Resoconto stenografico dell'Assemblea
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Roma il 29 ottobre 2004. Ricordo che nella seduta odierna sono state respinte le questioni pregiudiziali per motivi di costituzionalità Mascia ed altri n. 1 e Fontanini ed altri n. 2. Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario). PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento. L'onorevole Selva, presidente della Commissione affari esteri, ha facoltà di svolgere la relazione.
GUSTAVO SELVA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il progetto di unire gli europei per far cessare finalmente le lotte che per secoli hanno insanguinato il nostro continente, il vecchio continente, parte da lontano. Voglio ricordare che a lanciare l'idea e a lavorare instancabilmente per la sua affermazione fu, nei tempi moderni, Richard de Coudenhove-Kalergi, che ne divenne, fra le due guerre, il primo apostolo. È di de Coudenhove-Kalergi il documento intitolato Paneuropa, un progetto pubblicato a Vienna e a Berlino nel 1922, nonché il successivo manifesto-libro Paneuropa e, nel 1924, la creazione del movimento Paneuropa. In questi testi - per chi abbia la curiosità, e non mi pare che sia di questa Assemblea in questo momento, di rileggerli - si trovano in nuce le linee ispiratrici dell'unione economica e politica dell'Europa. Voglio accennare soltanto all'intuizione che ebbe suggerendo la fusione dell'industria carbonifera tedesca e mineraria francese, per dare vita ad un'unica industria siderurgica europea: fu la premessa di quella CECA - la Comunità europea del carbone e dell'acciaio - che con il trattato di Parigi del 18 aprile 1951 fra i sei paesi promotori - fra cui l'Italia, fra gli altri con il ministro La Malfa - rappresentò la prima concreta pietra dell'edificio comunitario. Voglio ricordare ancora - perché pochi forse lo sanno - che nell'ottobre 1926 a Vienna, nel primo congresso dell'Unione paneuropea, de Coudenhove-Kalergi, quando fu eletto presidente del consiglio centrale dell'organizzazione, invitò i duemila delegati ad adottare come inno europeo l'Ode alla gioia di Schiller con le note della Nona Sinfonia di Beethoven. Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, sulla base di un libro pubblicato da Luigi Einaudi nel 1941, scrissero il «Manifesto di Ventotene», dal nome della località in cui i due antifascisti erano confinati, in cui le idee liberali del primo Presidente della Repubblica italiana per assicurare la pacifica convivenza della Germania con altri Stati nazionali venivano «estremizzate» in un progetto che contemplava la definitiva abolizione della suddivisione dell'Europa in Stati nazionali. Ciò avrebbe cancellato - è scritto nel «Manifesto di Ventotene» - la linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari: fine della politica non sarà più la conquista del potere in ambito nazionale, ma la creazione di un solido Stato internazionale. GUSTAVO SELVA, Relatore. Di fronte alla più democratica impostazione dei cattolici De Gasperi, Schuman, Adenauer, ma anche di area liberale come Gaetano Martino - e voglio ricordare ancora una volta La Malfa - o di un socialista come il belga Spaak, che raccolsero il messaggio europeista, anche Altiero Spinelli accetterà una visione più realistica dell'unità europea nelle diversità nazionali, per un federalismo che non alzasse barriere ideologiche, ma che unisse per la realizzazione di spazi comuni di libertà, di diritti umani e civili, di socialità. È questo lo Spinelli che diventerà poi commissario della Commissione europea ed anche parlamentare europeo. A distanza di 57 anni dall'avvio del processo comunitario, il percorso si è completato e i paesi dell'Unione hanno sottoscritto quel Trattato che ora i singoli Parlamenti sono chiamati a ratificare; va notato che il testo condiviso è frutto di una intensa opera di elaborate mediazioni alle quali hanno positivamente collaborato con il presidente Giscard d'Estaing, per la parte italiana, il vicepresidente Giuliano Amato, il vicepresidente del Consiglio, onorevole Gianfranco Fini, che salutiamo adesso come ministro degli esteri, i senatori Lamberto Dini, Filadelfio Basili, i deputati Marco Follini, Valdo Spini ed il deputato europeo Francesco Speroni. Quest'opera ha dovuto superare ostacoli di grande rilevanza e conciliare esigenze diverse, in parte anche derivanti dalle contrapposizioni emerse nel secolo XIX e nella prima metà del secolo appena trascorso. È necessario consolidare, onorevoli colleghi, attraverso il Trattato i risultati ottenuti in più di mezzo secolo di rapporti intereuropei, che hanno consentito all'Unione europea di collocarsi con i confini sempre più ampi in una posizione di primo piano a livello internazionale, di costruire un sistema economico tale da assicurare l'equilibrato sviluppo del continente, di creare le condizioni favorevoli a quell'unione politica che resta il traguardo finale al quale gli europeisti aspirano. In effetti, onorevoli colleghi, il processo di integrazione, anche se è andato avanti a piccoli passi e qualche volta con contraddizioni, ha oggi dei tratti di strada da percorrere per impedire gli accessi del nazionalismo e per difendere il sistema democratico, dando all'Europa una voce forte e potente per difendere le sue idee, i suoi valori, i suoi interessi. Il mondo deve affrontare anche nuove sfide, alcune delle quali all'inizio degli anni Cinquanta non erano nemmeno immaginabili, come il terrorismo e l'emigrazione di massa delle popolazioni, in gran parte musulmane, dai paesi più poveri verso quelli più sviluppati come i nostri; ma non solo questo: la globalizzazione dei mercati, gli squilibri tra nord e sud in tutte le loro molteplici manifestazioni, la fame, le malattie, il problema sempre più pressante della sicurezza, l'esigenza del rispetto dei diritti fondamentali della persona, il razzismo, la salvaguardia dell'ambiente e la difesa della qualità della vita, e l'elenco potrebbe continuare! Quella dell'Unione europea dunque è una storia che viene da lontano ma che guarda anche lontano; e alla preparazione di questo documento che oggi noi siamo chiamati a ratificare il Parlamento europeo ha partecipato attivamente con la Commissione per gli affari istituzionali presieduta dall'onorevole Napolitano (diventata nel 1999 Commissione per gli affari costituzionali), contribuendo in ciascuna di queste tappe alla riflessione preparatoria ed alla valutazione dei risultati delle diverse Conferenze intergovernative; essa ha sostenuto la necessità di chiarire e di migliorare la base costituzionale dell'Unione europea, esigenza questa che si è sempre imposta sotto la pressione dei successivi allargamenti, che avrebbero potuto porre ipoteche politiche sull'integrazione. Noi dobbiamo assumere, onorevoli colleghi, come rappresentanti della nazione italiana, nell'esaminare il Trattato costituzionale europeo il punto di vista del Parlamento italiano e del Parlamento europeo per consolidare la posizione verso una Europa politica, che è quella alla quale sta lavorando anche l'attuale Governo Berlusconi. Gli obiettivi perseguiti si richiamano all'esigenza di spiegare e, ove necessario, di rafforzare le competenze e le responsabilità della stessa Unione europea. Ciò significa anche che i poteri attribuiti all'Unione debbono essere esercitati sulla base del principio di sussidiarietà: l'Unione deve esercitare le responsabilità, solo quelle che possono essere più efficacemente assunte da politiche comuni piuttosto che dall'azione separata dei singoli Stati membri. Ma ciò vuol dire anche che sull'Italia, come sugli altri paesi - voglio dirlo soprattutto agli amici della Lega -, non vi potrà essere un super-Stato costituito dalle istituzioni europee, tanto meno da quelle burocratiche. Il Parlamento europeo è stato critico nei confronti della prassi dell'unanimità in sede di Consiglio - salvo, beninteso, per l'adesione di nuovi membri (naturalmente, in forza ed entro i limiti del Trattato costituzionale) -, argomentando che, una volta concordato di attuare una politica comune, perderà sempre più senso conferire un diritto di veto a ciascuno degli Stati che lo compongono. Il Parlamento europeo ha poi chiesto che la Commissione rivesta un ruolo più importante nell'attuazione delle politiche una volta che queste siano state adottate, fermo restando che la Commissione medesima deve essere soggetta a controlli adeguati. In terzo luogo, il Parlamento europeo ha chiesto un maggiore controllo democratico ed una più marcata responsabilizzazione a livello europeo. Le responsabilità che i Parlamenti nazionali - è questo il nuovo ruolo dei Parlamenti come il nostro -, ratificando i trattati, hanno trasferito all'Unione, non debbono essere esercitate dal solo Consiglio, cioè dai ministri nazionali: il rafforzamento dei poteri a livello parlamentare nazionale deve essere accompagnato da un analogo rafforzamento del potere parlamentare a livello europeo. Un punto di svolta sul piano storico è stato costituito, come ho già accennato, dalla Convenzione, composta da rappresentanti dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri, dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione, cui sono stati associati, in qualità di membri a pieno titolo, i rappresentanti dei Governi e dei Parlamenti degli Stati candidati (dei cui nomi vi ho già dato conto per quanto riguarda l'Italia). Sotto la Presidenza di Valéry Giscard d'Estaing e la Vicepresidenza di Giuliano Amato e di Jean-Luc Dehaene, e con il Vicepresidente del Consiglio Fini, la Convenzione è stata incaricata di redigere un progetto preliminare di Costituzione che sarebbe dovuto servire come base per i lavori della futura Conferenza intergovernativa. La fruttuosa esperienza della Convenzione per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali ha, in effetti, aperto la strada alla creazione di una convenzione analoga per preparare i lavori della nuova Conferenza intergovernativa. Infatti, la Convenzione aveva funzionato bene ed aveva dimostrato di essere in grado di elaborare un progetto capace di ottenere l'approvazione dei Capi di stato e di Governo. Il suo carattere aperto e trasparente e la qualità dei suoi dibattiti, presieduti da un ex Presidente della Repubblica, avevano facilitato il raggiungimento di un consenso basandosi, in primo luogo, sulla possibilità per ciascuno di esprimere le proprie opinioni e, in seguito, di comprendere quelle altrui. La scelta della Convenzione, presieduta da Giscard d'Estaing, si è rivelata giusta perché, nel termine di sedici mesi, è stato possibile presentare un testo concordato, frutto di intensi dibattiti condotti con apertura, con la comprensione di ciò che univa, ma senza escludere ciò che divideva, ed alimentati anche da uno stretto dialogo con la società civile. È un peccato (probabilmente, lo rilevo più da giornalista che da rappresentante della nazione) che gli organi di informazione abbiano dedicato a ciò soltanto cenni abbastanza vaghi e generici. È una responsabilità che attribuisco ai politologi e ai giornalisti, perché non si può soltanto dire se era importante la citazione delle radici cristiane dell'Europa o l'elezione di un numero di commissari, senza avere studiato tutto ciò che, invece, è contenuto ed è importante per indurre i cittadini a riflettere. È un dialogo, comunque, che vogliamo ulteriormente sviluppare attraverso questo dibattito, perché la scarsa partecipazione alle elezioni europee purtroppo dimostra che l'Unione europea non è proprio al sommo dell'interesse politico dei popoli e, in modo particolare - dobbiamo dirlo - dei giovani. Ci si deve interrogare se questo sia dovuto soltanto al tecnicismo di molte decisioni. La mia esperienza di giornalista, primo corrispondente della RAI a Bruxelles, mi permise subito di sottolineare come ci avviassimo verso un tecnicismo difficile da spiegare e da comprendere, dietro il quale magari si possono nascondere dati politici. Da parte sua, il Parlamento europeo, grazie ai lavori della sua Commissione per gli affari costituzionali, ha ampiamente contribuito alla realizzazione di questo programma. Siamo naturalmente in presenza di un compromesso che fa avanzare l'Europa dopo lunghi dibattiti pubblici e pluralisti ed approvato dai Governi di tutti i 25 Stati membri, ciascuno dei quali vuole che questa sia la base su cui lavorare insieme in futuro. Qualcuno si interroga se si sia trattato di una Costituzione o di un trattato. È una falsa questione. Formalmente è un trattato da ratificare e da adottare secondo le norme in vigore nelle singole Costituzioni e non potrebbe essere altrimenti, ma, per la sua natura, il contenuto è una vera e propria Costituzione. In effetti, l'Unione aveva già una sua bozza di Costituzione derivata dai trattati via via sottoscritti, semplificando questi trattati, dando loro una struttura più comprensibile, persino una nomenclatura più precisa. Non si parlerà più di regolamenti, ma di leggi europee, attribuendo loro un carattere particolarmente solenne. Si fa un passo importante per chiarire il sistema, per renderlo più trasparente, appetibile (speriamo anche nei mass media) e comprensibile agli occhi dei cittadini che devono conoscere questa Costituzione. La devono sentire anzitutto come una Magna Charta dei diritti civili, etici, religiosi, economici, sociali, per ogni singolo cittadino dell'Unione, realizzando l'unità nella diversità delle singole nazioni. Un rilievo fatto legittimamente dopo il varo del testo è che la terza parte non contiene realmente disposizioni di carattere costituzionale; quelle che prevede sono troppo dettagliate e complesse, ma la Convenzione non doveva avere riserve del genere. In ogni caso, la semplificazione è evidente. Tutte queste disposizioni sono riunite in un unico documento coerente e strutturato e la semplice lettura della parte prima e della parte seconda, nelle quali si trovano gli aspetti più specificatamente costituzionali, fornisce al cittadino una chiara visione di insieme della realtà politica dell'Unione e dei diritti per i cittadini in essa codificati. È estremamente importante che con la Costituzione si abbia un solo Trattato ed una sola entità: l'Unione europea stimolata e controllata da tanti Parlamenti e Governi nazionali. Ma io la vorrei vedere piuttosto come una comunità di destini, quanti sono i paesi e gli Stati che la compongono e che la comporranno anche domani, perché il testo si apre con gli articoli che definiscono la natura, i valori e i principi su cui l'Unione si fonda, nonché gli obiettivi che essa vuole perseguire, che non sono i semplici obiettivi di un mercato comune e di una sola moneta. Le sue istituzioni esercitano le competenze trasferite dai singoli Stati, di cui si impegna a rispettare le identità nazionali, ossia gli elementi fondamentali della loro struttura politica interna. In tal modo, essa manifesta il suo rispetto nei confronti delle decisioni che ciascuno Stato può prendere per quanto riguarda la distribuzione territoriale del potere, dalla fissazione delle frontiere all'autonomia regionale e locale, il mantenimento dell'ordine pubblico e la tutela della sicurezza nazionale. La Costituzione consacra inoltre il principio di leale collaborazione tra l'Unione e gli Stati membri per l'adempimento dei compiti comuni. Ai valori, che sono il fondamento e il riferimento di tutte le azioni dell'Unione, si riferisce l'articolo 2, che tratta della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto, dei diritti delle minoranze. È a questi valori che dovranno attenersi i futuri paesi aderenti, ed essi possono servire da base per l'applicazione di sanzioni a quegli Stati che li violino. L'Unione (articolo 3) si propone obiettivi politici che ne giustificano l'esistenza: la promozione della pace e il benessere dei suoi popoli. Sul piano interno offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, di sicurezza, di giustizia, ed un mercato basato sulla concorrenza libera e leale; sul piano internazionale contribuisce alla pace, alla sicurezza, agli sviluppi sostenibili del pianeta, alla solidarietà e al rispetto reciproco fra i popoli. Si presenta proprio come carta fondativa di grandi valori da offrire persino come esempio ad altri che vanno cercando, fino a questo momento inutilmente, la via di una maggiore coesione e di una maggiore partecipazione dei popoli. I diritti definiti dalla Carta corrispondono in generale allo zoccolo comune di diritti fondamentali che l'Unione riconosceva già e che traggono origine dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri o dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Bisognava enunciare tali diritti in modo preciso ed accessibile per il cittadino ed affermare chiaramente che l'Unione è tenuta a rispettarli. Questo senza dubbio contribuisce a rafforzare il collegamento fra i cittadini e l'Unione di cui i cittadini fanno parte. Agli Stati è data la possibilità di presentare, a nome del loro Parlamento nazionale, o, se il sistema lo prevede, di una delle sue due Camere, un ricorso davanti alla Corte di giustizia contro un atto legislativo per violazione del principio di sussidiarietà. Il comitato delle regioni acquisisce anch'esso il diritto di presentare tali ricorsi contro atti legislativi, per l'adozione dei quali la Costituzione prevede la sua consultazione. Il Trattato costituzionale rafforza, onorevoli colleghi, considerevolmente il ruolo del Parlamento europeo. Infatti, numerose decisioni di grande importanza, sino ad ora di esclusiva competenza dei Parlamenti nazionali e del Consiglio, sono soggetti all'approvazione del Parlamento: la decisione di lanciare una cooperazione rafforzata; l'utilizzazione delle clausole di flessibilità, che consente all'Unione di prendere misure non previste dalla Costituzione per conseguire obiettivi da essa stabiliti; la decisione relativa all'utilizzazione di «passerelle» generali di passaggio dall'unanimità alla maggioranza qualificata e da procedure legislative speciali alla procedura legislativa ordinaria; alcune decisioni, infine, che consentono di estendere il campo di applicazione delle basi giuridiche previste dalla Costituzione, come quelle riguardanti la procura e la cooperazione giudiziaria in materia penale. Anche nel settore della politica estera e della sicurezza comune, nel quale non dispone di poteri decisionali, il Parlamento europeo acquisisce un diritto generale a essere informato e consultato. Si può dire che il Parlamento europeo ora diventa un co-decisore in quasi tutti i settori della politica comunitaria. Si tratta in sostanza di concretizzare la nozione fondamentale della doppia legittimità dell'Unione, in quanto unione di Stati ed unione di cittadini. La Costituzione rappresenta, quindi, indubbiamente un importante approfondimento della dimensione democratica dell'Unione. Il Consiglio europeo è riconosciuto come istituzione autonoma, con un ruolo di impulso politico; la Costituzione afferma esplicitamente che non esercita funzioni legislative. Un'importante innovazione è la soppressione della Presidenza a rotazione e la sua sostituzione con un Presidente eletto dai membri del Consiglio europeo per un periodo di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta. Quanto al sistema di votazione, argomento sul quale si è a lungo dibattuto, è stato scelto il meccanismo della doppia maggioranza, anziché una diversa ponderazione dei voti. Si può anche considerare che, malgrado l'aumento delle soglie proposte dalla Convenzione - il 55 per cento degli Stati, anziché il 50, ed il 65 per cento della popolazione, anziché il 60 -, il nuovo sistema rende le decisioni più facili, atteso che il sistema di ponderazione implicava, in molte combinazioni, soglie di popolazione molto più elevate perché una decisione fosse adottata e che l'esigenza di almeno quattro Stati membri per l'esistenza di una minoranza di blocco ha per effetto in molti casi di abbassare considerevolmente la soglia del 65 per cento. Una delle principali innovazioni istituzionali, onorevoli colleghi, è la creazione della carica di Ministro degli affari esteri dell'Unione mediante la fusione in un unica funzione di quelle già esistenti di Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune e di Commissario responsabile per le relazioni esterne. L'introduzione della figura del Ministro corrisponde all'obiettivo di assicurare la coerenza e la visibilità dell'azione esterna dell'Unione nel suo complesso; tale carica, infatti, ha un doppio ruolo istituzionale. Il Ministro è incaricato della conduzione della politica estera e di sicurezza dell'Unione e, a tale titolo, presiede il Consiglio Affari esteri, presenta proposte, assicura l'esecuzione delle decisioni del Consiglio; allo stesso tempo, è Vicepresidente della Commissione, assumendo le responsabilità di tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e coordinando tutti gli aspetti dell'azione dell'Unione. Ritengo, naturalmente, che certe critiche siano ancora legittime e possibili; ritengo anche, però, che il lavoro svolto dalla Convenzione e le decisioni prese dal Consiglio meritino la nostra approvazione. La meritano in quanto si avverte, oggi più che mai, il bisogno di un Trattato per la Costituzione europea; ora che - e, a mio avviso, i federalisti devono riconoscerlo - la politica comunitaria, e in modo particolare la politica estera e di sicurezza comune, rivela, talvolta, un deficit democratico, una eccessiva tendenza a quella rinazionalizzazione da cui i sei Stati fondatori l'avevano preservata. Tutte quelle esposte sono le principali ragioni poste a fondamento dell'invito a ratificare il Trattato e a compiere, perciò, un atto storico del libero e democratico Parlamento italiano. La ringrazio, Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro degli affari esteri.
GIANFRANCO FINI, Ministro degli affari esteri. La ringrazio, Presidente. Onorevoli colleghi, il fatto che si sia dibattuto molto - ed altrettanto si sia scritto - circa il contenuto di un Trattato per una Costituzione europea; il fatto che il Parlamento, la nostra Camera, tante volte abbia avuto modo di riunirsi, soprattutto in Commissione, per confrontare le opinioni delle forze politiche e dei parlamentari sul testo che è stato successivamente ratificato dal Consiglio dei Capi di Stato e di Governo; non ultimo, il fatto che la relazione ampia, approfondita, appassionata del presidente della Commissione affari esteri abbia trattato fin nei minimi particolari alcuni degli aspetti del Trattato, sono tutti elementi che credo oggettivamente autorizzerebbero il rappresentante del Governo a pronunciare poche parole. Non abuserò della vostra pazienza, tuttavia, per l'importanza oggettiva che l'atto politico che ci accingiamo a compiere riveste non soltanto per le generazioni future, ma anche per le conseguenze che determinerà, se sarà accompagnato da comportamenti analoghi da parte degli altri Parlamenti o dalle altre pubbliche opinioni, credo che qualche riflessione aggiuntiva il Governo debba svolgerla, partendo dalla considerazione che, come viene giustamente sottolineato da coloro che la sostengono - mi rivolgo, in particolar modo, agli onorevoli deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana -, occorre un dibattito, è necessario un approfondimento ed occorre che i mille aspetti contenuti all'interno del Trattato siano conosciuti dalla pubblica opinione. Ciò è certamente vero; tuttavia, è altrettanto vero che l'Italia - che non ha un europeismo recente o di facciata, e non che ha conosciuto l'europeismo, come pure hanno fatto altri paesi, soltanto in ragione di recenti vicende storiche, ma che, al contrario, è parte sostanziale ed ineliminabile della cultura europea ed europeista del vecchio continente -, nello stesso momento in cui si confronta con il Trattato in esame, ha un dovere in più. Essa ha sicuramente il dovere di approfondire, ha l'obbligo di evidenziare eventuali elementi che meritano un'ulteriore riflessione - e, perché no, anche qualche valutazione apparentemente critica -, ma ha anche, e direi soprattutto, il dovere di essere esempio per gli altri Parlamenti e per gli altri popoli. Credo che i colleghi ricordino che, in occasione della firma del Trattato costituzionale - che non casualmente si svolse a Roma, dopo tanti anni dalla sottoscrizione del Trattato di Roma -, il Governo formulò l'auspicio di vedere il nostro Parlamento tra i primissimi ad approvare tale Trattato. Ciò non per eccesso di zelo o per europeismo acritico, bensì unicamente perché, in materia di unificazione dell'Europa, l'Italia è percepita, e lo è realmente, come un esempio. Non siamo stati i primi, poiché altri sono stati più solerti di noi; tuttavia, possiamo comunque essere tra i primissimi a ratificare un Trattato che, oggettivamente, segnerà un punto di svolta. Si tratta di un Trattato che - e voglio dirlo anch'io, con tutta la chiarezza di cui sono capace - porterà dei cambiamenti certamente positivi, non fosse altro per il fatto che ipotesi che, fino a qualche anno fa, sembravano in qualche modo utopiche, o addirittura collegate soltanto al forte desiderio - qualcuno diceva privo di consenso politico - che animava i circoli europeisti più convinti del nostro paese, adesso sono diventate realtà. Voglio riferirmi, in particolar modo, al fatto che venticinque (tra qualche giorno potremmo dire ventisette) popoli e Stati, che nel corso del secolo scorso hanno passato più anni a combattersi, o comunque a non capirsi, che a lavorare insieme, di qui a qualche settimana o tra qualche mese, democraticamente e liberamente, per sovranità parlamentare o popolare, diranno al mondo intero di avere valori, principi, istituzioni e politiche comuni. Se non è una svolta epocale questa, allora credo che non si possa usare l'aggettivo «epocale» in altre circostanze, perché quel passo che ci accingiamo convintamente a compiere, non a caso con una maggioranza che va molto al di là della dialettica tra la maggioranza che sostiene il Governo e l'opposizione, segna davvero la fine di un'epoca storica. In altre occasioni è stato detto che era finito il dopoguerra. Credo che il lungo Novecento che qualcuno, ironicamente ma non tanto, chiamò «il secolo breve», «il secolo delle ideologie», «il secolo dei totalitarismo» oppure, come ha ricordato poc'anzi l'onorevole Mattarella, il secolo delle incomprensioni, delle divisioni, dei muri e delle guerre, si sia certamente concluso con l'ultimo scorcio degli anni Novanta. Tuttavia, in termini politici ed istituzionali, il Novecento si conclude nello stesso momento in cui popoli e Stati d'Europa certificano, di fronte al mondo intero, di avere valori comuni e di non limitarsi a declamare tali valori, ma di attuare una politica attraverso la quale interventi comuni dei venticinque popoli e Stati saranno volti a garantire il rispetto di quei valori. Ciò avverrà nell'ambito di istituzioni che, ovviamente, non sradicano la sovranità nazionale, ma in qualche modo daranno vita a quella sovranità condivisa, vale a dire a quella quota comune di sovranità che ha rappresentato, come sanno i colleghi che partecipavano con me alla Convenzione europea, l'elemento forse più intellettualmente innovativo del lavoro svolto da quel forum presieduto da Giscard d'Estaing. Allora, non è retorica dire che, per davvero, siamo alla vigilia di un momento che entrerà negli annali della storia repubblicana, ed il fatto che in altri paesi vi sia una discussione che in Italia non c'è, significa non che in Italia non si discuta, ma che su tale aspetto l'Italia è certamente più avanti rispetto ad altri paesi. Nel nostro paese, infatti, vi è una condivisione molto maggiore del rapporto che vi deve essere tra la maggioranza e l'opposizione. La circostanza che in altri paesi, in altri Parlamenti, non vi sia la larga condivisione che vi è, al contrario, da noi, deve essere valutata come un elemento che dimostra la capacità della classe dirigente italiana e della nostra società di comprendere chiaramente come oggi vi sia necessità di un peso maggiore dell'Europa, soprattutto se si vuole fare in modo che, da un lato, siano garantiti i legittimi interessi dei popoli e, dall'altro, vi sia una politica attiva della comunità internazionale per garantire i valori della pace, della democrazia e del progresso. Spendo alcune parole per illustrare ulteriormente tale concetto. È stato detto molte volte, non dal rappresentante del Governo, ma dal rappresentante di una parte politica, che ha una storia: ma come potete voi, proprio voi - ed ieri, in Francia, ne parlavo con amici della destra francese -, in ragione della vostra storia, non comprendere che la Costituzione europea, in qualche modo, limita non solo la sovranità nazionale, ma, almeno in teoria, l'identità nazionale? Credo che vi siano motivi per i quali nutrire alcuni dubbi sulla Costituzione europea è lecito, ma certamente questo non lo è. La Costituzione che ci accingiamo ad approvare, infatti, è una Costituzione che afferma in modo inequivocabile che un'Europa a 25 o a 27 Stati è innanzitutto un'Europa rispettosa delle identità, che si basa sulla sintesi armonica delle identità. Non credo si possa affermare, se non per partito preso, che l'Europa che sta nascendo va a sradicare identità vissute da comunità che, non a caso, hanno ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti, lingue, tradizioni, costumi, modi di essere. È un'Europa che, rispettando le diversità - unità nelle sue diversità -, dice chiaramente che le stesse diversità non saranno più ragione d'essere per lo scontro, non saranno più motivo per il conflitto. Non accadrà mai più, nel futuro, quello che - purtroppo - è avvenuto nel secolo scorso ed ha caratterizzato i secoli precedenti: vale a dire che, nel nome delle nazioni, nel nome delle identità, nel nome dei rispettivi costumi, nel nome delle rispettive lingue, si potesse identificare in un altro europeo il nemico. Chi davvero crede nell'identità sa che non esiste un'identità superiore ad un'altra: vi è la differenza; vi deve essere il rispetto, la capacità di integrazione e quell'armonia che credo sia chiaramente individuata fin dal preambolo della Costituzione. L'onorevole Spini, qui presente, sa che nella Convenzione si discusse a lungo di cosa significa «Europa unita nella diversità». È un'Europa che decide, in base al principio di sussidiarietà, di fare insieme ciò che nessuno Stato può pensare di fare da solo. Se viviamo, infatti, in una fase di grandi sfide epocali, in cui tutto è globale o globalizzato, se nessun europeo può essere così presuntuoso da pensare di poter appartenere ad una potenza di tale livello da incidere in modo autonomo negli scenari mondiali, se tutto ciò è vero - come, oggettivamente, è -, proprio il principio della sussidiarietà, che stabilisce che l'Europa fa insieme ciò che ogni Stato non riesce a fare da solo, legando tale principio ai valori, a politiche virtuose, è una garanzia che l'Europa offre al mondo intero. È la garanzia di un approccio non unilaterale alle crisi. È la garanzia di un rapporto che un'Europa politicamente forte - l'Europa «potenza civile», come fu detto - può dare del nostro occidente soprattutto a quei popoli che occidentali non sono, per cultura, per storia e per tradizione: un rapporto di amicizia e di solidarietà transatlantica, una percezione corrispondente ai valori più autentici dello stesso occidente. È l'Europa della moderazione, è l'Europa del dialogo, è l'Europa capace di ascoltare, è l'Europa che, in alcuni scenari di crisi, è indispensabile se si vuole garantire una speranza di pace. In tante circostanze si è detto di volere un'Europa che sia protagonista, che sappia parlare da pari a pari in ragione della sua storia, della sua cultura, della sua potenza civile e della sua grande capacità imprenditoriale; tante volte si è detto - e anche io personalmente lo condivido - che l'occidente non può essere soltanto la medaglia con il Campidoglio di Washington, ma, accanto a quella faccia, vi è l'altra faccia, quella europea: amici miei, se non si approva questo Trattato, si rimanda sine die l'ipotesi di un equilibrio che vede l'Europa garante di quei valori, di quei diritti della persona umana e di quegli aspetti sociali che sono sottolineati e innervano la Costituzione. Come si fa a dire, se non per partito preso, che si tratta dell'Europa dei tecnocrati e dell'Europa delle burocrazie? È un'Europa che supera la sua dimensione monetaristica ed economica, che non va disprezzata, perché, senza l'intuizione della Comunità economica del carbone e dell'acciaio, non saremmo qui oggi a celebrare tale momento storico. Se c'è un dato che risulta evidente dalla lettura del Trattato costituzionale è che i valori migliori della cultura europea dei secoli scorsi stanno in quel Trattato. È il concetto di giustizia sociale, di solidarietà, di sussidiarietà e di partecipazione. Sono concetti che, se davvero riteniamo che l'umanità ne abbia necessità nel suo futuro, l'Europa, proprio perché è stata in buona parte autrice e, comunque, elaboratrice di quei concetti, non può non metterli in evidenza nel suo Trattato costituzionale. Allora, è con convinta adesione che il Governo chiede alla Camera di approvare il Trattato, che certamente è un compromesso, ma è un compromesso alto. È un compromesso che, non a caso, ha determinato una larga convergenza nella Convenzione, prima, e, successivamente, nelle varie sedi istituzionali europee. Come tutti i compromessi dovrà ovviamente essere aggiornato con le evoluzioni che la realtà determinerà, ma è davvero un fatto senza precedenti poter celebrare la riunificazione del continente, poter stabilire che i valori e i principi di riferimento sono i medesimi, poter attuare quei principi e quei valori attraverso politiche virtuose e poter richiamare il primato civile dell'Europa. L'Europa non è al momento una potenza, per la sua capacità di difesa e per le sue strutture militari, in grado di rappresentare una garanzia pari a quella che viene rappresentata dagli Stati Uniti d'America. Non c'è ombra di dubbio che, se in prospettiva pensiamo, come è giusto pensare, ad una capacità dell'Unione europea di avere una politica autonoma di difesa, se pensiamo che sia giusto rafforzare quei meccanismi che fanno della politica europea una politica attiva, non possiamo che partire da quello che nel Trattato è chiaramente indicato, vale a dire dal primato civile dell'Europa. Vi è - e concludo - un solo rammarico nel Governo e, permettetemi un unico riferimento personale, nel rappresentante del Governo alla Convenzione. Il rammarico è relativo al fatto che, durante i lavori della Convenzione, ma anche successivamente, coloro che sono stati chiamati a redigere questo testo non abbiano avuto la consapevolezza necessaria e sufficiente per indicare con chiarezza l'identità europea, perché il tema dell'identità è un tema dal quale non si sfugge. In tante circostanze Dahrendorf si chiese: se parlate di democrazia europea, cosa distingue il demos europeo? Le lingue sono diverse, le tradizioni sono diverse e abbiamo alle spalle decenni e secoli di guerra. Cosa unifica nel nome del popolo europeo il contadino che lavora in Portogallo ed il pescatore del Baltico? Quello dell'identità è un tema centrale. È mancata purtroppo - questo è il rammarico - la consapevolezza, in alcuni casi il coraggio e l'onestà intellettuale, di dire che esiste un'identità legata ai valori comuni religiosi, quel passo avanti rispetto a Nizza, quando un po' ipocritamente si parlava di valori spirituali. Nella tradizione europea l'identità religiosa non è inaggettivata, ma è un'identità precisa che risponde ai valori della tradizione religiosa cristiana. Ringrazio fin d'ora quei gruppi parlamentari che al termine del dibattito presenteranno ordini del giorno o, comunque, richieste di impegno per il Governo al fine di continuare, nel dibattito con la società civile e nel confronto nei vari consessi internazionali, a porre in evidenza tale aspetto che, ovviamente, nulla toglie alla laicità delle istituzioni. Tuttavia, proprio perché le istituzioni europee in quanto democratiche sono laiche, credo che debbano avere l'onestà di ammettere che se vi è un'identità che oggi rende possibile avere quei valori comuni, quelle istituzioni comuni e quelle politiche comuni, questa è l'identità che un grande europeista come Schuman definì l'Europa delle cattedrali. Un europeo, qualsiasi lingua esso parli e quale che sia lo Stato in cui vive, se si vuole sentire figlio di un'autentica comunità di destino non può che riconoscerla nel luogo in cui prega il suo Dio. Accanto a tale rammarico vi è la soddisfazione, certamente sincera, per il fatto che l'Italia è stata tra i protagonisti di questo lungo percorso. Come ho detto all'inizio, senza il contributo di tanti illustri pensatori italiani, di quasi tutte le parti politiche e del pensiero italiano, oggi l'Europa non sarebbe a questo momento. Anche per questo - e mi rivolgo in particolar modo ai colleghi della Lega - oggi abbiamo un dovere in più rispetto ad altri: abbiamo il dovere di continuare ad essere un buon esempio. L'Italia è stato un buon esempio di integrazione e di europeismo. Oggi il Parlamento sia un buon esempio per le altre pubbliche opinioni ed approvi sollecitamente e convintamente un Trattato che fa certamente compiere un balzo in avanti, nel nome di valori che sono di tutti, al nostro popolo ed al nostro paese (Applausi).
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro degli affari esteri, onorevole Gianfranco Fini. A questo punto dovremmo passare agli interventi. La Presidenza autorizza sulla base dei consueti criteri la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo dell'intervento dell'onorevole Landi di Chiavenna, iscritto a parlare, che ne ha fatto richiesta in precedenza. Questa sera non avranno luogo altri interventi. Come ho già preannunciato, il seguito della discussione sulle linee generali è rinviato alla seduta di martedì 25 gennaio, al mattino. Nella stessa seduta si procederà alle votazioni; su richiesta dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Rifondazione comunista, dalle 18-18,30 è stata disposta la ripresa televisiva diretta delle dichiarazioni di voto finale. Come di consueto, interverrà in tale fase un rappresentante per ciascun gruppo e per ciascuna componente politica del gruppo Misto che ne faccia richiesta. Si procederà, quindi, alla votazione finale.
Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 574 di martedì 25 gennaio 2005
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Roma il 29 ottobre 2004. Ricordo che nella seduta del 18 gennaio è iniziata la discussione sulle linee generali con gli interventi del relatore e del Governo. PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, non dovrebbe essere un atto rituale quello che, con la ratifica del Trattato costituzionale, si appresta a compiere questa Camera del Parlamento italiano. Il modo in cui la questione è stata posta dal ministro degli esteri Fini, in particolare per alcune considerazioni che egli ha svolto sulla necessità di fare in modo che il nostro paese mantenga un ruolo essenziale nel sostenere il processo di integrazione europeo, è condivisibile. Noi riteniamo che l'adozione del testo del Trattato costituzionale costituisca un passo avanti nel processo di integrazione europea. Nasce - credo sia giusto definirla così - la Costituzione di un soggetto istituzionale e politico che sfugge alle vecchie classificazioni; la Costituzione di un'unione di Stati e di popoli, di popoli diversi e distinti che vanno tuttavia assumendo la fisionomia comune di un popolo europeo, in un continente che non è più diviso. Certo, la storia dell'Europa comunitaria ha seguito una strada diversa rispetto a quella propugnata da uomini come Spinelli. Egli era convinto che si dovesse partire con una fondazione politica e costituzionale dell'Europa, ma i suoi tentativi di muovere in questa direzione non ebbero successo; non lo ebbero neppure quando, nel 1984, Altiero Spinelli riuscì a condurre il Parlamento di Strasburgo all'approvazione di un progetto di trasformazione dell'unione di chiara natura costituzionale. La strada seguita dall'Europa comunitaria è stata diversa rispetto a quella a cui avevano guardato personalità all'origine del processo di integrazione europea (come Spinelli). La strada è stata quella di una costruzione graduale, che stabilisse innanzitutto basi comuni di sviluppo economico, procedesse verso l'integrazione dei mercati, infine verso l'unificazione monetaria. Questa strada discendeva dall'approccio funzionalista, quell'approccio al quale un federalista come Monnet si piegò quando, dopo la bocciatura da parte dell'Assemblea nazionale francese della Comunità europea di difesa, svanì la possibilità di dare vita ad una Europa più forte politicamente. Tuttavia, procedendo lungo questa strada, si sono via via perseguiti obiettivi che si collocavano al di là della sfera delle relazioni economiche, mercantili, finanziare, sicché la costruzione comunitaria ha raggiunto un tale grado di complessità da non poter sfuggire alle esigenze di assumere un più forte profilo politico, di darsi una chiara personalità giuridica, di immettere nuova linfa nel proprio sistema di valori e regole; esigenze, quindi, in una parola, di costituzionalizzazione. In realtà, l'evoluzione della Comunità, sia pure in modo contraddittorio, imboccò, nel corso degli anni, un cammino che la spinse verso un processo di costituzionalizzazione, nonché verso un assetto istituzionale vieppiù somigliante al Governo parlamentare di stampo federale. Fu un processo complesso, originale; alcune sentenze della Corte di giustizia furono decisive, da tale punto di vista. Ad esempio, la sentenza del 5 febbraio 1963, con la quale si affermò che i Trattati davano vita a veri e propri diritti dei cittadini sicché questi ultimi avrebbero potuto farli valere avverso i propri Stati se avessero violato gli obblighi comunemente accettati; ma anche la sentenza del 17 luglio 1964, con la quale si affermò il principio della supremazia del diritto comunitario sulle leggi degli Stati europei confliggenti con esso, usando una formula che si rivelerà essenziale per lo sviluppo della costruzione europea: il diritto che trova la sua origine nel Trattato non potrebbe, proprio per la sua natura, essere «scavalcato» da disposizioni legislative nazionali senza perdere il suo carattere di diritto comunitario. In sostanza, tali sentenze - e quest'ultima in particolare - costituirono la base su cui resse, poi, la Comunità; fu attraverso tale base che il diritto comunitario diventò un ordinamento che, sovrastando gli Stati, conferiva diritti ai loro stessi cittadini. Eravamo nel 1964. Anche l'altro protagonista dei cambiamenti sul versante della configurazione istituzionale comunitaria, il Parlamento europeo - inizialmente creato dai Governi come organo meramente consultivo, utile a fornire un pallido riscontro democratico al monopolio decisionale dei Governi - modifica, col tempo, l'assetto ed il proprio ruolo secondo la logica propria delle forme di Governo parlamentari. Ma è nell'ultimo decennio, dopo Maastricht, che risulta vieppiù evidente la necessità di un «salto» nel processo di costituzionalizzazione; appare chiaro, in altri termini, che il modello di integrazione fortemente intergovernativo, senza evoluzione delle sovranità nazionali nei confronti delle istituzioni comunitarie, non avrebbe più retto. L'esigenza si manifesta, in particolare, dinanzi all'ingresso nell'Unione degli Stati dell'Europa centro-orientale, quando l'aumento di dimensioni rende indispensabile la riforma dei meccanismi decisionali e delle modalità di funzionamento degli organi di Governo europei, pena la paralisi o l'implosione dell'Europa a 25; l'Unione non può più funzionare con le istituzioni di quando era a 6 o a 15. È a questo stadio del processo europeo che si giunge all'adozione della Convenzione, che ha lavorato per sedici mesi predisponendo il Trattato; i benefici del metodo della Convenzione sono indiscutibili: in tale sede, la preparazione di un nuovo trattato si è, per la prima volta, svolta a porte aperte e vi hanno operato rappresentanti del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali, dei Governi e della Commissione, in un dialogo con la società civile. Poi, è seguita la Conferenza intergovernativa che è stata la sede in cui - dobbiamo riconoscerlo - si è avvertito il peso frenante dei Governi i quali, una volta ripreso il controllo del negoziato, hanno cercato di recuperare il maggior numero di spazi possibili. Basta confrontare le stesure finali dei testi - della Convenzione e della Conferenza intergovernativa - per coglierne le differenze, relative ad aspetti simbolici e di sostanza. Siamo convinti, tuttavia, che, qualunque sia il giudizio che si possa esprimere su questo o su quell'aspetto del testo firmato a Roma, esso rappresenti una tappa importante nel processo di maturazione di una Comunità distinta dagli Stati, sorta, come fu suggerito da Monnet, da realizzazioni concrete, e trasformatasi progressivamente in una entità politica dotata di obiettivi, competenze, poteri e strumenti legislativi che hanno permeato la vita della nostra società. Certo, ha un senso, ed è altresì necessario, esercitare uno spirito critico verso i limiti e le contraddizioni del Trattato al nostro esame. Attenzione, però: la mia convinzione è che non siano fondate le posizioni che immaginano l'Europa descritta nel suddetto Trattato come un «super Stato» che tutto intende subordinare a sé. Nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, infatti, è forte il rispetto per le autonomie locali e regionali, nonché il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel controllo del principio di sussidiarietà. Allo stesso modo, non trovo convincente l'idea, sostanzialmente opposta a questa, di una Costituzione che nascerebbe da una sorta di «colpo di Stato liberista». È stato scritto, al riguardo, che si tratta di un'Europa che nascerebbe da una compressione dei diritti sociali, subalterna, sulla scena internazionale, alle pretese statunitensi; ma non è così. Vorrei osservare, infatti, che nella Costituzione europea si rafforzano le garanzie sociali e si riconoscono diritti civili, politici e sociali. Ciò costituisce il più forte bilanciamento possibile del puro dominio delle logiche di mercato. Nel Trattato, inoltre, si rafforzano le possibilità di un impegno comune dell'Europa sul piano internazionale, affinché gli Stati Uniti non siano arbitri sulla scena internazionale. Il vero motivo di insoddisfazione è costituito, a mio avviso, dal passo indietro intervenuto nel passaggio dalla Convenzione europea alla Conferenza intergovernativa, nell'estensione del voto a maggioranza qualificata, negli insufficienti strumenti di coordinamento ed armonizzazione delle politiche economiche, oppure negli emendamenti attraverso i quali si è ritenuto di poter ridurre, in qualche misura, la funzione dello stesso ministro degli affari esteri dell'Unione, la cui creazione costituisce, in ogni caso, un fatto importante. In sostanza, malgrado le critiche che possono essere rivolte al compromesso complessivo della Conferenza intergovernativa, il significato che fa epoca è quello di un processo di costituzionalizzazione dello spazio dell'intero continente europeo e le novità che esso introduce. Mi riferisco all'attribuzione della Presidenza del Consiglio, per la politica estera, al ministro degli affari esteri dell'Unione; all'assunzione, da parte dell'Unione europea, della piena personalità giuridica; al rafforzamento della Commissione europea e del suo Presidente; al consolidamento del potere legislativo del Parlamento europeo, attraverso il rafforzamento del rapporto politico tra il Parlamento stesso ed il Presidente della Commissione, che sarà lo stesso Parlamento ad eleggere; all'estensione del potere legislativo del Parlamento europeo, in modo da considerare come eccezionale la legislazione del solo Consiglio, che precedentemente era, invece, la regola. Concludendo, consentitemi di spendere una parola sull'arricchimento dei valori su cui era già fondata l'Unione europea. La costituzionalizzazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea significa che essa sarà giuridicamente vincolante. Essa, infatti, sarà non solo un nobile catalogo di riconoscimenti formali, ma anche uno strumento per ottenere il rispetto di tutti i diritti sanciti nella Carta stessa. Vorrei rilevare che la Carta dei diritti fondamentali consente l'estensione delle protezioni a categorie di diritti che non trovano traccia né nella giurisprudenza comunitaria pregressa, né nelle Costituzioni nazionali: si tratta di diritti come quelli relativi alla ricerca medica e biologica sulla persona, ai bambini, agli anziani e ai disabili. Desidero ricordare che è stato un maestro in questo campo, il professor Rodotà, sottolineando come la Carta dei diritti abbia espresso una nuova rappresentazione dei diritti nella quale, come egli ha scritto, la vita vera fa sentire le sue ragioni. Con la Carta, l'Unione pone la persona al centro della sua azione e, nel quadro dei diritti fondamentali, compaiono i nuovi temi imposti dalla riflessione bioetica e dalle tecnologie elettroniche. Sono aspetti da considerare con grande attenzione. Sappiamo che quest'Europa è chiamata a grandi sfide, in particolare l'impegno per un nuovo ordine internazionale, per un governo della globalizzazione, contro il terrorismo e le guerre distruttrici del nostro tempo. Non vi è dubbio che il valore della pace sia chiaramente scolpito nella Costituzione, come obiettivo della politica estera e di sicurezza dell'Unione. Certo, le parole sono diverse da quelle dell'articolo 11 della nostra Costituzione, quelle bellissime parole che alcuni di noi avrebbero voluto utilizzare anche per la Costruzione europea, ma la Carta di cui discutiamo ha assunto, in modo assolutamente inequivoco, all'articolo 3, l'obiettivo della pace e dei suoi valori. Tale Costituzione ora attende la ratifica. Sarà un banco di prova della convinzione europeista delle classi dirigenti europee. Si tratta probabilmente anche di interrogarsi, sin da ora - e ci rivolgiamo al Governo -, sulle possibili anticipazioni del Trattato costituzionale, prima della sua entrata in vigore. Sarebbe opportuno studiare soluzioni realistiche, in caso di mancata ratifica di uno o più Stati membri. Credo valga la pena di sostenere questo Trattato costituzionale. Dove porterebbe il «no»? Ad una situazione migliore o peggiore del «sì»? Chiunque sia spinto al «no» dall'aspettativa di una Costituzione migliore deve ammettere che, in nessun caso, con il «no» si renderebbe più probabile la sua realizzazione. I «no» bene intenzionati, come è stato scritto, finirebbero con il confluire con quelli della «Vandea» antieuropeista. Pensiamoci bene, dunque. Del resto, qualsiasi Costituzione «viva», ossia rispondente alla realtà delle cose, si realizza soltanto attraverso l'adesione attiva e «combattiva» dei cittadini, che ne assumono i valori, i principi e gli obiettivi. Così è stato per la Costituzione italiana del 1948. Ed è con questo spirito che, credo, dobbiamo guardare al futuro della Costituzione europea. La Costituzione non chiude la storia dell'Europa, ma apre nuove prospettive per l'azione e la vita degli europei di domani. In sostanza, per dirla con una formula che appartiene alla storia politico-culturale della sinistra italiana, si delinea un nuovo terreno di forte impegno affinché progredisca la grande prospettiva dell'unità politica dell'Europa. È per questo che noi, con tale consapevolezza - pur segnalando aspetti non del tutto convincenti -, voteremo a favore della ratifica del Trattato costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, ci apprestiamo a ratificare il Trattato costituzionale dell'Unione europea, mi sembra, a larga maggioranza. Merita tuttavia - a mio avviso - prendere in seria considerazione le obiezioni avanzate in questa sede da chi dissente. Mi riferisco, in particolare, ai colleghi della Lega e di Rifondazione comunista, ma anche a chi, pur non opponendosi alla ratifica, pone l'accento, con qualche ragione, sui limiti di questo Trattato. Isolo, dunque, quattro obiezioni che sono risuonate in questa sede: quella di chi paventa un vulnus alla nostra sovranità nazionale; quella di chi giudica la Costituzione europea espressione di un'angusta ispirazione liberista; quella di chi avrebbe voluto la pace in posizione più eminente, magari consacrata, come rammentava il collega Ranieri, in una formula assimilabile, o che ricalcasse grosso modo, all'articolo 11 della nostra Carta fondamentale; infine, quella di chi lamenta la non esplicitazione delle radici cristiane nel preambolo del Trattato. Passo in rassegna questi quattro rilievi critici. Circa la sovranità, abbiamo già discusso in occasione dell'esame della questione pregiudiziale di costituzionalità avanzata dalla Lega. A tale obiezione possiamo rispondere in due modi: in primo luogo (lo abbiamo già detto in quella circostanza), rimarcando la natura giuridica dell'atto sottoposto a ratifica. Trattasi di un atto di natura pattizia; trattasi, cioè, di un Trattato. Certo, è un Trattato sui generis, speciale per i suoi contenuti, al quale associamo l'aggettivo costituzionale; ma sotto il profilo giuridico-formale è un Trattato. Tuttavia, non è formalmente una Costituzione sovraordinata alla nostra Costituzione nazionale. Ecco perché possiamo tranquillamente ratificarla con legge ordinaria. Il secondo modo con cui rispondiamo all'obiezione sollevata è il seguente. Proprio la seconda proposizione dell'articolo 11 della nostra Carta nazionale, che certo fu ideata con il pensiero volto alle organizzazioni internazionali e, segnatamente, alle Nazioni Unite, secondo un'interpretazione estensiva e dinamica, ci autorizza oggi a cessioni di sovranità a beneficio di istituzioni sovranazionali volte - come recita l'articolo 11 - alla giustizia e alla pace. È il caso dell'Unione europea e delle sue istituzioni comunitarie. Dunque, con lungimiranza, i nostri costituenti intuirono l'esigenza di trascendere la pretesa assolutezza della sovranità degli Stati nazionali quale condizione e via alla pace, alla cooperazione, alla giustizia internazionale. Vengo ora alla seconda obiezione. In tema di diritti costituzionalmente garantiti dalla nostra Carta nazionale, rispetto a quella dell'Unione, anche in questo caso si può replicare in due modi. Il primo consiste nel rinvio alla clausola di salvaguardia: l'articolo 113 della seconda parte del Trattato dell'Unione che stiamo esaminando. È, quindi, una clausola di salvaguardia puntualmente contemplata in questo Trattato. È scritto a chiare lettere che il Trattato costituzionale dell'Unione non può mai autorizzare deroghe, depotenziamenti o regressioni nei diritti - compresi quelli sociali cari ai colleghi di Rifondazione comunista, ma anche a noi - rispetto ai diritti fissati e assicurati dalla nostra Costituzione nazionale. Come se non bastasse, su questo punto ci rassicura la nota sentenza della Corte costituzionale del 1984. Secondo questa nota sentenza, mai trattati internazionali possono derogare o sminuire principi fondamentali o diritti inalienabili della persona o del cittadino scolpiti nella nostra Costituzione. Non solo: aggiungo che il Trattato costituzionale dell'Unione, che sotto certi profili di «democrazia sostanziale» è al di sotto della nostra Costituzione nazionale, per converso proclama e sancisce diritti di nuovo conio che, per evidenti ragioni storiche, non figurano nella nostra Costituzione repubblicana (mi riferisco al diritto all'informazione, al diritto alla privacy, ai diritti dei consumatori), nuovi diritti di cui non può sfuggire il rilievo con specifico riguardo al nostro paese. Terzo rilievo critico: la pace e il ripudio della guerra, che figura tra gli obiettivi di questo Trattato e avrebbe potuto e dovuto assurgere a principio e valore fondante. Giova rammentare che la pace fu l'anima profonda, la molla storica ed ideale e la stessa ragione sociale del progetto europeo. Mi sia consentito indugiare un attimo su questo aspetto. L'idea guida lungimirante dei padri dell'Europa fu quella di mettere in comune ciò che storicamente aveva originato le guerre. Prima il carbone e l'acciaio (ossia le materie prime), poi il mercato, infine la moneta (ossia uno degli elementi costitutivi della sovranità). Dunque, l'unificazione europea è stata un progetto eminentemente politico, che risponde essenzialmente in radice a un ideale di pace. Vorrei dire, sfrondando tante, troppe ridondanti parole, che l'ideale di pace era e resta il cuore del progetto europeo. Tutto il resto (i diritti umani, la democrazia, lo sviluppo economico e la coesione sociale) muove e converge lì, verso il bene-valore comprensivo e sintetico di tutti i valori, ossia la pace. Ciò che più conta oggi è fare dell'Europa un attore globale, una «potenza gentile» protagonista nello scenario internazionale, un principio effettivo di multilateralismo e, conseguentemente, un fattore di pace. Dunque, il cerchio si chiude: se la pace nell'Europa fu, in origine, l'idea forza del progetto europeo, sempre la pace - questa volta allargata al mondo intero - è l'orizzonte e il traguardo della grande Europa che rivendica il diritto-dovere a un protagonismo cui la chiamano la sua storia e la sua forza. Infine, la quarta ed ultima obiezione riguarda la mancata menzione delle radici cristiane nel preambolo del Trattato. Tali radici sono un'evidenza storica e avrebbero certamente potuto figurare nel preambolo senza pretese né esclusive né escludenti e senza intaccare il principio-valore della laicità delle istituzioni comunitarie. Tuttavia, abbiamo seguito questo vivace dibattito e conosciamo le ragioni, più o meno persuasive, che hanno condotto a tale esito, cioè alla mancata menzione di tali radici. Non vorrei che oggi indulgessimo al nominalismo. Le radici cristiane sono ben visibili e operanti nel catalogo dei diritti, nella centralità conferita alla persona, alla sua dignità e alla sua libertà, che sono il più prezioso e originale contributo del cristianesimo alla cultura e alla civiltà europee. Il nome conta, ma più ancora conta la sostanza. L'ispirazione cristiana nella sua proiezione universalistica e nei suoi frutti è viva e vitale nella Costituzione europea. Può dispiacerci che non sia esplicitata, ma non facciamo una propaganda mediocre su questo aspetto. Sappiamo che ci abbiamo provato fino all'ultimo e non ci si è riusciti. Ora - lo dico ai colleghi di Alleanza Nazionale - un ordine del giorno su questo aspetto costituisce un'operazione manifestamente inutile e dal sapore strumentale. Risparmiamoci l'imbarazzo di mettere ai voti un'istanza per definizione priva di sbocco. Sapete che una buona parte dei paesi dell'Unione ha già provveduto alla ratifica di questo Trattato. Facciamo tesoro dell'alta lezione di Giorgio La Pira, che proprio in quest'aula, in occasione del varo della Costituzione della Repubblica italiana, a valle di un dibattito di altissimo livello cui parteciparono personalità di tutte le culture e di tutte le estrazioni, aveva avanzato la proposta di menzionare Dio con una formula che suonava così: «In nome di Dio, il popolo italiano si dà la presente Costituzione». Egli ritirò la sua proposta, quella di aprire la Costituzione con il riferimento a Dio, quando si rese conto che ciò non sarebbe stato compreso e che avrebbe inutilmente diviso le forze parlamentari all'atto in cui si scriveva il patto fondamentale della nostra comunità politica. Anche quello di oggi è in qualche modo un atto solenne: è la ratifica della Costituzione europea. Vediamo se è possibile non mettere ai voti le radici cristiane come ieri si ebbe la sensibilità di non mettere ai voti un riferimento a Dio. Per concludere, vorrei svolgere due considerazioni. In primo luogo, anche noi speravamo in una Costituzione più coraggiosa, più avanzata, più audacemente federalista. Tuttavia, ci conforta la consapevolezza, storicamente provata, del carattere processuale dell'intera vicenda della costruzione europea. Oggi si tratta di istituire, di dare basi costituzionali al soggetto Europa: è la premessa, la precondizione per il suo consolidamento e per la sua progressiva espansione. In secondo luogo, anche noi avevamo immaginato una ratifica per via referendaria, meglio se contestuale nei 25 paesi dell'Unione. Sappiamo che vi si opponevano ragioni pratiche e ragioni giuridiche. Abbiamo, perciò, optato per una ratifica celere per dare prova della nostra convinzione e della nostra determinazione così da dare il buon esempio, che auspichiamo contagioso, e da richiamare a responsabilità chi dovesse chiamarsi fuori da tale storica opportunità. A questo ci chiama la nostra vocazione di paese fondatore che non dovrebbe mai discostarsi dalla lungimirante intuizione degasperiana: quella secondo la quale l'interesse nazionale coincide esattamente con la causa europea (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maninetti. Ne ha facoltà.
LUIGI MANINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la firma in Campidoglio lo scorso ottobre del Trattato che contiene la Costituzione europea ha inaugurato una nuova fase del lungo processo di integrazione europea e, come unanimemente sottolineato, ha rappresentato un momento storico. Fin dalle sue origini l'Europa ha saputo coniugare realismo ed idealismo grazie anche alla lungimiranza dei padri fondatori che seppero porre solide basi istituzionali creando un organismo sovranazionale. L'integrazione, soprattutto economica, si è quindi consolidata nel corso del tempo superando inevitabili battute d'arresto ed estendendo il suo raggio d'azione a settori sempre più ampi, tanto da culminare nell'adozione della moneta unica. Oggi, però, l'Unione realizzata in campo economico e monetario necessita di compiere un passo in avanti e di creare le condizioni adatte a realizzare quell'unione politica che rimane certamente il traguardo più importante ed ambizioso. Ciò a maggior ragione oggi che l'Unione, con il recente allargamento ad est e con le prospettive di adesione di altri paesi, in particolare della Turchia, si identifica sempre più, anche dal punto di vista geografico, con l'Europa. A ciò si aggiunga che le nuove sfide sul piano internazionale - si pensi alla globalizzazione ed al terrorismo - richiedono un rafforzamento delle istituzioni e della base politica che renda l'Unione più coesa e che la faccia apparire sul piano esterno come soggetto unico. Ebbene, credo che la Costituzione che ci accingiamo a ratificare, frutto dell'ottimo lavoro svolto dalla Convenzione presieduta da Giscard d'Estaing, a cui hanno preso parte il ministro Fini ed il Vicepresidente del Consiglio Follini, risponda in modo soddisfacente a queste nuove esigenze e rappresenti una base, certamente migliorabile, dell'Europa che vogliamo costruire. Pur non trattandosi di una Costituzione in senso tecnico, quello che deve essere sottolineato è il suo profondo significato politico. Dare all'Europa un atto qualificato come Costituzione significa, infatti, esprimere l'unità politica e significa che i popoli europei hanno preso coscienza di essere una comunità fondata su un comune patrimonio culturale, cosa che non vuol dire appiattire le diversità o negare le peculiarità di ciascun paese. Come la stessa Costituzione afferma, si tratta di un'unità nel rispetto delle diversità. Non nasce, quindi, un Europa «super Stato», ma un'Europa cosciente di condividere valori e principi a cui intende ispirare la sua azione concreta. L'Unione non è, quindi, qualcosa di separato che si sovrappone agli Stati ma, al contrario, qualcosa che ad essi si intreccia. Si ribadisce, infatti, che il criterio decisionale è la sussidiarietà, in base al quale l'Unione interviene laddove i singoli Stati non sono in grado di farlo perché non ne hanno i mezzi o perché gli interessi coinvolti oltrepassano i confini nazionali. Come ben sottolineato dal ministro Fini, non vi è alcuno sradicamento della sovranità nazionale, ma semmai una sovranità condivisa, radicata su valori comuni. Di pari importanza mi sembrano poi le novità introdotte dal punto di vista squisitamente giuridico ed istituzionale. È importante innanzitutto che l'Unione venga qualificata come soggetto dotato di personalità giuridica, con capacità autonoma di stipulare trattati, perché ciò permetterà all'Unione di assumere un maggior peso a livello internazionale. Da questo punto di vista, è rilevante anche il nuovo ruolo assegnato alla figura del ministro degli affari esteri dell'Unione, nominato dal Consiglio europeo, al quale è affidata la guida della politica estera e di sicurezza comune e la sua attuazione in qualità di mandatario del Consiglio. Vi è inoltre il potenziamento del ruolo sempre più determinante del Parlamento europeo, che esercita congiuntamente al Consiglio dei ministri la funzione legislativa, oltre ad un coinvolgimento maggiore dei Parlamenti nazionali nei processi decisionali comunitari, anche nell'ambito della procedura di controllo dell'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Ciò traccia definitivamente la strada dell'evoluzione democratica dell'Unione europea, ponendo rimedio al più volte denunciato deficit democratico delle istituzioni e del processo decisionale europeo, ed altresì favorendo la concreta partecipazione dei cittadini all'attività dell'Unione. Tutte queste riflessioni ci portano a sostenere con convinzione la rapida ratifica del Trattato, che permetta all'Italia di essere tra i primi paesi ad approvare l'adozione della Costituzione europea, a testimonianza della forte tradizione europeista del nostro paese. Ciò confermerebbe il ruolo di protagonista dell'Italia nelle vicende europee. D'altronde, anche nella fase di elaborazione del testo della Costituzione in seno alla Convenzione, il nostro contributo, come ho detto, è stato determinante. Certo, resta forte il rammarico del mancato riferimento alle radici giudaico-cristiane, ma il nostro impegno in tal senso rimane immutato. Anzi, abbiamo presentato un ordine del giorno con il quale si invita il Governo a proseguire nell'azione intrapresa, affinché si giunga ad una modifica del Trattato nel senso da noi auspicato; questo, onorevole Monaco, non per un braccio di ferro, ma solo per invitare a proseguire nell'azione intrapresa, al fine di vedere se si possono raggiungere quegli obiettivi, che tutti auspichiamo. Allo stesso tempo, con il nostro ordine del giorno invitiamo il Governo a svolgere una più approfondita riflessione su questioni attinenti ad alcuni diritti fondamentali e ad assumere alcuni impegni ben precisi in materia. Ad una più attenta analisi, risulta infatti che le disposizioni attinenti al diritto alla vita e all'integrità della persona (articoli 62-63) ricevono una tutela che non ha la stessa estensione ed intensità di quella contenuta in alcune Convenzioni internazionali. Inoltre, le disposizioni relative al diritto di sposarsi e di costituire una famiglia e ad avere una vita professionale non sono coerenti con i principi contenuti negli atti internazionali in materia di diritti umani e nella tradizione costituzionale italiana. È vero che formalmente la disciplina di queste materie è lasciata alla competenza degli Stati, ma è anche vero che ci sono materie trasversali che possono incidere su di esse. Così come è vero che le clausole interpretative di chiusura in tema di diritti fondamentali fanno riferimento ad elementi troppo generici e di difficile ricognizione, quali le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Ciò che dunque si richiede al Governo è un preciso impegno a rendersi promotore in sede europea di un'interpretazione volta a considerare le materie relative al diritto alla vita e alla famiglia di pertinenza esclusiva della legislazione degli Stati nazionali. È da sottoporre all'esame del Parlamento qualsiasi atto o posizione che incidano, anche marginalmente, sul diritto alla vita e sulla famiglia, nell'attesa che venga introdotta una disciplina organica e puntuale sulle procedure di partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Per noi è particolarmente importante che su tali temi non vi sia spazio per interpretazioni ambigue o vuoti di tutela, e che soprattutto non vi sia alcuna possibilità di bypassare la volontà del Parlamento ed i principi chiaramente espressi nella nostra Costituzione. Fatte queste precisazioni, vorrei ribadire il pieno sostegno del gruppo dell'UDC all'azione del Governo ed alla necessità di pervenire rapidamente alla ratifica del Trattato, che, pur non essendo l'ottimo, rappresenta comunque un buon punto di partenza, che permetterà all'Europa di affrontare meglio le sfide del futuro, con maggiore consapevolezza e coesione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, i verdi sono una forza politica organizzata su base europea, con confini che vanno ben oltre quelli dei 25 Stati facenti parte dell'Unione. La famiglia politica dei verdi, diversamente dalle altre, ha pensato, fin dalle proprie origini, all'Europa come ad una dimensione ineludibile, indispensabile per l'elaborazione di politiche in grado di affrontare le questioni vitali e strategiche, dai processi di globalizzazione ai mutamenti climatici, dalla precarizzazione del lavoro e i movimenti migratori alla sicurezza e giustizia sociale, dall'economia all'ambiente; Europa come spazio di azione e di lotta politica, in cui trovano piena realizzazione ed attualizzazione i diritti civili, sociali, politici e di cittadinanza in capo alle donne ed agli uomini che, a prescindere dalla loro provenienza, in Europa risiedono. Non, quindi, ad un «macro Stato» in mano alle tecnoburocrazie, tanto gelide e lontane dai bisogni del cittadino comune, quanto permeabili alle pressioni delle potenti lobby multinazionali; non ad un'istituzione, frutto del compromesso e della composizione degli interessi tra i singoli Stati ed i singoli governi, ma ad una vera unione dei popoli e delle genti che stringono un patto federativo e aperto, ponendo in essere le condizioni politiche ed istituzionali per rompere l'unilateralismo, il monopolarismo che caratterizzano l'assetto internazionale attuale ed impediscono il costituirsi di un ordine internazionale, in grado di governare la complessità, di contrastare lo strapotere delle corporazioni economiche globali, la militarizzazione dei conflitti, la guerra globale permanente. L'Europa che vogliamo è l'Europa delle città e delle regioni. Il verde Alex Langer è stato tra i primi a porre la questione dell'euroregione, della creazione di nuove istituzioni più aderenti e vicine alle dinamiche culturali, economiche e sociali reali, perché il punto è dare risposta alla crisi dello Stato sovrano e allo scardinamento del diritto interstatuale e di quello internazionale sorto dopo la seconda guerra mondiale, travolto e stravolto dagli eventi succedutesi alla caduta del muro di Berlino e dall'affermarsi di un'unica superpotenza, gli Stati Uniti d'America, che si sottraggono alle convenzioni ed ai trattati più importanti e innovativi (come il Protocollo di Kyoto ed il trattato istitutivo del Tribunale penale internazionale) e che rischiano di produrre catastrofi irrimediabili. Il tema è ancora quello proposto oltre cinquant'anni fa da Karl Schmidt, il nomos della terra. L'Europa non può, né deve, esitare, ma porsi nella prospettiva della multibilateralità e della vera democrazia, favorita dalla propria dimensione mediterranea, proiettata geograficamente e geopoliticamente verso quelle aree attraversate dai conflitti più cruenti e cruciali del pianeta (pensiamo al Medio oriente); è chiamata già ora senza indugi ad agire un ruolo decisivo, non ripetendo gli errori commessi, per esempio, nel corso dei conflitti Balcanici. Nonostante la Convenzione abbia costituito un passo in avanti rispetto al passato e che sia stato possibile per noi verdi, per esempio, ottenere che il trattato Euratom non venisse iscritto nel sistema istituzionale dell'Unione europea, la Costituzione non può certo dirsi esito di un autentico compiuto processo costituente che presuppone, come soggetto e attore principale, il popolo. Alla fine, sono stati i Governi a decidere ed a peggiorare addirittura il testo. Nella Carta non vi è traccia di federalismo, di nuove forme di cittadinanza, non un comune ordine sociale. Vi è, invece, il riconoscimento di piena autonomia della Banca centrale europea nella definizione di politiche monetarie, a garanzia della stabilità dei prezzi e del sistema dell'euro, secondo uno schema tipicamente liberista. Né si possono tacere le incoerenze e le contraddizioni in materia di politica sociale tra la prima e la terza parte del testo, tra le enunciazioni astratte ed i propositi più precisi. Non si fa riferimento al ripudio della guerra, si istituisce un'Agenzia degli armamenti e, attraverso la clausola di solidarietà diplomatica, si rafforza il legame con la NATO. Si abbandona o si depotenzia quel terreno di confronto sulla prevenzione e gestione non violenta dei conflitti aperta dai Verdi che, già nel 1995, aveva prodotto l'approvazione da parte del Parlamento europeo di un emendamento, presentato dall'allora eurodeputato verde Alex Langer, per la costituzione di un Corpo europeo di pace. Abbiamo chiesto che venisse indetto un referendum europeo di adesione al Trattato, in subordine a livello nazionale, nella convinzione della necessità di coinvolgimento democratico di tutti i cittadini e le cittadine. Visto che la Costituzione europea non è una Carta rigida - si può cioè cambiare - noi Verdi ci impegneremo per la promozione di una forte iniziativa popolare su scala europea affinché il Parlamento europeo proponga una nuova Convenzione, al fine di inserire il primo emendamento alla Costituzione per abolire le Conferenze intergovernative, proibire espressamente le azioni militari preventive, eliminare la clausola di solidarietà e l'Agenzia europea degli armamenti, per rafforzare le politiche di pace, di sicurezza sociale, di giustizia e solidarietà. Per queste ragioni i Verdi si asterranno dalla votazione sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Teodoro. Ne ha facoltà.
ANDREA DI TEODORO. Signor Presidente, desidero spendere poche parole per lasciare traccia del mio pensiero relativamente a questo atto che, sicuramente, non fa parte di quella categoria di ratifiche ordinarie che il nostro Parlamento qualche volta si trova a dover affrontare. Si tratta evidentemente di un atto di notevole importanza e di notevole significato. Stiamo per ratificare un progetto di Trattato costituzionale che segna un punto di svolta nella storia del continente europeo. Quando, nel 1787, si diede vita alla Costituzione americana, nel paese vi fu un grande dibattito circa la ratifica di questo documento; tanto è vero che alcuni dei padri costituenti americani (Alexander Hamilton, James Madison, John Jay) si impegnarono in prima persona per animare questo dibattito, cercando di convincere gli americani dell'opportunità di approvare il testo e di dare vita ad un paese con quell'impianto costituzionale e con un Governo federale. Tale dibattito coinvolse larga parte dell'opinione pubblica americana e molti degli interventi di questi padri costituenti americani vennero poi raccolti in una collezione di saggi, intitolata The Federalist, alla quale si può ascrivere la paternità dell'ingresso del termine «federalismo» nel dibattito politico moderno. In Europa non è avvenuto un processo analogo, non c'è stato un grande dibattito nell'opinione pubblica europea circa le grandi opzioni da assumere in relazione a questo importante «edificio» che rappresenta l'architettura della nuova Europa. Anzi, si può affermare che le nostre opinioni pubbliche, compresa quella italiana, hanno vissuto con un certo distacco questa fase. Quindi, il primo punto di riflessione - pur nella consapevolezza di essere di fronte ad un atto di particolare rilievo e significato - è il deficit di partecipazione e coinvolgimento dei popoli europei a questo processo «costituente», quando invece essi avrebbero dovuto esserne i primi protagonisti. È vero che nella Convenzione in qualche modo si è cercato di dare spazio anche alla cosiddetta società civile europea; infatti, si è tentato di rappresentare non soltanto l'Europa degli Stati e dei governi, ma anche quella dei popoli, dei parlamenti e della società civile. Tuttavia, bisogna ammettere che questa rappresentanza e questo coinvolgimento sono stati largamente insufficienti. La Convenzione è apparsa a molti simile ad un consesso di notabili che ha lavorato ad una bozza di documento. Tale bozza, quantunque approfondita sotto molti aspetti, non ha avuto la capacità di coinvolgere ed emozionare i popoli e l'opinione pubblica europea. Si tratta di un documento assai ampio ed articolato - forse addirittura troppo - soprattutto se paragonato alla Costituzione degli Stati Uniti. Infatti, la massa di parole usate per redigere l'una e l'altra Carta testimonia la loro profonda diversità. E certamente non possiamo paragonare il preambolo del Trattato costituzionale europeo con quello statunitense, che inizia riconoscendo a ciascun uomo il diritto alla libertà, alla vita e alla ricerca della felicità. Credo che una diversa energia, una diversa emozione ed una diversa partecipazione abbiano pervaso i due documenti. Quindi, per prima cosa mi premeva dire che il Trattato costituzionale europeo nasce in qualche modo sotto naftalina, quasi come un documento astratto, lontano dalle tradizioni, dalla vita e dalla partecipazione dei popoli del continente europeo. Passando al secondo punto che mi preme toccare, non possiamo comunque non riconoscere che è stato fatto uno sforzo notevole e che è stata raggiunta una conquista importante. Si è trattato di uno sforzo notevole perché indubbiamente esisteva la grande difficoltà di mettere insieme tradizioni, ordinamenti, culture e popoli con alle spalle storie profondamente diverse. Infatti, non possiamo ignorare che l'Europa è sempre stata attraversata da una grande frammentazione e da una grande varietà di storie nazionali, se non addirittura locali. Quindi, riunire tutto questo e sintetizzarlo in un documento civile che costituisse la base per un nuovo patto di convivenza tra le nostre comunità nazionali non è stata certamente un'impresa facile. Da questo punto di vista, è stato encomiabile lo sforzo dei membri della Convenzione che in qualche modo hanno trovato sintesi di convergenza che, per quanto non perfette, hanno rappresentato certamente un primo passo significativo. La vita di questo documento è ora appesa alla scelta che assumeranno i singoli Stati nazionali - parlamenti, nel caso di ratifica parlamentare o singole popolazioni, nei casi in cui saranno chiamate ad esprimersi tramite referendum - nel decidere se esso dovrà vivere oppure morire. Il passo avanti è stato compiuto perché è stato trovato un punto di contatto tra storie, tradizioni, culture ed ordinamenti diversi. Da questo punto di vista, lo sforzo è stato indubbiamente premiato; tuttavia, la scelta che le comunità e i popoli europei si troveranno di fronte non è affatto scontata né facile. Le difficoltà non derivano soltanto dalle sacche di resistenza cosiddetta «euroscettica» che in alcuni paesi, soprattutto nordici, persistono, ma anche perché siamo di fronte ad una decisione importante per il futuro della nostra capacità - come nazione e come paese - di governare noi stessi. Il Trattato costituzionale europeo esige, ancor di più rispetto ai trattati vigenti, una cessione, una devoluzione, una rinuncia a una quota di sovranità da parte degli Stati nazionali. Ciò è innegabile. Non si giunge allo Stato unico europeo, al «super Stato» federale europeo che alcuni movimenti (fra cui, in Italia, il Movimento federalista europeo) hanno auspicato, ma vi è certamente l'importante decisione da parte degli Stati membri dell'Unione di mettere in compartecipazione e in comune, almeno su alcune materie fondamentali, la loro facoltà di autodeterminarsi. D'ora in poi, su tali materie nessuno Stato andrà da solo per la propria strada, ma le decisioni saranno assunte congiuntamente. Si pensi, ad esempio, alla politica estera comune, con l'individuazione della figura del ministro degli esteri, al quale saranno attribuite le competenze oggi ripartite fra l'Alto rappresentante e il commissario alle relazioni esterne e che viene incardinato nella Commissione, al fine di trovare un punto di sintesi e di contatto fra i due aspetti dell'Unione, vale a dire quello intergovernativo e del concerto fra gli Stati membri e quello comunitario di governo unico dell'Unione stessa. Si tratta di un esempio di come le nazioni abbiano deciso di mettere in compartecipazione una quota della loro sovranità: il ministro degli esteri dovrà evidentemente rappresentare la voce unica dell'Unione europea in relazione alle decisioni di politica estera e costituisce il primo tassello di un processo attraverso il quale, anche mediante le cosiddette «clausole passerella», si assisterà sempre di più al trasferimento delle decisioni da un metodo in cui sia fondamentale acquisire l'accordo di tutti gli Stati membri a un metodo in cui si decida a maggioranza. Dunque, si andrà sempre di più verso l'accentuazione di un processo di cessione della sovranità da parte dei singoli Stati nazionali. Si tratta di un passaggio importante, in quanto nella storia moderna europea lo Stato nazionale costituisce il centro della sovranità. La modernità nasce, soprattutto in Francia, come affermazione del potere dello Stato nazionale e come centralizzazione e prevalenza dello Stato nazionale rispetto alle altre istanze. La frantumazione dei grandi imperi e delle grandi entità universalistiche premoderne dà vita agli Stati nazionali, che diventano, attraverso la loro rigida gerarchizzazione ed organizzazione interna, i protagonisti della vita politica della scena europea della modernità. Il passaggio all'Unione previsto dal Trattato costituzionale costituisce il passaggio a un nuovo soggetto politico protagonista della scena: non più lo Stato nazione, bensì l'unione e la federazione degli Stati nazione che rinunciano, almeno parzialmente, al potere e alla sovranità che la modernità aveva ad essi conferito. Ho parlato di federazione di Stati nazione, e ciò potrebbe apparire contraddittorio: per quanto il Trattato costituzionale preveda l'inizio di un processo di progressiva devoluzione della sovranità, non siamo ancora a una federazione vera e propria e a uno Stato unico federale, come quello statunitense. Si tratta, dunque, di una federazione di Stati nazione, poiché in numerose altre materie e settori della vita pubblica gli Stati mantengono quella che si potrebbe definire una facoltà di interdizione rispetto alle ingerenze dell'Unione europea. Ritengo dunque che il passaggio alla centralità dell'Unione rispetto alla centralità dello Stato nazione costituisca la conquista culturale più rilevante contenuta nella progetto di Trattato costituzionale. Per quanto, Presidente, come ho cercato di dire, si possa deplorare la mancanza di vita, di partecipazione e di emozione pubblica (che questo progetto di Trattato non ha suscitato, a differenza di quello che accadde nel processo costituente americano), per quanto si possa deplorare il fatto che, forse, questo Trattato appare troppo macchinoso, troppo articolato, troppo massiccio (forse bisognava dare più vita ad un documento di principio, più snello), tuttavia non si può non riconoscere la conquista della Convenzione che è riuscita a sintetizzare in qualche modo una civiltà complessa, come quella europea, in un unico documento, che fonda un patto di convivenza civile; si deve altresì rilevare come vi sia un passaggio importante sulla centralità dell'Unione, che ruba un po' lo spazio a quel protagonista Moloch che, sulla scena della modernità, è sempre stato lo Stato nazionale. Quindi, vi sono luci ed ombre, ma io credo che in questa fase storica vadano valorizzate più le luci che le ombre. Auspico, quindi, che il nostro Parlamento, con un dibattito che mi auguro possa essere approfondito, possa procedere ad una ratifica che non sarà un punto d'arrivo ma soltanto un punto di partenza verso un processo che, probabilmente, ci porterà a risultati che oggi non possiamo ancora prefigurare completamente, ma con cui forse arriveremo ad una civiltà europea in cui davvero l'unità e la comunione di radici e di princìpi sarà prevalente rispetto alla differenza degli ordinamenti e dei sistemi ordinamentali. Da questo punto di vista ed in questo senso non mi sento pienamente dentro il mainstream del pensiero della mia parte politica, e credo che non sia così negativo il fatto che non vi sia stato un marcato richiamo alle radici cristiano-giudaiche della nostra civiltà. Credo fermamente in questo ancoraggio, ma forse, e parlo solo di opportunità politica, una marcatura di tal genere oggi avrebbe accentuato, rispetto alle posizioni assunte in altre parti d'Europa e in altri settori del nostro continente, più le differenze che non le ragioni di unità. Penso, però, che ciò possa essere ancora oggetto di dibattito, ritenendo che il Trattato potà essere modificato nel futuro e che vi sia ancora spazio per tornare su una riflessione importante quale è quella della cultura fondante la nostra civiltà. È importante, da questo punto di vista, tornare sul tema delle radici cristiane, poiché quello della civiltà cristiana e del suo rapporto con la cività europea è certamente un tema che non può essere risolto con due o tre parole in più nel preambolo del Trattato costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, come è noto, noi voteremo contro la ratifica di questo Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, così come contro abbiamo votato in sede di Parlamento europeo, con tutte le altre forze politiche che, insieme a noi, compongono il partito della sinistra europea, unico partito europeo ad avere assunto una posizione univoca su questo Trattato, visto che sulla Costituzione sia il partito socialista europeo sia quello popolare sia quello liberaldemocratico al proprio interno si sono divisi. Noi diciamo che la Costituzione è il frutto di un combinato disposto del mercato e del potere degli esecutivi degli Stati, che ha obbedito ad una lunga fase nella quale le ideologie e le politiche neoliberiste hanno prevalso all'interno dei gruppi dirigenti tecnocratici e statali che hanno guidato il processo di costruzione europea, almeno negli ultimi quindici anni. Pensiamo che questo Trattato non sia e non possa essere una Costituzione; le Costituzioni storicamente sono sorte dal basso. Il collega Di Teodoro ha parlato dell'assenza di emozioni, di afflato, di partecipazione, di interesse da parte dei popoli europei. Non può essere diversamente: altre Costituzioni, come la nostra o come quella degli Stati Uniti d'America, venute dopo grandi sommovimenti sociali, dopo grandi cambiamenti epocali, sono state il prodotto della sovranità di popoli che, storicamente, hanno messo in discussione il potere assoluto dei monarchi, degli Stati e degli esecutivi. Sono le Costituzioni che danno forma allo Stato, non viceversa. Invece, nel nostro caso, si prevede il rovesciamento dei ruoli e si subordinano i popoli alle decisioni degli Stati e degli esecutivi, cioè di coloro i quali dovrebbero essere subordinati ai voleri dei popoli. Nessuno è in grado di spiegare, in modo serio, intellettualmente onesto e razionale, perché non si sia voluta un'Assemblea costituente, perché, in altre parole, non si sia voluta imboccare la strada maestra per produrre un patto tra i cittadini e le cittadine dell'Unione europea. Un'Assemblea costituente eletta con tale scopo e dopo un'ampia discussione tra le popolazioni degli Stati europei avrebbe sicuramente prodotto una Costituzione simile a quella italiana od a quella di altri grandi Stati europei e del mondo ed avrebbe avuto il potere di modificare la situazione esistente. Invece, si è scelta una strada completamente opposta. Mi spiace, ma non è vero che la Convenzione abbia dato voce, in qualche modo, alla società civile europea. Non è vero! La Convenzione ha operato come consulente del Consiglio ed è stata nominata - non eletta - senza alcuna discussione democratica a livello popolare. Dunque, la Convenzione ha operato, di fatto, come del resto era previsto, come «notabilato» che ha prodotto una bozza, la quale è stata ridiscussa e, infine, firmata dagli Stati, dai Governi, dai Capi di Stato, non dai Parlamenti. Noi pensiamo che questo passo sia stato profondamente negativo. Qualcuno dice: meglio questo di niente, ma non spiega perché non si sia voluta imboccare la strada maestra. Il passo è negativo perché cristallizza e codifica uno strapotere degli esecutivi, che, non a caso, in questo testo costituzionale - o che pretende di essere costituzionale - si riservano l'esclusivo potere di modifica. Non è vero che si tratta di un passo in avanti cui potranno seguirne altri: la strada imboccata fin dall'inizio si rivela sbagliata, ademocratica e, per alcuni versi, persino antidemocratica. Dunque, si tratta di un passo in avanti in una direzione sbagliata che non bisognava intraprendere. Il Parlamento europeo, quello eletto dai popoli dell'Europa in modo democratico è un'istituzione assolutamente secondaria nel ridisegno dei poteri reali prefigurati dalla Costituzione in esame. Lo è al punto tale che persino sulla modifica della composizione del Parlamento europeo l'ultima parola spetta al Consiglio. Certamente, il Parlamento può avanzare delle proposte e, alla fine, approvare o meno ciò che ha deciso il Consiglio, ma il Consiglio sta sopra e sovraordina tutto quanto. Si tratta di un passo indietro rispetto ad un'Europa possibile in questa fase storica. Noi pensiamo ad un'Europa diversa da quella delle tecnocrazie che l'hanno governata fino ad oggi. Pensiamo ad un'Europa che torni a sancire il primato della società sul mercato e sull'economia. Pensiamo ad un'Europa che metta al primo posto il ripudio della guerra e l'esclusione della guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali, ossia come strumento politico. Pensiamo ad un'Europa capace di avere una missione nel mondo ed una propria autonoma politica estera. Ma questa Europa, che molti dicono di condividere, non è possibile costruirla all'interno di questa Carta costituzionale. Anzi, per raggiungere gli obiettivi che ho appena enunciato, bisogna essere antagonisti alla Carta costituzionale sottoposta alla nostra attenzione. Vogliamo ristabilire il primato della società sull'economia e sul mercato? In questa Carta costituzionale si nominano i diritti sociali senza stabilire norme programmatiche per la loro implementazione e si costituzionalizzano addirittura i principi liberisti e il mercato come elementi sovraordinatori: Maastricht. Noi vogliamo un'Europa che si prodighi nel mondo per la pace attraverso l'esclusione dell'uso della guerra come strumento politico. Così stabilisce la Costituzione italiana: l'Italia ripudia la guerra. Invece, in questa Costituzione, quello della pace è un obiettivo politico; non è nemmeno un valore...
GUSTAVO SELVA, Relatore. C'è anche un secondo periodo dell'articolo 11 della Costituzione che non citate mai!
