consumatori, alle imprese o a tutti e due.

Non rientrano nella nozione di servizi quelle attività non economiche o prive della caratteristica della retribuzione per il prestatore, come nel caso delle attività svolte dallo Stato senza corrispettivo economico nel quadro delle funzioni in ambito sociale, culturale, educativo e giudiziario.

 

I punti politici di merito sembrano essere 4:

 l’area di applicazione che è vastissima:

 La direttiva non si applica ai servizi finanziari; ai servizi ed alle reti di comunicazione elettronica; ai servizi di trasporto; al settore fiscale.Già regolamentati dalla disciplina di settore.

 Gli altri servizi sono interessati alla direttiva e la particolare definizione di servizio di interesse economico generale: quelli che gli stati in nome dell’interesse generale assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico ( trasporti; poste; energia; comunicazione; ma anche sanità; istruzione; assistenza; servizi di protezione ambientale; per l’acqua è in atto un’analisi del settore da concludersi entro il 2004). E’ chiaro che, se per ognuno di questi servizi di interesse economico i singoli Stati prevedono particolari vincoli sociali, forme di accesso, tipologie di intervento etc.  questi interventi sono tutti posti a repentaglio dalla Direttiva.

Il secondo punto è il principio del paese di origine: quello cioè per cui se un prestatore di servizi svolge la sua attività in un altro paese, è assoggettato alla sola disciplina ed al sistema dei controlli del paese di origine e non deve seguire la normativa del paese nel quale presta la sua opera.

In particolare tale norma è relativa alle disposizioni nazionali sull’accesso e sull’esercizio di una attività in relazione al comportamento del prestatore, alla qualità e contenuto del servizio.

La stessa direttiva precisa che non si possono imporre requisiti quali: l’obbligo per il prestatore di rispettare i requisiti relativi all’esercizio di una attività di servizio applicabile sul territorio.

 Cadono i vincoli; i codici di condotta sono volontari; la disciplina di rapporto con gli utenti è disciplinata solo dalla direttiva e non dalle consuetudini statali. Saremmo quindi nel pieno di una deregolamentazione e di una liberalizzazione dei servizi. Certo gli stati possono valutare se mantenere alcune discipline ( ad esempio forma giuridica del prestatore: no profit; gli obblighi di un numero minimo di dipendenti; tariffe;) o in determinate  nuove circostanze, introdurre nuovi requisiti tali da mantenere l’interesse generale  ad esempio l’universalità dei diritti. Ma qui la Commissione europea valuta la compatibilità delle nuove norme, ma soprattutto i Governi debbono decidere come muoversi: è la nostra situazione è chiara a tutti: rapporto tra paese di origine e legge 30.

Ma ancora di più questa normativa va ragionata dopo “l’allargamento” anche alla luce del diverso assetto “pubblico” della regolamentazione legislativa in tema ambientale, sociale e fiscale dei paesi provenienti dall’Est caratterizzati da minori garanzie sociali e protezione sociale.

 Si introduce un meccanismo da un lato di esportazione di quei modelli nel resto dell’Europa più avanzata, facendo discendere da ciò le ipotesi di armonizzazioni da compiere dalla ipotetica data di approvazione della direttiva fino al 2010; e dall’altro si rischia di incentivare una mobilità di prestatori di servizi da paesi più avanzati a quelli meno avanzati per far sì che il principio del paese di origine sia più esteso possibile e più a minori garanzie e protezione sociale.

Il terzo punto è la particolare disciplina dei distacchi dei lavoratori:

 se un prestatore di un servizio dello Stato A presta il suo servizio nello Stato B, può distaccare lavoratori ai quali si applica la disciplina del paese B,in base alla preesistente direttiva del 1996 sull’argomento.

Ma la stessa direttiva sul mercato interno  stabilisce che  i controlli sono ancora a cura del paese di origine, determinando anche a causa di una confusione nella normativa il rischio che i controlli non vi siano e si indebolisca la lotta alle attività illegali ( controllabili dal paese di origine).  Ciò  fa dire alla stessa  Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento Europeo  che la Direttiva può creare particolari problemi ad esempio nell’edilizia, nell’agricoltura. Ulteriori problemi per la reciprocità dell’informazione fra Stati. Sul tutto incombe la nuova direttiva sugli appalti.

Il quarto punto è la disciplina  del  sistema sanitario (unico settore ad avere una regolamentazione specifica – art.23-   la direttiva avrà ripercussioni profonde proprio perché i sistemi di welfare dalla loro origine hanno sempre avuto norme specifiche per l’accesso e per lo stesso funzionamento: numero dei medici e del personale; qualità del personale addetto; numero dipendenti per posto letto;tariffe minime; qualità delle prestazioni; servizi alberghieri.

La considerazione di queste specificità come vincoli da rimuovere intacca aspetti essenziali dell’organizzazione e del funzionamento dei sistemi sanitari dei paesi europei.

