La Direttiva BOLKESTEIN
Michele
Gentile
Coordinatore
Dipartimento settori pubblici della CGIL
(novembre 2004)
PREMESSA
Le funzioni pubbliche
sono i luoghi della società nei quali assumono valore i diritti di
cittadinanza ( salute, istruzione protezione sociale).
Equità,
giustizia sociale protezione sociale diritti rispetto all’ambiente possono
essere volano di uno sviluppo fatto di qualità e solidarietà. E per questo
gli strumenti necessari non possono che essere le politiche pubbliche ed i
servizi pubblici che debbono migliorare moltissimo le loro prestazioni, la
loro efficacia e la capacità di fornire risposte positive alle diverse
domande sociali ad iniziare da quelle delle situazioni più disagiate. Ma
solo le politiche pubbliche ed i servizi pubblici possono impedire la deriva
verso un modello sociale che lega i servizi essenziali al reddito e nega le
funzioni di solidarietà e di crescita civile.
La libertà di
mercato può essere efficace nel valorizzare i beni individuali, ma è del
tutto inefficace a valorizzare beni pubblici come ambiente, salute,
istruzione formazione.
L’EUROPA
Il modello sociale
europeo può fare molto: la Costituzione europea anche. Nel Trattato appena
firmato numerosi articoli parlano di servizi pubblici e tutti fanno
riferimento a “concorrenza; condizioni economico-finanziarie; sviluppo
sostenibile basato su crescita economica equilibrata e su un’economia
sociale di mercato fortemente equilibrata (I^.3.2;I^.3.3;III^.6;);
III^.55.2 etc.
A Lisbona nel marzo
2000 l’Europa, allo scopo di trasformare la UE, entro il 2010,
nell’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del
mondo, protagonista attraverso il suo modello sociale, dichiarava
l’indispensabilità di realizzare un vero mercato interno dei servizi, in
tale contesto i capi di stato e di governo europei invitavano la Commissione
e gli stati membri ad attuare una strategia volta ad eliminare gli ostacoli
alla libera circolazione dei servizi (punto 17 della conclusione della
Presidenza al Consiglio europeo di Lisbona).
Dopo Lisbona, la
crisi economica e l’allargamento della UE a 25 stanno rischiando di
snaturare tale modello facendo prevalere le logiche economicistiche e di
mercato, supplendo al criterio del limite delle risorse finanziarie con la
riduzione della qualità ed in ultima analisi delle stesse prestazioni.Se la
competizione di mercato divenisse il fine, la molla, anche i beni comuni (
acqua, salute, educazione, protezione sociale) sfuggirebbero alla funzione
di universalismo dei diritti.
La Bozza di Direttiva
sui servizi nel mercato interno (cd Direttiva Bolkestein) rappresenterebbe
l’attuazione del principio sancito a Lisbona, a detta della Commissione
uscente. Ma così non è. Anzi occorre mettere assolutamente in chiaro che non
esiste rapporto tra quanto deliberato a Lisbona e la Direttiva; o meglio che
si può attuare Lisbona aumentando la qualità dei servizi oppure con
previsioni che snaturano il modello sociale europeo. La Direttiva
rappresenta questa seconda strada.
Lo scopo
dichiarato della bozza di direttiva relativa ai servizi nel mercato
interno è quello dell’art.1: stabilisce le disposizioni generali che
permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei
prestatori di servizi nonché la libera circolazione dei servizi stessi
(appunto la libertà di mercato interno relativi ai servizi).
In tale
logica la direttiva si pone come obiettivo quello di eliminare tutti gli
ostacoli di qualsiasi genere che impediscano il raggiungimento di tale
risultato cioè la libera circolazione dei servizi e la libertà di
stabilimento.
E’ utile una
piccola digressione. Non esiste una definizione comune di Servizi pubblici;
né di servizi di interesse generale; né di servizi ad interesse economico
generale. Né prima della direttiva, né con la direttiva tale quadro viene
identificato. Ciò non agevola la costruzione di un punto di vista comune, ma
anzi la direttiva aggrava tale situazione. Infatti la definizione
dettagliata dei SIG è di competenza degli stati membri, così come le stesse
modalità di erogazione dei servizi stessi, l’espressione SIG è
conseguenza dei SIEG.