RAMON MANTOVANI. Grazie, presidente, lei ha tutto il tempo per poterlo citare. Mi fa piacere che lei citi la Costituzione italiana, perché a volte vi dimenticate dei suoi principi e dei suoi valori. La pace, come obiettivo politico e non come valore, nella Carta costituzionale si trova, in un rapporto gerarchico, sotto i valori che lì sono enunciati. L'Europa avrebbe bisogno di una missione del mondo per ribaltare l'andamento catastrofico del mondo contemporaneo (ma è inutile che elenchi i mali che affliggono l'umanità e che non sono prodotti, come lo tsunami, di catastrofi naturali). Si tratta di una vera e propria guerra contro l'umanità da parte delle grandi società multinazionali e degli interessi economici difesi da tante cosiddette istituzioni internazionali, come il Fondo monetario, la Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale del commercio e così via. L'Europa potrebbe, attraverso una revisione del proprio andamento nel rapporto tra economia e società, darsi una missione del mondo per ricostruirlo, per mettere fine alla guerra e per promuovere uno sviluppo equo e solidale a livello planetario. Ma per farlo, dovrebbe rimuovere questa Carta costituzionale. Voi - e qui mi rivolgo al Governo - avete voluto che questo Trattato fosse ratificato nel nostro paese con legge ordinaria. Si sarebbe potuto procedere in altro modo, perché è del tutto evidente che questo Trattato, per come lo avete concepito, incide sulla nostra Costituzione. Si sarebbe potuto procedere attraverso l'articolo 138, ma questo forse avrebbe impedito all'attuale Governo di vantarsi di essere fra i primi ad aver ratificato il Trattato. In ogni caso, l'avete presentata come legge ordinaria. Allora, da questo punto di vista bisogna trarne le conseguenze. Il fatto che sia stata adottata una legge ordinaria per ratificare il Trattato è alquanto discutibile, perché, mentre si dichiara che nessuna disposizione del Trattato stesso può ledere o limitare i diritti e le libertà fondamentali contenute nella nostra Costituzione, allo stesso tempo l'articolo I-6 sancisce la prevalenza del diritto europeo su quella nazionale; e voi avete insistito perché di trattato con legge ordinaria si trattasse! Allora si sappia che vale la disposizione secondo la quale il Trattato entrerà in vigore il 1o novembre del 2006, se tutti avranno approvato o depositato gli strumenti connessi. Questo dice la Carta che voi vi accingete ad approvare. In caso contrario, se non tutti gli Stati avranno ratificato per via referendaria o per via parlamentare questo Trattato, l'entrata in vigore del Trattato medesimo è rinviata sine die, fino a quando l'ultimo degli Stati avrà ratificato il Trattato. Lo dico perché il presidente della Commissione europea, due giorni fa, ha avuto modo di dire che per lui il problema non esiste e si porrà nel momento in cui si verificherà concretamente. Non si può giocare su questo. Se un popolo europeo, attraverso il referendum, o se un Parlamento di uno Stato europeo non ratificherà questo Trattato, noi pensiamo che esso, come tutti gli altri trattati internazionali, non possa entrare in vigore per nessuno di quelli che l'hanno ratificato, perché altrimenti si potrebbe procedere attraverso la ratifica o meno del trattato alla esclusione-espulsione di uno Stato, di un popolo, senza che questo fosse predeterminato e previsto. Insomma, noi pensiamo che sarebbe bene che un popolo europeo si assumesse la responsabilità e il compito di bloccare l'iter di questa Carta costituzionale, che si rivelerà ben presto negativa per il nostro continente, per l'idea, che noi difendiamo, del futuro dell'Unione europea. In ogni caso, noi faremo la nostra parte votando contro e spiegando alle cittadine e ai cittadini del nostro paese che continueremo a difendere i valori e i principi contenuti nella nostra Costituzione contro le disposizioni sovraordinatorie di questa cosiddetta Costituzione, che tendono a cancellare secoli e, nel nostro caso, decenni di democrazia (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, le modalità con cui il Parlamento sta affrontando la ratifica del Trattato per la Costituzione raccontano in modo abbastanza efficace della importanza effettiva che la maggioranza di Governo, malgrado le parole condivisibili, anche se un po' enfatiche, del ministro Fini, assegna a questo documento. Diciamoci la verità: l'imbarazzo presente nelle file del centrodestra è palpabile. Lunedì della scorsa settimana, in Commissione affari esteri, quando abbiamo votato il Trattato, erano presenti più esponenti dell'opposizione che della maggioranza. Una forza di Governo, la Lega, neppure si è presentata (e il suo parere lo leggiamo ogni giorno su la Padania) e ha presentato una questione pregiudiziale di costituzionalità, che abbiamo respinto. Ma anche l'euroscetticismo ed il disincanto, che, al di là delle posizioni della Lega, attraversano la destra italiana sulla prospettiva europea, sono evidenti. In questi anni, del resto, ne abbiamo viste, per così dire, di tutti i colori. Si ravvisa, comunque, a mio giudizio, una contraddizione - in sé positiva - tra la decisione di stipulare e ratificare il Trattato e le concrete politiche perseguite negli ultimi quattro anni dal Governo di centrodestra, ad esempio quelle economiche quando, anziché schierarsi per un nuovo patto di stabilità che liberasse risorse per la formazione e l'innovazione, Italia ha cercato, con un po' di finanza creativa, di lucrare guadagni negli spazi del patto stesso; ma ricordo anche le politiche della giustizia, e particolarmente la vicenda del mandato di arresto europeo; soprattutto, infine, rileva la condotta - che non esito a definire antieuropea - seguita dal Governo in occasione della guerra contro l'Iraq. Oggi, proprio mentre piangiamo un altro giovane morto in una vicenda che il Governo si ostina a non definire guerra - ma che con tutta evidenza è tale, sicché risulta violato l'articolo 11 della Costituzione italiana -, ebbene, oggi, sappiamo con certezza che le ostilità si sono aperte senza giustificazioni. Lo ammettono gli stessi americani - al riguardo, vorrei che la stampa americana fosse letta e tradotta dai nostri mezzi di informazione in modo più sistematico -: le armi di distruzione di massa non sussistevano. Eppure, il Presidente del Consiglio dei ministri italiano, nei mesi precedenti il conflitto, aveva, per così dire, girato in lungo e in largo dopo una visita rapida a Washington, per promuovere la guerra. Voglio ricordare che egli ha firmato - e convinto altri paesi a firmare anch'essi - un documento che, sostenuto da alcune nazioni europee, si contrapponeva alla linea franco-tedesca; si è così provocata la più grave ferita politica nella storia recente dell'Europa unita. Si è trattato di un atto che aveva un'ispirazione politica precisa - questo rileva - ben precisa: il tentativo - è stato autorevolmente scritto - è quello di rendere l'Europa il ramo minore dell'occidente (quello maggiore, si intende, sono gli Stati Uniti d'America); una sorta di dependance degli Stati Uniti. Aspetto ancora parola di verità a proposito delle rivelazioni che il giornale The Washington Post ha reso note nei giorni passati a proposito di un accordo segreto, tenuto nascosto al Parlamento, tra Governo americano e Governo italiano circa il dispiegamento di armi nucleari in Italia. L'Europa, cari colleghi, non è ciò; essa ha una sua storia diversa, nel bene e anche nel male - anche nel male! - da quelle degli Stati Uniti d'America. Abbiamo un modello sociale, riferimenti culturali, tragedie nel Novecento ma anche stili di vita e di pensiero diversi; siamo un continente con un piede nell'Atlantico ed un piede nel Mediterraneo ed il piede nel Mediterraneo, il principale, è proprio la penisola italiana. Il nostro paese, pure in un contesto - i cinquant'anni che sono ormai alle nostre spalle - di fedeltà atlantica, ha, tuttavia, sempre cercato di tenere un atteggiamento dialogante con i popoli mediterranei. La politica estera italiana ha avuto i suoi momenti migliori quando è stata capace di fare del nostro paese un ponte tra occidente ed oriente, tra nord e sud del mondo. Non si è trattato, come pure si sostiene, di mero opportunismo dovuto alla nostra vocazione ed alla nostra posizione geopolitica; alla base, vi è, invece, a mio avviso, un retaggio culturale, una storia della civiltà italiana. Oggi, tutto ciò rischia di essere compromesso da uno schieramento ideologico orientato in un altro senso, il che, negli anni passati, ha reso più debole l'Italia e più esposta l'Europa. Si contrappongono, dunque, due modelli: da una parte, l'Europa come braccio destro degli Stati Uniti, come ramo minore dell'occidente; dall'altra, l'Europa con le sue specificità, amica, e non ostile, nei riguardi degli Stati Uniti, ma con la sua cultura e anche con il suo originale way of life. A ciò, si aggiunge una terza posizione - quella della non Europa - che, rappresentata in particolare in Italia dalla Lega, trova, purtroppo, sostenitori un po' in tutto il continente nelle schiere della cosiddetta destra radicale. Da tale punto di vista, a mio modo di vedere, all'interno del Trattato - bisogna essere molto onesti - si contengono luci ed ombre; voglio partire dalle seconde, vale a dire dalle ombre. Ciò, anche per dialogare con alcune delle ragioni che spingono i colleghi e gli amici di Rifondazione comunista ad esprimere la posizione contraria all'approvazione della ratifica; posizione che, con grande coerenza, ora il collega Mantovani e, dianzi, altri colleghi hanno espresso. A mio modo di vedere, quella che esaminiamo oggi non si può considerare una Costituzione vera e propria. Nessuna Costituzione al mondo, infatti, si è formata nell'ambito di un processo sostanzialmente «dall'alto», con centinaia di articoli che si occupano, in particolare nella terza parte, di quote di produzione agricola o di cumuli ai fini pensionistici. Ciò di fronte a cui ci troviamo è un Trattato, sia pure di grandissima importanza, che in una sua parte colleziona ed organizza in modo più sistematico una serie di trattati, che sono stati così razionalizzati. Anche le novità introdotte (che non vanno sottovalutate), le più importanti delle quali riguardano i meccanismi decisionali dell'Unione - che, diciamoci la verità, hanno rappresentato il vero tema che ha appassionato in primo luogo il dibattito in seno alla Convenzione e tra i Governi -, non sono evidentemente risolutive o sconvolgenti. Se parlassimo di uno Stato nazionale, e non, invece, di un'Europa federale, diremmo che stiamo esaminando una riforma istituzionale di grande rilevanza, più che una Costituzione nel vero senso della parola. L'ombra più importante, a mio modo di vedere, riguarda tuttavia l'impianto neoliberista, di cui ha parlato il collega Mantovani, che si coglie, in molti aspetti, nella terza parte del Trattato in esame. Infatti, al di là delle singole norme, esiste un problema più generale, poiché non credo sia giusto che una Costituzione debba occuparsi di divieti agli aiuti di Stato, di regolamentazione del mercato dei servizi e di liberalizzazioni. Queste, infatti, sono scelte politiche, che devono essere flessibili e sottoposte al giudizio delle maggioranze che di volta in volta si formano. Vorrei ricordare che ho ascoltato e partecipato, per tre anni consecutivi, ai Forum sociali europei di Firenze, di Parigi e di Londra. In quelle sedi, decine di migliaia di ragazze e di ragazzi, non schierati ideologicamente contro il Trattato costituzionale, hanno tuttavia rivendicato più Europa, più partecipazione e più democrazia. Noi abbiamo il compito di aprire le porte a tali istanze, perché dobbiamo sapere che la politica le deve raccogliere. Del resto, è abbastanza indicativo l'esito negativo di due grandi campagne democratiche, svoltesi l'anno passato, per la modifica della Costituzione europea. Vorrei ricordare in questo Parlamento - dal momento che, assieme al collega Realacci, presenterò un ordine del giorno su tale tema - che la prima di queste riguardava l'introduzione di una norma, simile all'articolo 11 della nostra Costituzione, finalizzata al ripudio della guerra; la seconda, invece, riguardava la definizione dell'acqua come bene comune. A mio modo di vedere, è stato un errore respingere tali proposte - avanzate, peraltro, anche dai colleghi Spini e Paciotti in sede di Convenzione europea -, e debbo dire che non mi risulta che il Governo italiano, che pure lo aveva promesso al nostro Parlamento, a seguito dell'approvazione della mozione sull'articolo 11 della Costituzione (il primo punto del dispositivo di tale atto), abbia mai posto realmente la questione sul tavolo delle trattative, poiché ciò non risulta dagli atti. Vorrei evidenziare che si trattava di proposte per avere, all'interno della Costituzione, non meno, ma più Europa, e forse non sono state viste favorevolmente per questo motivo. Vorrei criticare, quindi, un certo difetto di europeismo, poiché considero il Trattato in esame un punto importante, ma non l'approdo finale di un processo costituente che va tenuto aperto, ed il cui carattere democratico e partecipativo va affermato. Allora, dalle considerazioni critiche che ho formulato, deriva che il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa è da rigettare? Vorrei allora spiegare, molto semplicemente, le tre ragioni per cui voterò a favore - si può definire un «sì critico» - della sua ratifica. Il primo è che, tra le luci di tale Trattato, ve ne è una particolarmente brillante ed intensa, vale a dire la Carta di Nizza sui diritti fondamentali dei cittadini e dei lavoratori. Infatti, non era scontato che vi fosse: vi è stato un dibattito, che ha visto la sinistra protagonista di una giusta battaglia, e quella Carta è quanto di più avanzato abbia prodotto l'Unione europea sul piano sociale, anche se vorrei ricordare che, fino ad ora, non era un trattato vero e proprio. Oggi lo diventa, venendo addirittura inserito come seconda parte del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, e ciò non può non pesare nell'ambito del giudizio complessivo. In quella Carta, infatti, sono contenuti principi che diventano principi generali del diritto dell'Unione, e dunque divengono giuridicamente efficaci e vincolanti per gli organi giudiziari dell'Unione stessa, che dovranno cambiare giurisprudenza (mi riferisco anche alla Corte di giustizia europea). Il secondo motivo è che non credo - si tratta di una ragione politica, ed in ciò consiste, sotto questo profilo, la differenza con i compagni e gli amici del gruppo di Rifondazione comunista - che la bocciatura del Trattato in esame aprirebbe un percorso verso «magnifiche sorti e progressive» della Costituzione europea. Al contrario, penso che prevarrebbero due spinte: quella verso la «non Europa» della destra radicale e quella verso l'Europa «ramo minore» dell'occidente, che, poi, sono compatibili, tanto è vero che convivono nella stessa maggioranza di Governo. Su tale aspetto si è svolto un dibattito, purtroppo non in Italia, ma in Francia, dove la principale forza della sinistra, il partito socialista, ha scelto di ricorrere ad un referendum interno, molto partecipato, per decidere. Diversamente da Laurent Fabius, credo che l'Europa non sia ancora abbastanza forte per sopportare un colpo del genere. Non è come se un piccolo paese respingesse la Carta: a quel punto si potrebbe anche rimettere mano al testo, concordare le modifiche opportune e procedere (in tal senso, da un punto di vista giuridico, le considerazioni svolte dal collega Mantovani sono legittime). Se, invece, l'Italia o la Francia respingessero la Costituzione europea, temo che non avremmo un secondo round e che l'Europa si ridurrebbe ad un coordinamento di Stati - i più potenti - e ciò rappresenterebbe un bel favore all'«impero» e alla sua logica. Esprimo, poi, un'insoddisfazione più generale. La Costituzione che oggi approviamo non è quella di un'Europa federale, come sarebbe stato doveroso verso i popoli europei e verso la storia degli ultimi sessanta anni. Rimaniamo ancora in un «limbo», vi è ancora troppo peso per i governi nazionali, e vi è un ruolo minore del Parlamento europeo. Certo, il Trattato non rappresenta un passo indietro, ma come passo avanti mi sembra troppo timido. Gli Stati si sono posti il problema di modificare le regole per evitare la paralisi causata da un'Unione a venticinque Stati. Lo hanno fatto migliorando il meccanismo di decisione, ma ciò che serviva sarebbe stato altro: il superamento della confederalità, a favore di un'Europa pienamente federale, ossia quella sognata da Altiero Spinelli. Credo, tuttavia, che la realtà sia in movimento. Questo è il punto politico. Nutro fiducia nei processi reali, accanto a quelli di ratifica del Trattato. Il Parlamento europeo, con la bocciatura della prima Commissione guidata da Barroso e modificando o respingendo alcune direttive - come spero succeda prossimamente per la devastante direttiva Bolkestein, che distrugge il principio di armonizzazione che, fin dal principio del processo di unificazione europea, ha regolato le politiche dell'Unione -, afferma una sua nuova, inedita, soggettività e centralità, che va al di là delle norme scritte. La vicenda dell'ex aspirante commissario europeo Buttiglione è, a mio parere, un atto costituente, anch'esso molto importante. Il Parlamento, ossia l'espressione del voto popolare dei cittadini, ha bocciato una composizione della Commissione, ossia del Governo dell'Unione, e, in particolare, un certo ministro, aprendo un dibattito che assomiglia molto da vicino a quelli che si svolgono all'interno degli Stati nazionali, in cui i corpi legislativi sono chiamati ad esprimere la propria fiducia agli esecutivi. Ciò è avvenuto su un argomento, i diritti delle persone omosessuali, che credo rappresenti la «cartina di tornasole» di una concezione della libertà e della vita, di questo grande e appassionante dibattito che dovremo tenere al di fuori dalle polemiche sull'identità europea. Non si tratta di «mettere una bandierina». Sono convinto che sia giusto ragionare sull'identità europea e, se volete, sulle idee di fondo, sui valori - una volta si sarebbe detto: sull'ideologia -, che sostengono questo nostro grande progetto europeo. Il dibattito e la polemica sulle libertà e sulla vita hanno scoperchiato tale nodo. È un tema centrale e costitutivo dell'identità europea. Potrebbe essere che la lettera di questa Costituzione sia ancora troppo timida, ma, nella prassi, si sta andando, dunque, oltre. Nel testo di Trattato vi sono sufficienti spazi vuoti affinché la prassi avanzi di gran lunga i limiti che non si sono voluti superare. Ecco perché vi è spazio per un «sì» critico, che continui a battersi per proseguire il processo costituente, per allargare la partecipazione democratica, per una vera Europa federale, per ascoltare le ragioni dei forum sociali europei ma, soprattutto, per realizzare il sogno nato quando il mondo ha conosciuto l'incubo dell'orrore infinito di Auschwitz. Allora nacque l'idea di un'Europa dei popoli, del rispetto della convivenza, che oggi è minacciata dalle culture e dalle ideologie di morte, di violenza, di guerra e di terrorismo che a tutte le latitudini e longitudini si stanno pericolosamente affermando. L'identità dell'Europa, certo forte di una grande tradizione culturale e spirituale in cui il cristianesimo ha giocato un ruolo fondamentale, nasce nel giuramento fatto davanti alle proprie coscienze, quando si sono aperti i cancelli di Auschwitz, che mai più i popoli europei avrebbero dovuto e potuto riprodurre il trionfo del sistema della morte. Per ciò che mi riguarda, anche la bandiera arcobaleno della pace fa parte della mia identità europea (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maccanico. Ne ha facoltà.
ANTONIO MACCANICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo sia stata una decisione opportuna, anche se un po' tardiva, la calendarizzazione della ratifica del Trattato che adotta la Costituzione europea nella ripresa dei lavori parlamentari in questo mese di gennaio. L'Italia è paese fondatore dell'Unione, non possiamo mai dimenticarlo. Ha avuto un ruolo importante nei lavori della Convenzione, attraverso il contributo di personalità come Giuliano Amato, Vicepresidente, e, per la maggioranza, Gianfranco Fini, attuale ministro degli affari esteri ed ha voluto in Roma la firma del Trattato. È bene che sia tra i primi paesi a ratificarlo, come si era impegnato a fare. Non siamo fra i primissimi: siamo stati battuti da altri paesi, ma siamo in tempo per recuperare il tempo perduto. Quanto alla procedura di ratifica, la via parlamentare è quella giusta, come ha rilevato la grande maggioranza dei giuristi che la Commissione ha ascoltato nel corso delle audizioni. Gli articoli 11, 20 e 80 della nostra Costituzione sono la nostra guida. Dobbiamo essere grati ai costituenti che, con l'articolo 11, hanno prefigurato gli sviluppi dell'ordine internazionale e ci mettono in condizione di affrontare questa discussione in Parlamento. Poiché la procedura di ratifica da parte di tutti i paesi membri richiederà certamente più di un anno (forse due), sarebbe opportuno che si cercasse di anticipare l'attuazione di alcune innovazioni del Trattato, sempre che sia giuridicamente consentito e con il consenso di tutti, come è stato autorevolmente suggerito. Penso, ad esempio, alla personalità giuridica dell'Unione, alle innovazioni nella Presidenza del Consiglio, al ministro degli esteri, all'eurogruppo. Dobbiamo riconoscere che la natura giuridica del testo approvato dal Consiglio europeo non è univoca, bensì, in un certo modo, ibrida. È, certamente, un Trattato, ma la procedura di elaborazione attraverso la Convenzione, il fatto che nello stesso titolo si parli di adozione di una Costituzione, l'inserimento della Carta europea dei diritti ne fanno sicuramente un embrione di Costituzione, un avvio di ordinamento costituzionale, un documento che getta le basi di una Costituzione. Si è realizzato, in un certo modo, ciò che Altiero Spinelli aveva auspicato fin dal 1983: nella sua concezione, la riforma della Comunità doveva essere, nei contenuti, una Costituzione, perché avrebbe definito istituzioni, competenze e obiettivi; nella forma, invece, un Trattato, perché sarebbe entrato in vigore con la ratifica da parte degli Stati membri. Si tratta, quindi, onorevoli colleghi, di una tappa importante nella costruzione europea, di un passo avanti innegabile nell'integrazione politica dell'Unione. Credo che abbia un'importanza fondamentale l'inserimento della Carta dei diritti: essi diventano azionabili davanti alla Corte di giustizia. L'azionabilità dei diritti dei cittadini è il primo requisito di una Costituzione; essa dà sostanza concreta al principio della doppia cittadinanza, nazionale ed europea. I principi di libertà, uguaglianza, solidarietà, coesione, la tutela della persona, il principio di sussidiarietà sono il vero fondamento dell'identità europea. Sono, inoltre, disposizioni nelle quali, innegabilmente, è presente lo spirito del cristianesimo, che è vivo nella Costituzione, anche se non è evocato nel preambolo. Lo ha rilevato in una intelligentissima intervista il cardinale Silvestrini: è vero che nel preambolo non vi è il richiamo alle radici cristiane, ma tali radici pervadono l'intero testo della Costituzione. È certamente positivo che sia stato sciolto il nodo della decisione a maggioranza qualificata e di quelle di competenza del Consiglio dei ministri. Il principio della doppia maggioranza, del 55 per cento dei Governi e del 65 per cento della popolazione, è una soluzione indubbiamente apprezzabile. Invece, è deludente l'ampliamento delle materie per le quali è richiesta l'unanimità, come la politica estera e di sicurezza (anche per l'autorizzazione in questo campo all'avvio di una cooperazione rafforzata), l'armonizzazione legislativa fiscale, la politica sociale, commerciale e dell'ambiente, i fondi strutturali e della coesione, eccetera. È apprezzabile, comunque, il nuovo regime delle cooperazioni rafforzate e c'è la possibilità di procedere a maggioranza per i Governi che decidono cooperazioni rafforzate, salvi i campi in cui questa procedura è preclusa, come la politica estera e di sicurezza. Aver dato un quadro normativo unitario ai tre pilastri (unione economica e monetaria, politica estera e di sicurezza, giustizia e affari interni) ha certamente rafforzato il metodo comunitario. Notevoli sono il consolidamento dei poteri del Parlamento europeo, una migliore definizione dei poteri della Commissione e il riordino degli atti normativi dell'Unione. È anche importante il nuovo ruolo dei Parlamenti nazionali nel procedimento legislativo europeo. Si può dire che non sono novità secondarie, oltre quelle già ricordate, il riconoscimento della personalità giuridica dell'Unione, il primato del diritto europeo su quello nazionale, l'istituzione del ministro degli esteri dell'Unione, che fa parte del Consiglio e della Commissione e il mandato di due anni mezzo del Presidente del Consiglio europeo. Si può altresì dire che, mentre si è proceduto coraggiosamente all'allargamento dell'Unione, che nel prossimo futuro si amplierà ad altri Stati, si è anche avviato un processo di integrazione, di deepening, più deciso verso un maggiore consolidamento nell'Unione del metodo comunitario. Anche se molte aspettative sono andate deluse, in particolare in materia di decisioni a maggioranza, quanto si è ottenuto non è poco. Ciò non ci autorizza a ritenere che il processo di integrazione sia irreversibile, ma ci offre gli strumenti per fare ulteriori passi in avanti nel prossimo futuro. Un problema certamente importante è quello di come fronteggiare una possibile decisione di non ratifica da parte di uno dei paesi dell'Unione. La tesi del professor Monti è certamente interessante, ossia quella di considerare l'eventuale reiezione del referendum non come un'uscita dall'Unione o, almeno, prevedere un obbligo affinché un secondo referendum metta in discussione la partecipazione di quel paese all'Unione. Le decisioni possono essere diverse, ma credo sia necessario che il prossimo Consiglio europeo su questo problema si pronunci e prenda una decisione. La ratifica del Trattato che adotta una Costituzione è certamente un traguardo importante, ma noi consideriamo questo Trattato non come un punto d'arrivo, ma come un punto di partenza per avviare una nuova fase del processo di integrazione che abbia come traguardo l'Unione europea come global player, attore globale del nuovo ordine internazionale che si delinea. Nell'ordine internazionale si affaccia un nuovo asse e un nuovo bipolarismo Stati Uniti-Cina. Gli interessi comuni di queste due potenze continentali sono assai evidenti e vanno molto al di là delle convergenze di politica monetaria che dominano la scena attuale. Si tratta di interessi comuni di lunga durata: lotta al terrorismo, espansione commerciale, controllo della proliferazione nucleare e della diffusione delle armi di distruzione di massa e necessità per la Cina di stabilità per lo sviluppo del suo immenso territorio. Sono due paesi che hanno tassi di sviluppo molto più alti dell'Europa, la quale, se non imbocca al più presto la via della crescita e dello sviluppo, se non adotta una chiara linea di politica estera comune, se non è in grado di fondare su questa politica una nuova e solida intesa transatlantica, rischia l'emarginazione e il declino. Per quanto concerne l'economia, una politica di sviluppo europea secondo il programma di Lisbona impone un salto di qualità nel coordinamento comunitario della politica macroeconomica e di coesione. Occorre realizzare un vero mercato unico di un'area di quasi 500 milioni di persone. Occorre un bilancio comunitario superiore allo striminzito 1 per cento del PIL europeo. Occorre, cioè, un embrione di Governo europeo dell'economia. Quando si confrontano i tassi di sviluppo dell'Europa e quelli degli Stati Uniti si dimentica che negli Stati Uniti, ed ancora più in Cina, vi è una guida pubblica centralizzata dell'economia su scala continentale nelle scelte strategiche, nella tecnologia, nella destinazione di spesa. Ciò manca interamente in Europa ove, a parte la politica monetaria, le politiche fiscali e di bilancio sono tutte affidate ai singoli paesi. Manca una regia continentale per gli obiettivi comunitari di crescita. Il Trattato adotta espressamente il modello di economia sociale di mercato, ma solo un alto tasso di crescita può salvare tale modello. Anche il problema di una maggiore flessibilità dei parametri di Maastricht si risolverà per questa via perché i parametri sono il succedaneo, il surrogato dell'assenza di una politica economica coordinata dall'Unione, della mancanza di una politica fiscale e di bilancio unificata dopo l'eliminazione della politica monetaria nazionale. Una maggiore flessibilità interpretativa, dato e non concesso che sia necessaria, dovrebbe essere responsabilità di un'autorità comunitaria non essendo ammissibile, ad esempio, che la golden rule sia applicata da ciascun paese con criteri propri. Onorevoli colleghi, la ratifica del Trattato che adotta la Costituzione è una decisione del Parlamento che avrà un'importanza storica per l'Europa e per l'Italia. Prendiamola con la consapevolezza che questa è la via della pace, dello sviluppo, della crescita civile, politica e culturale di tutti i popoli del nostro continente (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo e del deputato Selva - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, il primo e, a mio avviso, fondamentale elemento di analisi per iniziare la discussione sul Trattato è rappresentato dall'enorme distanza che esiste tra le dichiarazioni degli esponenti politici, che parlano di fatto epocale, storico, capace di mutare i destini del continente europeo, e la speculare pochezza del dibattito politico. Tale sfasamento ha come diretta ed ovvia conseguenza la lontananza dei cittadini rispetto a quello che si definisce evento storico. Tale lontananza è marcata in tutti i paesi dell'Unione europea, ma è abissale nel nostro paese. Si è sentita, come ricordavano alcuni colleghi, la mancanza di un processo costituente autentico e vissuto. Non si è voluta un'Assemblea costituente eletta dai cittadini che avrebbe dato contenuto al processo costituente. Si sarebbe trattato di un momento storico che poteva anche essere rappresentato plasticamente dalla riunificazione europea dovuta al fatto che i paesi dell'est entravano nell'Unione. Quello della riunificazione è stato un evento epocale che avrebbe potuto essere rappresentato come un evento epocale positivo rispetto all'altro evento epocale che fu la seconda guerra mondiale. Alla fine di quest'ultima i paesi europei, esausti e distrutti, decisero di avviare l'avventura europea prima con progetti di tipo razionale, funzionalistico, pragmatico, come la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, poi con progetti più ampi, che fallirono ma erano rivoluzionari per l'epoca in cui vennero proposti, all'inizio degli anni '50, come la Comunità europea politica e la Comunità europea di difesa. Ebbene, nulla di tutto ciò è avvenuto. Si è preferita l'anonima ed elitaria Convenzione, la cui rappresentazione scenica si è materializzata nella pomposa quanto fredda firma a Roma del nuovo Trattato: molte auto blu, molta retorica, poco calore, poca coscienza storica, poca identità. Si tratta di una Costituzione, dunque, senza processo costituente, senza quella forza creativa che nella storia è sempre stata sprigionata dai popoli nel momento in cui capivano che si stava costruendo qualcosa di nuovo per il loro futuro. Senza scomodare l'esperienza americana, da cui discendono tutte le costituzioni del mondo moderno, mi riferisco ad esempi anche più vicini nel tempo e nello spazio come il processo costituente italiano che, alla fine della seconda guerra mondiale, vide una forza creativa della società e della cittadinanza italiana che portò all'Assemblea costituente, al voto universale anche per le donne ed alla scrittura della nuova Carta costituzionale. Il testo del Trattato europeo è stato partorito dalla famosa e, diciamo anche famigerata, Convenzione di oltre 450 articoli, frutto di una verbosità legislativa comunitaria, della stratificazione dei trattati nel tempo. Una Costituzione intesa quasi come un libretto delle istruzioni, un coacervo di disposizioni disparate, talvolta in contraddizione tra di loro e di difficilissima interpretazione, con un solo evidente risultato, quello di porre nelle mani della Corte di giustizia europea un enorme potere interpretativo che si attuerà, come già avvenuto fino ad oggi, a sfavore degli Stati nazionali, interpretando in senso estensivo la clausola dei poteri impliciti ed a favore delle istanze comunitarie, rappresentate dalla Commissione europea. Una vera e propria egemonia giurisdizionale che porterà allo svuotamento dei livelli politici. Spesso si parla, quando si vuole dare un taglio negativo alla Costituzione europea, dell'Europa dei banchieri e dei tecnocrati. Io, invece, utilizzerei il termine dell'Europa dei giudici e, d'altronde, non poteva che finire così, in un continente come l'Europa dove vi è la supremazia della norma, una sorta di superproduzione normativa europea (pensavamo di essere i numeri uno in questo settore). L'Unione europea, le istituzioni comunitarie, ci stanno dando lezione di sovrapproduzione normativa legislativa. Dunque, vi è il predominio della norma rispetto al valore della politica e della volontà della politica. Per quanto riguarda il caso italiano, l'atteggiamento dei giudici - come quello di Milano, che si è permesso di interpretare, in chiave eminentemente politica, un fatto molto specifico, vale a dire l'esistenza di cittadini stranieri che reclutavano kamikaze sul territorio nazionale - e l'attività costante della Corte costituzionale che seziona ogni norma di questo Parlamento, introducendo un caos normativo interpretativo incredibile, sono il segno di quello che sarà il panorama politico, giuridico e legislativo europeo post-Trattato. Avvisaglie di questa debacle si erano già viste nella stupefacente vicenda del preambolo della Costituzione, dove la famosa e famigerata, ripeto, Convenzione ha ritenuto di accantonare il riferimento alle radici cristiane dell'Europa per motivi ideologici (si è accampato il laicismo alla francese che è passato di moda; andava bene nell'Ottocento, due secoli fa, ma, a mio avviso, oggi è totalmente decontestualizzato) o, peggio ancora, pragmatici. Non è stato inserito questo riferimento per consentire l'ipotetico ingresso della Turchia all'interno dell'Unione europea. Qualunque sia stata la ragione, chiarissimo è stato il messaggio che si è lanciato agli altri competitori sulla scena globale, vale a dire agli Usa, agli Stati Uniti, immuni da questa debolezza, capaci, come ha dimostrato la vittoria di Bush, di coniugare i valori alla politica, la modernità e la globalità con la difesa dell'identità e dei valori, alla Cina, come si ricordava prima, proiettata a ritornare al proprio passato imperiale ed al mondo islamico, cementato dall'identità religiosa e desideroso di rivincita nei confronti dell'occidente. Il messaggio che l'Europa manda al mondo è il seguente: non vi sono valori di riferimento, non vi è una missione, una propria forza. La poco convincente, molto autoreferenziale, anche un po' spocchiosa, mi si consenta, definizione di Europa come potenza civile, come se il resto del mondo questa civiltà non la possedesse e fosse incivile, fotografa la leggerezza e l'inadeguatezza della Costituzione europea rispetto agli obiettivi che la retorica europeista si pone, vale a dire l'Europa come giocatore globale, mondiale sulla scena internazionale. Come dicevo, vi è mancanza di identità, una lontananza dei cittadini e dei popoli dal processo costituente, complessità e sovrapproduzione legislativa, abnorme potere di interpretazione concesso agli organi giurisdizionali (giudici interni, Corti costituzionali nazionali e, in ultima istanza, la Corte di giustizia), enorme rilevanza data alla Carta dei diritti (il grimaldello per destabilizzare tutte le Carte costituzionali nazionali; una vera e propria rivoluzione dei valori che è passata inosservata), la pervasività del livello comunitario rispetto ad ogni settore della vita economica e sociale, in barba al principio di sussidiarietà che è stato ridotto ad un protocollo aggiuntivo del Trattato stesso, la creazione di un sistema giudiziario della vicenda del mandato di arresto europeo che è esemplificativa. Un sistema che va ben aldilà degli scopi che si era prefisso, vale a dire, in primo luogo, quello della lotta e del contrasto del terrorismo internazionale, che pervade anche altri settori della giustizia come in nessun altro Stato federale, nemmeno negli Stati Uniti dove gli Stati che compongono la federazione hanno una loro autonomia giurisdizionale molto precisa rispetto alla giustizia federale. Vi è poi la speculare incapacità di adottare decisioni comunitarie strategiche nei campi della politica estera e della difesa. Il caso del seggio alle Nazioni Unite è veramente incredibile: dopo tutta la retorica sulla personalità giuridica dell'Unione europea, la Germania, spalleggiata dalla Francia, gioca una partita singolare per ottenere quel seggio nel Consiglio di sicurezza a scapito dell'Unione europea. Inoltre, vi è la non volontà di autodefinirsi culturalmente e geograficamente; da qui l'ambiguità rispetto all'ingresso della Turchia nell'Unione europea. Ebbene, tutti questi aspetti ci consentono di affermare che la nuova Costituzione risponde ai difetti degli Stati nazionali, incapace di fornire una risposta adeguata alle grandi sfide mondiali con una mole di difetti addirittura superiore a quella degli Stati nazionali, aggiungendo alle inefficienze di questi ultimi la negatività di un «super Stato» burocratizzato senza identità e senza coesione politica. Se questo è il quadro europeo, desolante è il quadro italiano. Pervasa dal furore europeista, la classe politica italiana - destra e sinistra, maggioranza e opposizione - contrabbanda la propria indifferenza e, a nostro avviso, anche l'incapacità di rapportarsi ai temi europei e internazionali, rispetto a quello che definisce un evento epocale, volendo esportare il modello italiano di non discussione negli altri paesi europei. La Francia da questo punto di vista, criticabile per alcuni aspetti, ci dà una grandissima lezione di democrazia: dibattito all'interno del partito socialista francese, annuncio del referendum popolare sulla questione del Trattato costituzionale, intervento molto deciso della Corte costituzionale francese. Dunque, un grande dibattito che attraversa la società francese, mentre in Italia nulla di tutto ciò. La nostra classe politica è vanitosa ed è timorosa soprattutto di confrontarsi con il passaggio referendario. Inesistente, tranne alcune voci - ne è testimonianza il nostro emendamento, una sorta di clausola di salvaguardia e di antiregressione rispetto ai principi fondamentali della nostra Carta costituzionale, che spero sia ammesso dalla Presidenza della Camera in modo che le ragioni della sostanza prevalgano sulle ragioni della forma -, il dibattito accademico e mancanti del tutto i meccanismi di reazione costituzionale. Sappiamo che la nostra Consulta non può intervenire preventivamente, ma almeno potrebbe far sentire la propria voce. Si modifica la Costituzione italiana in maniera radicale senza utilizzare i passaggi previsti dall'articolo 138 della Costituzione. Tra l'altro, non è stato registrato alcun intervento da parte della Presidenza della Repubblica nonostante il nostro gruppo, tramite una lettera inviata dal presidente Cè, l'avesse sollecitato. Anche i giornali e le televisioni hanno assolutamente snobbato l'evento, impedendo alla società italiana di partecipare in maniera compiuta al dibattito. Dunque, il Trattato non dovrebbe essere salutato con eccessivo fervore dalla Casa delle libertà. Qualcuno in questi mesi ha parlato di guerre culturali, intese come battaglie che uno schieramento deve condurre, vincere e trasportare sulla scena politica. Ebbene, se guerra culturale vi è stata sul Trattato europeo, la Casa delle libertà l'ha persa e anche malamente. L'ha persa quando ha lasciato ad un personaggio come Giuliano Amato la leadership intellettuale e progettuale del Trattato europeo. Si tratta di un personaggio che farebbe gestire la politica da un consiglio di amministrazione o, al massimo, da un centro studi. Ebbene, Amato è stato nobilitato dal centrodestra italiano con la qualifica di «padre costituente». Ma il centrodestra italiano, nella sua definizione più ampia, di schieramento che, anche dal punto di vista culturale e dei valori, dovrebbe far valere una nuova visione del mondo e della politica non ha fatto sentire la propria voce né il proprio protagonismo, al contrario di quanto sta facendo sulla vicenda molto più pragmatica della modifica al patto di stabilità. In proposito, il Presidente Berlusconi e il Governo italiano sono intervenuti con forza, smuovendo il dibattito su questo tema a livello europeo. Ebbene, il centrodestra ha scambiato un atteggiamento di conformismo con le solite formule e le solite definizioni - compromesso alto, punto di partenza e non di arrivo -, complice anche lo schieramento popolare europeo, incapace di portare avanti tale battaglia, facilitando così l'egemonia del pensiero socialista o progressista, che dir si voglia. Il caso Buttiglione e il mancato inserimento del riferimento alle radici cristiane nel preambolo confermano - semmai ve ne fosse bisogno - che il «collaborazionismo» non paga mai perché si finisce sempre per essere fucilati dal nemico. Ebbene, il filo comune che lega l'impalcatura del progetto europeo è sempre il solito: burocratizzazione; eccesso normativo; centralismo (altro che principio di sussidiarietà); laicizzazione, intesa come rifiuto di ogni riferimento a valori ed identità; individualizzazione delle relazioni, senza vincoli né sociali né di comunità in un modello di società dove ognuno fa quello che vuole ma che certo non è il nostro; predominio della magistratura sulla politica, vecchio sogno di stampo sovietico tramite i tribunali del popolo; diffidenza a concepire l'Europa come soggetto attivo anche nel campo della politica internazionale e militare, frutto di un approccio esclusivamente pacifista; negazione di una visione regionalista dei popoli - questa sì multiculturale - rispetto ad un globalismo che prevede l'immigrazione controllata nel continente europeo. Ebbene, a tutte queste sfide vinte della sinistra - questo dobbiamo ammetterlo, cari colleghi della Casa delle Libertà - il nostro schieramento ha contrapposto poco o nulla, accontentandosi di partecipare diligentemente alle convenzioni, ai dibattiti, alle prediche che non scaldano il cuore di nessuno e che non danno gli strumenti a tutti coloro che vorrebbero essere europei, parlando di identità, di valori e di comunità, e che invece si trovano schiacciati tra l'antieuropeismo di matrice inglese ed anglosassone - sostanzialmente filoamericano - e la minestra riscaldata della retorica. In conclusione, la Lega che nasce europea - un nostro vecchio slogan recitava «l'Europa delle cento bandiere delle cento nazioni» - contro il centralismo e le distorsioni degli Stati nazionali sente la mancanza di questa proposta politica alternativa e se ne vuole fare interprete nel Parlamento - speriamo che alcuni colleghi, in piena autonomia ed indipendenza, riescano a sostenere la nostra battaglia - e nella società, come vedremo dai prossimi interventi dei colleghi, della presentazione degli emendamenti e dalla dichiarazione di voto finale. Un'altra Europa è possibile! Dateci la possibilità e date ai cittadini di questo paese la libertà, con l'indizione di un referendum popolare confermativo, di dire la loro sul proprio futuro (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana e del deputato Selva).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lupi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, già l'onorevole Di Teodoro e, ancora più compiutamente nel prosieguo del dibattito, l'onorevole Michelini, capogruppo di Forza Italia presso la Commissione esteri, hanno espresso ed esprimeranno la posizione del nostro gruppo su questo momento, assai importante, che vede la ratifica del Trattato costituzionale dell'Unione europea. Ritengo - ed è per tale ragione che ho chiesto di intervenire - che la discussione in corso costituisca un passo importantissimo, come hanno sottolineato i colleghi che mi hanno preceduto, ed è importantissimo utilizzare questo spazio non soltanto per ratificare il Trattato costituzionale ma anche per andare alle radici della portata del Trattato costituzionale stesso e per chiedersi quale sia il significato fondamentale dell'Unione europea (un trattato costituzionale, infatti, dovrebbe rispondere proprio a questa domanda). Al fine di poter successivamente sviluppare in modo più libero il mio ragionamento, desidero fin d'ora evitare fraintendimenti. Non penso che questa Costituzione sia da buttare: anzi, sono certo che essa rappresenti un primo passo verso traguardi più ambiziosi. Sono profondamente convinto che il lavoro portato avanti dal Governo italiano durante il semestre di presidenza dell'Unione europea abbia impedito che si arrivasse ad un compromesso al ribasso. Va ricordato - ritengo si tratti del punto di partenza di tutte le nostre riflessioni - che mai nella storia delle nazioni paesi con lingue, culture e tradizioni proprie avevano deciso volontariamente di esercitare insieme la propria sovranità. Mai nella storia - lo ha ricordato anche il Presidente Berlusconi nel discorso pronunciato durante la cerimonia della firma del Trattato - i valori fondamentali della libertà e della democrazia hanno avuto un ruolo così importante nel legare il destino di centinaia di milioni di persone. Sono però altrettanto convinto che commetteremmo un grave errore si ci limitassimo a considerare l'Unione come una semplice entità economica o un grande territorio di libero scambio o, ancora, come una sorta di «super Stato». Come non essere d'accordo con Galli della Loggia, che, commentando sul Corriere della sera la scarsa partecipazione alle recenti elezioni europee, si domandava con rammarico: cos'altro deve succedere perché qualcuno cominci a sospettare che forse, per l'idea di Europa, sta ormai suonando la ventitreesima ora? Mi ha colpito molto leggere in questi giorni un testo che Norberto Bobbio scrisse come introduzione allo studio della Costituzione italiana per un libro scolastico in adozione negli anni ottanta. In quel testo Bobbio mostrava come la nostra Costituzione fosse la risultante, nei suoi principi ispiratori, della sintesi di quattro idee cardinali: quella liberale, quella democratica, quella socialista e quella propria del cristianesimo sociale. Si tratta di idee fondate su principi quali il valore assoluto dell'individuo e l'eguaglianza anche sociale ed economica. Credo non vi sia modo migliore, dovendo ratificare un Trattato costituzionale, che andare al fondo della questione, domandandosi e domandandoci: quali sono le idee cardine, i principi e i valori fondatori di questa Costituzione europea? In parole più semplici, qual è l'identità dell'Europa che vogliamo costruire? Evitare queste domande, ne sono convinto, significa dar vita ad un'Europa senza anima, destinata ben presto a morire. La questione, a mio avviso, diventa ancora più urgente se pensiamo che la Comunità si è recentemente allargata a dieci nuovi paesi, e nel futuro si ingrandirà ancora. È lecito quindi domandarsi: cosa offriamo, come paesi fondatori di questa Comunità, ai nuovi membri che chiedono di entrare? Quale progetto, quale idea di Europa? Può bastare un'unità economica a garantire il nostro futuro? Credo di no. Ritengo, al contrario, che l'ordinamento europeo, per essere veramente incisivo, non possa rinunciare a tutelare i grandi valori della nostra civiltà: la dignità della persona, la sacralità della vita umana, il ruolo della famiglia, l'importanza dell'istruzione, la libertà di pensiero, di parola e di professione delle proprie convinzioni e della propria religione, la tutela legale dell'individuo e dei gruppi, la collaborazione di tutti per il bene comune, il lavoro considerato come un bene e la politica intesa come servizio. Qual è la nostra idea di Europa? Questa è la nostra idea di Europa, la stessa grande idea nata nella mente di tre statisti del secolo scorso: Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman. Scrisse Adenauer, parlando di quel periodo: consideravamo meta della nostra politica estera l'unificazione dell'Europa, in quanto unica possibilità di affermare e salvaguardare la nostra civiltà occidentale e cristiana contro le furie totalitarie. La costruzione dell'Europa, dunque, fa parte della nostra storia, e oggi, con la ratifica del Trattato costituzionale, diventa una certezza per il nostro presente e un investimento per il futuro. Ciò nonostante, credo sia lecito domandarsi se quel principio ispiratore che mosse De Gasperi, Schuman e Adenauer sia ancora valido. Certo, le furie totalitarie sono definitivamente tramontate, anche se in alcune parti del mondo sopravvivono e vengono osannate come esempi di buon governo, ma con esse non è tramontata l'idea di affermare e salvaguardare la nostra civiltà; allora, cari colleghi, domandiamoci: come è possibile questo, oggi? Non presterò il fianco a coloro che si crogiolano nel sogno di uno scontro perenne tra civiltà, ma mi limiterò a fare delle osservazioni. Mi sembra fin troppo evidente che oggi la nostra società si trovi ad affrontare questioni che fino a qualche anno fa erano assolutamente marginali. Credo che ognuno di noi possa farsi portavoce delle preoccupazioni e delle domande di cittadini che guardano impotenti ai cambiamenti repentini nella nostra sanità; il costante aumento dell'immigrazione, ad esempio, ha trasformato i nostri vicini in coinquilini e questo non può lasciarci indifferenti; il fatto che minoranze consistenti chiedano sempre più insistentemente la possibilità di professare il proprio culto e di veder rispettate le loro tradizioni è un problema che oggettivamente non esisteva cinquant'anni fa. Questa pressione costante ha spinto i nostri Governi a cercare, piuttosto che il muro contro muro, la strada del dialogo ed è proprio da qui, secondo me, che nasce il problema! Il Presidente Pera ha fatto una lucidissima analisi nel suo ultimo libro scritto a quattro mani con il cardinale Ratzinger dal titolo emblematico Senza radici. Ebbene, il Presidente Pera identificava il male dell'Occidente nel termine «relativismo», cioè nell'idea secondo la quale non vi sarebbero buone ragioni per giudicare culture o civiltà. Pera la definisce come una forma di autocensura che - cito testualmente - «si nasconde sotto le vesti di quello che si chiama solitamente "linguaggio politicamente corretto", il quale è una sorta di "neo-lingua" che l'Occidente oggi usa per ammiccare, alludere, insinuare, non per dire o affermare o sostenere». Eccoci al dunque: l'Occidente è incapace oggi di affermare sé stesso. Questo rende impossibile qualunque dialogo: «se - scrive ancora Pera - relativisticamente una verità equivale all'altra, a che scopo il dialogo?» Mi sembra chiaro che questa Costituzione, che ci apprestiamo a ratificare, o ha lo scopo di dire chi siamo senza relativismi o formule politicamente corrette, oppure rischia di non essere utile. Vogliamo veramente accontentarci di una Unione chiusa in confini determinati, governata dalla burocrazia? Oppure vogliamo un'Europa che rappresenti e affermi la nostra identità? Credo che quest'ultimo debba essere il nostro intento e per questo sono convinto che sia giusto domandarsi: ma noi chi siamo? Scrive ancora De Gasperi: «La società europea, nonostante molte deviazioni e frequenti contrasti, riconosce che le sue origini, il suo corso, le sue evoluzioni, la portarono a collocare al suo centro non lo Stato, non la collettività, ma l'uomo, la persona umana. Qui la concezione cristiana e quella umanitaria si fondono e sono confortate dalla storia». Aggiunge Schuman: «Tutti i paesi dell'Europa sono permeati dalla civiltà cristiana; essa è l'anima dell'Europa che occorre ridarle»; oppure un noto storico inglese, Christopher Dawson: «Il cristianesimo costituisce la civiltà alla quale noi tutti in qualche modo apparteniamo». Potrei andare avanti per ore, citando coloro che riconoscono nel cristianesimo l'origine della civiltà europea, ma credo che la formula più persuasiva e sintetica resti il «non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce, e, per quel poco che ho studiato e conosco Croce, credo che il problema non fosse una adesione ideologica al cristianesimo, ma innanzitutto il riconoscimento di ciò che il cristianesimo nei fatti e nella storia del nostro paese aveva costruito. Era una constatazione proprio da mente aperta, da mente liberale, di che cosa accadeva ed era accaduto nella realtà e nella storia del nostro paese. Si è molto discusso in questi anni dell'opportunità o meno di inserire nel preambolo di questa Costituzione uno specifico riferimento alle radici giudaico-cristiane dell'Europa; molti, sbagliando, hanno ridotto la questione ad una battaglia tra laici e cattolici. Alla fine, nessun riferimento esplicito è stato inserito e - ne sono convinto - è stato un errore! Il problema, infatti, non sta tanto nel riconoscimento dei valori cristiani come sistema ideologico da opporre, ad esempio, a quello islamico, ma nel riconoscimento di una tradizione vivente senza la quale la nostra società, e quindi la nostra Europa, perderebbe di significato. Alcuni hanno citato in questo dibattito il preambolo della Dichiarazione di indipendenza americana che recita testualmente: «Noi crediamo che queste verità siano evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali e dotati dal loro creatore di diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità». Cosa recita il preambolo del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa? «Ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa»: niente da eccepire, ma quali sono queste eredità? La Costituzione, tanto dettagliata e pignola, non lo dice. Eppure, sono certo che, nonostante non vi sia menzione alcuna delle radici giudaico-cristiane, questa Costituzione - l'ha detto il collega Maccanico nel suo intervento, citando il cardinale Silvestrini - sia comunque il frutto della civiltà cristiana, della cultura cristiana. Non potrebbe essere altrimenti, visto che cristiana e di essenza evangelica era, secondo De Gasperi, la democrazia: il cristianesimo - osserva lo statista - introduce nella vita spirituale dell'uomo lo sforzo verso la perfezione, cioè lo sforzo di liberazione interiore; e questo si riflette anche nella vita sociale e trova modo di espandersi nel regime di libera democrazia. Sarebbe estremamente azzardato sostenere che la Costituzione per l'Europa nasce al di fuori della democrazia. E proprio perché non nasce al di fuori della democrazia, pur non avendola riconosciuta esplicitamente, trae le proprie radici ed il proprio fondamento dalla predetta cultura. Il Trattato, che lo stesso Valéry Giscard d'Estaing ha definito un testo imperfetto, ma insperato, è - questo è un grande risultato positivo - il certificato di nascita di un'Europa che assegna una posizione centrale alla persona e che riconosce il valore di principi quali la libertà, la solidarietà e la sussidiarietà. Ritengo che questa rappresenti un'ottima base di partenza su cui è possibile costruire il nostro futuro. Per questo il Trattato va ratificato, a patto che, come ha affermato il Presidente Berlusconi, venga supportato da un impegno, continuamente rinnovato, tanto dei cittadini quanto dei Governi. Ciò significa tener conto anche degli apporti di coloro i quali, pur non condividendo, come gli «euroscettici», l'impostazione della Costituzione, danno un contributo alla sua stessa essenza (qui si innesta, secondo me, il grande contributo che anche la Lega e Rifondazione comunista stanno dando al dibattito, nonostante la loro posizione contraria). Sta alla nostra responsabilità di Governi che hanno voluto il Trattato capire che esso va costruito e che tale processo di costruzione necessita del contributo di tutti, compresi quelli che, oggi, sono «euroscettici», soprattutto se gli interventi di costoro contribuiscono - ed hanno, di fatto, contribuito - a far nascere un dibattito serio che ha a cuore i contenuti e non le contrapposizioni ideologiche. Mi rivolgo, in particolare, agli amici della Lega: se il dibattito per l'ingresso della Turchia nell'Unione europea non è una contrapposizione ideologica, ma un'occasione per costruire di più l'Europa e la sua identità, ben venga! La strada da percorrere è ancora lunga. Le nazioni europee sono chiamate a compiere uno sforzo ulteriore per integrarsi sempre più sul piano politico ed economico ed agire insieme in una serie di ambiti vitali come, ad esempio, la politica estera. Bisogna dar forza politica al Trattato costituzionale per costruire un'Unione che possa diventare veramente protagonista sul palcoscenico internazionale. L'Europa - noi tutti ne siamo convinti - non può essere solo un'alleanza economica: l'Europa vuole e deve essere, innanzitutto, un'Unione. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bogi. Ne ha facoltà.