In questo campo ad esempio il principio del paese di origine può comportare che un prestatore di servizi sanitari stabilito in un paese , potrà fornire servizi in un altro paese senza doverne rispettare la legislazione, mentre la definizione di codici di condotta è per questi prestatori solo volontaria.  Tutto ciò sembra in assoluto contrasto con quanto recita l’art.152.5 del Trattato che conferma  che vengono rispettate le competenze statali in materia di organizzazione e fornitura dei servizi sanitari e di assistenza medica.

In sostanza con l’art.23 si regolano le prestazioni sanitarie ospedaliere e non, e si afferma che “l’autorizzazione alla fornitura di servizi sanitari non può essere subordinata all’assunzione da parte del fornitore degli obblighi sanitari derivanti dal sistema di sicurezza sociale esistente nel paese nel quale il fornitore dei servizi sanitari”.  Si stabilisce altresì che nei vari paesi l’onere finanziario delle cure sanitarie di un altro Stato membro non può essere inferiore a quello previsto dal proprio sistema di sicurezza sociale.

 Per questo la Commissione del parlamento chiede l’esclusione della Sanità dalla Direttiva.

Rimane sempre la possibilità che gli Stati possano varare norme per garantire l’interesse pubblico, qualora esso non sia garantito dalle norme del paese di origine, ma tali nuove normative debbono sottostare al parere della Commissione Europea che deve verificare che esse non siano discriminatorie e che non siano vincoli che impediscano la concorrenza.

Infine è chiaro che la direttiva avrà conseguenze per i servizi di interesse pubblico, istruzione, economia sociale, cultura, visto che tali settori si trovano al confine fra attività economiche e sociali. La direttiva va poi posta in relazione agli sviluppi del settore dei servizi a livello mondiale, tra l’altro nel quadro del GATS.

Occorre altresì valutare la direttiva alla luce del WTO e degli accordi GATS.

Vi sono precise assonanze tra i criteri di esclusione dei servizi oggetto degli accordi GATS, cioè dalla progressiva liberalizzazione e commercializzazione: i servizi esclusi sono per 10 anni quelli forniti né in regime commerciale, né in regime di concorrenza ( difesa; giustizia; servizi amministrativi dei poteri centrali e locali); e le attività non coperte dalla direttiva stessa che, oltre a quelle regolamentate specificatamente sono quelle “ non economiche o prive della caratteristica della retribuzione, come nel caso delle attività svolte dallo Stato senza corrispettivo economico nel quadro delle sue funzioni in ambito sociale, culturale, educativo e giudiziario” ( L’Istruzione è fuori – scuole pubbliche e private-; rimangono ancora le carceri: Castelli vuole privatizzarle).

Ora è vero che la Direttiva Bolkestein si applica solo ai paesi membri e quindi di per sé non è esportabile, ma sicuramente la sua attuazione non può essere in contraddizione con quanto l’EU sostiene in sede di accordi Gats. La logica liberista non si pone il problema di uguaglianza dei diritti, di sviluppo sociale, non riconosce il concetto di bene comune, né il principio di servizio universale.

Cosa si è fatto e cosa fare?

 

Il giorno 11 novembre vi sarà un’audizione presso il Parlamento Europeo, mentre è prevista una manifestazione a Bruxelles del Forum sociale. Per il 19 novembre è prevista una manifestazione dei sindacati a Lussemburgo.

Per il 25 novembre, a Bruxelles, in concomitanza con il Consiglio europeo dei ministri “Concorrenza” (Mercato interno, industria e ricerca”, che discuterà la proposta per la prima volta – si svolgerà una manifestazione organizzata dalla Federazione Europea dei lavoratori edili (FETBB)ed a cui ha aderito la Federazione sindacale europea dei servizi pubblici (FSESP).

Abbiamo appreso che il Governo Svedese ha scritto alla Commissione rigettando la Direttiva e che il Governo Belga ha presentato 16 punti di inapplicabilità della Direttiva stessa.

Le posizioni sindacali sono chiare:

La Posizione del Congresso FSESP( Il sindacato europeo dei servizi pubblici) è netta: la direttiva va ritirata anche perché la direttiva danneggerà i SIG che, nell’assenza di un quadro normativo europeo, per giunta negato dalla stessa Commissione, attraverso la negazione di un accordo quadro che limiti il campo e ridefinisca i principi, diverranno beni di mercato commercializzabili e che rientrerebbero in tal modo nell’ambito di competenza della liberalizzazione dei servizi pubblici nel GATS. La CES ha a sua volta assunto una posizione forte sulla Direttiva stessa, preparandosi anche ad iniziative emendative in Parlamento.    Esistono posizioni dei Sindacati Trasporti europei e degli edili  e del Sindacato Pensionati.