I
servizi di interesse generale sono sia i servizi di mercato che quelli che
le autorità pubbliche statali considerano di interesse generale e quindi
assoggettano ad obblighi di servizio pubblico.
I Servizi di interesse
economico generale sono quelli di natura economica che in nome di interesse
generale gli Stati membri assoggettano a specifici obblighi di servizio
pubblico ( trasporti; energia; comunicazione; gas;) ma certo non è
comprimibile il campo. Ad esempio per l’acqua è in atto uno studio di
settore che dovrebbe concludersi entro il 2004.
Non esiste alcuna
definizione di servizio pubblico
Ora forse prima di
procedere dovrebbe l’UE introdurre alcuni criteri politici ai quali
richiamarsi per la definizione di Servizi di Interesse generale e che
possono essere desunti dal modello sociale europeo: universalità;
continuità; qualità del servizio; accessibilità; diritti degli utenti;
subordinazione delle risorse economiche per i servizi a questi obiettivi e
non il contrario: in sostanza il rapporto che passa con la riforma del
Titolo V^ tra garanzia di uniformità delle prestazioni relative ai diritti
sociali e civili ( art.117) e specifico fondo perequativo (art.119).La
stessa Commissione afferma che “l’obiettivo di creare un mercato interno
aperto e competitivo deve essere compatibile con l’obiettivo di sviluppare
SIG accessibili, di alta qualità ed a prezzi abbordabili” stante il grande
peso che questo comparto riveste anche per la concreta fattibilità del
modello sociale europeo. Ma la stessa Commissione risponde negativamente
alla richiesta sindacale di far precedere la Direttiva sul mercato interno
da una sorta di accordo quadro che definisca esattamente i criteri di
riferimento per il sistema dei SIG.
Ora l’Europa vive una
profonda contraddizione tra enunciazioni politico-programmatiche e scelte
concrete.
Proprio tale
contraddizione, unitamente all’ambigua definizione dei servizi interessati,
rende questa direttiva da un lato pericolosa per le stesse sovranità statali
sui servizi e dall’altro rende l’attività connessa non molto diversa da
quanto definito in sede di WTO e di GATS.
Proprio la piena
libertà di stabilimento, l’eliminazione dei vincoli statali e la
particolare strumentazione adottata, quale ad esempio la disciplina dei
distacchi dei lavoratori da uno Stato ad un altro Stato membro, e
soprattutto il principio del paese di origine in base al quale il prestatore
è sottoposto unicamente alla legislazione del paese di origine ( di
residenza) e non a quella del paese nel quale diviene prestatore di servizi,
viene considerata come base necessaria per raggiungere l’obiettivo di
incrementare posti di lavoro e sviluppare i servizi nel mercato interno.
Nella Direttiva non è
prevista alcuna armonizzazione di discipline diverse sul tema dei servizi di
interesse generale, ma solo parzialmente sui diritti dei consumatori.
Non si definisce un
quadro positivo di regole, qualità, standards e garanzie tale da definire un
nuovo modello europeo dei servizi pubblici necessario in quanto la direttiva
riguarda un settore che rappresenta il 50% sei servizi ad interesse
economico ed il 70% del Prodotto Nazionale Lordo europeo.
La direttiva, in nome
del principio della creazione di un mercato interno,alla fine esercita
un’opera demolitoria progressivamente fino al 2010 di norme, regole
specifiche, valori sociali, financo accordi sindacali che, introdotti per
legare strettamente scelte sociali alla fruizione dei servizi nel
territorio, considerate tutte come vincoli da rimuovere o da valutare per la
loro rimozione che limitano fortemente il mercato interno e la libera
circolazione di imprese prestatrici di attività e dei servizi. Il mercato
diviene quindi il presupposto del nuovo modello europeo di pubblico.
Molti sono gli esempi
( dalle regole per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, alla stessa
sanità: diritto di accesso, qualità delle prestazioni, professionalità
addette come parte della qualità; all’assistenza agli anziani; ma anche ad
alcuni servizi essenziali come l’acqua).
IL MERITO
Quali
le iniziative da assumere per favorire la libera circolazione?