GIORGIO BOGI. Signor Presidente, penso che il giudizio sul Trattato in discussione debba essere espresso tenendo conto anche delle ipotesi di ruolo politico dell'Unione europea e del contesto politico nel quale essa si trova ad operare. D'altro canto, credo sia sotto gli occhi di tutti noi che le condizioni che portarono all'obiettivo di unificare gli Stati europei si sono profondamente modificate. Il problema che abbiamo, quindi, è quello di capire se nel contesto politico, di molto modificato, restino elementi coerenti con quelli iniziali ovvero come questi si siano evoluti e condizionino ora il comportamento dell'Unione europea. Nell'immediato dopoguerra, gli elementi che portarono alla proposta di un'Unione furono diversi: il superamento del nazionalismo autoritario, causa della seconda guerra mondiale; la pressione sovietica che le nazioni europee democratiche consideravano pericolosa (ritennero, dunque, opportuno cercare di unirsi per resisterle, collegati con gli USA); la considerazione della perdita di peso dei singoli Stati europei nei confronti dei due grandi paesi dell'epoca, l'Unione sovietica e gli Stati Uniti; la necessità di costituire almeno un'area regionale economica per riproporre i meccanismi di sviluppo unificando la dimensione del mercato nazionale. Inoltre, l'età dell'industrializzazione, diciamo così, a cui presto sarebbe subentrata quella della globalizzazione, proponeva scambi commerciali internazionali di molto rafforzati e complessi. In questo contesto, nasce e si sviluppa l'idea dell'unione fra Stati europei. Nell'ultima decade del 1900 queste condizioni si modificano tanto da indurre a riconcepire il ruolo dell'Unione europea come soggetto politico. Certamente, il pericolo dei nazionalismi autoritari scompare, restano resistenze nazionalistiche (vi sono stati esempi anche clamorosi) legate però ad interessi particolari dello Stato non certo ad ideologie gravi, come quelle dei totalitarismi del novecento europeo; cade la minaccia sovietica; in tale periodo, l'età dell'industrializzazione viene sostituita da quella della globalizzazione, dove lo scambio a livello mondiale, non solo economico, ma anche culturale e civile, diventa il dato di cui inevitabilmente ognuno dovrà tener conto. Il primo dato che emerge da questi avvenimenti dell'ultima decade del ventesimo secolo è la attenuazione rilevante del ruolo e della posizione centrale dell'Europa. In fase di guerra fredda, l'Europa è contesa dell'Unione sovietica e dagli Stati Uniti d'America. Con il crollo della potenza sovietica, questo rilievo si modifica: gli Stati Uniti ormai guardano anche al Sudamerica e all'Asia. Il ruolo dell'Europa si indebolisce anche per l'indebolimento del suo modello economico-sociale. È un cambiamento di rilevante portata che modifica il contesto dell'obiettivo dell'unione di Stati europei. Nel primo periodo Spinelli, tra gli altri, persegue l'ipotesi di soluzione federale e concepisce l'idea che inizi da un vero e proprio nucleo politico: gli aspetti economici seguiranno. Molto si è parlato, nei dibattiti sulla politica estera contemporanea, del ruolo della Francia nella difesa del Europa. Però verso la metà degli anni Cinquanta, il percorso politico della Comunità europea è stato interrotto dal voto contrario sulla CED da parte della Francia. Il percorso politico non diviene più prioritario e sopravviene la cosiddetta tesi funzionalista di Monnet: individuiamo aspetti e problemi particolari anche rilevanti, risolviamoli e da questa soluzione torneremo al problema del ruolo politico. Il problema dell'Europa di conservare, nelle condizioni modificate, forza e ruolo politico è rimasto. E come può affrontarlo l'Europa? E, da questo punto di vista, che cosa significa l'allargamento dell'Unione ai paesi dell'Est europeo? Certamente, si collega con il problema della costruzione di un grande mercato (450-500 milioni di uomini), certamente è connesso con la vitalità di questi paesi, oggi meno sviluppati, che si impegnino a crescere economicamente. Vi è però un altro dato: il crollo dell'Unione Sovietica ha creato un vuoto politico nell'Europa dell'Est e l'espressione di una difficoltà economica. Chi meglio dell'Unione europea può farlo, anche in considerazione dei problemi di equilibrio internazionale? Apre dei problemi in politica agricola, nell'uso del Fondo regionale, sociale, di coesione, ma il dato politico è questo: l'Europa comincia a ricostruire una parte del suo ruolo. Vi è un altro aspetto, che è curioso quanto il provincialismo politico italiano riesca a non considerare: la ricostruzione del ruolo politico dell'Europa come attore internazionale può prescindere dall'occasione dell'ingresso della Turchia nell'Unione? Portarsi ai confini dell'area medio-orientale e realizzare un rapporto con «l'area musulmana» non solo per l'immigrazione è per l'Unione europea una funzione di grande peso, certo gravosa, ma incidente nell'equilibrio mondiale. Non mi trattengo di più su questo, ma ci sono aspetti politici che richiedono conoscenza effettiva della realtà e cultura che postuli il rispetto, per dare ai problemi che essa ci presenta delle soluzioni. È altresì chiaro che l'Unione europea si trovi di fronte ai problemi del nuovo ordine mondiale, al terrorismo, al problema dei grandi squilibri sociali e della povertà. La possibilità di far valere in futuro il ruolo della cultura europea va riferito alla condizione che l'Unione europea sia, in quanto tale, un attore politico nello scacchiere internazionale. Un altro aspetto attiene alla evoluzione del modello economico e sociale dell'Unione, che, per quanto lo si voglia elogiare, in questo periodo, è un modello a scarso sviluppo, che ha in sé il problema della disoccupazione: non è un modello di grande capacità competitiva nel mondo. Prima il collega Maccanico rifletteva sul momento in cui la Cina entrerà nell'equilibrio della grande politica internazionale: cosa accadrà se il nostro modello economico-sociale non riprenderà una sufficiente capacità di sviluppo? Che cosa suffraga l'opinione di diversi colleghi che l'Unione europea, in quanto tale, diverrà una superpotenza economica e, in quanto super potenza economica, svilupperà una sua politica largamente autonoma nell'equilibrio internazionale? Onestamente, ad oggi, nessuno di noi può promettere che l'Europa, dato il suo modello economico e sociale, che ha espletato, anche nel passato recente, funzioni di grande rilevanza, diventi una super potenza economica. Un mercato interno di 500 milioni di esseri umani è un fatto importante ma non basterà a fronte di una competitività molto forte di altri attori internazionali. Il problema del ruolo politico dell'Unione europea è legato a due estremi principali: in primo luogo, la questione istituzionale, cioè come la costituzionalizzazione dell'area politica europea, alla quale ci riferiamo, consente e spinge il ruolo di attore politico dell'Unione europea. Certo, possiamo dolerci per il mancato raggiungimento dell'obiettivo dell'unione federale, per il mantenimento dell'unanimità di voto su una lunga serie di settori, che effettivamente non condividiamo, per la mancanza di sufficiente unità della politica fiscale, e molto altro si potrebbe dire, ma il dato fondamentale è che se noi prescindiamo da questo Trattato nella costruzione del processo di costituzionalizzazione dell'area politica europea, alla quale apparteniamo, noi non faremo nessun passo in avanti. Possiamo criticarlo, ma la mancata approvazione di questo Trattato costituirebbe l'arresto del processo europeo che tenta la configurazione di un grande attore politico internazionale. Quindi, ribadisco, molte sono le osservazioni possibili ma, in realtà, una fa premio su tutto: il voto contrario alla ratifica del Trattato significa l'arresto della costruzione del ruolo internazionale dell'Unione europea e, quindi, di un soggetto che, anche se non potesse ambire ad una posizione di superpotenza nei prossimi 10-15 anni, resterà pur sempre un attore di grande importanza; un attore che, legittimamente può avere grandi ambizioni anche per la peculiarità della sua cultura. L'altro elemento da considerare è la questione economico-sociale. Questione indubbiamente complessa in quanto non si tratta superficialmente di valutare se il modello americano possa essere applicato in quanto tale, all'area europea. Nulla però ci consente di sfuggire ai problemi di come restituire competitività sufficiente al nostro sistema. Da alcuni viene criticato il testo della Costituzione dell'Unione europea perché impostato su concezioni liberiste, perché vengono compressi i diritti sociali. Le ritengo infondate, ma comunque resta acquisito che, se il sistema economico non produce ricchezza sufficiente, la capacità di finanziare i servizi pubblici di interesse generale si contrae. Non si può porre astrattamente la questione del diritti sociali, cioè senza essere attenti ai problemi dello sviluppo economico ed alla ricchezza necessaria per dare copertura a tali diritti. La dirigenza politica può assumere l'onere della ridistribuzione della ricchezza prodotta ma, in assenza di una quantità sufficiente, il potere politico, anche se ben intenzionato, avrà ben poco da ripartire. L'obiezione della compressione dei diritti sociali mi sembra curiosa: occorre, semmai, chiarire con quali risorse saranno garantiti e questo costituisce uno dei nodi rilevanti del dibattito in atto all'interno delle forze della sinistra in area europea. Bisogna sfuggire al provincialismo ed alla retorica; ho sentito l'intervento dianzi svolto dal collega della Lega con il riferimento retorico alle mille bandiere e devo osservare che bisogna sforzarsi di tenere presente la dimensione effettiva della politica. Se posso fare un riferimento alla cultura democratico-liberale, alla quale appartengo, l'analisi della realtà e gli strumenti per approntarne il governo sono il dato iniziale del lavoro politico. Immaginare che la realtà possa essere ignorata o schiacciata da pregiudizi è l'errore compiuto per decenni dalle forze politiche, anche da quelle di sinistra. Signor Presidente, concludo il mio intervento con alcune brevi considerazioni; la questione europea riguarda, anzitutto, il modo in cui l'Unione europea si struttura ed opera al suo interno, ma anche, inevitabilmente, quali debbano essere le necessarie alleanze esterne per giocare un ruolo sullo scacchiere internazionale, a meno che non si immagini che l'affermazione pregiudiziale della unicità della cultura europea basti ad avere un ruolo politico. La politica, al di là di quanto ritiene il Presidente del Consiglio dei ministri, non è fatta di scelta pregiudiziale del bene o del male, ma consiste, piuttosto, nella capacità di apprestare soluzioni concrete, risorse e strumenti che consentano di perseguire gli obiettivi indicati. Insomma: non basta il riferimento alla originalità della cultura europea. Al riguardo, si pone a mio avviso il problema della questione occidentale e della capacità dei paesi che si riconoscono nella cultura dell'Occidente di intervenire sui grandi problemi del mondo: la pace, il grande squilibrio economico-sociale, i tentativi di dare logica di governo all'ordine mondiale. Ritengo che prescindere dalla questione occidentale nel tentare di approntare una soluzione sia un errore prima culturale e poi politico (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, voglio riferirmi, nell'iniziare questo mio intervento, ad un fatto che, a mio modo di vedere, è stato ed è molto sintomatico e consente di mettere in evidenza la ragione di fondo del nostro dissenso e del nostro voto contrario all'approvazione della ratifica. Si tratta dell'enorme distanza tra la firma del Trattato e la sovranità popolare. Mi riferisco alla firma del Trattato in esame, qui a Roma, nell'ottobre scorso. In un Campidoglio blindato e isolato dalla città, infatti, i venticinque paesi membri dell'Unione europea hanno sottoscritto il documento denominato «Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa». Credo che quella Roma, militarizzata come raramente è avvenuto nella sua storia, abbia costituito la rappresentazione metaforica della distanza, anche fisica, esistente tra le alte parti contraenti, vale a dire gli Stati, ed i popoli. Ritengo che la vita dell'Unione europea si trovi oggi ad un bivio. Il metodo funzionalistico dell'integrazione tramite il mercato - perché questa è la cifra di fondo del percorso che oggi si conclude con la ratifica del Trattato in esame - non è stato in grado di mettere in moto un reale processo di integrazione politica, vale a dire creare un'autentica Europa dei cittadini e delle cittadine. Mi riferisco, insomma, ad una vera società sovranazionale, che soltanto un reale processo costituente, per il tramite di un'autentica Assemblea costituente nata dal voto e, soprattutto, dal propedeutico coinvolgimento, dibattito e impegno civile di donne e uomini dell'Europa, avrebbe potuto consentire. Credo che si sia voluta perdere una grandissima occasione per fare del nostro continente una grande risorsa di democrazia, di pace, di giustizia sociale e di solidarietà internazionale. Affermo ciò per sottolineare, con forza, che il nostro voto contrario non significa affatto la contrarietà all'unificazione dell'Europa; anzi, è esattamente il contrario. Infatti, esprimiamo un giudizio così nettamente negativo proprio in ragione dell'importanza strategica, politica e culturale che attribuiamo al progetto di un'Europa unificata. Ritengo, infatti, che vi sia bisogno non soltanto in Europa, ma anche nel mondo di un grande progetto di un'Unione europea, ispirata ai criteri di fondo che ho precedentemente indicato, quale alternativa a quell'ordine mondiale unipolare che produce le dinamiche terribili cui stiamo assistendo, le cui conseguenze potranno essere, nei prossimi anni, ancora più terribili. Vorrei ricordare il Consiglio europeo riunitosi a Laeken il 14 e 15 dicembre 2001, quando, in una dichiarazione sul futuro dell' Unione europea, si prendeva atto che l'Europa dei quindici, destinata in breve tempo ad allargarsi a dieci nuovi paesi, si trovava di fronte ad un crocevia in un momento cruciale della sua esistenza. Tale dichiarazione affermava, altresì, che si stava chiudendo, con quell'atto, uno dei capitoli più foschi della storia europea: la seconda guerra mondiale e la successiva spartizione artificiosa dell'Europa. L'Europa - proseguiva ancora la dichiarazione di quel Consiglio europeo - era in procinto di diventare, senza spargimento di sangue, una grande famiglia. Si trattava di un vero cambiamento, che richiedeva, chiaramente, un approccio diverso da quello adottato cinquant'anni prima, quando i sei paesi fondatori avviarono il processo di integrazione. Per questo motivo, veniva istituita una Convenzione, presieduta da Giscard d'Estaing, per aprire una via verso una Costituzione per i cittadini europei. Ad essa si ponevano domande chiave: la semplificazione ed il riordino dei trattati devono condurre ad un testo costituzionale? Quali sono gli elementi di base di tale legge costituzionale? Il nome stesso di «Convenzione» era fortemente evocativo di un processo costituente che avrebbe dovuto spingere - a nostro giudizio vi erano alcune potenzialità in tal senso - alla definizione di una Costituzione, all'attivazione di una forte e decisiva fase costituente in cui l'Europa, grazie al coinvolgimento ed alla partecipazione democratica dei suoi popoli, non soltanto superasse le tragedie del passato - come auspicava la dichiarazione di Laeken -, ma disegnasse il contesto del suo nuovo ruolo nel mondo globalizzato della contemporaneità. Tutto ciò non è avvenuto. Abbiamo assistito, via via, ad un sempre maggiore potere tecnocratico delle autorità economiche forti europee nella definizione dell'orizzonte di detta unificazione europea. Credo che la differenza tra ciò che poteva avvenire e ciò che è avvenuto sia identificabile anche nel titolo del testo che stiamo esaminando in questa sede, ossia nell'assoluta incompatibilità tra i due termini: il Trattato e la Costituzione. La Costituzione rappresenta un atto di diritto interno, attraverso cui si manifesta la volontà costituente espressa dal popolo. Il Trattato, invece, è un atto di diritto internazionale, attraverso il quale gli Stati regolano i loro rapporti. In effetti, le alte parti contraenti di questo Trattato europeo continuano ad essere gli Stati. In teoria, gli Stati avrebbero potuto, attraverso un patto stipulato tra loro, dare vita ad una Costituzione, ossia attivare un meccanismo processuale costituente. Come è stato rilevato da vari studiosi di questioni costituzionali su scala europea, ciò sarebbe potuto avvenire solo con l'esaurirsi del primato degli Stati nella decisionalità politico-istituzionale e con l'affidare le decisioni politiche alla nuova realtà istituzionale. In altre parole, gli Stati non avrebbero più dovuto essere i «signori dei trattati». Al contrario, il Trattato nasce proprio dalla pretesa degli Stati di arrogarsi il potere costituente, di non cedere sovranità, continuando a riservarsi, con il medesimo Trattato, il ruolo centrale nel processo legislativo ed in quello di revisione. Il Parlamento di Strasburgo ha, negli anni passati, via via accresciuto le proprie competenze, fino a dotarsi di un vero e proprio potere di veto nella ormai stragrande maggioranza dei campi di intervento. In realtà, esso è privo dell'iniziativa delle leggi, riservata alla Commissione europea, nominata dai Governi. Il soggetto centrale degli atti legislativi rimane il Consiglio dei ministri, nelle sue varie formazioni. Il soggetto centrale delle decisioni politiche è il Consiglio europeo, ossia la riunione dei Capi di Stato e di Governo. Sostanzialmente, vi è, quindi, una concentrazione dei massimi poteri nelle mani dei rappresentanti degli Stati. Lungi, dunque, dall'esaurirsi, il metodo intergovernativo rimane centrale nelle procedure decisionali. Ciò inficia fortemente il carattere fondamentale che potrebbe assicurare un reale processo di integrazione politica, sociale e culturale dell'Europa, ossia il coinvolgimento, come dicevo in precedenza e come è stato rilevato anche nell'intervento del collega Mantovani, delle popolazioni, delle cittadine e dei cittadini del nostro continente. L'altro grande elemento di lontananza dalle preoccupazioni popolari dell'Europa (oltre a quello fondamentale riguardante il metodo, la concezione della partecipazione, della decisionalità democratica dei cittadini e delle cittadine) concerne i contenuti sociali, i contenuti politici e i contenuti strategici del Trattato. In realtà, siamo di fronte a un processo costituente regressivo per la costituzione di un'Europa dei poteri forti e delle tecnocrazie; il che non significa, ovviamente, la possibilità che tutto ciò si traduca nella costituzione di una superpotenza economica: il nostro non è un ragionamento di semplificazione così automatico. Il problema è vedere le forze in campo, le dinamiche e le prospettive. Siamo di fronte a un processo costituente regressivo per evidenti motivi: è un processo costituente, perché la guerra preventiva e permanente sta sovvertendo le relazioni sociali, istituzionali ed anche etiche e personali, con una presenza tracimante del bellicismo e della violenza di cui siamo spettatori ormai quotidianamente. Il potere delle armi cerca di imporre la legge del più forte, la superpotenza statunitense detta le regole della convivenza, per così dire, internazionale. Allora, di fronte a ciò, l'Europa del Trattato appare assolutamente subalterna, muta, incapace di trovare strade realmente alternative per disegnare concretamente un contesto di relazioni internazionali e un assetto di poteri tali da rappresentare un'alternativa. Ed è un processo regressivo, perché, innanzitutto, indotto e modellato dalle classi dirigenti, che si propongono di organizzare l'intera società secondo gli interessi dell'impresa e del mercato. Questo è il punto nodale, e non l'ambizione ad essere una superpotenza economica. Potrà essere il risultato di scontri e di processi più generali, ma il vero problema è che quella che emerge è l'Europa dell'impresa e del mercato, dove la politica non è più neppure mediazione di interessi e contenimento dei conflitti, bensì la prosecuzione dell'economia con altri mezzi. E tra questi mezzi primeggia di nuovo la guerra.
ELETTRA DEIANA. Nel Trattato costituzionale la pace non è tra i valori fondamentali, mentre si affida al Consiglio europeo, cioè al consesso dei capi di Stato e di Governo...
PRESIDENTE. Onorevole Deiana...
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Come dicevo, si affida al consesso dei capi di Stato e di Governo il compito di delineare gli interessi e gli obiettivi strategici dell'Unione. L'Europa, potenza e fortezza, si ripresenta sulla scena mondiale, dove essa potrà compiere addirittura missioni di guerra preventiva, forte anche di una nuova agenzia degli armamenti. La parte III, con gli articoli 193, 194, 210 e 212, è assolutamente significativa da questo punto di vista. Il movimento pacifista, molti democratici, avevano chiesto l'assunzione dell'articolo 11 della Costituzione italiana - e cioè il ripudio della guerra -, il che sarebbe stato un fondamentale segnale della collocazione di questa Europa nel contesto della politica internazionale, così violentemente segnato dal ritorno del primato della guerra come elemento conduttore della politica. Così non è stato. La pace e il ripudio della guerra non costituiscono una delle barre fondamentali del Trattato. Così come non rappresenta una delle barre di questo Trattato e, quindi, del futuro dell'Europa la solidarietà sociale. Basti pensare all'allargamento ai nuovi dieci paesi, di cui otto dell'ex blocco sovietico, che costituiscono una nuova frontiera, con tutti i problemi sociali drammatici e le disuguaglianze che ciò comporta nel quadro europeo e l'assoluta mancanza di direttive e di punti discriminanti per ricostruire le condizioni di una solidarietà sociale su scala europea.
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, sta parlando molto oltre il suo tempo.
ELETTRA DEIANA. Finisco dicendo poche altre cose...
PRESIDENTE. È già due minuti oltre...
ELETTRA DEIANA. Allora, per ricapitolare, il nostro voto contrario è dovuto alla mancanza di forma e di sostanza democratiche, quindi alla sottrazione a quella fase costituente che avrebbe permesso un salto di qualità nel processo di integrazione e di unificazione europea, e alle grandi questioni di contenuto sociale e di prospettiva politico-strategica in merito alla collocazione internazionale dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
LAURA CIMA. Mi pare che stiamo assistendo ad un dibattito finalmente non rituale e ciò mi fa molto piacere, anche se rilevo, in particolare, che i tre interventi della maggioranza, tutto sommato, hanno focalizzato l'attenzione sul problema dell'identità giudaico-cristiana e della mancata affermazione di questo riconoscimento. L'intervento dei colleghi della Lega ha riguardato la paura di questa Costituzione e dell'allargamento ulteriore dell'Europa rispetto alla Turchia. Si tratta di un atteggiamento che giudico gravemente difensivo e che non promette molto di buono rispetto al mondo in cui il Governo saprà gestire il processo che si apre dopo questa ratifica, che sono sicura il Parlamento adotterà a stragrande maggioranza. Non posso entrare nel merito di tutto l'articolato per questioni di tempo, tuttavia chiederò di poter integrare il mio intervento in modo da evidenziare come il convinto voto favorevole a questa Convenzione che la sottoscritta e il collega Boato esprimeranno è lo stesso che hanno espresso i Verdi europei, ossia un voto convinto ma aperto ad un ulteriore processo, che inizieremo subito con la presentazione di un emendamento di modifica nella direzione in cui avremmo voluto che andasse questa Costituzione. Quindi, il mio è un sì critico, profondamente critico, perché condivido anche tutte le motivazioni dei colleghi di Rifondazione comunista, che hanno detto sorprendentemente di voler votare contro tale ratifica perché questa Costituzione presenta una serie di limiti e di ombre, che la collega Zanella ha già esplicitato nel suo intervento e che non voglio ripetere perché vorrei evidenziare la nota di ottimismo che ci porta a votare in senso favorevole. La posizione dei Verdi europei e italiani è stata sempre federalista, e per questo abbiamo presentato un ordine del giorno, che costituisce un ulteriore punto di articolazione del mio intervento, insieme al movimento federalista europeo, della cui associazione dei parlamentari mi onoro di essere la fondatrice. Quindi, chiedo un consenso più ampio su questo ordine del giorno. Il contesto in cui nasce il Trattato costituente è quello dell'unilateralismo USA giocato con le guerre, in particolare quella dell'Iraq, che ha determinato gravi lacerazioni, sia nell'Unione europea sia all'interno dell'ONU, che adesso diventa difficile ricomporre. Peraltro, la guerra in Iraq si è rivelata senza fondamento perché le armi di distruzione di massa, motivo per cui era stata dichiarata, non sono state trovate. Il collega Maccanico ha ricordato molto bene che nel mondo sta crescendo - come abbiamo visto nel WTO - il G22, un nuovo raggruppamento di paesi guidato da Cina, India e Brasile, che si è opposto alla miope politica protezionistica non solo degli Stati Uniti ma anche dell'Unione europea. Dobbiamo rapidamente correggere tale politica se vogliamo giocare un ruolo forte a livello internazionale nonostante i limiti del Trattato e la debolezza che esso assegna ad una figura importante come quella del ministro degli esteri.
LAURA CIMA. Mi fa ben sperare, in merito al fatto che il processo reale sia più forte del processo istituzionale, la posizione che il Parlamento europeo ha assunto nel rimandare a casa la prima Commissione Barroso ed anche il ministro Buttiglione - in tale vicenda non abbiamo fatto una bella figura - allora presentatosi come possibile commissario. Non c'era ancora nessuna ratifica ma il Parlamento europeo ha espresso una forza che non ha mai avuto nei confronti delle precedenti Commissioni. Questo significa che il processo messo in atto con la Convenzione - che, certo, non è l'Assemblea costituente che avrebbe voluto Rifondazione comunista - è stato un momento di ampia democrazia nonostante la volontà degli Stati di modificare il prodotto della Convenzione in un trattato costituzionale molto più debole e limitato. Vorrei sottolineare i punti di forza perché è vero...
PRESIDENTE. Onorevole Cima, mi dispiace ma deve concludere.
LAURA CIMA. Signor Presidente, concludo. Volevo ricordare che il Trattato è stato firmato dopo il fallimento del semestre italiano. La definizione del Trattato costituzionale in tale semestre avrebbe permesso una consultazione europea insieme al voto per il Parlamento europeo. Comunque, è nato dopo il terribile attentato terroristico di Madrid e, quindi, con la coscienza che a livello internazionale dovevamo giocare un ruolo molto forte. Credo che tale auspicio sia il punto fondamentale per cui oggi dobbiamo dire «sì» ad un trattato che non ci convince per i motivi suddetti. Mi riferisco alla forza degli Stati, alla poca rilevanza dei popoli ed al poco coinvolgimento dovuto soprattutto alla mancanza del referendum (abbiamo presentato in I Commissione un progetto di referendum anche italiano che si sta discutendo). Inoltre, vi è il problema della non identità pacifica perché l'Agenzia per gli armamenti contraddice quanto abbiamo chiesto: il ripudio della guerra, l'affermazione forte della pace e, quindi, corpi civili di pace come quello che il nostro Langer per primo portò ad approvare in Parlamento europeo. Tuttavia, abbiamo tenuto fuori, ad esempio, l'Euratom ed i Verdi europei da questo Trattato. Vi sono una serie di elementi positivi ed anche il mercato, in seguito all'importante riconoscimento ed all'integrazione dei diritti della Carta di Nizza che vengono inseriti (hanno un aspetto sociale), viene, in qualche misura, ridimensionato, anche se poi è ovvio che sono le politiche di sviluppo (compatibili o meno con l'ambiente, anche dal punto di vista sociale) a portare avanti l'Europa, gli Stati europei e che determineranno il significato e l'affermazione di questi diritti. In conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente in base ai consueti criteri. È iscritto a parlare l'onorevole Didonè. Ne ha facoltà.
GIOVANNI DIDONÈ. Signor Presidente, per quanto riguarda le questioni politiche è già intervenuto poco fa il collega Guido Giuseppe Rossi; io vorrei soffermarmi maggiormente sull'aspetto economico. Una sottolineatura politica però vorrei farla anch'io: per una questione così importante, quale è il Trattato europeo, non viene interpellato il popolo. Si dice che il popolo è sovrano e questa sarebbe stata l'occasione importante per sentire la sua voce. Entrando nel merito dell'aspetto economico, la Commissione europea prevede per il 2005 una crescita del PIL tra il 2 e l'1,8 per cento. L'economia, quindi, è ferma, se confrontata a quella di paesi come Stati Uniti e Giappone. L'introduzione della moneta unica nel gennaio del 2002 ha provocato una serie di problemi che ancora non sono stati risolti, perché le diverse realtà e necessità nazionali, oltre alle numerose voci all'interno della BCE, sono causa di stagnazione e immobilismo decisionale. La difficoltà di gestire economicamente anche l'entrata dei nuovi dieci paesi nell'Unione europea crea accese discussioni fra i responsabili della materia finanziaria e fiscale. Il forte apparato legislativo frena lo sviluppo e manca della fiducia necessaria per gli investimenti, nonostante il rafforzamento della moneta unica rispetto al dollaro. È prevista per il secondo trimestre dell'anno una crescita dello 0,7 per cento e si stanno stanziando fondi per il mercato del lavoro; tuttavia, alcuni analisti osservano che un disarmonico coordinamento delle politiche a livello nazionale apporterà continue e negative ripercussioni sull'intero flusso economico all'interno dell'area europea. Ma com'è possibile, se nella sua nuova Costituzione, l'Europa rinuncia a qualsiasi capacità decisionale e ha risorse nel campo fiscale della spesa e, addirittura, vincola gli Stati nazionali alle regole dal punto di vista della stabilità? Ovunque, vi sono impegni stringenti e regole forti per la stabilità di prezzi. Vi sono raccomandazioni e auspici per uno sviluppo di qualità. Da nessuna parte vi è un'indicazione per la ripresa degli investimenti pubblici. L'unico cenno alla politica industriale passa per le piccole e medie imprese e per il coordinamento e la promozione del settore degli armamenti. In compenso, le regole di concorrenza sono suddivise in sei articoli assai corposi e l'articolo 66 adotta il principio di un'economia di mercato aperta, in cui il sistema europeo di banche centrali, assistito dall'Ecofin, guida la politica monetaria e coordina le politiche degli Stati membri, affinché perseguano l'obiettivo della stabilità dei prezzi, una finanza pubblica sostenibile, un livello concordato dei tassi di interesse e mettano sotto controllo i costi unitari del lavoro. Come ci tutela e ci sorregge in questo campo la nuova Costituzione? Ci vieta di sostenere comparti industriali in crisi. Non sto parlando di aiuti di Stato nei confronti di imprese in difficoltà, ma di sostegni verso settori produttivi colpiti da congiunture economiche sfavorevoli o da concorrenti sleali (in particolare, la Cina). Perché bisogna imporre e far rispettare regole rigide ed eticamente corrette in ambito sia comunitario sia internazionale quando dall'altra parte vi sono concorrenti che applicano restrizioni in ingresso, prezzi alla produzione bassissimi e vi è la mancanza di uno Stato sociale, che impedisce una competizione equilibrata a livello internazionale? Si tratta certamente di mercati importanti, ma non abbiamo ancora capito che acquistano da noi solo una prima volta perché poi copiano e il business per noi è finito. Fosse solo questo il problema! L'idea di interscambio viene utilizzata come un cavallo di Troia per invadere i nostri mercati. E questa Costituzione come ci difende da tale situazione? L'articolo 322 contempla l'eventualità che l'Unione interrompa o riduca le relazioni economiche e finanziarie con paesi terzi. In tali casi il Consiglio dei ministri, su proposta congiunta della Commissione e del ministro degli esteri dell'Unione, previa informativa al Parlamento europeo, adotta con votazione a maggioranza qualificata le decisioni o i regolamenti europei necessari. Un'importante innovazione, introdotta sempre dallo stesso articolo, riguarda la possibilità che il Consiglio adotti misure restrittive anche nei confronti di persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità non statali. In attuazione di decisioni assunte nel campo della politica estera e di sicurezza comune, l'Unione può adottare anche misure restrittive nei confronti delle persone fisiche o giuridiche. Si tratta di una norma importante che dovrebbe essere già applicata o, quanto meno, dovrebbe essere portatrice di una volontà assoluta per quanto riguarda l'invasione dell'Unione da parte di mercati emergenti con l'indicazione specifica della Cina oggi e, domani, dell'India. L'euro è stato pensato quale elemento unificante per ridurre i costi transnazionali e per aumentare la concorrenza di qualità. Ciò avrebbe dovuto provocare un abbassamento dei prezzi a beneficio del tenore di vita degli europei. Purtroppo sappiamo che, negli ultimi due anni, ciò non è avvenuto, i risultati sperati si sono rivelati inferiori alle aspettative e la forza della moneta unica ha prodotto problemi all'export, oltre al fatto che i consumi continuano ad essere deboli. L'instabile prezzo del petrolio e il terrorismo hanno determinato la lentezza della crescita economica e i propositi dell'Agenda di Lisbona sembrano essere ancora allo stato iniziale. Il vertice portoghese ha trattato le potenzialità dell'Unione europea, stilando gli obiettivi per il decennio in corso. L'Europa ha quale scopo quello di diventare la più dinamica e competitiva economia del mondo; tuttavia, le autorità monetarie insistono nel conservare la stabilità dei prezzi e, contemporaneamente, le politiche macroeconomiche sono fondamentali per sostenere il mercato del lavoro. Conservare la tendenza al pareggio di bilancio è uno degli obiettivi dell'Unione e sappiamo che i paesi che eccedono il 3 per cento del PIL sono tenuti ad attuare politiche correttive per migliorare la condizione economica. La situazione appare complessa nell'area euro, soprattutto se si considera che il vecchio continente è stretto tra due economie forti. In primo luogo, l'economia americana che, dopo la recessione iniziata nel 2001, nella seconda metà del 2003 cresceva già ad un ritmo del 6 per cento. In secondo luogo, l'Estremo oriente - in particolare Cina, Taiwan e Giappone - che nel medesimo periodo facevano riscontrare valori superiori al 4,5 per cento. Comunque, sappiamo che la Cina è vicina al 10 per cento. La ricerca e lo sviluppo tecnologico hanno come orizzonte il rafforzamento del sistema industriale ed una migliore competitività dell'Unione in campo internazionale. Così è stata persa l'ambizione di una nuova politica industriale, della ricerca e dell'innovazione, di una politica del lavoro collegata all'estensione e all'aggiornamento dello stato sociale. Inoltre, si è impedita la convergenza tra politica economica e politica sociale, in nome della modernizzazione del primato dell'impresa. Le eccezioni a tale quadro riguardano l'ambiente, l'energia, la cultura e, in parte, anche il programma della ricerca. È di fondamentale importanza trovare una strategia comune per rendere l'economia più forte e in grado di produrre armonia tra le diverse realtà nazionali. Ma le difficoltà sono presenti, attuali e tutti cercano di salvaguardare le proprie economie. Come si può giungere a decisioni rapide e condivise, così come richiesto dal mondo economico, visto che il Consiglio può essere bloccato dal voto a doppia maggioranza nonché dal mantenimento del sistema della ponderazione dei voti, deciso a Nizza? La disposizione prevede l'azione congiunta di Unione e Stati membri contro la frode e tutte le attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. Il paragrafo 3 dell'articolo III-415 contempla, infatti, un'attività di coordinamento tra gli Stati membri, finalizzata alla tutela degli interessi finanziari dell'Unione. Le misure necessarie per la prevenzione e la lotta alla frode contro gli interessi finanziari dell'Unione sono stabilite con legge o legge-quadro, adottata dal Consiglio, previa consultazione della Corte dei conti. Si tratta di un sistema assai macchinoso; quindi, se chiedessimo il parere dei nostri imprenditori e degli operatori dei settori in difficoltà, sicuramente le loro risposte indicherebbero il cambiamento di tale sistema.