Il Forum Sociale di Londra ha preso posizione per una campagna europea contro la direttiva Bolkestein  ed in rete gira una e-mail di Attac italia . Tutte queste iniziative hanno prodotto un rallentamento dei tempi di approvazione della Direttiva. Chiaramente influirà non poco l’orientamento della nuova Commissione.

 Ad oggi è prevista la discussione in aula a partire dai primi mesi del 2005 mentre il Consiglio europea comincia a discuterne a partire dal prossimo 25 novembre, abbiamo quindi tempi limitati per influire sull’orientamento e determinare il ritiro o quanto meno la profonda modifica della Direttiva.

 

Come?

Occorre innanzitutto superare il silenzio e la non conoscenza che circonda questa direttiva ed i suoi effetti devastanti sul piano degli equilibri sociali dei vari paesi.

Vanno coinvolti i parlamentari europei spiegando loro il senso delle contrarietà di tutti i sindacati europei confederali e di categorie; analogo passo va compiuto verso i parlamentari italiani e verso il Governo per chiedere e comprendere la linea seguita sin qui dal Governo nei gruppi di lavoro istituiti dalla precedente Commissioni.

Poi c’è il merito che riassumerei per titoli per definire la cifra di una nostra iniziativa, che anche alla luce delle iniziative delle categorie non può che essere unitaria:

                   Ritiro della Direttiva costruendo le condizioni di praticabilità di questo obiettivo. Va tenuto conto che anche l’audizione dell’11 novembre ha mostrato un ampio fronte contrario o preoccupato dalla direttiva (“La direttiva sui servizi sotto il fuoco delle critiche” è stato il titolo del comunicato stampa ufficiale del Parlamento europeo dopo l’audizione) . Ci sono delle speranze, non amplissime ma neppure utopiche, che la nuova Commissione non voglia, oggi, ereditare un guaio così grande. E’ pur vero che il nuovo Commissario Charlie McCreevy ha dichiarato di voler difendere questa direttiva che, a suo parere “non apre al mercato nessun nuovo settore che non sia già aperto”.

 

 

La strada di una radicale modifica che nei fatti  ne significhi il suo stravolgimento.  Tale obiettivo si sostanzia alla luce di quanto illustrato. Infatti esiste una diversità profonda tra la strategia di Lisbona, la prima parte della Costituzione europea  e la direttiva Bolkestein: essere a favore del mercato interno non significa assumere il contenuto della Direttiva che, anzi, contrasta con quegli obiettivi; In particolare va rigettato il principio del paese d’origine che non può essere applicato se non dopo la realizzazione di un principio di armonizzazione

 

Occorre richiedere il rispetto della direttiva attualmente in vigore in tema di distacchi dei lavoratori;

occorre introdurre il principio della valutazione a cura dei singoli Stati delle procedure di semplificazione da adottare senza mettere in discussione complessivamente gli equilibri raggiunti; occorre  il ripristino dell’idea di una Direttiva Quadro nel senso che la libertà di stabilimento avviene sulla base dei principi esistenti nei vari paesi- l’armonizzazione ha un doppio problema:quali le normative da armonizzare e come si finanziano le innovazioni di qualità- mentre per la libera circolazione dei servizi ci si muove sul principio di assistenza degli Stati o di reciprocità; in ambedue i casi il percorso non è segnato dalla riduzione dall’esterno dei vincoli pubblici, bensì dalla conferma delle condizioni date e portando progressivamente le condizioni più arretrate di alcuni paesi verso le situazioni migliori; è necessario abolire il principio del paese di origine.

Credo infine che sia necessario  verificare la praticabilità di una ipotesi che mantenga  come requisiti generali che privilegiano il ruolo del pubblico i contenuti di quelle disposizioni legislative considerate di interesse primario garantite dalle Costituzioni degli Stati membri( uniformità; garanzia dei livelli essenziali; universalità; salute e sicurezza): vedi ad esempio il ruolo della legislazione esclusiva dello Stato definita nell’art. 117/Cost. le possibili armonizzazioni possono essere verificate nelle legislazioni di settore.

 

Per ultimo occorre limitare con forza l’applicabilità della direttiva stessa ad iniziare dall’affermare nella normativa l’estraneità della Sanità e dei servizi sociali  e dell’Istruzione dal campo di applicazione della Direttiva, in quanto attività che non hanno carattere commerciale riconoscendo in maniera esplicita il diritto dei poteri pubblici locali, regionali e nazionali a prestare un certo numero di servizi che non siano sottoposti alla concorrenza

 

Infine si possono mettere in piedi 3 gruppi di lavoro:

a)  informazione specifica generale e settoriale sulle conseguenze della Direttiva;

b)  Discipline specifiche e conseguenze della Direttiva (es. distacchi; regime delle autorizzazioni; sicurezza);

c)  Rapporto con movimenti.