Un vasto e
progressivo processo di “modernizzazione” che comporti:
·
Sportelli unici, semplificazione amministrativa, snellimento delle procedure
di autorizzazione, silenzio assenso;
·
Eliminazione dalla legislazione di prescrizioni che ostacolano l’accesso
alle attività e l’esercizio della attività (obbligo di nazionalità;
residenza;iscrizione ad albi;obbligo di esercizio di attività per un
determinato periodo, solvenza economica); valutandone comunque a cura degli
Stati la compatibilità con gli obiettivi della Direttiva;
·
Garanzia
della libera circolazione di servizi provenienti da altri paesi adattando le
norme che potrebbero ostacolarla (il principio del paese di origine);
·
Verifica, a cura dei singoli Stati, se l’ordinamento giuridico dei paesi
membri subordini l’accesso ad un’attività al rispetto di alcuni requisiti
non discriminatori (requisiti diversi da quelli relativi alle qualifiche
professionali che riservano l’accesso alle attività a prestatori
particolari;obbligo ad un minimo di dipendenti;obbligo di tariffe minime e
massime;requisiti di particolare stato giuridico)
La
Direttiva prevede anche un’opera di armonizzazione entro il 2007 della
legislazione per garantire una tutela equivalente dell’interesse generale
sui diritti dei consumatori “informazione;assicurazione
professionale;controversie; informazione sulla qualità del prestatore.
Spicca quanto si afferma in ordine all’adozione di misure di accompagnamento
volte ad incoraggiare i prestatori a garantire su base volontaria:
certificazione dell’attività e sua valutazione da parte di organi
indipendenti; elaborazione o adesione di una carta dei qualità messa a punto
da organismi professionali.
Il Tema della deregolamentazione contenuto nella Direttiva unitamente alle
politiche governative sui servizi e l’attuazione in progress rischia di
determinare una situazione non controllabile.
Le
attività coperte dalla direttiva
sono : qualsiasi attività economica non salariata che consiste nel fornire
una prestazione oggetto di un corrispettivo economico: la relazione afferma
come tale definizione copra una gamma vasta di servizi quali ad es. i
servizi di certificazione;i servizi di assunzione comprese le agenzie di
lavoro interinale;la distribuzione;i servizi di sicurezza;i servizi
turistici;i centri sportivi;i servizi ricreativi;i servizi legati alla
salute;i servizi a domicilio come l’assistenza agli anziani. Addirittura in
base ad una sentenza della Corte qualsiasi attività mediante la quale un
prestatore partecipa alla vita economica, indipendentemente dal proprio
stato giuridico, costituisce un servizio. Rientrano quindi tutti i servizi
ai consumatori, alle imprese o a tutti e due.
Non rientrano nella nozione di servizi quelle attività non economiche o
prive della caratteristica della retribuzione per il prestatore, come nel
caso delle attività svolte dallo Stato senza corrispettivo economico nel
quadro delle funzioni in ambito sociale, culturale, educativo e giudiziario.
I punti politici di merito sembrano essere 4:
l’area di applicazione che è vastissima:
La direttiva non si applica ai servizi finanziari; ai servizi ed alle reti
di comunicazione elettronica; ai servizi di trasporto; al settore fiscale.Già
regolamentati dalla disciplina di settore.
Gli
altri servizi sono interessati alla direttiva e la particolare definizione
di servizio di interesse economico generale: quelli che gli stati in nome
dell’interesse generale assoggettano a specifici obblighi di servizio
pubblico ( trasporti; poste; energia; comunicazione; ma anche sanità;
istruzione; assistenza; servizi di protezione ambientale; per l’acqua è in
atto un’analisi del settore da concludersi entro il 2004). E’ chiaro che, se
per ognuno di questi servizi di interesse economico i singoli Stati
prevedono particolari vincoli sociali, forme di accesso, tipologie di
intervento etc. questi interventi sono tutti posti a repentaglio dalla
Direttiva.
Il
secondo punto è il principio del paese di origine:
quello cioè per cui se un prestatore di servizi svolge la sua attività in un
altro paese, è assoggettato alla sola disciplina ed al sistema dei controlli
del paese di origine e non deve seguire la normativa del paese nel quale
presta la sua opera.
In
particolare tale norma è relativa alle disposizioni nazionali
sull’accesso e sull’esercizio di una attività in relazione al comportamento
del prestatore, alla qualità e contenuto del servizio.
La
stessa direttiva precisa che non si possono imporre requisiti quali:
l’obbligo per il prestatore di rispettare i requisiti relativi all’esercizio
di una attività di servizio applicabile sul territorio.