PRESIDENTE. Onorevole Didonè, la prego di concludere.
GIOVANNI DIDONÈ. Signor Presidente, visto che mi richiama, in conclusione...
PRESIDENTE. Onorevole Didonè, dovrebbe fare uno sforzo per concludere. Capisco che dispiace, soprattutto in relazione ad una materia così importante.
GIOVANNI DIDONÈ. Signor Presidente, veramente l'avevo già anticipata, chiarendo che sono già in fase conclusiva.
PRESIDENTE. Onorevole Didonè, dovrebbe pigiare sul pedale del freno, invece che su quello dell'acceleratore!
GIOVANNI DIDONÈ. Signor Presidente, cosa fa la Costituzione europea per tutti i problemi ricordati? Perché gli altri partner europei cercano in tutti i modi di tutelarsi, come gli «euroconvinti» francesi e tedeschi, con misure di protezione ed aiuto per alcuni loro settori in difficoltà, mentre l'Italia deve restare assolutamente china al dogma europeista? Essere europeisti non vuol dire accettare tutto quanto viene da Bruxelles - quello che negli ultimi anni mi sembra sia stato il leitmotiv predominante - per il bene comune, bensì tutelare l'interesse nazionale, soprattutto economico, in un'ottica europea ben diversa da quanto sta avvenendo oggi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galante. Ne ha facoltà.
SEVERINO GALANTE. Signor Presidente, il giudizio del mio gruppo sul Trattato costituzionale in discussione è che esso non è né ottimo né buono, come sostengono alcuni colleghi, e nemmeno cattivo né pessimo, come invece sostengono altri. Dal nostro punto di vista esso appare semplicemente deludente. Deludente perché insufficiente e insufficiente perché inadeguato alle esigenze di federalismo europeo richieste dall'attuale fase politica internazionale. È sulla base di questo giudizio che deve essere valutato il nostro voto - peraltro favorevole -, comunque sulla base di considerazioni fortemente critiche che cercherò di esporre. Il nostro giudizio è critico ed è riassunto nelle parole che ho appena pronunciato, che investono la valenza complessiva del Trattato costituzionale stesso, vale a dire essenzialmente la volontà politica di cui esso è espressione. Si tratta di una volontà politica che, prima ancora della ratifica, si manifesta in modo altrettanto deludente nelle dinamiche operative che vari Governi stanno patrocinando. L'esempio più evidente è costituito dalla questione del patto di stabilità, di cui si sta discutendo in queste settimane. Le politiche di sviluppo devono essere lasciate ai singoli Stati e alla loro sovranità, come sostiene Schroeder e come sostengono altri, compreso il Governo italiano, oppure sono un compito primario fondamentale dell'Unione, che deve farsene carico con un preciso programma di sviluppo su scala europea? È evidente che siamo per quest'ultimo indirizzo. Ciò non significa, ovviamente, negare la necessità, avvertita anche da parte nostra, di rivedere, anche profondamente, il patto di stabilità, introducendo parametri assai diversi rispetto a quelli attuali (vale a dire introducendo parametri che possono essere definiti, con un'espressione di sintesi, «sociali»). Tuttavia, ciò non deve avvenire nell'ottica della regressione verso politiche meramente nazionali, bensì in quella di avanzare verso più cogenti politiche economiche e sociali di tipo federale, attribuendo la competenza primaria su tali politiche all'Unione. Ciò nella consapevolezza che quello del governo europeo di tali politiche non è e non sarà un terreno neutro, bensì un terreno segnato da potenti vincoli di classe, in molti casi assai più forti e condizionanti di quanto tali vincoli non siano nel nostro stesso paese. Abbiamo tuttavia ben chiara l'idea che nella dimensione europea dei diritti, dei poteri e dei conflitti e nell'unificazione del mondo del lavoro, questo terreno costituisce la fondamentale sfida che sta di fronte a chi intende davvero battersi per un'altra Europa, che riteniamo possibile ma per concorrere alla costruzione della quale non può bastare la critica: occorre invece partire, nella consapevolezza e nella pratica politica, da ciò che questa Europa è effettivamente, dallo stato reale dell'arte che la riguarda. Per tale ragione, dunque, riteniamo deludente il Trattato costituzionale. Sappiamo bene che esso è il frutto di processi e di dinamiche che vengono da lontano, più che semisecolari, e sappiamo anche che esso è il frutto di ben precisi rapporti di forza e della loro evoluzione nel corso del secolo passato: rapporti di forza tra le classi, tra mercato e Stato, tra economia e politica, tra gli Stati e i governi. Tuttavia, a nostro avviso, ciò non consente di recuperare espressioni da archeologia politica, come quelle che abbiamo ascoltato ripetere da parte di alcuni colleghi nel corso del dibattito. Si tratta di rapporti di forza assai diversi, come è noto, da quelli che hanno definito più di qualche Costituzione nazionale (ma non tutte), a partire da quella italiana. Non c'è dubbio che oggi in Europa tali rapporti di forza siano a vantaggio delle classi capitalistiche, della logica del mercato, degli Stati più allineati con gli interessi statunitensi. Tuttavia, si dovrà pur osservare che ciò avviene non diversamente da come è sempre stato, pur tra molteplici oscillazioni, nel corso di tutta la seconda metà del novecento, sicché, sotto questo profilo, il Trattato non fa altro che registrare, razionalizzare, sintetizzare la storia che abbiamo vissuto, senza progettare, senza prefigurare - qui sta il suo limite, a nostro avviso - un diverso indirizzo di sviluppo futuro. In ciò sta, appunto, la sua calcolata miopia. Tali riflessioni intersecano ragionamenti interessanti che ho ascoltato svolgere da parte di numerosi colleghi, che hanno tentato di spostare la riflessione non soltanto sulla dimensione politica immediata, ma anche sulla cultura europeista. Devo dire che ho ascoltato con grande attenzione la relazione introduttiva del collega Selva e tanti altri interventi, che alla storia dell'integrazione europea si sono richiamati. Ha fatto bene il presidente Selva a citare Coudenhove Calergi. Credo, però, che la riflessione sulle origini del processo di integrazione dovrebbe essere più ampia, più inclusiva di altri soggetti, di altre personalità, che prima di Calergi, nella temperie drammatica della prima guerra mondiale, hanno sollecitato una riflessione di cui poi le correnti culturali del nostro paese non sempre sono state consapevoli. Su quei temi in tanti si sono cimentati: da Karl KautskY, padre della socialdemocrazia, a Luigi Einaudi, da Leone Trotsky a Giovanni Agnelli, che hanno posto, di fronte al dramma della guerra e al massacro fra gli Stati, la prospettiva di una unità europea come unica alternativa possibile, come unica prospettiva valida per il continente; e quindi, è non soltanto nella cultura liberaldemocratica, tipica del conte Calergi, che bisogna ritrovare le origini lontane di quella riflessione, ma in un più ampio orizzonte che serve a tutti noi come punto di riferimento. Richiamare questo passato, queste riflessioni, è utile se poi concretamente esse si misurano con ulteriori passaggi in cui il tentativo ideale, presente nei precursori, abbia trovato verifiche empiriche nella pratica politica dei gruppi dirigenti; e anche qui, al collega Bogi dico che quando individua le pressioni che nel secondo dopoguerra hanno alimentato il processo di integrazione europea dovrebbe forse fare maggiore attenzione, perché pongono un problema politico, che è tuttora attuale, per il fatto che al fondo di quella spinta vi sia stata una precisa motivazione, un preciso progetto, che si chiama ERP, che si chiama piano Marshall, che è stato l'effettivo supporto pratico e materiale, su volontà degli Stati Uniti d'America, che ha avviato su basi concrete ed operative le scelte di integrazione europea, ponendo un problema - torno a dire - che è di oggi, non soltanto di allora, perché è il problema del rapporto tra integrazione europea e Stati Uniti d'America e sul ruolo che queste due realtà e soggetti mondiali hanno e possono avere nello sviluppo del mondo in cui viviamo. La riflessione su questo campo ci porterebbe lontani, ci porterebbe a quell'intreccio tra dimensione di funzionalismo e dimensione federalistica, che più di un intervento ha toccato, e che non è indifferente considerare, perché il prevalere dell'uno o dell'altra segnano poi anche i processi in cui noi siamo oggi sostanzialmente immersi. È noto che l'impianto funzionalista è quello che ha prevalso, mentre quello federalista è rimasto sostanzialmente in secondo piano e non è stato in grado, né lo è stato con questo Trattato costituzionale, di affermarsi con la necessaria vigorìa e con la capacità di determinare il futuro del nostro continente. Per questo noi evidenziamo la nostra delusione e anche la nostra profonda preoccupazione: il Trattato, preteso costituzionale, non garantisce infatti, secondo noi, al processo di integrazione europea la speditezza, i contenuti, la direzione che la mia parte politica ritiene indispensabili in questa specifica fase delle relazioni internazionali. È questo, sostanzialmente, il tema di fondo che la discussione, che qui si è svolta e fuori di qui un po' meno, sul Trattato costituzionale ci pone. Si può riassumere in una domanda: in quale Italia, in quale Europa, in quale mondo...? A cui si deve rispondere, partendo dall'ultima parte della domanda stessa: «in quale mondo»...? Qual è il mondo che noi vogliamo, in cui vogliamo collocare questa Europa e in cui vogliamo collocare il nostro paese? Gli Stati Uniti - e qui recupero il tema del rapporto tra Europa e Stati Uniti - hanno un'idea ben precisa del mondo che vogliono: un mondo unipolare di tipo piramidale, con gli altri in posizione subalterna, a grande distanza e privi della capacità di influenzare sul serio i processi di sviluppo che riguardano l'insieme delle nazioni. In tale schema, c'è spazio per un'Unione europea vista come area di libero scambio (idea lontana dal Piano Marshall, appunto), come potenza economica senza tutti gli altri attributi del potere mondiale: quello militare, quello tecnologico e quello culturale. Dunque, non vi è spazio, in siffatta prospettiva, per un coeso ruolo dell'Europa. Ci dobbiamo domandare se sia ancora accettabile, per il nostro continente e per il nostro paese, un simile schema. Noi riteniamo di no. Occorre progettare un mondo diverso che, per essere effettivamente governato, ha bisogno che scendano in campo molteplici protagonisti - non uno solo - che cooperino, nell'ambito di un unico concerto mondiale, al comune sviluppo ed alla comune sicurezza. Nell'epoca attuale, nella nuova fase di internazionalizzazione che stiamo vivendo, il sistema mondo non può più avere per attori i vecchi mercati nazionali e la loro perimetrazione statuale, di Stati-nazione ottocenteschi: questi non scompaiono, ma possono avere un ruolo forte ed incisivo soltanto se si riorganizzano su una più vasta scala sia economica sia politica. Per noi, l'Unione europea è questo, o meglio, dovrebbe diventare questo. Perciò, essa esige che il mercato comune e la moneta unica evolvano lungo un processo di sviluppo politico che abbia come meta la creazione di sempre più solide istituzioni comuni e, soprattutto, di un effettivo Governo comune. Questa del Governo comune è la condizione fondamentale per contare nel mondo d'oggi (un mondo che sempre più si avvia a diventare un mondo di Stati-continenti) e per essere un'alternativa di inclusione globale alle simmetriche e devastanti scelte della guerra globale, del terrore globale e della competizione globale sempre più armata, secondo processi che, su scala più ampia, ricordano quelli che hanno portato alla fine drammatica del lungo Ottocento, con la guerra del 1914-1918. È sulla base di questo ineludibile parametro politico che noi valutiamo ogni atto che coinvolga il futuro del nostro continente e, dunque, anche la cosiddetta (per la contraddizione che sta nei termini) Costituzione europea. Il problema di fondo che prendiamo in esame è sempre e fondamentalmente uno: l'attribuzione all'Unione di un'effettiva capacità democratica di decisione e di azione sulla base di valori e di regole condivisi e concordati, abolendo il diritto di veto e creando un autentico Governo federale europeo. Allora, questa che taluni chiamano Costituzione rappresenta effettivamente un passo avanti lungo questo percorso federalista? A me sembra che la risposta debba essere in larga misura negativa tanto sul tema dei principi e delle regole quanto sul tema dei poteri quanto, infine, su quello delle istituzioni democratiche. Siamo di fronte ad un paradosso storico macroscopico che altri hanno sottolineato: si dà vita a ciò che - arbitrariamente - viene definita Costituzione europea senza che vi sia uno Stato europeo e senza che vi sia la legittimazione del popolo europeo, ad una Costituzione senza Stato né popolo, che è una novità assoluta nella storia del mondo! Ma c'è un ulteriore, concreto modo che accentua la nostra delusione ed aumenta le nostre preoccupazioni per il futuro del disegno di integrazione europea. Sotto il profilo delle relazioni internazionali, contano fondamentalmente due aspetti del processo: la capacità di aggregazione dell'Unione e la sua capacità - o la sua mancanza di capacità - di elaborare e praticare una politica estera comune. Quanto al primo aspetto, è evidente il successo che il processo sta registrando: un'Europa a 25 Stati che si avvia rapidamente a diventare un'Europa a 27 e che amplierà, ancor più nei prossimi anni, i numero degli Stati che ne fanno parte (si apre la discussione riguardante l'Ucraina ed è aperta quella sulla Turchia). Si tratta di uno spazio che si dilata sempre di più. È possibile tenere insieme autenticamente tale spazio in un disegno politico comune se non esiste un Governo comune? O l'ampliarsi degli Stati che ne fanno parte comporta, come conseguenza oggettiva, prima e a prescindere dalla volontà e dalle intenzioni, la creazione di un ampio spazio di libero scambio nel quale si diluisce ogni capacità ed ogni possibilità di Governo? Per questo giudichiamo arretrata la situazione.
PRESIDENTE. Onorevole Galante...
SEVERINO GALANTE. Signor Presidente, ha ragione. Non so se nel calcolo del tempo si sia tenuto conto che dovrei acquisire i setti minuti a disposizione dell'onorevole Bellillo. Ne è stato tenuto conto?
PRESIDENTE. Sì, ma può concludere il suo ragionamento.
SEVERINO GALANTE. Concludo il mio ragionamento sulla necessità di spingere a fondo il momento federalista di governo dell'integrazione europea e, sull'altro terreno, quello della politica estera. Ricordiamo il problema del seggio all'ONU e, anche in occasione della definizione di questo Trattato costituzionale, l'incapacità degli europei di lavorare ad un progetto di politica internazionale che sia sostanziato da interessi autonomi e diversi da quelli della stretta alleanza con gli Stati Uniti (badate, colleghi, ho utilizzato il termine «diversi», non avversi né ostili, ma solo autonomi). Quello della politica estera dell'Unione è un altro tema che registra momenti di estrema debolezza in questo Trattato costituzionale. Tuttavia, nonostante i limiti forti sui quali ho insistito, la nostra posizione politica sarà quella di un voto a favore dell'approvazione della ratifica e dell'esecuzione del Trattato costituzionale, perché è il segno della convinzione grande che abbiamo che senza un'Unione europea che conti nel mondo, questo mondo va verso prospettive di catastrofe che non vogliamo neppure immaginare (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cossa, al quale ricordo che ha sette minuti di tempo a sua disposizione. Ne ha facoltà.
MICHELE COSSA. Signor Presidente, tutti i colleghi che mi hanno preceduto hanno opportunamente rimarcato l'importanza storica del provvedimento che oggi la Camera approverà. Il Trattato stabilisce presupposti fondamentali della nuova Unione europea, individuando una base costituzionale e consolidando le tradizioni e i principi comuni ai paesi europei. Vorrei, tuttavia, ribadire in questa sede la convinzione che proprio la sua straordinaria importanza, che stride con lo scarso coinvolgimento dei cittadini nello storico processo di riunificazione dell'Europa, avrebbe consigliato un percorso diverso da quello ordinariamente previsto per la ratifica dei trattati internazionali. La strada, poteva, infatti, essere quella dell'indizione di un referendum di indirizzo che avrebbe aperto in tutto il paese un dibattito sul tema, in qualche modo costringendo le stesse forze politiche a farsi esse stesse portatrici nel sentimento della gente delle idee forti che hanno portato al Trattato costituzionale, ad elevare il tono del dibattito politico, andando oltre la ristretta cerchia delle rappresentanze istituzionali. A differenza di altri paesi membri, si è deciso altrimenti, ma resto convinto che abbiamo perso un'occasione preziosa. Vi è un altro motivo di rammarico legato al mancato richiamo tra i principi fondamentali dell'Unione europea dei valori giudaico-cristiani. Il riferimento alla sola cultura europea limita il riferimento a valori che non includono i propri ideali cristiani. Penso, in questo senso, al Rinascimento in cui vi è stata addirittura una componente anticristiana, o all'illuminismo, che, da alcuni autori francesi, è stato considerato come una forma di emancipazione dalla tutela della tradizione cristiana. Ma l'identità continentale europea è nata all'interno della tradizione cristiana; è con Carlo Magno e con la creazione del Sacro romano impero che si è cominciato a dare cittadinanza ad un'unica estensione geografica caratterizzata soltanto dalla comune appartenenza dei popoli alla religione cristiana. Questa tradizione europea, io credo, non fosse altro che per la sua rilevanza storica e culturale, meritava di essere richiamata all'interno di questo importante Trattato. Voglio quindi soffermarmi principalmente su due aspetti particolari del nuovo Trattato, pur essendo i rilievi affrontati variegati e molteplici. Mi riferisco, da un lato, ad una nuova definizione del rapporto Parlamento-Commissione-Consiglio, dall'altro al nuovo ruolo che il Trattato e in particolare i protocolli ad esso annessi assegnano ai Parlamenti nazionali. Per quanto riguarda il primo aspetto, è sicuramente apprezzabile il ruolo specifico e puntuale che la nuova Costituzione europea assegna al ministro degli affari esteri dell'Unione, nominato dal Consiglio europeo, a cui è affidata la guida della politica estera e di sicurezza comune dell'Unione e la sua attuazione in qualità di mandatario del Consiglio. Il ministro degli affari esteri dell'Unione diventa così la nuova figura centrale delineata dalla nuova Carta costituzionale europea, rappresentando unitariamente l'Unione europea come soggetto di diritto. È questa un'altra importante novità dell'Unione europea. Il Trattato qualifica, infatti, l'Unione quale soggetto dotato di personalità giuridica e, in quanto tale, titolare della capacità autonoma di stipula dei trattati. L'Unione europea dovrà quindi muoversi unitariamente a livello internazionale, in particolare nelle diverse organizzazioni internazionali (come l'ONU), e in quelle sedi sarà rappresentata da un'unica voce, quella del ministro degli affari esteri dell'Unione. Sono convinto anch'io, quindi, come il collega Di Teodoro, che ha svolto un eccellente lavoro in Commissione, predisponendo la proposta di parere poi approvata dalla XIV Commissione, che dal nuovo quadro normativo emerga un raccordo fondamentale tra la federazione degli Stati membri e le singole identità degli Stati nazione. Vengo quindi all'altro aspetto da me evidenziato. Ritengo prezioso che nella nuova Unione europea vi sia la previsione specifica di un potenziamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, con l'espressa disciplina recata dal protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali e da quello sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. Certo, sarebbe stato opportuno in tal senso potenziare la partecipazione delle regioni e degli enti locali nelle procedure di esame dei documenti di consultazione della Commissione, nonché di tutte le proposte legislative e delle loro modifiche nel corso del procedimento, del programma legislativo annuale, della strategia politica annuale, degli altri strumenti di programmazione della Commissione e del Consiglio, anche in ordine all'applicazione del principio di sussidiarietà, il cosiddetto early warning (allerta precoce). Per chi come me vive direttamente la specificità di un'area regionale, dotata di particolare autonomia e particolarità storiche e geografiche così marcate, come la Sardegna, questo riconoscimento sarebbe valso a suggellare un potenziale di cultura, tradizione, identità, spesso trascurato. Rimango convinto comunque della necessità di una effettiva attuazione del principio di sussidiarietà, che implica la necessità di conciliare le esigenze dell'Unione con quelle dei singoli Stati membri, anche sul piano economico e finanziario. Auspico quindi in questo senso l'aggiornamento dei criteri di applicazione del patto di stabilità e crescita attualmente fissati, anche allo scopo di non vanificare la realizzazione degli obiettivi previsti dall'agenda di Lisbona, la cui verifica è prevista per il marzo 2005.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Michelini. Ne ha facoltà.
ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, il Trattato che adotta la Costituzione per l'Europa rappresenta - e non si tratta di autocelebrazione - un evento storico di grandissima rilevanza per il futuro per l'Europa, anche in considerazione proprio di quel recente ed oscuro passato (non pensiamo mai, guardando al passato, a quella che era la situazione fino a pochi anni fa), che pesa ancora sulla coscienza dell'umanità. Penso al calpestamento della dignità dell'uomo e dei diritti fondamentali della persona. Chi avrebbe mai pensato, fino al momento del crollo del muro di Berlino (quasi fino a poche ore prima), che l'Europa avrebbe respirato a due polmoni? Alcuni di noi - presidente Selva, presidente Meccanico - sono stati al Parlamento europeo (io in particolare dal 1984 al 1994; il sottosegretario Bettamio ricorda molto bene, ci siamo conosciuti lì) e ricordano in che termini stavamo ragionando. Nel 1984, al Cremlino sedeva Cernienko mentre Gorbaciov si sarebbe insediato solo nel 1985; perestrojka e glasnost si sarebbero avviate in seguito. Sicché, e mi riferisco anche alle critiche venute dalla Lega e da Rifondazione comunista (legittime, dal loro rispettivo punto di vista), si deve pensare, oggi, a quanto è accaduto. Si deve, infatti, apprezzare la circostanza che si abbia oggi la possibilità di discutere in questa Assemblea della ratifica di un Trattato che è storico. Certo, non soddisfarà tutti, ha difetti e limiti: sono mancati il coraggio e la visione che sarebbero stati necessari, ben lo sappiamo. Tuttavia, si tratta di un risultato storico importante; dobbiamo, peraltro, considerare che si tratta di una vicenda in divenire, che deve essere ancora costruita. Dobbiamo assolutamente sottolineare tali aspetti di segno estremamente positivo; infatti, in qualche modo, la Costituzione compie una sintesi tra l'aspirazione ad avere competenze e strutture che realizzino quanto più possibile una politica comunitaria e la salvaguardia del ruolo di istituzioni nazionali libere e democratiche. Ciò, anche al fine di evitare l'eccesso di burocrazia europea, che è quanto fino ad oggi ha condizionato - e continua a condizionare (come sappiamo bene) - il cammino dell'integrazione europea. Dunque, il Trattato racchiude in unico contesto l'intero diritto dell'Unione per conferirgli maggiore sistematicità ed organicità; la firma, a Roma, il 29 ottobre scorso, della Costituzione europea - come hanno ricordato diversi colleghi intervenuti - rappresenta un elemento di continuità dell'attuale Unione europea allargata con gli accordi che nel 1957 diedero inizio al processo di integrazione europea tra i sei paesi fondatori. L'attuale Unione mira a condividere e promuovere obiettivi e valori comuni in una realtà internazionale sempre più complessa; una realtà nella quale potrà autorevolmente pesare solo agendo in modo decisivo e solidale. Si pensi al ruolo che avrà il ministro degli esteri dell'Unione; un ruolo nuovo, importante: sarà l'unica voce per l'Europa nel dibattito internazionale. Dobbiamo ricordare che il Governo italiano - sin dalla fase della Convenzione, ma poi nell'esercizio della Presidenza della Conferenza intergovernativa - ha sostenuto coerentemente l'esigenza di dotare l'Unione ampliata di una solida e condivisa base costituzionale. L'impegno italiano in tal senso è stato riconosciuto ampiamente dagli altri Stati membri; la stessa decisione di firmare a Roma il Trattato costituzionale ne rappresenta un'autorevole conferma. Il Trattato, quindi, frutto di un negoziato lungo e complesso, può considerarsi equilibrato ed idoneo ad assicurare all'Unione la necessaria compattezza e, altresì, un elevato grado di flessibilità. Flessibilità che potrà consentire processi più rapidi in alcune aree tematiche ad iniziativa degli Stati membri disposti a sperimentare forme più ampie di integrazione. La firma del Trattato costituzionale ha avviato un processo di grandissimo rilievo per il futuro dell'Unione. Ho ascoltato con interesse ed ho apprezzato molti degli interventi svolti dai colleghi; per certi aspetti, anche quello svolto dall'onorevole Folena, il quale, però, anche su un oggetto sul quale maggioranza ed opposizione, per così dire, votano insieme, ha trovato il modo di polemizzare, peraltro in maniera alquanto eccessiva, contro la maggioranza. Pur riconoscendo che ciò, evidentemente, è compito dell'opposizione, devo osservare che egli interviene da erede di un partito, quello comunista, che (come tutti ricordiamo) era ferocemente contro l'Europa. Ha anche criticato l'euroscetticismo della maggioranza mentre, al contrario, noi siamo in qualche modo eredi di persone che hanno costruito l'Europa. Si tratta, perciò, di affermazioni quantomeno ingiuste; ha accusato il Governo di perseguire politiche contro lo spirito europeo mentre i fatti dimostrano che ciò è altrettanto falso. Nello spirito e nell'atteggiamento di questa maggioranza, l'Europa dialoga con gli Stati Uniti, senza appiattimento sulle posizioni americane e nell'ottica di una consolidata consuetudine con un alleato con il quale ha condiviso scelte di valori fondanti: la libertà, la democrazia, i diritti dell'uomo, la dignità umana. Si tratta di quei principi che hanno spinto l'Italia a recarsi in Iraq - di cui ha parlato l'onorevole Folena - non per fare la guerra, ma dopo il conflitto e per portare quel paese, tra grandi difficoltà - come purtroppo constatiamo - verso la democrazia e la pace. Non esserci significa rischiare di dare ragione ad Al Zarqawi, il quale oggi ha affermato di voler far colpire dai cecchini chi si recherà a votare, alla fine di questo mese. Credo, pertanto, che la nostra presenza in Iraq sia ampiamente giustificata. L'adozione del testo costituzionale da parte del Consiglio europeo rappresenta una scelta di primaria importanza, che decide delle sorti del nostro continente. È necessario, evidentemente, essere realisti, comprendendo che si tratta di un processo dinamico, poiché la strada dell'integrazione è ancora lunga. Si tratta di un Trattato che va costruito nell'ambito di una situazione in cui il Parlamento europeo ricopre un ruolo essenziale di codecisione, vale a dire un ruolo legislativo, creativo e di visione che ritengo importante. Riconosco che vi sono stati anche mancanza di coraggio ed eccesso di prudenza da parte dei Governi europei, dal momento che è stato mantenuto un potere di veto su materie importanti, come ad esempio la politica estera, e che ciò costituisce sicuramente un limite. Esiste, inoltre, il rischio di un'ulteriore frammentazione dell'azione delle strutture esecutive: infatti, il mandato della Presidenza permanente del Consiglio resta ancora poco definito, vi è incertezza sul futuro assetto della Commissione europea in ordine al numero di membri, e via dicendo. Sono questioni sulle quali bisognerà stare attenti e discutere in futuro; sta di fatto, tuttavia, che si tratta comunque di una conquista fondamentale in questo momento. Qualcuno dei colleghi precedentemente intervenuti, in particolare l'onorevole Lupi, ha richiamato la questione delle radici cristiane nella Costituzione per l'Europa. Al riguardo, vorrei dire che è chiaro che avremmo voluto nel testo il richiamo alle radici giudaico-cristiane: ricordo che il ministro Frattini si era impegnato fino in fondo in tal senso, proprio in nome di una condivisa laicità. Devo dire che il fuoco incrociato dei veti, con la Francia in prima linea, ha avuto, invece, il sapore di un laicismo di altri tempi. Le radici cristiane sono un'evidenza storica, come ha già affermato questa mattina anche il collega Monaco, il quale, al contempo, commentando il mancato inserimento nella Costituzione europea delle radici giudaico-cristiane, ha invitato a fare attenzione ai nominalismi. Vorrei rispondergli che, in questo caso, si tratta non di una questione di nominalismi, ma di verità storiche da affermare. È vero che nella sostanza della Costituzione, sia con l'affermazione della centralità della persona, sia con numerosi altri richiami a principi condivisi ed ai diritti dell'uomo, i valori cristiani sono sottintesi, tuttavia non si tratta di un buon motivo per sorvolare sulla nostra storia. Riconosco che ciò è opinabile, poiché noi avremmo voluto inserirle ed altri, come il collega Spini, no (ricordo che abbiamo già discusso di ciò in sede di Commissione); è comprensibile, allora, che la maggioranza abbia avvertito il bisogno di recuperare, in caso di revisione del Trattato in esame, anche la citazione delle radici cristiane dell'Europa, attraverso gli ordini del giorno che abbiamo presentato. Concludendo, vorrei dire che si potrebbero spendere ancora molte altre parole su tale aspetto. Ciò potrebbe accadere durante le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento previste per oggi, tuttavia vorrei osservare che l'Europa che stiamo costruendo rappresenta un punto di cui non possiamo fare a meno. L'Europa, infatti, è il quadro indispensabile entro il quale agire se vogliamo conservare oggi, e soprattutto assicurare alle generazioni future, la pace, tanto invocata anche dai colleghi del gruppo di Rifondazione comunista, nonché la prosperità. L'unione europea, infatti, è l'unica prospettiva e l'unica idea a favore della quale non possiamo mai stancarci di lavorare con impegno (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, in effetti devo riconoscere che l'onorevole Michelini ha ragione, poiché ci troviamo veramente nell'ambito di un dibattito che riveste una valenza storica. L'Unione europea, infatti, racchiude ormai circa mezzo miliardo di abitanti, e si tratta di una delle poche organizzazioni internazionali rispetto alla quale «si fa la fila» per entrare. Vorrei osservare, infatti, che non sono molte le organizzazioni internazionali che, come per l'appunto l'Unione europea, assistono a questa grande richiesta di ingresso, che ormai va al di là di Romania, Bulgaria e Turchia, poiché ha investito la Croazia e l'Ucraina, che si è posta da ultima tale problema. Si tratta, evidentemente, di segnali di un processo di ricomposizione del nostro continente di grande rilievo ed importanza storica. Rispetto a ciò, si riscontra certamente una grande complessità nella gestione delle istituzioni europee. Quando fu varata la Convenzione europea, che ha dato origine a questo testo, seppure modificato dai Governi, il mandato ad essa attribuito fu molto prudente. Si disse che la Convenzione avrebbe dovuto o procedere ad una razionalizzazione dei trattati o, se possibile, scrivere una vera e propria Costituzione - e cercherò di spiegare i motivi per cui, a mio avviso, la Convenzione è giunta a predisporre una vera e propria Costituzione -; non solo. Si disse che la Convenzione poteva definire un testo o - se si fosse trovata di fronte a difficoltà - predisporre più opzioni. La Convenzione ha definito un testo. Ecco perché il Presidente Giscard d'Estaing definì il lavoro della stessa Convenzione con queste parole: «Un risultato imperfetto, ma insperato». Credo che, osservando i fatti per come si sono svolti, un risultato del genere non era inizialmente atteso. Ciò la dice lunga sul fatto che la presenza dei rappresentanti dei Parlamenti nazionali all'interno della Convenzione, anziché rappresentare un momento di freno - specialmente nel prosieguo dei lavori - ha costituito un momento di spinta e di impulso. Ciò vuole dire che dobbiamo tenere alto lo spirito della Convenzione, ossia la capacità dei cittadini europei - e dei loro rappresentanti, sia a livello europeo sia a livello dei parlamenti nazionali - di lavorare insieme, di parlare e di discutere. Ciò rappresenta qualcosa in più e fa sorgere uno spirito europeo, credo di grande importanza. Perfino il rappresentante della Lega nella Convenzione europea non adoperò il linguaggio oggi usato dal collega Guido Giuseppe Rossi, perché l'atmosfera in cui ci si trovava non poteva non essere coinvolgente. Ci sentivamo parte della costruzione di un destino di grandi proporzioni e ambizioni. È vero che alla Carta mancano alcuni tratti di Costituzione, in particolare per il fondamentale aspetto formale delle modalità di una sua eventuale modifica, quando sarà ratificata da tutti i paesi. Tuttavia, ne osserverei la sostanza. Cosa caratterizza tutte le Costituzioni del mondo moderno? Esse contengono una Carta dei diritti, ossia intendono assicurare una cittadinanza. Questo Trattato costituzionalizza la Carta dei diritti, perché è il cittadino ad essere protagonista di una Carta di tal genere. Da questo punto di vista, vedo in tale risultato l'affermazione - oltre alla complessità del testo e che esso sia riuscito a comprendere molte materie, forse anche troppe - dei diritti dei cittadini, un vero e proprio processo costituzionale, un vero e proprio aspetto di Costituzione. Ho ricordato in precedenza che lo stesso Giscard d'Estaing ha definito il testo «imperfetto, ma insperato». È un testo imperfetto, perché vi sono molti aspetti dell'assetto istituzionale che devono essere rivisti: in particolare, vi è una troppo marcata utilizzazione del voto all'unanimità, oltre al permanere di altre questioni che non hanno ancora trovato soluzione soddisfacente. Se non si fosse riusciti, tuttavia, a trovare un minimo comune denominatore di accordo, come avrebbe potuto essere gestita l'Europa a venticinque stati con le regole dell'Europa a sei Stati, con la Presidenza di turno che si alterna ogni sei mesi (il che vuol dire, in un'Europa a venticinque Stati, ogni dodici anni e mezzo)? È evidente che l'accordo raggiunto rappresenta il minimo comune denominatore per impedire il dissolvimento della costruzione europea. In questo senso, anche chi è fedele all'insegnamento federalista di Altiero Spinelli, di Alcide De Gasperi, di Ugo La Malfa, di Riccardo Lombardi...
PRESIDENTE. Di Spaak.
VALDO SPINI. ...di Paul Henri Spaak, deve vedere nel Trattato un passaggio obbligato. Se non vi fossero almeno queste riforme, per quanto modeste, la gestione dell'Unione europea sarebbe davvero difficile, se non impossibile.
VALDO SPINI. Spendo ora qualche parola su un aspetto che non vorrei dare per scontato. Alcuni oratori che hanno preannunciato il proprio voto contrario, lo hanno fatto dicendo che, in nome di un ideale europeista, noi faremmo - di fatto - accettare ai cittadini italiani e a quelli degli altri paesi europei una restrizione delle loro libertà democratiche. Non vi è nulla di più lontano dal vero. Vorrei dimostrarlo con alcuni punti che non erano presenti nei trattati precedenti e che sono stati inseriti in questo Trattato costituzionale. Finalmente si va nel senso indicato da Montesquieu, ossia si opera una distinzione chiara tra leggi e regolamenti, ossia tra atti propri del potere legislativo - anche se, in Europa è esercitato sui generis - ed atti del potere esecutivo. Ne è espressione anche la stessa denominazione: finalmente, le leggi si chiameranno «leggi» e i regolamenti si chiameranno «regolamenti». Infatti, è estremamente difficile, se non quasi impossibile, comprendere l'attuale «selva» di addirittura 19 strumenti giuridici dell'Unione. Per quanto riguarda le leggi, il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale, diventa ormai, a tutto tondo, un vero e proprio colegislatore. Non ci potrà più essere una legge fatta contro il Parlamento europeo, senza il suo parere, senza una continua contrattazione con esso. Il Consiglio europeo, quando è investito dell'adozione di proposte legislative, si riunirà in sessione pubblica e non più - come avviene ora - a porte chiuse. Si potrà riunire a porte chiuse per esaminare affari di Governo, ma quando si tratta di affari legislativi dovrà legiferare a porte aperte. I Parlamenti nazionali riceveranno direttamente e non per il tramite dei Governi, senza il filtro dei Governi e della Commissione europea, tutti i documenti di consultazione e tutte le proposte normative. Qualora dovessero vedere minacciati i principi di proporzionalità e di sussidiarietà, i Parlamentari nazionali potranno chiedere, entro sei settimane, alle istituzioni europee di rivedere le proposte stesse. Avranno una sorta di paletta rossa che potranno utilizzare. Infine, il diritto di iniziativa dei cittadini. Un milione di cittadini, purché appartengano almeno a tre paesi diversi, potranno avere anch'essi un potere di iniziativa legislativa. Ciò non significa colmare il deficit democratico (per carità!): ci sarebbe ancora molto da fare per colmarlo davvero; ma si tratta di avanzamenti rispetto alla situazione attuale. Non accetto il quadro di comodo della Lega Nord Federazione Padana, che afferma che si tratta di un «super Stato», che spoglierà i cittadini dei loro poteri. Su questo punto, ho voluto essere minuzioso. Infatti, se il testo costituzionale verrà approvato, i cittadini europei e il sistema generale avranno queste garanzie in più. Se la Costituzione non verrà approvata, queste garanzie verranno meno. Vorrei intrattenermi anche su un altro punto. Mi trovo in quest'aula da diversi anni e può darsi che non sia così capace di afferrare le novità. Però, ricordo che, quando un partito di una coalizione di Governo non condivideva un provvedimento di questa rilevanza, almeno aveva l'obligeance di lasciare le auto blu e i segretari ministeriali; ossia, di passare perlomeno all'appoggio esterno. Noi, a mio avviso, ci stiamo mitridatizzando, come quel re del Ponto che prendeva il veleno a piccole dosi e diventava insensibile. Pertanto, può sembrare normale che un partito, di cui tra l'altro fa parte il ministro della giustizia che è uno dei cardini fondamentali per l'attuazione di questo testo, possa presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità e, addirittura, predisporsi a un voto contrario in Parlamento. Francamente, non mi arrendo all'idea che questa sia una cosa normale. Voi dovreste aprire la crisi di Governo. Non dico di andare alle elezioni, ma il partito che non condivide questo Trattato dovrebbe perlomeno dare un appoggio esterno sulle altre materie. Non è possibile che, a fronte di un certo dato, da un lato si dice che si tratta di una cessione di sovranità, di un «super Stato» mostruoso, che strangolerà il nostro paese e, dall'altro lato, si accetta di stare nel Governo che dovrebbe attuare questo Trattato: ragion per cui o si pensa di svuotarlo dall'interno (ma ciò creerebbe evidentemente incomprensioni, instabilità e gravi difficoltà nel Governo) oppure si fa solo propaganda. Mi auguro che non sia così, perché ciò significherebbe veramente menare per il naso i cittadini italiani. Quindi, chiedo alla Lega Nord Federazione Padana, in nome di un minimo di coerenza, perlomeno, di lasciare le auto blu e i ministeri. Questo, infatti, è il minimo che avviene quando si assume una posizione non di astensione, bensì contraria rispetto a un Trattato - che mi auguro verrà ratificato - così importante per la vita dei nostri cittadini. Certamente, preferiremmo (ho ascoltato con piacere le parole pronunciate dal rappresentante del partito dei Comunisti italiani, onorevole professor Galante) che anche Rifondazione comunista assumesse un atteggiamento di voto non contrario. In questo senso, direi che anche nell'intervento dell'onorevole Folena, che l'onorevole Michelini ha richiamato, vi sono tutte le possibilità di un «sì» critico, argomentato e dinamico per quanto riguarda le prossime occasioni che abbiamo di fronte. Non credo che questa sia una Costituzione che impedisce di andare avanti verso una più accentuata solidarietà, intanto, perché vi è un aspetto che mancava nei trattati precedenti. Vi è, infatti, una definizione della generalizzazione dei servizi pubblici che non era presente nei trattati precedenti meramente liberoscambisti. Soprattutto, è stato molto ben chiarito che la posta in gioco è quella di creare un soggetto politico europeo, certamente gradualmente, con difficoltà e contraddizioni, in un mondo di cui si lamenta il predominio di una sola superpotenza. Mi sembra contraddittorio votare contro un Trattato che riesce a gestire in modo più adeguato una realtà così complessa. Fotografo la situazione esistente: vi è un Governo di centrodestra, esistono posizioni di grande rilievo e di grande interesse, e vi sono ministri - non so se oggi si presenteranno, forse non lo faranno in prima persona - che con il loro partito voteranno contro il disegno di ratifica presentato dal Governo stesso. Non mi arrendo! Mi sembra veramente qualcosa che dal punto di vista della moralità politica non si può assolutamente accettare. Vengo ora all'analisi di alcuni aspetti scottanti rispetto ai quali posso cercare di portare un contributo, anche di esperienza personale. È vero: con la collega Elena Paciotti ho presentato un emendamento per inserire la dizione precisa dell'articolo 11 della Costituzione italiana sul ripudio della guerra. Siamo stati in qualche modo vittime dell'esperienza storica di paesi che erano stati via via aggrediti e che, per motivi psicologici-politici, non si sentono in grado di accettare una dichiarazione di questo genere. Però, è anche vero che, a cominciare dalla Carta dei diritti in poi, questa Costituzione non è certamente guerrafondaia, ma è piena di pace e di cooperazione. È la stessa Costituzione europea in sé che nasce dalla pace, vive di pace ed ha assicurato la pace ad un continente che era stato in guerra o diviso fino al 1998. Si è parlato molto del tema delle radici cristiane e io lo affronto anche con qualche sofferenza, perché è stato fatto uno studio molto preciso. Sulle 25 Costituzioni dei paesi che fanno parte dell'Unione, solo in tre è presente una menzione di questo genere, mentre una quarta, quella tedesca, ha una dichiarazione, anche bella, della responsabilità del popolo tedesco di fronte a Dio, della quale si capisce il motivo. Ciò ha le sue radici nella seconda guerra mondiale e nella terribile prova che il popolo tedesco ha affrontato nella sconfitta e nella riconversione democratica di quel paese. Allora, perché ho visto con allarme che a un certo punto la Commissione esteri ha votato una frase in cui si diceva che la Convenzione, scambiando il laicismo con la laicità, non aveva accettato le radici? Cosa vuol dire? Che la Costituzione italiana è laicista? Che le Costituzioni di 21 paesi europei sono laiciste? Non credo sia giusto affermare l'immagine di un cristianesimo che in qualche modo è assediato, è in rotta, è sconfitto e che va puntellato con dei richiami di carattere formale perché, altrimenti, si troverebbe in una situazione in cui è sostanzialmente incalzato... Non credo che sia giusto dare questa immagine. Non è così e credo che i cristiani in tante Costituzioni nazionali, a cominciare da quella italiana, abbiano scritto degli articoli mirabili ed affermazioni di principio che anche i laici hanno potuto condividere. Essi hanno dimostrato la validità di un assunto che - ricordo - fu della Conferenza episcopale dei vescovi cattolici francesi all'inizio degli anni Settanta, secondo il quale non esiste una politica cristiana, con il bollo del cristianesimo, ma esiste un modo cristiano di fare politica: esistono dei valori e dei principi che ispirano, certo in modo laico - perché guai se il cristiano pensasse di avere in tasca la capacità di essere sempre dalla parte della ragione - il modo cristiano di fare politica. Dirò di più: so che questi argomenti per ora trovano poco spazio, ma cercherei di guardare anche a livello planetario. Oggi ci sono grandi problemi di intolleranza religiosa e di convivenza fra le fedi che si intrecciano con gli aspetti politici ed etnici. Sono tra i problemi più grossi del nostro periodo storico. Mi domando: è più importante per i cristiani mettere un bollo di maggioranza laddove essi lo sono o è più importante chiedere una vera tolleranza e uguaglianza in tutto il mondo? Credo che l'Europa debba essere considerata dai cristiani come esempio per la capacità di assicurare piena libertà, piena tolleranza e piena convivenza delle fedi: è questo il modello che bisogna esportare. Altrimenti, anche contro la volontà degli amici presenti in questa sede, tali argomenti verranno sfruttati da chi cerca di esasperare l'ingresso della Turchia ed altri aspetti presentandoli alla luce di un cristianesimo assediato di fronte al quale bisognerebbe ergere un muro. Ovviamente vi è grande rispetto per tali argomenti, come vi fu verso La Pira quando propose di intitolare la Costituzione a Dio. Però, credo si debba andare al di là della polemica immediata e saper guardare ai grandi problemi del nostro mondo. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mancherei alla mia funzione se oltre agli aspetti di ottimismo e di orgoglio personale, avendo partecipato alla Convenzione, non vedessi anche gli aspetti pessimistici della vicenda europea. Mi riferisco, in particolare, al basso numero di votanti per il Parlamento europeo anche nei paesi nuovi in cui la cosa poteva avere il sapore della novità. Vi sono due motivi per cui dobbiamo partire dalla Costituzione europea per costruire iniziative politiche adeguate. Il primo è certamente la politica estera: la difficoltà dell'Europa di esercitare un ruolo politico a tutto tondo. Peraltro, nei confronti dei paesi dell'ex est europeo l'Europa è arrivata seconda rispetto alla NATO. È la NATO che ha aperto per prima le braccia ai paesi che hanno avvertito tale situazione. L'incapacità di essere un soggetto politico non ha creato intorno all'Europa l'attenzione necessaria. Il secondo aspetto è quello economico. Sono sincero: credo che nessuno di noi pensasse, quando lo abbiamo adottato, che l'euro sarebbe arrivato a tale tasso di cambio con il dollaro. Non l'abbiamo voluto noi - forse l'hanno voluto gli Stati Uniti - ma si tratta di un processo che dobbiamo cercare di fronteggiare in termini avanzati. Alcune parti dell'opinione pubblica sono sensibili ad un messaggio molto immediato: abbiamo dato il tasso di interesse e la determinazione della quantità di moneta alla Banca centrale europea, la politica di bilancio è vincolata dal patto di stabilità. Forse è meglio ricominciare come prima: vi sarebbe il deficit, ma almeno riavremmo un po' di sviluppo e di occupazione. È ovvio che tale discorso è antistorico perché non si torna mai indietro rispetto ad un mondo che si è globalizzato in tali vicende. Bisogna andare avanti, non indietro, e dare alla Commissione europea il volante di una vera politica economica. Il bilancio dell'Unione europea è ridicolo rispetto alla sommatoria dei bilanci dei vari paesi. Poteri veri di politica economica non ce ne sono. Ricordo come momento luminoso il piano Delors per la crescita, la competitività e l'occupazione che aveva due intuizioni grandissime che vorrei riproporre in questo dibattito. La prima riguarda lo scarto presente tra il costo del lavoro per l'imprenditore e la retribuzione del lavoratore che in Europa e, soprattutto, in Italia è particolarmente pronunciato. Diceva Delors: diminuiamolo, affrontiamolo e recuperiamo le risorse che in questo modo mancano alle entrate fiscali con tasse ecologiche contro gli sprechi e contro la distruzione delle risorse. Si tratta di una grande intuizione che credo varrebbe la pena di riprendere. L'altro aspetto era un vero piano di modernizzazione dell'Europa con reti strutturali ed infrastrutturali, sia quelle materiali, sia quelle immateriali che sono oggi particolarmente importanti come quelle informatiche e telematiche. Su questo vi sono state altre iniziative ed anche il Governo italiano si è espresso sulla necessità di portare avanti tali opere. Il piano Delors non si realizzò perché i governi non misero a disposizione i fondi.