Cadono
i vincoli; i codici di condotta sono volontari; la disciplina di rapporto
con gli utenti è disciplinata solo dalla direttiva e non dalle consuetudini
statali. Saremmo quindi nel pieno di una deregolamentazione e di una
liberalizzazione dei servizi. Certo gli stati possono valutare se mantenere
alcune discipline ( ad esempio forma giuridica del prestatore: no profit;
gli obblighi di un numero minimo di dipendenti; tariffe;) o in determinate
nuove circostanze, introdurre nuovi requisiti tali da mantenere l’interesse
generale ad esempio l’universalità dei diritti. Ma qui la Commissione
europea valuta la compatibilità delle nuove norme, ma soprattutto i Governi
debbono decidere come muoversi: è la nostra situazione è chiara a tutti:
rapporto tra paese di origine e legge 30.
Ma
ancora di più questa normativa va ragionata dopo “l’allargamento” anche alla
luce del diverso assetto “pubblico” della regolamentazione legislativa in
tema ambientale, sociale e fiscale dei paesi provenienti dall’Est
caratterizzati da minori garanzie sociali e protezione sociale.
Si
introduce un meccanismo da un lato di esportazione di quei modelli nel resto
dell’Europa più avanzata, facendo discendere da ciò le ipotesi di
armonizzazioni da compiere dalla ipotetica data di approvazione della
direttiva fino al 2010; e dall’altro si rischia di incentivare una mobilità
di prestatori di servizi da paesi più avanzati a quelli meno avanzati per
far sì che il principio del paese di origine sia più esteso possibile e più
a minori garanzie e protezione sociale.
Il terzo punto è la
particolare disciplina dei distacchi dei lavoratori:
se un
prestatore di un servizio dello Stato A presta il suo servizio nello Stato
B, può distaccare lavoratori ai quali si applica la disciplina del paese
B,in base alla preesistente direttiva del 1996 sull’argomento.
Ma la
stessa direttiva sul mercato interno stabilisce che i controlli sono
ancora a cura del paese di origine, determinando anche a causa di una
confusione nella normativa il rischio che i controlli non vi siano e si
indebolisca la lotta alle attività illegali ( controllabili dal paese di
origine). Ciò fa dire alla stessa Commissione per l’occupazione e gli
affari sociali del Parlamento Europeo che la Direttiva può creare
particolari problemi ad esempio nell’edilizia, nell’agricoltura. Ulteriori
problemi per la reciprocità dell’informazione fra Stati. Sul tutto incombe
la nuova direttiva sugli appalti.
Il quarto punto è la
disciplina del
sistema sanitario (unico settore ad avere una regolamentazione
specifica – art.23- la direttiva avrà ripercussioni profonde
proprio perché i sistemi di welfare dalla loro origine hanno sempre avuto
norme specifiche per l’accesso e per lo stesso funzionamento: numero dei
medici e del personale; qualità del personale addetto; numero dipendenti per
posto letto;tariffe minime; qualità delle prestazioni; servizi alberghieri.
La considerazione di queste specificità come vincoli da rimuovere intacca
aspetti essenziali dell’organizzazione e del funzionamento dei sistemi
sanitari dei paesi europei.
In questo campo ad
esempio il principio del paese di origine può comportare che un prestatore
di servizi sanitari stabilito in un paese , potrà fornire servizi in un
altro paese senza doverne rispettare la legislazione, mentre la definizione
di codici di condotta è per questi prestatori solo volontaria. Tutto ciò
sembra in assoluto contrasto con quanto recita l’art.152.5 del Trattato che
conferma che vengono rispettate le competenze statali in materia di
organizzazione e fornitura dei servizi sanitari e di assistenza medica.
In sostanza con l’art.23
si regolano le prestazioni sanitarie ospedaliere e non, e si afferma che
“l’autorizzazione alla fornitura di servizi sanitari non può essere
subordinata all’assunzione da parte del fornitore degli obblighi sanitari
derivanti dal sistema di sicurezza sociale esistente nel paese nel quale il
fornitore dei servizi sanitari”. Si stabilisce altresì che nei vari paesi
l’onere finanziario delle cure sanitarie di un altro Stato membro non può
essere inferiore a quello previsto dal proprio sistema di sicurezza sociale.
Per questo la
Commissione del parlamento chiede l’esclusione della Sanità dalla Direttiva.
Rimane sempre la
possibilità che gli Stati possano varare norme per garantire l’interesse
pubblico, qualora esso non sia garantito dalle norme del paese di origine,
ma tali nuove normative debbono sottostare al parere della Commissione
Europea che deve verificare che esse non siano discriminatorie e che non
siano vincoli che impediscano la concorrenza.
Infine è chiaro che la
direttiva avrà conseguenze per i servizi di interesse pubblico, istruzione,
economia sociale, cultura, visto che tali settori si trovano al confine fra
attività economiche e sociali. La direttiva va poi posta in relazione agli
sviluppi del settore dei servizi a livello mondiale, tra l’altro nel quadro
del GATS.
Occorre altresì valutare la direttiva alla luce del WTO e degli accordi GATS.
Vi sono precise assonanze tra i criteri di esclusione dei servizi oggetto
degli accordi GATS, cioè dalla progressiva liberalizzazione e
commercializzazione: i servizi esclusi sono per 10 anni quelli forniti né in
regime commerciale, né in regime di concorrenza ( difesa; giustizia; servizi
amministrativi dei poteri centrali e locali); e le attività non coperte
dalla direttiva stessa che, oltre a quelle regolamentate specificatamente
sono quelle “ non economiche o prive della caratteristica della
retribuzione, come nel caso delle attività svolte dallo Stato senza
corrispettivo economico nel quadro delle sue funzioni in ambito sociale,
culturale, educativo e giudiziario” ( L’Istruzione è fuori – scuole
pubbliche e private-; rimangono ancora le carceri: Castelli vuole
privatizzarle).
Ora è vero che la
Direttiva Bolkestein si applica solo ai paesi membri e quindi di per sé non
è esportabile, ma sicuramente la sua attuazione non può essere in
contraddizione con quanto l’EU sostiene in sede di accordi Gats. La logica
liberista non si pone il problema di uguaglianza dei diritti, di sviluppo
sociale, non riconosce il concetto di bene comune, né il principio di
servizio universale.
Cosa si è fatto e cosa
fare?
Il giorno 11 novembre vi sarà un’audizione presso il Parlamento Europeo,
mentre è prevista una manifestazione a Bruxelles del Forum sociale. Per il
19 novembre è prevista una manifestazione dei sindacati a Lussemburgo.
Per il 25 novembre, a Bruxelles, in concomitanza con il Consiglio europeo
dei ministri “Concorrenza” (Mercato interno, industria e ricerca”, che
discuterà la proposta per la prima volta – si svolgerà una manifestazione
organizzata dalla Federazione Europea dei lavoratori edili (FETBB)ed a cui
ha aderito la Federazione sindacale europea dei servizi pubblici (FSESP).
Abbiamo appreso che il Governo Svedese ha scritto alla Commissione
rigettando la Direttiva e che il Governo Belga ha presentato 16 punti di
inapplicabilità della Direttiva stessa.
Le posizioni sindacali sono chiare:
La Posizione del
Congresso FSESP( Il sindacato europeo dei servizi pubblici) è netta: la
direttiva va ritirata anche perché la direttiva danneggerà i SIG che,
nell’assenza di un quadro normativo europeo, per giunta negato dalla stessa
Commissione, attraverso la negazione di un accordo quadro che limiti il
campo e ridefinisca i principi, diverranno beni di mercato
commercializzabili e che rientrerebbero in tal modo nell’ambito di
competenza della liberalizzazione dei servizi pubblici nel GATS. La CES ha a
sua volta assunto una posizione forte sulla Direttiva stessa, preparandosi
anche ad iniziative emendative in Parlamento. Esistono posizioni dei
Sindacati Trasporti europei e degli edili e del Sindacato Pensionati.
Il Forum Sociale di
Londra ha preso posizione per una campagna europea contro la direttiva
Bolkestein ed in rete gira una e-mail di Attac italia . Tutte queste
iniziative hanno prodotto un rallentamento dei tempi di approvazione della
Direttiva. Chiaramente influirà non poco l’orientamento della nuova
Commissione.
Ad oggi è prevista la discussione in aula a partire dai primi mesi del 2005
mentre il Consiglio europea comincia a discuterne a partire dal prossimo 25
novembre, abbiamo quindi tempi limitati per influire sull’orientamento e
determinare il ritiro o quanto meno la profonda modifica della Direttiva.