PRESIDENTE. Onorevole Spini...
VALDO SPINI. Concludo subito. Il vero problema è riuscire a dare all'Europa tali poteri. Ciò significa andare avanti e non indietro, prendere il nuovo strumento che il Trattato costituzionale ci dà per costruire veramente un'Europa all'altezza delle sfide del nostro mondo, un'Europa capace di dare ai cittadini quelle speranze e quelle certezze che oggi si aspettano e che a livello nazionale non possiamo più dare loro (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e del deputato Michelini).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Esame degli ordini del giorno - A.C. 5388) PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati Avverto che è stata presentata una nuova formulazione dell'ordine del giorno Cè n. 9/5388/7. Qual è il parere Governo?
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo accetta l'ordine del giorno Volontè n.9/5388/1, mentre non accetta l'ordine del giorno Diliberto n. 9/5388/2. Il Governo accetta inoltre l'ordine del giorno La Russa n. 9/5388/3, mentre non accetta gli ordini del giorno Folena n. 9/5388/4 e Cima n. 9/5388/5. Per quanto riguarda l'ordine del giorno Spini n. 9/5388/6, il Governo si rimette all'Assemblea. Infine, il Governo accetta come raccomandazione gli ordini del giorno da Cè n. 9/5388/7 (Nuova formulazione) a Bricolo n. 9/5388/12.
PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Volontè se insista per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/1, accettato dal Governo.
LUCA VOLONTÈ. Sì, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, il nostro ordine del giorno impegna il Governo a promuovere un'interpretazione del Trattato che ribadisca che le materie concernenti la famiglia e la vita sono di esclusiva competenza degli Stati membri e che l'interpretazione dell'articolo II-69 e la sua applicazione devono avvenire in relazione all'articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Si impegna, altresì, il Governo a presentare in Parlamento la sua posizione prima dell'adozione di atti normativi comunitari che abbiano un impatto sul diritto alla vita e sulla famiglia nelle more di una puntuale disciplina nazionale sulle procedure di partecipazione dell'Italia all'Unione europea; ed, infine, a proseguire, in coerenza con quanto avvenuto in sede di Convenzione e di Conferenza intergovernativa, nell'impegno di introdurre un riferimento giuridico esplicito alle radici giudaico-cristiane nelle prossime modifiche del Trattato per la Costituzione d'Europa. Insisto, quindi, per la votazione di tale ordine del giorno.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Volontè n. 9/5388/1, accettato dal Governo. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera approva .
(Presenti 395 Votanti 239 Astenuti 156 Maggioranza 120 Hanno votato sì 206 Hanno votato no 33).
Prendo atto che gli onorevoli Grillini e Zanotti si sono erroneamente astenuti mentre avrebbero voluto esprimere un voto contrario. Prendo atto altresì che l'onorevole Bimbi ha erroneamente espresso un voto contrario mentre avrebbe voluto votare a favore.
Chiedo ai presentatori dell'ordine del giorno Diliberto n. 9/5388/2 se insistano per la votazione.
SEVERINO GALANTE. Sì, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SEVERINO GALANTE. Signor Presidente, mi sarei aspettato, nella mia ingenuità, un atteggiamento diverso da parte del Governo nei confronti del nostro ordine del giorno, perché l'illustre rappresentante del Governo non fa altro che raccogliere una serie di suggerimenti emersi nella discussione, formulati in larga misura anche da esponenti della maggioranza. Nella sostanza, l'ordine del giorno in esame afferma che vi è bisogno di più Europa - ciò è stato ampiamente sollecitato anche da esponenti della maggioranza e, certo, da parte nostra - democratica e sociale (è forse su questo punto che vi è dissenso), e non di meno Europa: riteniamo, infatti, che soltanto con più Europa, con più federalismo europeo, sostanziato da dinamiche sociali e politiche che lo innervino di democrazia, di solidarietà e di eguaglianza (di nuovo su questi punti vi è dissenso da parte del Governo), i nostri popoli potranno restare protagonisti della storia del mondo e potranno puntare a garantire ai loro figli condizioni di vita adeguate. Questo è il senso del nostro ordine del giorno, e mi dispiace che il Governo abbia dimostrato nei confronti dello stesso un atteggiamento negativo.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Diliberto n. 9/5388/2, non accettato dal Governo. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 403 Votanti 392 Astenuti 11 Maggioranza 197 Hanno votato sì 190 Hanno votato no 202).
Prendo atto che l'onorevole Giuseppe Gianni non è riuscito a votare. Chiedo ai presentatori dell'ordine del giorno La Russa n. 9/5388/3 se insistano per la votazione.
ANTONIO LEONE. Sì, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, è sotto gli occhi di tutti il fatto che stiamo vivendo un momento storico di grandissima portata, così come è sotto gli occhi di tutti la posizione del gruppo di Forza Italia nei confronti della ratifica del Trattato per la nuova Costituzione per l'Europa. Questa valutazione positiva, però, non ci deve far dimenticare che, nel giungere ad un compromesso, è rimasta nel preambolo del Trattato la lacuna del mancato riferimento alle radici cristiane del nostro continente. Il nostro paese, insieme a tanti altri, ha sostenuto con forza l'opportunità di tale previsione, che è il riconoscimento di un fatto storico, ma, per il momento, hanno prevalso preoccupazioni di stampo laicistico, legate ad alcune considerazioni portate avanti da altri Stati europei. Nel nostro ordine del giorno chiediamo al Governo che, nel caso si dovesse procedere ad una revisione del Trattato, sia riproposto l'inserimento nel preambolo del Trattato di un esplicito riferimento alle radici cristiane dell'Europa, al fine di sanare una lacuna che non ha ragione di essere. Vorrei ricordare in proposito che i padri fondatori dell'Unione europea spesso facevano un riferimento storico all'Europa carolingia, fondata largamente sulla cristianizzazione dell'Europa occidentale. Nell'ordine del giorno in esame chiediamo al Governo di promuovere, nel quadro dei dibattiti politici e dell'informazione che accompagneranno l'entrata in vigore del Trattato costituzionale, una più ampia riflessione sui valori cristiani, quale componente essenziale dell'identità europea. Ricordo le parole di Benedetto Croce: «Non possiamo non dirci cristiani». Pertanto, tutti coloro che, come noi, hanno a cuore la laicità dello Stato, non devono aver paura di un riferimento di carattere storico e filosofico alle radici cristiane. Signor Presidente, chiedo pertanto di porre in votazione il presente ordine del giorno (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, questo ordine del giorno presenta tre aspetti molto delicati, su cui vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi che lo hanno proposto e chiedere loro di riconsiderare la richiesta di porre in votazione tale ordine del giorno. Il primo aspetto riguarda il fatto che l'Unione europea oggi ha al suo interno moltissimi cittadini di orientamento religioso diverso da quello cristiano e si prepara ad intraprendere con la Turchia, che è un paese con un orientamento religioso prevalentemente islamico, un'importante negoziato. Se questo Trattato avesse esplicitamente contenuto un riferimento alle radici cristiane, ciò avrebbe reso molto più difficile quel processo di ampliamento dell'Unione europea auspicato dalla maggior parte delle forze politiche di questo Parlamento. La seconda questione è molto delicata e riguarda il fatto che quanto richiesto nel dispositivo dell'ordine del giorno in esame, qualora si dovesse procedere ad una revisione del Trattato, comporterebbe un rischio molto alto, poiché vi sono paesi in cui non è certo che il Trattato verrà approvato. Vuol dire che noi, qualora si dovesse procedere ad una revisione, impegniamo il Governo a non esprimere un voto favorevole se dovesse mancare il riferimento alle radici cristiane? Cioè, vogliamo davvero impegnare il Governo a far fallire un nuovo Trattato europeo qualora non contenga questo riferimento, o immaginiamo che il Governo possa, alla leggera, disconoscere un impegno assunto dal Parlamento con un voto? La terza ed ultima osservazione riguarda il fatto se la posizione del Parlamento possa essere interpretata come una sorta di via libera ad una mancata ratifica da parte di qualche altro paese. Queste sono le tre ragioni per le quali invito il Governo a riflettere molto seriamente sul parere espresso sul presente ordine del giorno. Pur riconoscendo il significato filosofico e religioso che si fornisce a questo riferimento, invito i colleghi a riflettere sulle conseguenze politiche che ne potrebbero derivare.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, voglio ricordare ai colleghi che l'Assemblea ha già approvato un ordine del giorno del collega Volontè, che riguarda su questo tema e parla di radici giudaico-cristiane, che sono una cosa diversa dalle radici cristiane. Vorrei capire bene, perché ho l'impressione che questi ordini del giorno abbiano un carattere sostanzialmente strumentale. Ad esempio, sono d'accordo sulla seconda questione, ovvero che si possa proporre una riflessione sui valori cristiani come componenti della Comunità europea. Premetto, invece, che sull'altro punto sposo le tesi esposte dall'onorevole La Malfa, ma ricordo che la Camera ha già votato un diverso approccio sullo stesso tema. Non ne faccio una questione regolamentare, ma vorrei capire bene di cosa stiamo parlando e su cosa impegniamo il Governo. Infatti, il Governo ha accolto ambedue gli ordini del giorno perché, forse, nella fretta non ha letto accuratamente i testi. D'altronde, tale inconveniente può capitare, perché gli ordini del giorno arrivano sempre all'ultimo momento. Comunque, le radici giudaico-cristiane sono diverse da quelle cristiane. Pertanto, vorrei capire su cosa stiamo impegnando il Governo. Vorrei che i presentatori o il relatore provvedessero a spiegare se l'ordine del giorno in oggetto superi l'ordine del giorno Volontè n. 9/5388/1 - peraltro già approvato e, quindi, non superabile - oppure se i colleghi non ritengano opportuno ritirare la parte dell'ordine del giorno che, francamente, sembra in contraddizione politica ed ideale con quanto già votato.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, in precedenza l'onorevole La Malfa ha posto un problema, ovvero se l'interpretazione limitata esclusivamente alle radici cristiane sia un concetto diverso e maggiormente riduttivo rispetto a quello contenuto nel precedente ordine del giorno, che reca il riferimento alle radici giudaico-cristiane. Pertanto, vorrei chiedere se il Governo concordi su tale interpretazione, che potrebbe avere un carattere riduttivo rispetto al precedente parere. Essendo un quesito rivolto al Governo, non posso essere io a risolverlo.
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo conferma quanto detto. Infatti, è vero che le radici cristiane e quelle giudaico-cristiane sono due concetti diversi. Tuttavia, è anche vero che in sostanza si vuole dire che la battaglia fatta dal Governo italiano per inserirle nella Costituzione - in qualsiasi punto, ma soprattutto nel preambolo - costituisce un impegno traducibile in atto, qualora - ed è importante specificare il termine «qualora» - si aprisse la procedura di revisione. Questo non comporta che, se un paese rifiuta con il referendum il Trattato, lo si può aggredire ricominciando la battaglia per inserire il riferimento alle radici cristiane. Infatti, si vuole soltanto intendere che, se vi fosse la necessità di rivedere la Costituzione - ricordo che siamo alla quarta Costituzione europea, iniziando da quella della CECA - per motivi che attengono alla sostanza del testo stesso o al numero dei paesi membri, in questo caso i valori derivanti dalla tradizione cristiana o giudaico-cristiana devono essere nuovamente presi in considerazione. A mio avviso, non esiste alcuna contraddizione perché si vuole soltanto sottolineare un'esigenza sempre manifestata dal Governo italiano.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.
GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, prendo la parola come firmatario dell'ordine del giorno in oggetto. A mio avviso, si è trattato puramente e semplicemente di un errore materiale nella redazione del testo, essendo saltata una parola, anzi forse due, dovendosi scrivere l'espressione, riferita alle radici, «greco-giudaico-cristiane». Infatti, la stessa espressione figura nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva relativa al futuro dell'Europa. Quindi, la mia proposta è quella di aggiungere le parole «giudaico-cristiane», perché in effetti si tratta del testo di cui ha parlato - se ben ricordate - il ministro degli esteri Fini. Pertanto, ritengo che si sia trattato di un errore materiale di battitura, pur non volendo ridurre la questione in termini troppo banali. L'espressione «giudaico-cristiana» figura tanto nel documento da me redatto a conclusione dell'indagine conoscitiva relativa al futuro dell'Europa, quanto nella dichiarazione resa dal ministro degli esteri Fini, a conclusione di questo dibattito. Pertanto, il riferimento deve intendersi alle radici giudaico-cristiane.
PRESIDENTE. Onorevole Selva, la ringrazio per il chiarimento, che deriva da una questione di equilibrio tra termini non solo filosofico-religiosi, ma legati anche ad un'interpretazione non solo unilaterale. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.
RENZO LUSETTI. Signor Presidente, anche noi ritenevamo che con l'ordine del giorno Volonté n. 9/5388/1 si fosse affrontato il problema in maniera organica, tanto che vi è stato un largo consenso, con l'astensione di parte dell'opposizione. Se ho ben compreso l'intervento del collega Selva, vi è la possibilità di integrare l'ordine del giorno La Russa n. 9/5388/3. Se, dunque, vi è la possibilità di andare nella direzione delle osservazioni formulate poc'anzi dal collega Violante e di integrare l'ordine del giorno in esame nel senso indicato dall'onorevole Selva, ritengo opportuno sapere se il Governo accoglie l'integrazione proposta dall'onorevole Violante, in linea con il contenuto dell'ordine del giorno Volonté n. 9/5388/1. A questo proposito, intendo citare un editoriale pubblicato da Civiltà cattolica alcune settimane fa, in cui si afferma che dal punto di vista cristiano il Trattato merita apprezzamento per la forte affermazione dei valori sui quali l'Unione europea intende fondarsi: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, pluralismo, tolleranza, giustizia, solidarietà. Si tratta di valori - afferma Civiltà cattolica - che hanno una radice cristiana, perché storicamente sono nati dalla predicazione evangelica. Se vi è dunque la volontà da parte del Governo di accogliere l'integrazione proposta, con riferimento alla precedente formulazione dell'ordine del giorno dell'onorevole Volontè, ritengo vi possa essere la nostra astensione anche sull'ordine del giorno in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, ritengo che la delicata questione, di cui si è discusso a lungo, relativa all'influenza delle radici cristiane nella vicenda europea, sia stata affrontata nel modo più equilibrato nel testo elaborato dalla Convenzione e, successivamente, nel Trattato. Quest'ultimo, infatti, contiene un riferimento esplicito alla centralità della persona e alla tutela dei suoi diritti, e ciò significa una consapevolezza piena del ruolo e dell'influenza che ha avuto il cristianesimo nella vicenda europea e nell'affermazione dei principi e dei valori di una civiltà. Ritengo che il problema debba essere posto in questi termini, sobri e convincenti. La vera questione che l'Europa oggi deve affrontare è quella di creare le condizioni perché più ispirazioni religiose e più convincimenti religiosi possano convivere. Questa è la vera sfida per l'Europa del futuro, e da questo punto di vista è convincente l'osservazione formulata dall'onorevole La Malfa circa gli impegni dell'Unione, recentemente confermati e fatti propri anche dalla maggioranza che sostiene il Governo, per l'avvio di un negoziato affinché un paese a maggioranza musulmana diventi parte dell'Unione europea. L'Europa deve essere pronta a disporre le condizioni che consentano la convivenza tra i differenti punti di vista anche per quanto riguarda le diversità religiose. Questa è la sfida, ed io credo che nel modo in cui viene affrontato nel Trattato costituzionale questo problema vi sia un elemento di equilibrio che non ritengo debba essere messo in discussione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, molte delle cose che avrei voluto dire le ha già dette il collega Ranieri, ma vorrei aggiungere una considerazione di fondo, che non riguarda soltanto i documenti e gli atti che stiamo per approvare, ma una concezione generale sulla quale tutta la Camera deve riflettere. È stato sollevato, ed anche in questo caso il problema si ripropone, il rapporto esistente tra i princìpi morali e i comportamenti e le politiche. La critica che viene sollevata solitamente è quella che una visione laica si affiderebbe fondamentalmente ad un relativismo etico, per cui qualsiasi tipo di comportamento sarebbe lo stesso. Coloro che sostengono una visione laica dello Stato italiano e dell'Europa che dobbiamo costruire non pensano assolutamente ad una relativismo etico; pensano, come ha detto il collega Ranieri, che correnti religiose e filosofiche, di varie ispirazioni, convergano - sottolineo «convergano» - su alcuni punti fondamentali, come, ad esempio, il problema della valorizzazione della persona umana e che su questo ci possa essere effettivamente una convergenza solida. Altra cosa è se lo Stato o l'Europa assumesse una ispirazione religiosa o ponesse alcune ispirazioni religiose alla base esplicita della propria Costituzione: in questo caso, noi avremmo - non possiamo parlare di Stato etico - sicuramente una forma etica, che creerebbe, cioè, una gerarchia tra le diverse ispirazioni religiose e filosofiche. Ecco dunque il punto, che non è di poco conto, ma è fondamentale nel rapporto, che non è tra laici e credenti, ma tra coloro che hanno una visione integralista (taluni fondamentalista) e coloro invece che, credenti e non credenti, hanno una visione laica. Non bisogna stabilire delle gerarchie nelle ispirazioni filosofiche: è necessario raggiungere una convergenza ed io credo che sul piano della convergenza, sui valori della persona, su quelli dell'uomo e della donna, sui valori dell'individuo in Europa vi sia un'ampia convergenza che parte da ispirazioni diverse.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 17,05) ROBERTO VILLETTI. È per questo motivo che ritengo che la soluzione data al Trattato corrisponda a quei grandi princìpi di civiltà liberale che garantiscono lo sviluppo e l'avvenire dell'Europa (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo).
GUSTAVO SELVA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, intervengo solo per ribadire formalmente che l'espressione «riproporre l'inserimento di un esplicito riferimento alle radici cristiane» si intende riformulata nel senso che l'esplicito riferimento «alle radici giudaico-cristiane».
PRESIDENTE. Chiedo al Governo se concordi con la modifica dell'ordine del giorno La Russa n. 9/5388/3 prospettata dall'onorevole Selva.
ALFONSO GIANNI. Non è accettabile proceduralmente!
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo è d'accordo sulla modifica dell'ordine del giorno testé prospettata, che accetta.
ALFONSO GIANNI. Possiamo discutere la storia dell'umanità perché Selva corregge un ordine del giorno? Ci stiamo prendendo in giro! Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni, poiché sono arrivato da poco in aula, può essere così cortese da attendere che assuma le necessarie informazioni al riguardo? Mi pare che l'onorevole Selva abbia chiesto al Governo se ravvisasse qualche controindicazione ad intendere l'espressione «radici cristiane» come «radici giudaico-cristiane». È chiaro che il testo non viene modificato ...
GUSTAVO SELVA. No, no!
PRESIDENTE. Il testo è invariato: il presidente Selva ha inserito un elemento politico di riflessione ed il Governo ha risposto. Qual è il problema? Ha facoltà di parlare, onorevole Alfonso Gianni.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, credo che non esista Governo al mondo né Selva - per quanto oscura ... - che possa decidere una questione storica. Non discuto sulla cristianità - Novalis diceva: Cristianità o Europa; si tratta di pareri, di punti di vista - ma dico soltanto che nell'ordine del giorno La Russa n. 9/5388/3, che, evidentemente, non è stato scritto da una dattilografa, ma da signori che dovrebbero avere cultura storica, l'espressione «radici cristiane» ricorre sia nella motivazione, là dove si fa riferimento alle «radici cristiane dell'identità europea», sia nella parte dispositiva, nella quale si parla di «radici cristiane» e di «valori cristiani». Quindi, non vi è alcun errore di stampa! Orbene, l'Europa che ha partorito Auschwitz pensa, in base alle parole di Selva, di coprire una simile schifezza semplicemente dicendo che si tratta di errore di stampa, per cui è sottinteso che «cristiane» vale come «giudaico-cristiane». È una vergogna, signor Presidente, abbia pazienza!
PRESIDENTE. Benissimo, le cose sono chiarissime. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno La Russa n. 9/5388/3, nel testo modificato, accettato dal Governo. (Segue la votazione).
ANTONIO BOCCIA. Presidente!
PRESIDENTE. È in corso la votazione, onorevole Boccia.
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 387 Votanti 358 Astenuti 29 Maggioranza 180 Hanno votato sì 197 Hanno votato no 161).
Prendo atto che l'onorevole Taormina non è riuscito votare e che l'onorevole Innocenti ha erroneamente espresso un voto contrario mentre intendeva astenersi. Chiedo all'onorevole Folena se insista per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/4, non accettato dal Governo.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, vorrei chiedere al rappresentante del Governo di rimeditare il parere che ha espresso sull'ordine del giorno che ho presentato insieme al collega Realacci. C'è un precedente, signor sottosegretario: un anno fa, una mozione a prima firma Realacci ebbe il consenso dell'intera Assemblea e del Governo. Essa impegnava il Governo a riproporre, in sede di discussione finale del Trattato per la Costituzione europea, il contenuto dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana, che ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Desidero ricordare che, l'anno passato, sono state raccolte, nel nostro paese, centinaia di migliaia di firme - da associazioni cattoliche, da parrocchie, da associazioni laiche, da movimenti di diversa colorazione politica o privi di colorazione politica - per chiedere alla politica italiana di portare in Europa il forte «messaggio» che i nostri padri costituenti vollero scrivere nella Costituzione della Repubblica italiana attraverso l'espressione «ripudia la guerra», che è più che rifiutare: si tratta, infatti, di giudizio politico ma, in qualche modo, anche morale sulla tragedia della seconda guerra mondiale e, in generale, dei conflitti in quest'epoca. Poiché non ci risulta che sia stato dato notevole corso, forse anche a causa di difficoltà oggettive, al mandato che il Parlamento aveva espresso un anno fa, e considerato che il Governo ha accettato altri ordini del giorno, nella prospettiva di una possibile revisione di parti del Trattato (allo scopo di inserire argomenti come quelli sui quali testé ci siamo espressi), chiederemmo al Governo di rivedere il parere affinché, nell'ambito dei possibili ritocchi, nelle forme previste dal Trattato, possa essere riconosciuta questa grande aspirazione che viene dal popolo della pace, dal popolo italiano e, io credo, da larghissima parte dei popoli europei. L'Europa può essere la prima grande organizzazione sovranazionale a fare del ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali una propria scelta identitaria. Infatti, l'identità attiene non solo alla storia, ma anche alle funzioni che vogliamo esercitare. Inoltre, poiché la nostra Europa è nata anche il 27 gennaio 1945, quando furono aperti i cancelli di Auschwitz ed è emerso l'orrore provocato dal sistema totalizzante e terribile di distruzione e di morte, vorremmo che, con questo riconoscimento, l'Italia, al di là delle differenze tra destra e sinistra, dichiarasse che il processo costituente non è compiuto e che l'Europa che vogliamo deve essere un'Europa contro la guerra e per la pace.
PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo conferma il parere già espresso sull'ordine del giorno Folena n. 9/5388/4. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Folena n. 9/5388/4, non accettato dal Governo. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 411 Votanti 407 Astenuti 4 Maggioranza 204 Hanno votato sì 199 Hanno votato no 208).
Prendo atto che gli onorevoli Taormina e Giuseppe Gianni non sono riusciti a votare. Chiedo all'onorevole Cima se insista per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/5, non accettato dal Governo.
LAURA CIMA. Signor Presidente, chiedo al Governo per quale motivo sia stato espresso un parere negativo così netto su un ordine del giorno molto articolato che abbiamo discusso e presentato insieme al Movimento federalista europeo (per intenderci, è quello fondato per iniziativa di Altiero Spinelli) e che, quindi, secondo le affermazioni del Governo e di chi per esso ha trattato per la Costituzione, non dovrebbe incontrare opposizione (almeno su determinate parti). Ad indurre ad esprimere un «no» così netto è stata forse la parte del dispositivo nella quale chiediamo l'attuazione di una campagna di informazione finalizzata a informare e a sensibilizzare i cittadini? Credo si tratti di un passo importante, il minimo indispensabile che il Governo dovrebbe compiere. Tutti noi, durante la discussione, abbiamo dichiarato che l'Europa deve marciare anche «sui popoli» e non solo «sugli Stati». Noi vorremmo che, in tale processo, l'Europa continuasse soprattutto «sui popoli». Per l'incapacità del Governo italiano durante il semestre di Presidenza europea, non abbiamo potuto insistere per un referendum europeo, come sarebbe stato sensato, insieme alle elezioni europee. Purtroppo, in seguito al fallimento italiano, il Trattato è stato approvato solo dopo il drammatico attentato terroristico di Madrid. Credo che l'accettazione del primo punto del dispositivo dell'ordine del giorno, vale a dire l'impegno ad attuare una campagna di informazione con l'obiettivo di stimolare un dibattito approfondito con i giovani, nelle scuole e nelle università, sugli aspetti critici e sulle iniziative da adottare in Parlamento europeo o attraverso un referendum (possibilità prevista dal Trattato a seguito della raccolta di un milione di firme), rappresenterebbe un atto importante ed un reale segno di democrazia. Invece, vi è una chiusura netta. La maggioranza ed il Governo sono preoccupati soltanto delle radici cristiane; è l'unico problema che impensierisce tutti i gruppi della maggioranza. Peraltro, vi è una posizione difensiva della Lega, che ha paura dell'allargamento, dell'ingresso della Turchia e, quindi, esprime un voto contrario per motivi di provincialismo politico e credo anche di razzismo. Tenuto conto delle considerazioni espresse precedentemente dal collega Folena in merito ad un atto di indirizzo sacrosanto, che era già stato approvato all'unanimità da questo Parlamento, mi chiedo (è un'altra questione che non riesco a comprendere) per quale motivo non si voglia definire un progetto per la pace come una comune politica estera, di sicurezza e di difesa europea. Non capisco perché non si voglia cercare di lavorare, anziché insistere sulle radici cristiane, su quello che veramente rappresenta lo spirito cristiano (il pontefice lo ha più volte espresso), cioè sul fatto che l'Unione rappresenti un ordinamento fondato sulla pace e, quindi, che si lavori anche per il ripudio delle azioni militari preventive. Infatti, questa è la volontà dei cittadini. Se si facesse parlare di più i giovani e i popoli, questo emergerebbe come dato comune fondamentale dell'Europa. Questa mattina, durante il dibattito, abbiamo ricordato che vi è una crisi economica dell'Europa, che non sa trovare uno sviluppo eco-compatibile, e che vi è una crisi dell'occupazione; allora, per quale motivo non si deve lavorare in questa direzione? Mi sembrano tutte questioni assolutamente condivisibili, come il fatto di estendere il processo di democratizzazione delle istituzioni europee, di creare un'area di sicurezza sociale, di giustizia e di solidarietà, di prevedere un metodo di revisione più flessibile rispetto a quello attualmente definito, che peraltro non è ancora chiaro (quindi, bisognerà aprire il dibattito su queste questioni), di prevedere l'applicazione della maggioranza qualificata nella politica estera, perché sappiamo che il diritto di veto imporrà - e ho concluso, Presidente - l'immobilismo e l'impossibilità di giocare un ruolo forte per il nostro nuovo ministro europeo degli esteri, che dovrebbe essere l'istituzione più rappresentativa che introduciamo. Per queste ragioni, chiedo ai colleghi, oltre che al Governo, di valutare seriamente, entrando nel merito l'ordine del giorno, perché altrimenti si rende chiaro che i «sì» in quest'aula sono molto diversi e che sotto ci sono intenzioni molto diverse.
GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, intervengo solo per dire che il primo degli impegni che propone l'ordine del giorno Cima n. 9/5388/5 è accettabilissimo (si riferisce ad una campagna di informazione), mentre tutta la seconda parte, che, come premessa, prevede che il Governo dovrebbe proporre di avviare subito una nuova fase costituente, al fine di introdurre nel Trattato tutte le cose che sono state dette, rappresenta un errore politico (mi rivolgo all'onorevole Boato): non sappiamo se questo Trattato costituzionale verrà approvato dai 25 paesi, proporre già oggi di avviare una nuova fase costituente sarebbe irrealistico e anche dannoso rispetto all'obiettivo. Quindi, pregherei i colleghi Cima e Boato di ritirare la seconda parte dell'ordine del giorno; nel qual caso anche il Governo potrebbe dare parere favorevole alla prima parte.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Cima n. 9/5388/5, non accettato dal Governo. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 416 Votanti 405 Astenuti 11 Maggioranza 203 Hanno votato sì 190 Hanno votato no 215).
Prendo atto che gli onorevoli Giuseppe Gianni e Dell'Anna non sono riusciti a votare e che quest'ultimo avrebbe voluto esprimere voto contrario. Chiedo ai presentatori dell'ordine del giorno Spini n. 9/5388/6, sul quale il Governo si è rimesso all'Assemblea, se insistano per la votazione.
VALDO SPINI. Sì, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, l'ordine del giorno non è solo mio (io sono il primo firmatario), ma è di tutti i partiti dell'Ulivo (Democratici di sinistra, Margherita, SDI e Repubblicani europei). Questo ordine del giorno è di ampia portata, perché vuole veramente impegnare il Governo affinché riprenda con vigore una politica europeistica. L'ordine del giorno si addentra su questioni di politica estera, di politica istituzionale e di politica economica e, in particolare, intende costruire concretamente un protagonismo italiano, non solo nella ratifica, ma anche nel processo che può portare realmente all'entrata in vigore della Costituzione. Ecco perché l'ordine del giorno pone con molta chiarezza, ad esempio, la possibilità di anticipare taluni istituti, qualora questo sia possibile (del resto al riguardo risponde anche ad un appello del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che ha inteso stimolare su questo punto). Dall'altro lato, certamente, tale ordine del giorno intende anche promuovere la conoscenza della Costituzione stessa da parte dei cittadini e la loro possibilità di partecipare. Direi che è anche significativo - lo vorrei sottolineare - che forze politiche come i DS, la Margherita, lo SDI e i repubblicani europei si esprimano - e credo che questo serva anche per rimettere le cose in chiaro - con efficacia sul tema delle radici culturali e religiose e del rapporto con le chiese in Europa, che tanto ha appassionato. Il nostro ordine del giorno manifesta approvazione per quanto, con il preambolo e con l'articolo 52 del Trattato, si è compiuto circa il dialogo aperto e trasparente con le chiese, le comunità religiose, le organizzazioni filosofiche. Considera in positivo tali tematiche mettendo in evidenza come soluzioni felici e positive siano state raggiunte nell'ambito del processo della Convenzione dapprima, e della Conferenza intergovernativa successivamente. L'ordine del giorno non trascura le recenti manifestazioni di disaffezione nei confronti dell'Europa, occorse con le ultime elezioni del Parlamento europeo, quando si è registrato un calo della partecipazione dei cittadini alle consultazioni. Tuttavia, reca una serie di previsioni per la concreta ripresa dell'attività dell'Unione per quanto riguarda, sia l'esplicazione della personalità giuridica unica, sia il coinvolgimento delle autonomie locali e regionali e dei Parlamenti nazionali, sia, infine, una interpretazione estensiva e chiara della figura del ministro degli esteri dell'Unione, del servizio europeo per l'azione esterna, dell'agenzia europea per gli armamenti (mirando, quindi, a compiere progressi sul tema della difesa). Ebbene, non si tratta di un semplice ordine del giorno; è veramente una carta di impegno europeistico del Governo che, come partiti dell'Ulivo, sottoponiamo all'attenzione. Il Governo ha avuto la sensibilità di non respingerlo e ritengo sia importante che le forze europeistiche della Camera dei deputati abbiano la capacità di sorreggerlo e incoraggiarlo con il loro voto. Certamente, infine, noi non amiamo dilungarci sulle questioni che seguirebbero al mancato intervento della ratifica di qualche paese membro; abbiamo, tuttavia, inserito nel testo dell'ordine del giorno una previsione generica, che vuole sottolineare la rilevanza di una tale evenienza. Il caso attuale si differenzia, infatti, dal Trattato di Nizza, la cui entrata in vigore poteva ben essere bloccata dalla mancata ratifica di un Stato membro quale l'Irlanda; siamo, piuttosto, dinanzi ad un appuntamento di particolare importanza, tale che richiederebbe, in questo caso, una riflessione più generale. Sulla questione, peraltro, il Governo italiano è impegnato a confrontarsi all'interno del Consiglio europeo. Noi non trascuriamo, poi, di raccogliere anche le voci critiche della società; in tale direzione, ci poniamo in dialettica con le ragioni e le proposte emerse, in questi anni, in sede di Social forum europeo. Ciò, non perché le facciamo nostre acriticamente; piuttosto, perché sentiamo una spinta verso il bisogno di Europa e verso la capacità della stessa di essere protagonista nella risoluzione delle grandi tensioni internazionali e, altresì, nella risoluzione dei grandi problemi del mondo. Al riguardo, vorrei aggiungere come avvenimenti recenti abbiano dimostrato interdipendenza ampia con l'economia di quanto succede anche nell'ambito delle catastrofi naturali...
PRESIDENTE. Onorevole...
VALDO SPINI. ...ed in tal senso l'ordine del giorno in questione dà un senso al nostro dibattito. Non è un semplice sì alla ratifica di un provvedimento, ma l'impegno preciso di una politica che può caratterizzare il nostro paese ponendolo in condizioni di ottenere autorevolezza sulla scena europea (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Per quanto mi riguarda, signor Presidente, voterò contro l'ordine del giorno in questione; il motivo è molto semplice e risiede in una divergenza profonda. Mi rendo conto, peraltro, che si tratta di una divergenza che non divide solamente - sempre che le demarcazioni abbiano un senso - la sinistra, per così dire, alternativa da quella moderata o riformista; piuttosto, esso attraversa anche il campo di pensiero della stessa sinistra alternativa. La divergenza si riscontra - lo si è constatato anche in occasione del recente voto per l'elezione del Parlamento europeo - nella valutazione della Carta di Nizza. Caro onorevole Spini, quella Carta rappresenta un arretramento rispetto a tutte le Costituzioni nate in Europa dalla lotta al nazifascismo e segnate dalla componente, ineliminabile ai fini di quella vittoria, della lotta di classe sociale. La cartina di tornasole è l'inesistenza nella Carta di Nizza - e, conseguentemente, nel Trattato costituzionale che lo recepisce - della tutela del diritto al lavoro. Bisogna che vi abituiate a distinguere tra il diritto a lavorare in ogni continente, in ogni nazione, in ogni paese - e ci mancherebbe altro! - per chi il lavoro già lo ha, come è scritto nel Trattato in esame, e la promozione del diritto al lavoro; nella Costituzione italiana, nella parte non ancora «infangata» dalle destre, si prevede, per l'appunto, una promozione di tale diritto, attraverso la rimozione delle differenze e degli ostacoli sociali che ne inibiscono la fruizione. Ciò non è contemplato nella Carta costituzionale europea. Il richiamo alla strategia di Lisbona, al principio della competitività e della crescita economica, pertanto, è monco della sua leva fondamentale, rappresentata dal lavoro delle donne e degli uomini che, nel conflitto sociale, hanno costruito tale competitività e capacità produttiva. Tale assenza rappresenta la dimostrazione che, in realtà, siamo di fronte ad una costituzionalizzazione, appena un po' temperata, delle logiche di mercato, da cui è esclusa la difesa di chi, nel contratto sociale tra datore di lavoro e prestatore di manodopera, costituisce la parte più debole, e la parte più debole è quest'ultima. In questo caso, esiste una divergenza, che dobbiamo affrontare per quello che è, anche nel campo dell'alleanza che dobbiamo costruire a sinistra. Tuttavia, non possiamo mascherare, né possiamo fare dell'ecumenismo da quattro soldi ricordando come se fossero bruscolini forum sociali europei che hanno indetto manifestazioni nei confronti della Carta di Nizza, ma hanno subito l'aggressione delle forze di polizia italiane e francesi. Allora, per quanto mi riguarda, e limitatamente a questo punto, pur comprendendo tutta la bontà dell'animo che ispira i presentatori dell'atto di indirizzo in esame, ribadisco che voterò contro l'ordine del giorno n. 9/5388/6, di cui primo firmatario (anche se non l'unico, visto che ci tiene ad sottolinearlo) è l'onorevole Spini. Esistono, infatti, due concezioni dell'Europa: noi siamo per un'Europa sociale, e non per l'Europa della contabilità, della profittabilità e, come si dice in termini marxiani, del calcolo economico.
PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni, concluda!
ALFONSO GIANNI. Noi vogliamo segnare nettamente tale differenza, signor Presidente.
GUSTAVO SELVA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Selva, lei è già intervenuto sugli ordini del giorno presentati.
GUSTAVO SELVA. Non su questo ordine del giorno, signor Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Selva, vorrei farle presente che non è possibile intervenire su ogni ordine del giorno. Il regolamento della Camera dei deputati stabilisce, infatti, che ciascun deputato può dichiarare il proprio voto sugli ordini del giorno con un unico intervento sul loro complesso, per non più di cinque minuti, o con non più di due interventi distinti, per una durata complessivamente non superiore (e dunque con due interventi della durata di due minuti e mezzo). Diverso è il discorso per quanto concerne il Governo, che può intervenire sempre.
GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, parlerò solo per due minuti.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Selva: dal momento che prima aveva parlato per tre minuti, potrà intervenire adesso per due minuti, ma non potrà più svolgere successive dichiarazioni di voto sugli ordini del giorno. Prego, onorevole Selva, ha facoltà di parlare.
GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, forse risparmierò un minuto e mezzo, poiché condivido pienamente il fatto che, anche per quanto concerne queste soluzioni, che incideranno sul futuro di tutti noi, occorre qualcuno che abbia il coraggio di «alzare l'asticella» e di andare un po' più avanti non solo sul piano istituzionale, ma anche su quello politico generale. Mi riferisco, in modo particolare, alla politica per un'economia sociale di mercato (introducendo, dunque, il concetto più ampio di sviluppo sia economico che sociale), alla politica estera, attraverso lo strumento del ministro degli affari esteri dell'Unione, ed alla sicurezza, mediante un raccordo con tutto ciò che attiene alla materia della difesa. Credo di poter approfittare della libertà data dal Governo (ma ne avrei approfittato comunque, indipendentemente da tale concessione) per preannunziare il mio voto favorevole sull'ordine del giorno Spini n. 9/5388/6. Ci vuole qualcuno che abbia il coraggio non di andare nel campo dell'utopia, ma, restando in quello del realismo politico, di prevedere qualcosa di ancora più forte - come, ad esempio, le cooperazioni rafforzate -, anche per far sì non che si creino «duopoli» o «trilogie», ma che la politica comunitaria, nel suo complesso, conosca una crescita, un avanzamento.
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario per gli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo non può né anticipare questo o quel punto del Trattato - proprio perché è un trattato -, né indire alcuna nuova fase costituente, per la ragione già evocata poco fa.
Detto questo, quanto all'ordine del giorno Spini n. 9/5388/6, il Governo, nel rimettersi all'Assemblea, è favorevole alla promozione di un'attività di informazione e comunicazione, ma non può accettare l'invito a sollecitare l'attuazione anticipata di alcune novità...