Come?
Occorre innanzitutto superare il silenzio e la non conoscenza che circonda
questa direttiva ed i suoi effetti devastanti sul piano degli equilibri
sociali dei vari paesi.
Vanno coinvolti i parlamentari europei spiegando loro il senso delle
contrarietà di tutti i sindacati europei confederali e di categorie; analogo
passo va compiuto verso i parlamentari italiani e verso il Governo per
chiedere e comprendere la linea seguita sin qui dal Governo nei gruppi di
lavoro istituiti dalla precedente Commissioni.
Poi c’è il merito che riassumerei per titoli per definire la cifra di una
nostra iniziativa, che anche alla luce delle iniziative delle categorie non
può che essere unitaria:
Ritiro della Direttiva costruendo le condizioni di
praticabilità di questo obiettivo. Va tenuto conto che anche l’audizione
dell’11 novembre ha mostrato un ampio fronte contrario o preoccupato dalla
direttiva (“La direttiva sui servizi sotto il fuoco delle critiche” è stato
il titolo del comunicato stampa ufficiale del Parlamento europeo dopo
l’audizione) . Ci sono delle speranze, non amplissime ma neppure utopiche,
che la nuova Commissione non voglia, oggi, ereditare un guaio così grande.
E’ pur vero che il nuovo Commissario Charlie McCreevy ha dichiarato di voler
difendere questa direttiva che, a suo parere “non apre al mercato nessun
nuovo settore che non sia già aperto”.
La strada di una radicale modifica che nei fatti ne significhi il suo
stravolgimento. Tale obiettivo si sostanzia alla luce di quanto illustrato.
Infatti esiste una diversità profonda tra la strategia di Lisbona, la prima
parte della Costituzione europea e la direttiva Bolkestein: essere a favore
del mercato interno non significa assumere il contenuto della Direttiva che,
anzi, contrasta con quegli obiettivi; In particolare va rigettato il
principio del paese d’origine che non può essere applicato se non dopo la
realizzazione di un principio di armonizzazione
Occorre richiedere il rispetto della direttiva attualmente in vigore in tema
di distacchi dei lavoratori;
occorre introdurre il principio della valutazione a cura dei singoli Stati
delle procedure di semplificazione da adottare senza mettere in discussione
complessivamente gli equilibri raggiunti; occorre il ripristino dell’idea
di una Direttiva Quadro nel senso che la libertà di stabilimento avviene
sulla base dei principi esistenti nei vari paesi- l’armonizzazione ha un
doppio problema:quali le normative da armonizzare e come si finanziano le
innovazioni di qualità- mentre per la libera circolazione dei servizi ci si
muove sul principio di assistenza degli Stati o di reciprocità; in ambedue i
casi il percorso non è segnato dalla riduzione dall’esterno dei vincoli
pubblici, bensì dalla conferma delle condizioni date e portando
progressivamente le condizioni più arretrate di alcuni paesi verso le
situazioni migliori; è necessario abolire il principio del paese di origine.
Credo infine che sia necessario verificare la praticabilità di una ipotesi
che mantenga come requisiti generali che privilegiano il ruolo del pubblico
i contenuti di quelle disposizioni legislative considerate di interesse
primario garantite dalle Costituzioni degli Stati membri( uniformità;
garanzia dei livelli essenziali; universalità; salute e sicurezza): vedi ad
esempio il ruolo della legislazione esclusiva dello Stato definita nell’art.
117/Cost. le possibili armonizzazioni possono essere verificate nelle
legislazioni di settore.
Per ultimo occorre limitare con forza l’applicabilità della direttiva stessa
ad iniziare dall’affermare nella normativa l’estraneità della Sanità e dei
servizi sociali e dell’Istruzione dal campo di applicazione della
Direttiva, in quanto attività che non hanno carattere commerciale
riconoscendo in maniera esplicita il diritto dei poteri pubblici locali,
regionali e nazionali a prestare un certo numero di servizi che non siano
sottoposti alla concorrenza
Infine si possono mettere in piedi 3 gruppi di lavoro:
a) informazione
specifica generale e settoriale sulle conseguenze della Direttiva;
b) Discipline
specifiche e conseguenze della Direttiva (es. distacchi; regime delle
autorizzazioni; sicurezza);
c) Rapporto
con movimenti.
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