VALDO SPINI. Laddove giuridicamente possibile.
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario per gli affari esteri. ...proprio perché ciò il Governo non lo può fare. Spero di aver chiarito in quale ottica il Governo si pone nell'accettare o meno gli ordini del giorno presentati.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Spini n. 9/5388/6, sul quale il Governo si rimette all'Assemblea. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 420 Votanti 417 Astenuti 3 Maggioranza 209 Hanno votato sì 198 Hanno votato no 219).
Prendo atto che l'onorevole Biondi ha erroneamente espresso un voto contrario, mentre avrebbe voluto esprimerne uno favorevole. Prendo atto altresì che l'onorevole Dell'Anna non è riuscito a votare ed avrebbe voluto esprimere voto contrario. Chiedo ai presentatori dell'ordine del giorno Cè n. 9/5388/7 (Nuova formulazione), accolto come raccomandazione dal Governo, se insistano per la votazione.
ALESSANDRO CÈ. Sì, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, considero molto importante questo ordine del giorno, perché rappresenta una questione che attiene alla civiltà giuridica del nostro paese. Nella Costituzione europea è stato previsto il divieto di clonazione riproduttiva e non quello di clonazione tout court. Probabilmente sotto la spinta di enormi interessi economici e la pressione e l'azione politica della Gran Bretagna, in particolare, è stato redatto un testo assolutamente irrispettoso dell'uomo, tanto è vero che esso proibisce la clonazione riproduttiva, ma implicitamente ammette la clonazione di tipo terapeutico. Noto che l'Assemblea si disinteressa di questi aspetti! Bene! Vedremo quale sarà il futuro del nostro paese, sotto tale punto di vista. Mi piacerebbe che qualcuno in Europa - ma anche in quest'aula - mi spiegasse quale diversità vi è tra questi due tipi di clonazione, considerato che l'embrione è un essere umano a tutti gli effetti. Ritengo, anzi, che la clonazione terapeutica sia addirittura peggiore della clonazione riproduttiva. Nella clonazione riproduttiva si crea una persona identica ad una già esistente, ma almeno le si consente di nascere e di vivere, anche se sarà, appunto, lo specchio di un'altra persona. Con la clonazione cosiddetta terapeutica, invece, si crea un essere umano che diventa mezzo, oggetto, strumento ai fini della migliore vita di un altro essere umano. Credo che ciò rappresenti un aspetto di totale inciviltà introdotto dalla Costituzione europea. Tra l'altro, questo è in netto contrasto con la cosiddetta Convenzione di Oviedo, sottoscritta dal nostro paese, che vieta tutti i tipi di clonazione, sia quella riproduttiva sia quella terapeutica. Ciò è anche la conferma che, con la Costituzione che stiamo ratificando, si andrebbe a contraddire pesantemente quanto statuito fino ad oggi dal nostro Parlamento, sia attraverso la sottoscrizione della Convenzione di Oviedo, sia attraverso la legge sulla procreazione medicalmente assistita, di recente approvata e che vieta esplicitamente ogni tipo di clonazione, sia essa di tipo di riproduttivo o terapeutico. Abbiamo presentato questo ordine del giorno affinché il Governo si impegni a non legittimare alcuna interpretazione che autorizzi o promuova nel nostro paese una normativa che permetta la clonazione a fini terapeutici. Il sottosegretario Bettamio, nel suo intervento, ha espresso un parere positivo al riguardo, ma ha accolto il nostro ordine del giorno come raccomandazione. Credo che ciò sia assolutamente inaccettabile. Signor sottosegretario, lo ripeto: l'Italia ha sottoscritto una convenzione internazionale, la Convenzione di Oviedo, che vieta ogni tipo di clonazione. Allora, mi sembra assolutamente coerente con l'atteggiamento e con gli impegni assunti a livello internazionale dal Governo che questo ordine del giorno venga accettato. Se il sottosegretario non intende riconsiderare il parere espresso, insistiamo per la votazione. Attendo una risposta al riguardo.
PRESIDENTE. Sottosegretario Bettamio?
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo non ha alcun problema ad accogliere questo ordine del giorno, a condizione che, come ho già detto, non si chieda di modificare la Convenzione per inserirvi questo o quel passaggio, perché ciò non è possibile. Se, invece, l'onorevole Cè e i firmatari di altri ordini del giorno ritengono che il Governo si debba impegnare nel senso indicato alla prima occasione utile, non vi è alcun problema ad accogliere tale ordine del giorno: dipende dal modo in cui è formulato il testo.
ALESSANDRO CÈ. Signor sottosegretario, gli ordini del giorno hanno una parte motiva e un dispositivo. Nel dispositivo non si chiede di modificare il Trattato costituzionale, ma si chiede quanto detto nel mio precedente intervento, ossia di non legittimare alcuna interpretazione che consenta in Italia la clonazione. Se lei accetta questo ordine del giorno, va benissimo.
PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Cè non insiste per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/7 (Nuova formulazione). Chiedo all'onorevole Lussana se insista per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/8, accolto come raccomandazione dal Governo.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, invito anch'io il rappresentante del Governo a riconsiderare il parere espresso su questo ordine del giorno, accolto come raccomandazione. Con tale ordine del giorno si invita il Governo a non promuovere atti normativi che riconoscano e autorizzino modelli di famiglia diversi da quella monogamica, eterosessuale e fondata sul matrimonio, che appartiene alla tradizione e alla cultura del nostro paese. Richiamo anche i colleghi della Casa delle libertà e tutti coloro che sono sensibili a questo tema a considerare l'importanza di tale ordine del giorno. E mi rivolgo, in particolare, al Governo. Mi sembra, infatti, che la difesa e il riconoscimento dell'idea di non aprirci a modelli di famiglia diversi da quelli previsti dall'articolo 29 della nostra Costituzione costituiscano un impegno esplicito della Lega e di tutta la Casa delle libertà, riconosciuto ampiamente anche da nostri esponenti di Governo. L'equivoco nasce perché il Trattato costituzionale, all'articolo II-69, parla del diritto di sposarsi e di fondare una famiglia; ma, poi, nel definire cosa si debba intendere per matrimonio, lo esplicita come un'unione tra individui. Il presidium, nel dare un'interpretazione a questa norma, ha esplicitato che volutamente è stata assunta un'accezione generica del termine matrimonio, proprio per dare la possibilità ad alcuni Stati di riconoscere non solo i matrimoni fra persone di sesso diverso, ma anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Ritengo che questa sia una linea di pensiero che non debba essere condivisa dalla Casa delle libertà e neanche dalle forze dell'opposizione. Il Parlamento sta affrontando questo tema: in Commissione giustizia sono state presentate diverse proposte di legge che portano al riconoscimento delle coppie di fatto e delle coppie costituite da persone dello stesso sesso, ma non si era mai parlato di matrimonio. Invito, quindi, il Governo a riconsiderare il parere espresso sull'ordine del giorno in esame.
PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo conferma il parere precedentemente espresso sull'ordine del giorno Lussana n. 9/5388/8. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grillini. Ne ha facoltà.
FRANCO GRILLINI. Inviterei l'onorevole Lussana ad occuparsi della maggioranza, perché l'opposizione pensa a se stessa. Le posso assicurare, onorevole Lussana, che in merito ai diritti delle famiglie, di tutte le famiglie, l'opposizione, o almeno buona parte dell'opposizione, la pensa in modo diverso da ciò che pensa la maggioranza. Vorrei informare gli amici della Lega, che evidentemente sono ossessionati da questo tema, perché lo tirano fuori dappertutto, anche durante i lavori delle Commissioni quando l'argomento in discussione non ha con lo stesso alcuna attinenza, che la loro ossessione sessuofobica ed omofobica dovrebbe essere quanto meno contenuta. Infatti, se gli amici della Lega non lo sanno, in tutta Europa, tranne che in Italia, ormai i diritti di tutte le famiglie - ripeto: di tutte le famiglie - sono riconosciuti. In Commissione giustizia alla Camera è in corso una discussione molto interessante. Finora non abbiamo avuto il contributo della Lega, ma personalmente non ne sento la mancanza (Commenti del deputato Vascon). Se volessero intervenire, possono farlo... In quella sede si è detta una cosa molto semplice: in tutta Europa queste leggi sono già state approvate e anche in paesi cattolicissimi, come l'Irlanda e persino la Polonia, stanno per essere approvate. Ora ci si dice che l'articolo 29 in Italia non consentirebbe l'approvazione di una legge di questo tipo. È falso. L'articolo 29, se andate a studiare i lavori dei costituenti, fu scritto per difendere la famiglia...
PRESIDENTE. Onorevole Grillini...
FRANCO GRILLINI. Concludo, signor Presidente. Dicevo che l'articolo 29 fu scritto per difendere la famiglia dalle intromissioni dello Stato e, in particolare, dallo Stato fascista, e non certo per impedire che si riconoscessero i diritti di tutte le famiglie, che sono sacrosanti. Studiate i lavori della Costituente senza dire stupidaggini. La Costituzione italiana non vieta l'allargamento dei diritti. Voi volete precludere questi diritti e, non a caso, anche voi avete riconosciuto che questo ordine del giorno non si può votare (il Governo lo ha infatti accolto come raccomandazione) perché è un ordine del giorno invotabile (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Lussana 9/5388/8, accolto come raccomandazione dal Governo. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni - Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
(Presenti 410 Votanti 405 Astenuti 5 Maggioranza 203 Hanno votato sì 48 Hanno votato no 357).
Prendo atto che l'onorevole Pagliarini ha erroneamente espresso un voto favorevole mentre avrebbe voluto esprimerne uno contrario.
CAROLINA LUSSANA. Complimenti! Vergogna!
PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori se insistano per la votazione dell'ordine del giorno Francesca Martini n. 9/5388/9, accolto come raccomandazione dal Governo.
FRANCESCA MARTINI. Sì, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCA MARTINI. Questo ordine del giorno porta l'Assemblea a riflettere su un tema molto concreto che ha grande peso sul bilancio dello Stato, ossia quello della spesa sanitaria regionale. Infatti, l'articolo 95 del Trattato costituzionale oggetto di discussione riguarda proprio il riconoscimento del diritto di ogni persona ad accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche secondo le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali. L'articolo 32 della Costituzione italiana, che prevede la tutela della salute come diritto fondamentale del cittadino italiano, non prevede un diritto generalizzato a qualsiasi prestazione di tipo sanitario per chiunque si trovi a qualsiasi titolo - penso soprattutto a chi si trovi clandestinamente in Italia - nel territorio italiano. Ciò è abbastanza problematico e - penso al mio Veneto - abbiamo stimato che almeno 25 milioni di euro annui vengono spesi per dare una risposta a queste persone che si trovano sul territorio e che accedono alle prestazioni di pronto soccorso. Chiedo al Governo, pertanto, di impegnarsi a non promuovere normative che trattino in maniera estensiva quanto già previsto dalla Costituzione italiana (Commenti del deputato Ruzzante). Qualora il Governo non ritenesse opportuno impegnarsi seriamente su tale tema, che ritengo molto importante, chiedo ai colleghi di votare a favore del mio ordine del giorno in modo da garantire alle nostre regioni la capacità di rispondere per il futuro, nell'ambito di quanto le norme oggi stabiliscono, ai bisogni sanitari dei loro cittadini. Insisto, pertanto, per la votazione del mio ordine del giorno.
PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Francesca Martini n. 9/5388/9, accolto dal Governo come raccomandazione. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 410 Votanti 401 Astenuti 9 Maggioranza 201 Hanno votato sì 56 Hanno votato no 345).
Onorevole Gibelli, insiste per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/10, accolto dal Governo come raccomandazione?
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, francamente sono imbarazzato ad intervenire dopo il voto del centrodestra che, di fatto, legittima forme di famiglie diverse da quelle tradizionali e contraddice uno spirito che pensavamo comune. Per tornare al tema, vorrei chiedere al sottosegretario come mai non ha usato la stessa coerenza, visto che il dispositivo dell'ordine del giorno da me presentato ricalca ordini del giorno presentati da altri colleghi del centrodestra facendo riferimento alle radici cristiane nel preambolo della Costituzione europea. La volontà della Lega nord di presentare un ordine del giorno disgiunto rispetto ai colleghi del centrodestra era volta a sottolineare la coerenza storica del nostro gruppo rispetto ad un atteggiamento che, purtroppo, in quest'aula molto lascia a desiderare sull'argomento. Il non voler mettere in discussione una Costituzione europea che nel suo preambolo non racchiude le radici cristiane vuol dire non sancire l'identità di un continente che ha saputo, nei secoli, distinguere la sfera laica da quella religiosa con il principio di divisione tra Stato e Chiesa. Non si è voluto sottolineare quel principio di tutela e di valore della persona umana che trova nel cristianesimo il proprio fondamento. Per ragioni politiche ed economiche non si è voluto individuare quel principio di libertà individuale - che non è stato sancito dall'illuminismo, ma semmai ne è stato rafforzato - e non si vuole riconoscere la tradizione cristiana di questo continente. È gravissimo che oggi ci troviamo di fronte ad una discussione tarda su tale argomento. Infatti, poco è stato fatto nelle sedi europee per ribadire il principio di identità cristiana che, invece, dovrebbe contraddistinguere l'identità di un continente che è differente rispetto ad altri continenti che legittimano violenze e barbarie. L'unione indistinta tra sfera laica e sfera religiosa ha creato guerre che ancora oggi subiamo. Ribadiamo che l'ordine del giorno in esame, per coerenza, non può essere accolto come raccomandazione. Altrimenti, si rischia di dare spazio a quel laicismo militante ideologico che poco ha a che fare con il principio di identità che è un equilibrio dinamico tra fede e ragione. Mi riferisco a quella fede ed a quella ragione che trovano nel cristianesimo un equilibrio storico di libertà. Mi spiace dirlo, ma voi oggi state condannando l'Europa ad essere un'Europa di burocrazia e di economia, dando spazio all'ingresso di paesi non europei: ricordiamo che la Turchia non è un paese europeo. Per ragioni economiche e politiche avete cancellato le ragioni storiche di un continente che è sempre stato diviso su tanti argomenti, ma ne ha trovato uno, quello dell'identità cristiana, come principio fondante. Mi spiace ma non posso accettare che questo Governo consideri pura e semplice raccomandazione il mio ordine del giorno visto il parere su ordini del giorno precedenti.
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Onorevole Gibelli, se mi promette di non introdurre nessuna clausola che cambi il testo della Costituzione - altrimenti torniamo a dire quello che abbiamo già detto più volte - il Governo può accettare il suo ordine del giorno.
PRESIDENTE. Mi scusi, signor sottosegretario, ma quando si presentano gli ordini del giorno non si apre una contrattazione dicendo «se mi promette» o «se non mi promette». È stato presentato un certo testo dell'ordine del giorno: lo accetta o lo accoglie come raccomandazione? Altrimenti, non si capisce più niente. Peraltro, gli atti parlamentari, un domani, si riscontrano sul testo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo)...
GIAMPAOLO BETTAMIO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Modificando il parere precedentemente espresso, accetto l'ordine del giorno Gibelli n. 9/5388/10, Presidente.
PRESIDENTE. Bene, questo lo accetta! Prendo dunque atto che i presentatori non insistono per la sua votazione. Chiedo adesso all'onorevole Guido Giuseppe Rossi se insista per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/11, accolto come raccomandazione.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Questo ordine del giorno ripropone sostanzialmente il contenuto delle proposte emendative dichiarate inammissibili, presentate dal gruppo della Lega, ma non solo. Si tratta dunque di uno degli ultimi strumenti che ci è rimasto, dopo che tutti gli strumenti parlamentari sono stati via via messi in secondo piano, sono stati messi ko: poco dibattito parlamentare; poco tempo; pochi interventi del Governo sulla questione; la nostra proposta di legge costituzionale per indire il referendum confermativo sul Trattato costituzionale sostanzialmente bloccata; nessun dibattito sulla possibilità di attuare o meno i meccanismi previsti dall'articolo 138 della Costituzione (quattro o più passaggi parlamentari con eventuale referendum confermativo). Si è scelta invece la via molto chiara che è stata esplicitata più di una volta: bisogna fare velocemente; bisogna fare in fretta; bisogna ratificare con legge assolutamente ordinaria ciò che viene definito Costituzione (tra l'altro con una contraddizione in termini di non poco conto e di non poco rilievo). Pertanto, con il nostro ordine del giorno intendiamo ribadire che su alcuni temi e diritti fondamentali il nostro paese lascia a futura memoria una chiave interpretativa molto, molto chiara: nessuna sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e nessun atto legislativo dell'Unione europea, così come previsti dal nuovo Trattato, potranno scalfire quei diritti (enunciati nell'ordine del giorno) che sono essenzialmente diritti fondamentali in tema di libertà personale ed in tema di giusto ed equo processo. Ciò al fine di non vedersi cadere sulla testa norme europee come quella del mandato di arresto europeo, che peraltro nasceva con il condivisibile intento di bloccare il terrorismo internazionale, ma che ha finito poi per ricadere su tutta una serie di questioni che poco avevano a che fare con il principale obiettivo, ma che sicuramente intaccavano le libertà personali dei cittadini dei singoli Stati nazionali. Non condividendo il parere del Governo, che ha accolto come raccomandazione questo mio ordine del giorno, insisto dunque per la sua votazione (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Guido Giuseppe Rossi n. 9/5388/11, accolto dal Governo come raccomandazione. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni). (Presenti 409 Votanti 396 Astenuti 13 Maggioranza 199 Hanno votato sì 43 Hanno votato no 353). Chiedo all'onorevole Bricolo se insista per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/5388/12, accolto dal Governo come raccomandazione.
FEDERICO BRICOLO. Il mio ordine del giorno - sul quale peraltro chiedo al Governo di modificare il suo parere, considerato che esso ha lo stesso dispositivo dell'ordine del giorno presentato dall'onorevole Cè, accettato dal Governo (mentre in un primo momento era stato accolto come raccomandazione) - parte dalla premessa che dal combinato disposto degli articoli del Trattato che parlano del diritto alla vita non emerge alcun riferimento alla tutela del diritto alla vita del nascituro e dell'embrione; il che implicitamente ammette lo sfruttamento a fini sperimentali sulle cellule staminali embrionali. Poiché nel Trattato è presente solo un generico richiamo alle proibizioni sulla selezione eugenetica, noi chiediamo al Governo di impegnarsi a non legittimare nessuna interpretazione delle citate disposizioni del Trattato che autorizzi (o addirittura promuova) nel nostro paese una normativa che permetta la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali. Dal momento, ripeto, che il dispositivo del mio ordine del giorno è lo stesso di quello presentato dall'onorevole Cè, chiedo al Governo di modificare il parere già espresso.
PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo conferma il parere precedentemente espresso. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Bricolo n. 9/5388/12. (Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 408 Votanti 395 Astenuti 13 Maggioranza 198 Hanno votato sì 48 Hanno votato no 347).
Prendo atto che l'onorevole Cusumano non avrebbe voluto partecipare alla votazione. Prendo atto altresì che l'onorevole Giuseppe Gianni non è riuscito a votare.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 5388) PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento. Avverto che interverrà per primo l'onorevole Grandi, a titolo personale. Seguiranno gli interventi dei rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari e delle componenti politiche del gruppo Misto, che si svolgeranno, come previsto, con ripresa televisiva diretta. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Grandi. Ne ha facoltà.
ALFIERO GRANDI. Signor Presidente, il Trattato costituzionale europeo è una tappa rilevante del percorso politico che, dal dopoguerra ad oggi, con tappe sempre più impegnative fino all'attuale Unione a 25 Stati, ha reso chiaro che si voltava pagina rispetto alle guerre sanguinose che hanno lacerato il continente. Parto da una posizione nettamente a favore dell'Unione europea, senza «se» e senza «ma». Ritengo, però, che vi siano non poche ragioni di delusione nel documento che ci accingiamo a votare. Una valutazione di insieme degli aspetti positivi e negativi di questo Trattato mi porterebbe ad astenermi. Solo una valutazione politica generale mi porta ad uniformarmi alla scelta del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e ad esprimere un voto favorevole. In breve, le ragioni di critica che desidero richiamare sono le seguenti: innanzitutto, il valore storico di un Trattato come questo avrebbe consigliato di sottoporre la decisione agli elettori, come del resto faranno altri paesi. So bene che vi sarebbero da affrontare problemi di varia natura e, tuttavia, questa scelta storica meriterebbe un coinvolgimento popolare che, peraltro, non vi è stato durante tutta la lunga gestazione del Trattato e che è tra le ragioni che hanno consentito a posizioni retrive e conservatrici, come quelle della Lega, di prosperare. L'Unione europea è importante non solo per garantire la pace nel continente, ma anche per svolgere un ruolo di pace nel mondo, come abbiamo visto con la guerra preventiva di Bush in Iraq. Non si tratta, quindi, di un dibattito astratto. Nel Trattato vi è un impegno per la pace, ma non si compie una scelta netta per ripudiare la guerra come fa la Costituzione italiana. Vi è una formulazione troppo vaga di buone intenzioni che può essere stiracchiata sino al punto da essere usata anche da quanti pensano che la guerra sia inevitabile o che si vis pacem, para bellum. L'Unione europea può svolgere un ruolo importante per ricostruire una sede mondiale in grado di governare i processi politici, di mantenere la pace, di regolare la mondializzazione economica, sede oggi in grave crisi per la delegittimazione voluta da chi si considera unilateralmente investito del potere di decidere da solo nel mondo. Purtroppo, in parallelo alla ratifica del Trattato, vi sono iniziative che insistono sul ruolo dei singoli Stati e che, quindi, svuotano l'attesa novità della creazione del ministro degli esteri europeo che, pure, cerca di rispondere all'esigenza di costruire una sola voce europea in politica estera. Paghiamo un prezzo alle rotture in ambito europeo, come la divisione sulla guerra preventiva in Iraq, di cui il Governo italiano è direttamente responsabile. È forte l'esigenza di stare, se non in modo unico, almeno fortemente coordinato, nei processi economici mondiali. Basta ricordare la processione dei singoli Stati europei in Cina per avere un'idea della situazione attuale, ed è proprio in materia economica che è più vistoso il vuoto istituzionale. Manca nel Trattato l'indicazione di una chiara volontà politica europea come sarebbe stata l'istituzione di un vero e proprio ministro europeo dell'economia. In questo modo, l'unica istituzione certa in campo economico è la Banca centrale europea ed è, quindi, inevitabile che il nucleo fondamentale delle politiche economiche di sviluppo e delle politiche fiscali sia gelosamente conservato dai singoli Stati. Per tale motivo, è pressoché inevitabile che gli aspetti monetaristi e liberisti abbiano tanto peso in questo Trattato che rende costituzionale il Trattato di Maastricht con il suo corollario del patto di stabilità. Rendere permanenti questi contenuti vuol dire impedirne di fatto la modifica in tempi brevi. Naturalmente, è necessario proporre modifiche e miglioramenti a questa parte del Trattato; sappiamo tuttavia che l'iter e i meccanismi previsti per la sua revisione sono tali da rendere molto difficile tale modifica. Si prefigura così una contraddizione rilevante: da un lato, l'assenza di sedi e di poteri europei nelle materie economiche e, dall'altro, un peso preponderante degli aspetti monetaristi e liberisti. È evidente l'inadeguatezza del patto di stabilità e sviluppo, del quale è chiara la vocazione alla stabilità, ma non a promuovere lo sviluppo. Non a caso, anche il Presidente Schroeder ha proposto una sua reinterpretazione. Da tempo, infatti, è aperto il problema di affiancare ai parametri finanziari altri parametri, quali occupazione, ambiente, stato sociale. Purtroppo, la crisi di credibilità del patto di stabilità ha messo in moto iniziative di segno diverso, al punto che c'è chi mette sullo stesso piano la ricerca e l'innovazione e le spese militari. Anche sul piano dei diritti, accanto a passi avanti positivi ed importanti - ricordati anche dall'intervento del collega Spini -, vi sono limiti rilevanti, come la soluzione in materia di cittadinanza europea, sulla quale ha opportunamente richiamato l'attenzione l'ARCI. Il Trattato era l'occasione per fare un passo avanti di fronte all'enorme questione posta dall'immigrazione, dall'esigenza della sua accoglienza e anche della sua regolazione. Sul piano istituzionale è auspicabile che il passo avanti, che vede il Parlamento europeo acquisire un maggiore ruolo, non venga contraddetto da un paralizzante dualismo tra il Presidente della Commissione e i poteri del nuovo Presidente, che durerà in carica per metà del mandato elettorale. Ho concentrato l'attenzione sui limiti del Trattato, ma non mi sfuggono gli aspetti rilevanti e positivi che pure sono in esso presenti. Tuttavia, le ragioni di critica a mio avviso esistono ed hanno un rilievo politico e sociale di non poco conto; dunque, auspico che questo Trattato, una volta entrato in vigore, sia da subito oggetto di un'iniziativa di modifica nel senso che ho cercato di ricordare in precedenza.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brugger, al quale ricordo che ha a disposizione tre minuti. Ne ha facoltà.
SIEGFRIED BRUGGER. Signor Presidente, colleghi, votiamo oggi la ratifica di un documento di grande importanza, la Costituzione per l'Europa, che pur con evidenti limiti si può senz'altro considerare un primo ed importante punto di arrivo dopo un lungo e tortuoso lavoro-percorso preparatorio durato, tra l'altro, molti anni.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 18,03)
SIEGFRIED BRUGGER. Con questo provvedimento, l'Europa fornisce un segnale forte verso l'esterno, rivendica maggior peso politico nel mondo ed esprime anche la volontà di compartecipare alla costruzione di un ordine internazionale capace di far fronte ai gravi problemi presenti sullo scenario europeo e mondiale. Ritengo che ciò sia molto positivo. Al suo interno l'Unione europea, pur con tutte le sue diversità e differenziazioni, dimostra di aver preso coscienza di sé stessa come popolo, come insieme di valori e di obiettivi da perseguire. Ci rendiamo conto che il Trattato, che complessivamente giudichiamo molto positivo, è frutto di un compromesso faticosamente raggiunto e che, dunque, presenta notevoli limiti e lacune. Mi soffermo su due limiti. Il primo è la scarsa considerazione, nel Trattato, delle autonomie regionali e locali; infatti, anche se il comitato delle regioni è stato in qualche modo rafforzato, non vi è ancora una vera compartecipazione da parte degli enti territoriali ai processi decisionali europei. Invece - com'è stato giustamente ricordato da molti - l'Unione europea, se vorrà crescere e rafforzarsi effettivamente, dovrà essere, oltre che l'Europa dei cittadini e dei popoli, anche l'Europa delle territorialità. Il secondo limite - che affermiamo come componente delle minoranze linguistiche - riguarda la salvaguardia delle molte minoranze esistenti in Europa, che costituiscono una popolazione complessiva di oltre 70 milioni di individui. Al di là di un'affermazione di principio per il rispetto delle minoranze, non vi è nient'altro nel Trattato! Noi, invece, chiediamo uno standard di tutela ben definito ed alto, come ad esempio quello attuato e garantito in alcuni Stati membri, compresa l'Italia, nei confronti delle proprie minoranze. Oggi nel Trattato questo non è previsto. In conclusione, il nostro giudizio complessivo è positivo e per questi motivi annunciamo il voto favorevole della componente delle minoranze linguistiche del gruppo misto (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche e Misto-socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa, al quale ricordo che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nei corridoi del Parlamento europeo, a Strasburgo, vi sono una serie di fotografie che raffigurano i padri fondatori dell'Europa. In una di queste è ritratto Winston Churchill che parla nella piazza di Strasburgo, nel 1945 o nel 1946, davanti ad una folla immensa, con sullo sfondo le immagini della distruzione bellica. La popolazione presente ad ascoltare Churchill è lacera ed affamata. In un'altra fotografia di questa serie vi sono due uomini anziani che camminano mano nella mano. Si tratta del presidente francese Mitterrand e del cancelliere tedesco Kohl. È strano vedere due uomini anziani ritratti in tale posa. Ma in quelle fotografie, nella condizione disperata dell'Europa nel 1945 e nella riconciliazione franco-tedesca, alla base dello sviluppo dell'Europa, nelle condizioni di benessere diffuso e di sicurezza sociale che, nel complesso, prima l'Europa occidentale ed oggi l'intero continente sono riusciti a costruire, vi è il grande cammino, lo straordinario percorso compiuto dall'Europa nel secondo dopoguerra, che ha consentito di allontanare - speriamo per sempre - la parola «guerra» dall'interno del nostro continente. Inoltre, ha consentito di risolvere i problemi atavici di povertà, di discriminazione sociale, razziale e religiosa che hanno ferito profondamente il continente. Ricordo che oggi ricorre la giornata della memoria, ovvero una vicenda dolorosissima che è stata storia dell'Europa, ma che per fortuna è finita. Il cammino dell'Europa per molti aspetti è stato lento. Già oggi avremmo sperato di poter parlare di una grande federazione europea, governata ed influente sul terreno mondiale, mentre dobbiamo ancora parlare di una costruzione provvisoria, che cammina e progredisce. Ma i passi fatti dall'Europa nel 1950, nel 1958, nel 1960, nel 1980, nel 1992, con il Trattato di Maastricht, ed oggi con il Trattato che istituisce la Costituzione per l'Europa, sono progressi di straordinaria importanza politica. Per tali motivi, il Parlamento italiano darà - io spero - un larghissimo voto di consenso all'approvazione di questo Trattato costituzionale. Certo, molte cose non ci soddisfano. La politica economica europea non è soddisfacente, la politica estera giace ancora in uno stato nascente, l'Europa non pesa come dovrebbe, sebbene abbia alle spalle 400 milioni di abitanti. Il suo cammino, il fatto che oggi, insieme con i paesi dell'Europa occidentale, democratici fin dall'inizio del dopoguerra, vi siano quelli dell'Europa dell'est e centro-orientale, che condividono con noi la condizione di libertà e di democrazia e una speranza di progresso, sono grandi fatti positivi. Vorrei concludere annunciando il nostro voto favorevole con le parole straordinarie e preveggenti scritte da Benedetto Croce nel 1931, in un libro sulla storia d'Europa, pubblicato mentre nel continente scendeva - o già vi era - il peso delle dittature e mentre si preparava una terribile seconda guerra mondiale. Ebbene, Croce, con grande e straordinaria preveggenza, scriveva: «e a quel modo che, or sono settant'anni, un napoletano dell'antico Regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani, non rinnegando l'essere loro ....
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, la prego di concludere.
GIORGIO LA MALFA. ...ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri si innalzeranno a europei e i loro pensieri si indirizzeranno all'Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate, ma meglio amate». Questo è il senso del nostro voto di oggi (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani e Nuovo PSI, di Alleanza Nazionale e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Chiedo scusa ai colleghi, ma dovrò essere fiscale sul rispetto dei tempi per ragioni di diretta televisiva. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, i Verdi hanno condotto da anni una battaglia volta ad ottenere che l'Europa sia sempre di più un'Europa dei popoli, un'Europa di pace, un'Europa forte a livello internazionale, attore di una politica che non si affidi alla guerra, alla sopraffazione, alla logica per cui le multinazionali nel pianeta sono maggiormente tutelate rispetto ai diritti dei cittadini e dei consumatori. A tal fine, da anni anche il nostro gruppo parlamentare europeo si è battuto per avere una vera Costituzione europea. Siamo tra coloro che sostennero, insieme ai movimenti federalisti, il referendum svoltosi in Italia e diretto a conferire un mandato costituente al Parlamento europeo, affinché vi fosse effettivamente un Parlamento che adottasse una Costituzione. Abbiamo chiesto negli ultimi mesi, con atti formali, che fosse indetto un referendum europeo in cui i popoli dell'Europa dessero il loro parere, o meglio, assumessero la loro decisione sul Trattato costituzionale. Ciò non è accaduto, e anche il dibattito che si svolge in questi giorni nel Parlamento italiano è un dibattito strozzato, come se si trattasse della normale ratifica di un trattato internazionale, come se si trattasse di un trattato commerciale. Si riduce il Trattato costituzionale europeo a un atto sul quale i cittadini non vengono consultati. I deputati e i senatori Verdi hanno presentato una proposta di legge costituzionale volta ad ottenere che il popolo italiano sia chiamato ad esprimersi con un referendum popolare su questo grande passo in avanti, a nostro avviso importante per quanto concerne lo strumento del Trattato costituzionale, ma notevolmente carente dal punto di vista dei contenuti del Trattato stesso. Pertanto, siamo estremamente insoddisfatti del dibattito e del modo in cui l'Italia si accinge a dare la propria adesione, con un atto meramente parlamentare. Abbiamo dichiarato più volte, anche pubblicamente, che avremmo voluto il referendum per esprimere un sì, un sì critico, coinvolgendo gli elettori italiani, con le stesse motivazioni contenute in un ordine del giorno che è stato respinto dalla maggioranza. Esso chiedeva al Governo di impegnarsi per inserire nel Trattato costituzionale il ripudio delle azioni militari preventive, e dunque il no alla guerra, un progetto europeo di pace, una forte considerazione dell'ambiente e dei diritti dei cittadini e dei consumatori. Avete respinto anche questo ordine del giorno, perché non vi interessa affatto rendere efficace e più forte la Costituzione europea, ma vi interessa ridurre un evento importante a un mero sigillo e a un mero atto notarile. Ciò, per i Verdi, non è soddisfacente, ed è il motivo per cui abbiamo deciso di astenerci. Infatti, continuiamo a ritenere importante il coinvolgimento dei cittadini in questa scelta. Alcuni nostri parlamentari, alla Camera e al Senato, esprimono valutazioni diverse, in quanto vi è un dibattito aperto all'interno dei Verdi, nel senso di una critica più forte o, al contrario, di un apprezzamento più forte nei confronti del Trattato costituzionale. Tuttavia, l'elemento importante è costituito dal fatto che un avvenimento rilevante, quale l'adozione della Costituzione europea, si riduce a un dibattito parlamentare in un'aula semivuota, senza convocare i cittadini ad un referendum nel quale avrebbero tutto il diritto di esprimersi, dal momento che già in passato si sono espressi nel senso di conferire un mandato costituente al Parlamento europeo. Se il Trattato costituzionale sarà approvato da tutti i paesi, in molti dei quali vi sarà anche la consultazione referendaria, il gruppo parlamentare europeo dei Verdi presenterà un emendamento al Trattato stesso per inserire il ripudio della guerra e una più forte azione di coesione sociale. Si deve trattare di una Costituzione dei popoli, e non di una Costituzione un po' liberista e un po' strana, come quella adottata dal Trattato in esame, che peraltro lascia aperti troppi spazi a conferenze intergovernative e delinea un'ipotesi in cui non vi è una grande realtà europea che sia attore di diritto, di pace, di libertà, di tutela dell'ambiente nel mondo, bensì ancora una sommatoria di Stati. Sulla base di tali motivazioni, continueremo fino in fondo la nostra battaglia parlamentare affinché venga introdotto un emendamento alla Costituzione europea, in quanto vogliamo un'Europa di pace e un'Europa di democrazia, impegnata sui diritti civili e sui diritti umani in tutto il pianeta, ma, soprattutto, un'Europa dei cittadini, che dia a tutti i cittadini europei la sensazione di trovarsi in una grande area di libertà in cui non decidono soltanto i Governi, i potentati e le tecnocrazie e in cui i cittadini stessi abbiano una vera grande possibilità di democrazia. Su questo lavoreremo fino in fondo, qui e in tutta Europa (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cusumano. Ne ha facoltà.
STEFANO CUSUMANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dei Popolari-UDEUR saluta con soddisfazione questo passaggio parlamentare, che attraverso la ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa completa la costruzione di quell'idea di Europa che animò i suoi padri fondatori. L'Europa, che doveva essere edificata con le Costituzioni e con i diritti dei popoli, con la pace e con i trattati di collaborazione, con l'educazione agli ideali di libertà e con il progresso degli Stati, oggi ha fatto un altro passo avanti e con le sue istituzioni si sta orientando a fondare una comunità che nei prossimi anni sarà ancora più democratica, più ricca, più vasta, più unita e più vicina. Abbiamo celebrato, pochi mesi or sono, un precursore dell'Europa dei popoli e della democrazia, Giorgio La Pira, e abbiamo ricordato il duro cammino compiuto in quegli anni difficili e poveri di ogni bene materiale, ma ricchi di ideali e di valori in cui credere e che molti illuminati governanti si adoperarono per renderli concreti e per trasmetterli ai popoli con la loro opera di civilizzazione e di educazione. L'Europa, poi, deve ancora crescere, deve farlo con il concorso oggi di questo Parlamento, con le nostre dichiarazioni di impegno e di fede verso un atto così ricco di significati reali ed anche simbolici; e noi sappiamo quanto ancora oggi, più che nel passato, vi sia bisogno di simboli giusti, veri da rievocare per gli anziani e da additare ai giovani, affinché li conoscano e li tramandino ancora. Lo chiede l'intero Parlamento europeo: chiediamolo anche noi! Da Strasburgo arriva l'invito ai Governi e ai Parlamenti a fare tutti i possibili sforzi per informare i cittadini europei, chiaramente ed obiettivamente, sul contenuto della Costituzione. Anche da questo Parlamento parta l'invito a che vi sia clamore solo per la conoscenza della Costituzione, perché si sparga la voce dei suoi articoli, si enuncino i benefìci delle sue norme e si diffonda l'operato delle sue istituzioni con chiarezza, efficacia e trasparenza. Questo nuovo testo, fondatore certamente di un nuovo e più democratico corso della storia europea, è stato riconosciuto da tutti i paesi come il migliore finora prodotto tra tutti i trattati dell'Unione ed è in corso di ratifica da parte dei 25 Stati membri. Al termine di tale processo, entrando in vigore dal novembre 2006, permetterà all'Unione ampliata di essere più comprensibile e di agire con maggiore efficacia nell'interesse di tutti, nel rispetto delle diversità e delle prerogative nazionali, valori che però non possono, anche in questa sede, far dimenticare il rammarico per l'assenza, nel preambolo, di un riferimento esplicito alle radici cristiane, che hanno sicuramente contribuito alla nascita di questo grande albero chiamato Europa. Il gruppo dei Popolari-UDEUR è certo che, se si fosse specificata, nel preambolo della Costituzione, quella cristiana tra le diverse eredità religiose non si sarebbe certamente messa in causa la laicità delle istituzioni, laicità a cui tutti noi teniamo, insieme con la separazione tra Stato e Chiesa; e siamo certi che esplicitare il riferimento alle radici cristiane sarebbe stato un riconoscimento della fonte principale, anche se non esclusiva, dei valori riconosciuti e condivisi da tutti gli europei, così come affermato - mi permetto di citarlo - dall'articolo 2 dello stesso Trattato, il quale recita: «l'Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani». I deputati Popolari-UDEUR, da convinti europeisti, invitano il Governo a non fare emergere una visione dell'Europa che contrapponga gli interessi nazionali a quelli europei: la fedeltà all'Alleanza atlantica, alla solidarietà europea, al libero mercato, alla coesione sociale e alla certezza del diritto, alla democrazia e alla pace. Per questi motivi, signor Presidente, i Popolari-UDEUR annunciano il loro voto favorevole alla ratifica del Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDEUR-Alleanza Popolare).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.
ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Europa è oggi, fondamentalmente, una grande entità economica finanziaria, non è ancora un'entità politica. Ha una moneta forte, ma ancora non incide sulle grandi scelte del mercato mondiale. Non ha una sua propria, univoca politica estera e non ha una sua propria, autonoma struttura militare. L'Europa non incide nelle competizioni internazionali. L'Europa che conti e che decida è ancora di là da venire. L'Europa è, per definizione, l'unione dei popoli e degli Stati. Così dovrebbe essere, ma così ancora non è: essa è, di fatto, l'unione dei Governi. Prevalgono posizioni molto distanti dalle aspirazioni dei popoli e dalle esigenze oggettive di rinnovamento democratico e di progresso sociale, ma io continuo ad avere fiducia nell'Europa. L'avvenire nostro, dell'Italia e del mondo del lavoro, è - non ho dubbi - nell'Europa e con l'Europa. Quanti si schierano contro l'Europa non capiscono o fingono di non capire cosa è successo, cosa sta succedendo nel mondo e si chiudono in ambiti angusti, con una visione miope, egoistica. E si schiera contro l'Europa, di fatto, chi vota «no» ovvero si astiene sul Trattato costituzionale, perché, così facendo, non ottiene nulla: crede, forse, di mettere pace alla propria coscienza, ma entra in contrasto con la coscienza della storia, si colloca fuori di un processo che deve andare avanti, che va costruito e sviluppato; oppure si illude che sia sufficiente indicare, per l'Europa, destini luminosi perché questi si avverino, come se il ferreo rapporto di forze esistente sia superabile in un battibaleno! Il Trattato costituzionale europeo di cui stiamo discutendo è ben lungi dall'essere quello di cui vi è bisogno. Non è quello che noi vogliamo, ma è un primo passo sulla via dell'Europa politica: senza Costituzione non vi potrà mai essere un'entità politica dell'Europa. Avremmo voluto e vorremmo un testo diverso, ma senza questo testo non avremmo quel primo passo in avanti, si tornerebbe indietro e non vi sarebbero possibilità, chissà per quanto tempo, di un altro testo di tipo costituzionale. Anch'io vorrei poter vedere nel testo europeo quanto è scritto nell'articolo 3 della Costituzione italiana: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge»! Vorrei poter leggere nel testo europeo lo splendido articolo 11 della nostra Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra»! Ma i tempi sono cambiati! A redigere la nostra Costituzione, dopo la guerra antifascista di liberazione e dopo la nascita della Repubblica, fu un'Assemblea costituente il cui Presidente era un comunista: Umberto Terracini; a redigere l'attuale Trattato europeo, dopo la guerra fredda ed il dominio capitalistico del mondo, è stata una Convenzione, con Presidente un ultramoderato, Giscard d'Estaing. Frutto dei tempi - appunto -, tempi che vedono un'unica grande potenza sovrastare sul mondo, comandare, decidere, fare la guerra quando e come vuole: sono gli Stati Uniti. Possono farlo perché non vi è alcun contrappeso nei loro confronti e continueranno a poterlo fare finché esso non vi sarà! Ecco perché è necessaria la Costituzione europea: perché l'Europa sia, appunto, un'entità politica e come tale possa condizionare gli stessi Stati Uniti. L'Europa deve avere un suo effettivo ministro degli esteri; deve avere il suo seggio, come Europa, nel Consiglio di sicurezza dell'ONU; deve avere una propria struttura militare, la quale, superando la NATO, sia non in contrasto, certo, ma certamente autonoma dagli Stati Uniti. Se fosse stato già così, la guerra in Iraq, forse, non ci sarebbe stata e diversa sarebbe, finalmente, la situazione in Medio Oriente, per la Palestina e per Israele. Noi siamo tra quanti hanno contribuito alla nascita dell'Unione europea: ci crediamo, ci battiamo e ci batteremo per un'Europa politica, con la sua propria identità costituzionale, e per un testo - il testo della Costituzione europea - che potremo migliorare grazie all'iniziativa dei Parlamenti e dei popoli. Ci battiamo perché l'Europa sia finalmente, com'è la Repubblica italiana, un'unione democratica fondata sul lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, Rifondazione comunista è contraria alla ratifica di questo Trattato, non certo perché siamo contro l'Europa, ma proprio perché vogliamo più Europa, più Europa sociale, e riteniamo questo Trattato un ostacolo da rimuovere per costruire un'altra Europa. È un Trattato distante dai popoli dell'Europa. E senza popolo, si sa, non c'è Costituzione. Vi è un deficit di democrazia persino nella sua approvazione. Sarebbe stato necessario - e lo abbiamo chiesto - un solenne referendum. Invece, le cittadine e i cittadini sono muti ed esclusi. Senza popolo non c'è spirito costituente. E così l'Europa della globalizzazione neoliberista rischia il declino, evoca una crisi di coesione sociale. La precarietà rischia di diventare il tratto distintivo drammatico di questa Europa. Sto pensando alla pessima direttiva Bolkestein per il cui ritiro ci battiamo insieme a sindacati e movimenti europei. È un attacco definitivo allo Stato sociale e ai diritti del lavoro. Costituirebbe il colpo di grazia al modello sociale europeo, già sfibrato dalle politiche di privatizzazione e di attacco ai diritti civili, sociali e del lavoro. Questa Convenzione, invece di ricostruire, come sarebbe necessario, un percorso di coesione sociale, per la prima volta - si badi - nella storia delle Costituzioni, costituzionalizza persino il mercato, anche nei suoi rapporti di governo e di potere nelle sue strutture, mentre, invece, non ricostruisce uno spazio pubblico europeo, non ripudia la guerra, non promuove la cittadinanza transnazionale e cosmopolita. Non ci troviamo di fronte, come si afferma, ad insufficienze e a vuoti che possano essere colmati. Sono completamente sbagliati direzione e contenuti. Senza autonomia di modello culturale e sociale, infatti, non vi è Europa. Questo è il punto. Non si comprende quali siano oggi natura politica e sociale di questa Europa ingabbiata dentro un gioco barocco di poteri contrapposti. Si deve riaprire, si può riaprire, partendo dal «no», un percorso, un processo costituente. Questa Convenzione è il mero adattamento, infatti, dei trattati già esistenti. Non ha un'anima né un paradigma fondativo. Qual è, infatti, l'idea di sovranità, di cittadinanza, quando i poteri si configurano come luoghi separati dall'organizzazione della società civile? Chiediamoci, senza la fastidiosa e vuota retorica che abbiamo sentito anche in quest'aula, dove risiederà la sovranità della futura Europa. Questo è il punto. Non è un tema di astratta teoria costituzionale, perché allude al governo del modello economico e sociale. Noi pensiamo che sia profondamente sbagliata una concezione passatista e protezionista della statualità nazionale come trincea su cui attestarsi per difendersi dalla violenza sradicante di un unico mercato globale, ma è sbagliata anche una idealistica, omologante e presunta identità europea che vive nel vuoto dei processi reali. Le politiche, ad esempio, di blindatura, di chiusura dell'Europa contro gli emigranti hanno un segno etnocentrico che esclude donne e uomini. Noi amiamo, invece, l'Europa della ricchezza plurale, delle culture che comunicano e intessono relazioni, l'Europa meticcia di persone che convivono riconoscendosi reciprocamente come differenti ed uguali. Il conflitto sindacale e sociale riprende forza. Le iniziative dei movimenti altermondialista e pacifista, questi magnifici spettri che si aggirano per l'Europa, ci parlano, non a caso, della speranza di un'altra Europa possibile. È tempo, allora, di dire con forza da sinistra che Maastricht e il patto di stabilità sono stati una frusta antisindacale, una pressione sistematica per ridurre Stato sociale e contrattazione, per imporre le privatizzazioni. Le politiche liberiste stanno oggi subendo un blocco e vanno in crisi anche sotto la pressione di movimenti globali maturi che tracciano una alternativa. Vedete, è già successo a Cancun contro l'Organizzazione mondiale del commercio. Vi è, insomma, una possibile risposta di sinistra che parla di una nuova politica espansiva della spesa e dell'intervento pubblico, ripartendo da socializzazione, pace, cooperazione, relazioni internazionali, come chiave anche di un nuovo modello di sviluppo. Un'altra Europa, insomma, che non evochi la sovranità come ultimo e stanco residuo di un potere autocratico e corporativo, ma come diffusione di poteri, nuove municipalità, nessi amministrativi, percorsi di diritti e di libertà. L'Europa può recuperare la sua autorevolezza e la sua autonomia dal comando imperiale statunitense solo se pone se stessa all'interno di questa diffusa criticità e se i diritti saranno costituzionalmente ritenute reali, esigibili, agiti, come sono nella Costituzione italiana, che nell'articolo forse decisivo e più importante prevede che la Repubblica rimuova le cause che impediscono l'esercizio dei diritti. I diritti di libertà, le garanzie fondamentali delle persone, lo Stato di diritto, insomma, non possono subire nella Convenzione europea un arretramento rispetto ai principi sacrosanti della nostra Costituzione, che noi rivendichiamo come patto di civiltà e come contratto sociale non comprimibili e tuttora validi. Questa propensione retorica che abbiamo ascoltato anche in quest'aula, che sotto il manto dell'europeismo abbatte principi fondativi, limita diritti e libertà, non ci trova affatto concordi, non ci convince, indebolisce l'Europa stessa, anzi, nelle coscienze popolari, come hanno dimostrato anche le ultime elezioni europee, ne soffoca l'autonomia. Per questo siamo impegnati nella costruzione della sinistra europea. La dichiarazione di Laeken recita, con tono solenne, ma anche preoccupato, che l'Europa è a un crocevia; ne siamo convinti anche noi e lo diciamo anche con allarme, perché pensiamo che solo da una visione del mondo altra, solo da un punto di vista alternativo e, soprattutto, dalle pratiche diffuse dei movimenti di lotta può ripartire la costruzione dell'Europa sociale, la costruzione dell'Europa dei popoli (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, sgombriamo subito il campo da qualsiasi fraintendimento e strumentalizzazione politica: tutti vogliamo l'Europa, ma la Lega Nord da sempre si batte per un'Europa dei popoli, rispettosa delle diversità e realmente democratica. Coerente con questo ideale, la Lega Nord rifiuta l'approccio superficialmente ottimistico e il fideismo acritico che caratterizzano la quasi totalità delle forze politiche presenti in questo Parlamento. Qual è l'Europa oggi? Una costruzione senza identità, scarsamente democratica, macchinosa e spesso incomprensibile per i cittadini; una istituzione in cui il potere è accentrato e gestito in modo elitario; un modello che esaspera gli aspetti negativi dello Stato centralizzato - un super-Stato, insomma -, senza dare risposte tangibili alle richieste che vengono dalla periferia. Risultato di questa impostazione: un'Europa debole che dà l'impressione di essere eterodiretta, incapace di produrre una politica estera comune, conflittuale al suo interno, che mostra una insensata fretta di crescere, di allargarsi, aprendo a Stati, come la Turchia, troppo lontani dai valori, purtroppo misconosciuti o addirittura rinnegati, tipicamente europei. Una Europa con un'impronta prettamente economicistica, nella quale un euro forte riflette un'economia debole. Contraddizione questa che sottolinea quanto sia stato inopportuno introdurre l'euro prima di aver raggiunto una sufficiente omogeneità culturale, politica, sociale ed economica. Una comunità esposta sempre di più alla concorrenza sleale, senza mostrare la minima capacità di trovare rimedi efficaci; anzi, contemporaneamente artefice di provvedimenti e di decisioni che penalizzano sempre di più le nostre piccole e medie aziende e il nostro comparto agricolo. Il nuovo Trattato non migliorerà questa situazione, non garantirà più sicurezza, non aumenterà le garanzie sociali, non metterà i produttori al riparo dallo strapotere dei grandi interessi finanziari. I cittadini europei non saranno messi nelle condizioni di capire di più, di potersi informare con facilità, e si allontaneranno sempre di più da questo Leviatano incomprensibile ed inutile. Onorevole Presidente, il preambolo della Costituzione rappresenta un monumento al relativismo etico e culturale, oltre che un esempio di ignavia politica. L'assenza di riferimenti espliciti alle specifiche eredità culturali e religiose dell'Europa costituisce la formulazione giuridica dell'ideologia mondialista che vuole gli uomini tutti uguali tra loro, senza tener conto della loro storia, delle loro tradizioni e del rapporto con il loro territorio. Non basta una Carta astratta, redatta su basi prevalentemente giuridiche, per creare il cittadino europeo; ma qual è l'identità europea che i legislatori non hanno voluto individuare e mettere a presidio della civiltà europea? Sinteticamente, possiamo individuarne le tre componenti: la cultura greca, il messaggio cristiano e la rivoluzione tecnico-scientifica. La prima, ha introdotto la forma mentis teoretica, dalla quale sono derivate la filosofia e la scienza; ha, inoltre, elaborato il concetto di giusta misura, che è misurazione non aritmetica ma fondata sui valori. Il messaggio cristiano ha apportato significati prevalentemente morali e spirituali; ha elaborato il concetto di psiche, l'idea dell'uomo capace di intendere e di volere, l'importanza della cura dell'anima, il valore e la centralità dell'uomo come persona in rapporto con gli altri e con Dio; ha promosso i valori della tolleranza, dell'eguaglianza e della libertà, oltre che la grandezza dell'umile; ha messo al centro dell'esistenza umana il principio dell'amore. La terza componente è la rivoluzione tecnico-scientifica basata sul principio di verificazione. Tali valori dovevano ispirare i legislatori europei che, al contrario, hanno svenduto la nostra identità; ma un'identità europea forte è condizione imprescindibile per cementare l'insieme dei popoli europei e per intraprendere un rapporto costruttivo con le altre culture. Chi sostiene che l'Europa non debba avere una sua identità e debba invece aprirsi a tutte le differenze senza porre alcun limite, sostiene un'ideologia relativista che altro non è se non una maschera del nichilismo: pari valore di tutte le culture significa azzeramento dei valori. Nell'articolato del Trattato, molte questioni destano preoccupazione. Innanzitutto, la confusione nella ripartizione delle competenze, che si traduce in una invasività senza limiti dell'Europa nei confronti della sovranità dei singoli Stati. Si consente la clonazione terapeutica riducendo l'essere umano a mezzo a servizio degli altri uomini; inoltre, la famiglia omosessuale viene equiparata alla famiglia eterosessuale, in stridente contrasto con l'articolo 29 della nostra Costituzione. In materia civile e penale, viene costituzionalizzato il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziali ed extragiudiziali, senza limiti di materia, attuando di fatto il mandato di cattura europeo ed eliminando l'istituto dell'estradizione. Anche su immigrazione, diritto di asilo e controllo delle frontiere, il Trattato non è assolutamente rassicurante; si consente la libera circolazione in tutta Europa degli extracomunitari presenti legalmente sul territorio del singolo Stato e, in materia di asilo, le decisioni prese a maggioranza potrebbero vanificare la legge cosiddetta Bossi-Fini. L'introduzione del Trattato costituzionale comporta, anche secondo l'opinione di autorevoli costituzionalisti, limitazioni di sovranità riguardanti anche la prima parte della Costituzione, oltre che un imponente impatto giurisdizionale. Appare evidente come l'attuale costruzione europea sia caratterizzata da forza normativa e da debolezza politica; ciò potrebbe avere effetti indesiderabili nel lungo periodo. Il principale ammortizzatore delle diatribe europee sarà, infatti, non un contenitore politico ma un organo, la Corte di giustizia europea, completamente svincolato dalla volontà popolare. Sarebbe stato, pertanto, fondamentale seguire procedure più complesse rispetto alla semplice ratifica parlamentare, per fornire una legittimazione democratica più forte al processo di costruzione europea. Onorevole Presidente, il ministro Fini ha dichiarato che l'Europa è fondata su valori e principi comuni; ma quali valori, ministro, se non si è stati capaci nemmeno di inserire un riferimento alle radici cristiane dell'Europa? Il ministro Fini ha espresso rammarico per tale omissione, ma è evidente che l'Italia è stata troppo remissiva su questo tema, come pure sulle questioni dell'immigrazione, della giustizia, della clonazione e della definizione di famiglia. Ci saremmo aspettati che il centrodestra si fosse distinto maggiormente dalla sinistra sui temi dell'Europa. Ciò perché sappiamo, da sempre, che l'amore incondizionato della sinistra per l'Europa è funzionale all'obiettivo di centralizzare il potere ed allontanarlo sempre di più dai cittadini, al fine di tutelare i grandi interessi finanziari, e risponde pienamente all'ideologia globalizzatrice della società multirazziale. Purtroppo anche lei, Presidente Berlusconi, non ha saputo andare oltre la logica del «politicamente corretto» e dei buoni rapporti con gli Stati Uniti, i quali non hanno nessun interesse a confrontarsi con un'Europa veramente coesa e forte. Onorevole Presidente, l'aspetto più inaccettabile di questa modalità di ratifica è la carenza del percorso democratico attraverso il quale la Costituzione europea sta diventando parte integrante del nostro ordinamento giuridico. L'articolo I-1 della Costituzione europea recita: «Ispirata dalla volontà dei cittadini e degli Stati d'Europa (...)». Questa frase, onorevoli colleghi, sancisce una doppia legittimazione che risulta essere, per quanto riguarda il nostro paese, assolutamente falsa. I cittadini italiani, infatti, non sono stati interpellati né prima, vale a dire al momento della costituzione della Convenzione che ha redatto il testo in esame, né lo saranno dopo, poiché non è stata prevista alcuna forma di consultazione popolare o una procedura rafforzata di recepimento, al contrario di quanto avverrà in tantissimi paesi europei. Solo la Lega Nord si è battuta per coinvolgere i cittadini in un dibattito pubblico e in una decisione storica. Vorrei ricordare, infatti, che, dal novembre 2003, è depositata in Parlamento una nostra proposta di legge che prevede un referendum confermativo a perfezionamento del processo di ratifica, ma l'approvazione di tale proposta, purtroppo, è stata ostacolata dalla quasi totalità delle forze politiche presenti in questo Parlamento. Peccato: si tratta di un'occasione persa, che avrebbe consentito di riempire di contenuti il termine democrazia, parola spesso abusata! Sulla base delle argomentazioni sviluppate, è chiaro che il nostro voto non potrà essere favorevole. L'Europa del nuovo Trattato, infatti, ancora di più rispetto a quella di oggi, è l'Europa dei giudici e dei banchieri...
PRESIDENTE. Onorevole Cè...
ALESSANDRO CÈ. ... del potere politico debole e subordinato ai grandi interessi economici. Ho concluso, signor Presidente, abbia pazienza. Si tratta di un modello di Europa che rappresenta il trionfo del positivismo giuridico e ideologico, racchiuso nella massima dello «iustum quia iussum» di Hobbes, vale a dire del diritto che non è valido di per sé, come sosteneva...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Cè!
ALESSANDRO CÈ. In un dibattito così importante, signor Presidente, mi consenta di parlare un minuto di più in un'aula che è vuota, e spesso disattenta. Me lo permetta, signor Presidente!
PRESIDENTE. Mezzo minuto, onorevole Cè!
ALESSANDRO CÈ. Ma è anche giusto, come diceva Hobbes, perché formulato da chi detiene la forza: il diritto è giusto perché chi lo formula detiene la forza! È un'Europa che sottrarre potere ai popoli, alle regioni e ai Parlamenti nazionali, che non applica correttamente il principio di sussidiarietà e che non riconosce ai popoli il diritto di autodeterminazione, già previsto dalla Carta dell'ONU.
PRESIDENTE. Onorevole Cè...
ALESSANDRO CÈ. Voteremo «no» - e concludo veramente, signor Presidente - perché si tratta di una costruzione senz'anima e priva di legittimazione popolare (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Grazie...
ALESSANDRO CÈ. Mi lasci finire, signor Presidente!
PRESIDENTE. «... e priva di legittimazione popolare»: ha chiuso (Commenti del deputato Cè)! Onorevole Cè, vorrei rilevare che lei è l'unico che ha oltrepassato i tempi a disposizione: più di questo non posso consentire!
ALESSANDRO CÈ. Guardi che disinteresse che c'è!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la firma, a Roma, lo scorso ottobre, del Trattato della Costituzione europea ha inaugurato una nuova fase del lungo processo di integrazione ed ha rappresentato una tappa storica. Cinquant'anni sono trascorsi dai discorsi di De Gasperi a Roma ed a Parigi, nel 1953 e nel 1954, ed i migliori auspici per il bene comune delle nostre patrie europea e della nostra patria Europa hanno trovato nella firma al Campidoglio un momento di positiva conferma. Fin dalle sue origini, l'Europa ha saputo coniugare il realismo e gli ideali, grazie anche alla lungimiranza dei padri fondatori, che seppero porre solide basi istituzionali, creando gli organismi indispensabili. L'integrazione, soprattutto economica, si è quindi consolidata nel corso del tempo, fino a culminare nell'adozione della moneta unica. Oggi, tuttavia, vi è la necessità di compiere un passo avanti e di creare le condizioni adatte a realizzare quell'unione politica che è il traguardo più importante ed ambizioso; ciò a maggior ragione oggi che l'Unione, con il recente allargamento ad est e con le prospettive di lunghi percorsi di adesione di altri paesi - e, in particolare, della Turchia e dell'Ucraina -, si identifica sempre più con il desiderio dei fondatori di non trascurare né l'elemento del Mediterraneo né quello slavo. A ciò si aggiungano le nuove sfide sul piano internazionale, quali la globalizzazione o il terrorismo. Credo che la Costituzione che ci accingiamo a ratificare risponda in modo soddisfacente a queste nuove esigenze e rappresenti un tratto fondamentale per l'Europa che vogliamo costruire. Dare all'Europa un atto qualificato quale la Costituzione significa, infatti, esprimerne l'unità politica e significa che i popoli europei hanno preso coscienza di essere una comunità fondata su un comune patrimonio. Non è un'omologazione, ma un'unità nella diversità: le molte peculiarità di ciascuno, per un bene comune. Non è un'Europa «super Stato», ma un'Europa cosciente di condividere valori e principi e che ad essi intende ispirare la sua sussidiaria azione concreta. Infatti, come già detto, il criterio decisionale è la sussidiarietà, in base alla quale l'Unione interviene laddove i singoli Stati non sono in grado di farlo, perché non ne hanno i mezzi o perché gli interessi coinvolti superano i confini nazionali. Si tratta di una sovranità, quindi, condivisa e radicata su alcuni valori. Di pari importanza mi sembrano le novità introdotte dal lato squisitamente giuridico e istituzionale. L'Unione è qualificata come un soggetto dotato di personalità giuridica, capace cioè di stipulare autonomamente trattati, fatto che permetterà all'Unione di assumere maggior peso a livello internazionale. Da tale punto di vista, è rilevante anche il nuovo ruolo assegnato alla figura del ministro degli esteri dell'Unione. Ancor più significativo sarà ottenere un seggio alle Nazioni Unite per l'intera Unione europea. Vi è, inoltre, da un lato, il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, che esercita insieme al Consiglio dei ministri la funzione legislativa e, dall'altro, il coinvolgimento maggiore dei Parlamenti nazionali nei processi decisionali comunitari. Ciò traccia definitivamente la strada dell'evoluzione democratica dell'Unione europea, ponendo rimedio al più volte denunciato deficit delle istituzioni e del processo decisionale. Tutte queste riflessioni ci inducono a sostenere con convinzione la rapida ratifica di questo Trattato. Ciò conferma il ruolo di protagonista dell'Italia nelle vicende europee. Certo, rimane forte il rammarico del mancato riferimento alle radici giudaico-cristiane: le radici della storia, della civiltà e dell'identità europea di ieri, di oggi e di domani. Il nostro impegno in tal senso, tuttavia, rimane immutato: abbiamo presentato, ed è stato approvato dalla Camera dei deputati, un ordine del giorno in cui si invita il Governo a proseguire nell'azione intrapresa, che porti alla modifica del Trattato nel senso da noi auspicato. Senza identità non c'è confronto e non c'è alcuna tolleranza. Nello stesso ordine del giorno, che l'Assemblea ha approvato, abbiamo impegnato il Governo a svolgere una più approfondita tutela delle questioni attinenti alcuni diritti fondamentali e ad assumere taluni impegni ben precisi in materia. Le disposizioni inerenti il diritto alla vita e all'integrità della persona ricevono, infatti, una tutela che non ha la stessa estensione ed intensità di quella contenuta in alcune convenzioni internazionali e, dall'altra, le disposizioni relative al diritto di sposarsi e di costituire una famiglia ed una vita familiare non sono pienamente coerenti con i principi contenuti negli atti internazionali in materia di diritti umani e nella tradizione costituzionale italiana. In un contesto culturale globale, in un mondo caratterizzato dal pensiero evoluzionistico e relativistico, nel quale sembrano scomparire i valori assoluti, quale speranza si può fattivamente coltivare per noi europei di oggi e per molti nostri figli di domani? L'intangibilità della dignità umana deve sempre più diventare un pilastro portante degli ordinamenti, così come la famiglia eterosessuale deve continuare ad essere la fondamentale cellula su cui si costruiscono le società democratiche. In uno dei momenti di più fulgido splendore per l'Europa, gli stessi popoli europei appaiono svuotati; svuotati di senso, quasi di coscienza e di speranza, e anche di audacia verso il futuro. La paura dei figli, la bassa natalità, è un esempio di ciò. Oggi, dobbiamo ritrovare la nostra peculiare energia vitale. Oggi, all'atto di una ratifica storica, già procediamo verso il compito di lavorare per introdurre il riferimento alle radici giudaico-cristiane e per ribadire la supremazia delle nostre leggi sui temi della vita e della famiglia. L'Europa, infatti, è molto più di un mercato. Essa si identifica con un modello sociale e civile, che si sviluppa nel corso della storia. È vero che, formalmente, la disciplina di queste materie è lasciata alla competenza degli Stati, ma è bene confermarlo, visto che vi sono materie trasversali che possono incidere su di esse e che alcune clausole interpretative di chiusura in tema di diritti fondamentali fanno riferimento ad elementi troppo generici. È noto - è di questi mesi - che non sempre, negli ultimi tempi, è spirata una brezza salutare in materia di diritti della persona e della famiglia nella nostra Europa. Ciò che abbiamo chiesto al Governo è un preciso impegno a rendersi promotore in sede europea di un'interpretazione volta a considerare le materie relative al diritto di vita e alla famiglia di pertinenza esclusiva della legislazione degli Stati nazionali e per sottoporre all'esame di questo Parlamento qualsiasi atto o posizione che incida, anche marginalmente, sul diritto alla vita e sulla famiglia. Lo abbiamo fatto perché l'Italia è parte ineliminabile della cultura europea ed ha un dovere maggiore nell'evidenziare quegli elementi meritevoli di un ulteriore approfondimento e anche di riflessione. Con queste precisazioni, voglio ribadire il pieno sostegno dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro all'azione del Governo e la necessità di pervenire rapidamente alla ratifica del Trattato, che è un buon punto di partenza per permettere all'Europa di affrontare meglio le sfide del futuro, con maggiore consapevolezza della propria identità, delle proprie radici giudaico-cristiane, con una più forte coesione in un mondo multipolare che ha bisogno della presenza dell'Europa, e con una chiara tutela della persona e della famiglia, propri della civiltà europea. Con questo voto si segna una tappa storica e, nello stesso tempo, da oggi, con più lucidità guardiamo al nostro compito, ai miglioramenti e anche all'entusiasmo per il domani dei nostri figli (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Airaghi. Ne ha facoltà.
MARCO AIRAGHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 29 ottobre scorso, in Campidoglio, i Capi di Stato e di Governo dei 25 paesi dell'Unione hanno firmato la nuova Carta costituzionale che, entrando in vigore dal 2009, sostituirà tutti i precedenti trattati e sarà la trave portante dell'architettura della nuova Europa, casa comune nella quale abitare, indispensabile per consentire benessere, pace e libertà ai nostri cittadini. Pur lavorando per la difesa e l'affermazione del sistema nazionale, è necessario, infatti, prendere coscienza che non sarà né l'Italia né alcun paese da solo a poter garantire uno sviluppo omogeneo nel nuovo millennio. La travolgente crescita dell'economia dei paesi dell'estremo oriente, tale da mettere in pericolo il mantenimento stesso dello stile di vita che oggi conosciamo, costituisce una sfida formidabile per l'economia occidentale, sfida che solo la dimensione continentale potrà affrontare in modo adeguato. Il fatto di credere nella fondamentale importanza dei nostri valori nazionali non può e non deve farci dimenticare la necessità della realizzazione di una concreta integrazione europea. Oggi, con la ratifica del nuovo Trattato di Roma, la destra non può che confermare la sua vocazione realmente europeista, non avendo mai accettato che l'Unione europea si limitasse ad essere poco più di un'unione di banche centrali, una tecnocrazia senza effettivo potere politico negli equilibri planetari. Essere europeisti, infatti, non significa supina accettazione di ogni regolamentazione da Bruxelles. Al contrario, è proprio la nostra linea, da sempre coerentemente europeista, a consentirci una critica costruttiva alle politiche che non condividiamo, perché le riteniamo non vantaggiose o - peggio - dannose. E, quindi, «no» all'eccessiva burocratizzazione ed agli eccessi di regolamentazione e «no» a considerare il patto di stabilità come un dogma intangibile e non adattabile all'evoluzione storica e alle congiunture internazionali. Altrettanto, diciamo «no» a chi, cavalcando lo scontento popolare alla ricerca di un consenso facile e immediato, arriva a rompere la tradizionale unità su questi temi che da sempre contraddistingue il nostro Parlamento. Infatti, se è giusto essere critici, a volte anche duramente, purché in modo costruttivo, non possiamo mettere in dubbio la validità dell'architettura comunitaria nel suo complesso, costruzione indispensabile per affrontare le grandi sfide del nostro tempo - come ho detto -, ossia le economie spumeggianti dei paesi emergenti, ma anche e soprattutto i grandi problemi connessi ai mutamenti sociali e culturali derivanti dalle migrazioni dai paesi più poveri verso il nostro continente. La destra crede nella costruzione di un'istituzione europea forte, che rappresenti il nostro modello di società, figlio di una storia e di una cultura di cui siamo orgogliosi. Tale società da sempre affianca una forte tradizione di tutele sociali alla libertà di impresa e al primato dell'individuo. La destra crede all'occidente come cultura fondante, che promana dall'antica Grecia e dall'antica Roma, attraverso l'esperienza forgiante del cristianesimo, l'occidente del primato dell'uomo. La difesa delle nostre tradizioni e della cultura occidentale, soprattutto ora che i tragici avvenimenti internazionali hanno portato alla ribalta movimenti fondamentalistici che attaccano e vorrebbero annientare il nostro sistema di vita, non è solamente un nostro diritto, ma è anche un nostro dovere; ed è per questo che manifesto ancora una volta il nostro rammarico per il mancato inserimento nel preambolo della Carta del riferimento alle radici cristiane del nostro continente. Tale riconoscimento, pur confermando la scelta di assoluta laicità dell'azione politica, ritenevamo fosse doveroso e opportuno. Noi sosteniamo con convinzione la costruzione di questa nuova Europa comunitaria, un'istituzione che, preservando le specificità dei singoli Stati come elemento di ricchezza dell'Unione, ne unisce sinergicamente i contributi, senza annullare gli Stati nazionali, bensì costituendo una federazione di Stati-Nazione. È quell'Europa dei popoli e delle nazioni evocata spesso da Charles De Gaulle, di cui da destra parliamo da quando in Europa e in Italia non tutti erano convinti che il socialismo reale dei paesi pansovietici avesse poco a che fare con la democrazia. Come ha esposto in modo perfetto il ministro degli esteri Fini in occasione del suo intervento in apertura di questa discussione, l'Europa fa insieme ciò che nessuno Stato può fare da solo. Il legame di questo principio ai nostri valori e a politiche virtuose è una garanzia che l'Europa offre al mondo intero, ossia la garanzia di un approccio non unilaterale delle crisi. È l'Europa della moderazione e del dialogo. È l'Europa che, in certi scenari di crisi, è indispensabile per garantire la pace. L'Europa che noi desideriamo è un'Europa protagonista nel mondo, un'Europa che sappia parlare da pari a pari in ragione della sua storia, della sua cultura e della sua potenza industriale, un'Europa con una politica estera comune e con una sua autonoma capacità di difesa, perché, se molte voci si sono spesso levate a criticare l'ingombrante presenza del colosso americano, contestato quale gendarme del mondo, è chiaro ed evidente che, finché il nostro continente non avrà il coraggio di assumersi fino in fondo le proprie alte responsabilità ed affiancare i nostri alleati oltre oceano, ogni critica apparirà priva di legittimità. È per tutti questi motivi che Alleanza Nazionale voterà convintamente a favore dell'odierna ratifica della nuova Costituzione europea, soprattutto per il significato simbolico (47 anni dopo il primo Trattato di Roma) di un sì forte e chiaro gridato alla nascita della nuova casa comune europea, un obiettivo da sempre nel cuore della destra e un traguardo che abbiamo finalmente raggiunto (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Sono emerse anche in quest'aula, come nel Parlamento europeo, una linea di dissenso, in una parte della sinistra, rispetto al merito di diversi punti importanti del Trattato e una linea di ostilità all'Europa unita e dotata di poteri propri, cioè non intergovernativi, nella Lega, un importante partito della maggioranza che pone seri problemi alla credibilità del nostro esecutivo, almeno in sede comunitaria. Lo rileviamo senza polemica, semplicemente perché è un fatto che oggettivamente limita il ruolo del nostro paese proprio quando l'Europa discute di questioni che riguardano da vicino l'Italia. Io, invece, sono onorato di esprimere in questa sede il voto favorevole alla ratifica del Trattato costituzionale europeo a nome dei Democratici di sinistra, della Margherita, dei Socialisti democratici italiani e dei Repubblicani europei. Vorrei che il nostro Parlamento, nel momento in cui ci ascoltano attraverso la radio e la televisione tanti italiani, fosse in grado di trasmettere loro la consapevolezza dello spessore storico di questo momento. Nasce oggi, sia pure sotto la forma pattizia del Trattato, la nuova Costituzione dell'Europa. Quando sarà completata la fase delle ratifiche nazionali potremo dire che ha cominciato a realizzarsi il sogno di grandi europeisti come Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni che pensavano dal confino di Ventotene la stessa idea di Europa federale pensata nello stesso momento da Luigi Sturzo dall'esilio americano. Non siamo certo arrivati ancora a questo traguardo, ma la Costituzione in qualche modo ne conferma e consolida la strada. Fu De Gasperi per primo ad inserire il tema della Costituzione nel trattato della CED cinquant'anni fa. Poi ci riprovò Spinelli all'inizio degli anni Ottanta, ci provò ancora Fernand Herman dieci anni dopo e oggi, finalmente, ci stiamo riuscendo. Il momento è storico. Non è questo il testo che molti di noi avrebbero voluto: le istituzioni comunitarie sono ancora dotate di pochi poteri; la tirannia del voto unanime - Giuliano Amato ha parlato della dittatura del singolo Stato - non è stata ancora sufficientemente contenuta; i poteri del Parlamento europeo non sono ancora adeguati. Tuttavia, il Trattato che stiamo ratificando segna un deciso passo in avanti. Passo dopo passo - diceva Monnet - si costruisce l'Europa. Questo è quanto è stato possibile fare alla nostra generazione, chiamata a scrivere la Costituzione nel momento in cui l'Europa recupera il suo perimetro geografico e politico allargandosi a 25 paesi e nel momento in cui consolida la sua unità interna, la sua forza economica, il suo protagonismo sui mercati mondiali con la moneta unica. Ne è uscito un testo sicuramente migliorabile ma che contiene già valori politicamente e storicamente molto importanti. Pensiamo al fondamentale inserimento nel testo della carta dei diritti che diventano diritti azionabili davanti alla Corte di giustizia. L'azionabilità dei diritti dei cittadini è il primo requisito di una Costituzione e da oggi i diritti sono azionabili da parte di tutti i cittadini europei. Si tratta dei principi di centralità della persona, di libertà, di uguaglianza, di sussidiarietà, di coesione sociale, di costruzione della pace, che costituiscono il vero fondamento dell'identità europea. In tali principi è presente lo spirito e la cultura antropologica della tradizione giudaico-cristiana, quantunque non esplicitamente evocata. Mi sia consentito a tale proposito, rivolgendomi ai colleghi laici ed a quelli credenti, ricordare un articolo apparso quasi cento anni fa sul settimanale Il Tridentino in cui un giovanissimo cittadino austriaco, Alcide De Gasperi, rivendicava come merito del cristianesimo quello di avere cancellato in Europa l'eredità sacerdotale, la sacralità del potere dello Stato, restituendo la politica alla sua natura laica di arte di buon governo. Quando parliamo di questi temi, cari colleghi, dobbiamo sempre considerare questo il nucleo dell'apporto del cristianesimo all'Europa. Tra i contenuti significativi della Costituzione europea vorrei citare anche la personalità giuridica finalmente acquisita dall' Unione, la fusione tra Unione e Comunità, l'istituzione del Ministero degli esteri dell'Unione, le cooperazioni rafforzate in materia di difesa, l'estensione dei poteri di codecisione del Parlamento. Nasce con questo Trattato un'Europa nuova, più solida, più politica, più sovrana, nella quale si deve responsabilmente decidere se farne parte o meno. Per questo riteniamo che il Governo italiano dovrebbe assumere un'iniziativa, nel prossimo Consiglio europeo, per definire che accadrà nel caso in cui alcuni paesi non ratifichino il Trattato; ciò anche al fine di responsabilizzare le loro opinioni pubbliche, che si apprestano alla ratifica attraverso il referendum, rispetto al rischio di esclusione, che coerentemente la non ratifica dovrebbe comportare. L'esplicitazione di questo rischio sarà il più efficace deterrente contro la possibilità di una paralisi dell'Unione o di un ritorno, ormai impossibile, allo status quo ante. Chiediamo, dunque, esplicitamente al Governo italiano di farsi promotore di un'iniziativa in tal senso. Cari colleghi, l'Europa politica, fra le tante istituzioni nate dopo la seconda guerra mondiale per garantire la pace - penso all'ONU, alla NATO, al Patto di Varsavia, all'OUA, alla Lega araba - è l'unica, fra tante istituzioni, a non essere oggi in difficoltà. Questo perché il suo cammino e i suoi atti, e non solo le sue parole, sono stati sempre accompagnati dalla volontà di prevenire tensioni e conflitti sul piano internazionale. E lo sono stati, per tanti anni, grazie al ruolo decisivo dell'Italia, da sempre considerato paese federatore per eccellenza, proprio per la sua apertura universalistica, per la sua identità aperta e, come ha scritto Padoa Schioppa, sempre in divenire, per lo spessore della sua Carta costituzionale e dei principi fondamentali in essa contenuti, per le stigmate morali e politiche, lasciate sulla pelle del suo popolo dalla seconda guerra mondiale. Mi sia consentito, in questi giorni in cui ricordiamo il sessantesimo anniversario della tragedia tutta europea della Shoa, di concludere con le parole del premio Nobel Eli Wiesel: se nel 1945, alla fine della guerra, qualcuno mi avesse detto che per il resto della mia vita avrei dovuto battermi ancora contro il razzismo, non lo avrei creduto (e purtroppo oggi nel Parlamento europeo un gruppo politico della maggioranza italiana si rifiuta di firmare la mozione contro il razzismo!). Continua Wiesel: così come non avrei mai immaginato di dover combattere per la sopravvivenza dei bambini nel mondo, per non lasciarli morire di fame, di malattia, di umiliazione, di schiavitù. Mai avrei creduto questo. Il non amore per i bambini per me era morto ad Auschwitz, in quell'immagine dei vagoni carichi di questi piccoli innocenti, che non potrò mai dimenticare. Penso che questo sia dovuto forse alla qualità - continua Wiesel - della nostra testimonianza verso le nuove le generazioni. L'educazione è un'operazione che supera spesso i nostri limiti, perché ci obbliga ad una coerenza estrema, con la testimonianza della vita, ma è quanto di più urgente ci sia oggi da fare ed è la sola via per rendere impossibile il riprodursi dell'orrore. Ecco, cari colleghi, perché votiamo convinti questo Trattato: perché l'Europa impegnata ad educare le nuove generazioni ai valori della libertà, della democrazia e della pace, è la migliore garanzia per rendere impossibile il riprodursi di quell'orrore (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-socialisti democratici italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Adornato. Ne ha facoltà.
FERDINANDO ADORNATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la nostra generazione ha il privilegio di essere protagonista di una grande svolta della storia. Sessant'anni fa le nostre terre erano ancora attraversate dalle armate naziste ed appena quindici anni fa la parte orientale del nostro continente era ancora schiava della criminale cappa di piombo del comunismo. Ora l'Europa, oltre ad essere libera, è una sola: la gente di Roma, Madrid, Berlino si unisce a quella di Varsavia, Praga, Vilnius in una sola Unione e lo fa con il Trattato che oggi stiamo per ratificare. La nostra storia abbandona il Novecento, per incamminarsi nel XXI secolo. Ma, proprio mentre prepariamo il futuro, il nostro pensiero non può non andare a quei grandi europei che seppero costruire, tra mille difficoltà ed incomprensioni, quello che, per loro, era un sogno ed oggi è realtà. In primo luogo, un italiano, Alcide De Gasperi. Scrisse Conrad Adenauer: ovunque uomini di Stato si preoccupano di dar forma a questa nostra Europa, lì vive sempre il ricordo di Alcide De Gasperi. Se ricordiamo questi nomi, accanto a quello di Robert Schuman e di Jean Monnet, di Altiero Spinelli e di Ugo La Malfa, non è solo per un doveroso tributo ai padri dell'Europa unita, ma per trasmettere agli italiani ed a noi stessi un grande insegnamento morale, prima ancora che politico. Quando le idee sono giuste non devono temere la solitudine: prima o poi esse si affermano! Lo dimostra oggi anche quest'aula. Votano per la ratifica del Trattato gran parte dei gruppi di maggioranza e di opposizione. Si accenderà la lampadina verde anche su molti di quei banchi della sinistra che, un tempo, ospitarono infiammatissimi discorsi contro l'Europa e la sua unità. Anche in questa larga condivisione, vi è la testimonianza del graduale superamento delle lacerazioni ideologiche che hanno segnato il Novecento europeo. È esattamente il sogno di De Gasperi e di Adenauer. Era, la loro, una generazione che vedeva nell'unità dell'Europa la sola vera garanzia di pace perpetua, la sola via, affinché un europeo non potesse più considerare come nemico un altro europeo. Ebbene, questa bandiera di pace sarà la bandiera dell'Unione europea del ventunesimo secolo; una bandiera che è già punto di riferimento storico per tutti quei paesi, come l'Ucraina di Yushchenko, che intendano abbracciare la via della libertà e del rispetto dei diritti umani. L'Europa può e deve rappresentare un contagio di libertà e questo è un punto assai importante. Se, infatti, l'Europa vorrà davvero tornare ad essere una potenza civile, protagonista della politica del pianeta, non dovrà mai smarrire la via indicata dai suoi padri. Guai a vivere l'europeismo come alternativa all'atlantismo! Europeismo ed atlantismo sono facce imprescindibili della stessa medaglia. Così come, al tempo della guerra fredda, l'Europa non poteva essere concepita come una terza forza tra USA e URSS, così oggi essa non può immaginare se stessa in un nuovo antagonismo bipolare con gli Stati Uniti. Sarebbe un disastro per la stabilità del pianeta! Bisogna fare attenzione, perché vi è in Europa chi lavora a dividere in due l'Occidente e vi è in America chi vede l'Europa unita con fastidio. Sbagliano entrambi! La nostra generazione deve, invece, lavorare con la stessa pazienza dei nostri padri a rendere ancora e sempre più unito l'asse transatlantico, a rendere i suoi valori di libertà davvero contagiosi per tutto il pianeta, soprattutto di fronte alla guerra che il terrorismo ha lanciato contro tutta l'umanità. Permettetemi, a questo proposito, di rendere ancora un deferente omaggio a Simone Cola, alla sua famiglia ed ai suoi amici (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale). Vorremmo dire ai terroristi che possono farci piangere, possono devastare i nostri sentimenti, ma non potranno mai piegare la forza della libertà, neanche quella del popolo iracheno che, per la prima volta, si accinge a libere elezioni ed al quale va il nostro più caloroso sentimento di vicinanza. Signor Presidente, ritenere che, con il Trattato siglato a Roma, l'Europa abbia acceso una nuova luce nella propria millenaria storia di conflitti, non ci impedisce di vedere le ombre, anche assai significative che, in questo stesso Trattato, prendono corpo, pretendendo evoluzioni e correzioni. Del resto, fu proprio Schuman a prevedere che l'Europa non avrebbe potuto farsi in una volta sola e nel 1949 De Gasperi, in un discorso dal titolo assai significativo agli italiani, perché ricercassero le vie dell'Europa, ci consegnò il metodo più giusto per affrontare la questione. Cito De Gasperi: tutte le cose cominciano un po' zoppicando, ma poi si irrobustiscono e trovano la strada dritta. Questo è il cammino dell'umanità, non soltanto nella vita individuale, ma nell'opera sociale. Ciò che conta è la fede nel successo dell'idea. Ebbene, lo stesso identico pensiero ci muove oggi nel votare la ratifica del Trattato. Perciò, ci permettiamo di dire agli amici della Lega: comprendiamo alcune delle vostre obiezioni, ma non è giusto buttare via il bambino con l'acqua sporca. È molto più saggio permettergli di vivere e lavorare per costruirgli un futuro migliore. Noi siamo, per storie e culture, europeisti convinti, il che vuol dire che non siamo né euroscettici né eurostupidi. Siamo in Europa per batterci per l'Europa, con quel ruolo protagonista che oggi all'Italia viene sempre più riconosciuto. Per ciò, Forza Italia, con la stessa determinazione con la quale si sta battendo per modificare i criteri del patto di stabilità e per farlo diventare anche un patto per la crescita, si batterà per un'evoluzione positiva del Trattato di Roma. Il primo punto per noi ancora aperto è di natura politico-ordinamentale: la struttura dell'Unione è troppa complessa e non possiamo non farci carico tutti insieme del fatto che i cittadini europei vivono tuttora con grande distacco l'Unione, non riconoscendola ancora come la propria casa, quanto piuttosto come un condominio lontano e burocratizzato. Le soluzioni possono essere diverse, ma certo nessuno può ignorare che i legami dei popoli d'Europa con l'istituzione europea sono ancora oggi un problema aperto. Il secondo nodo irrisolto è di natura storico-culturale e riguarda l'identità dell'Unione. Lord Dahrendorf ci ha più volte ricordato che, mentre esistono i popoli d'Europa, non si può certo dire che esista un popolo europeo, e che questa assenza di demos è contraddittoria con l'affermarsi di qualsiasi unità politica e costituzionale. Per questo motivo il rifiuto di richiamare nel Trattato le radici cristiane dell'Europa non è, secondo noi, solo una decisione sbagliata, ma anche una scelta che rischia di compromettere la possibilità stessa di riconoscersi nel tempo in un unico popolo europeo. Nessuno può negarlo: sono stati il pensiero greco e quello cristiano a formare l'identità dell'Europa attorno ad un concetto assai preciso: il primato della persona nella storia. Si tratta di un pensiero gridato al mondo per la prima volta da Socrate e da Gesù: con la loro grande testimonianza sull'irriducibilità della persona di fronte all'abuso di qualsiasi potere, anche a costo del sacrificio estremo, hanno dato forma all'imperituro messaggio della libertà umana. Un messaggio che, dopo essere stato perseguitato e vilipeso, ha ripreso il suo viaggio alla fine del Medioevo per aprire la strada al Rinascimento e all'era delle grandi scoperte geografiche e scientifiche, sempre fondando il senso dell'avventura umana sulla centralità della persona nella storia, non delle classi né delle razze, come il ventesimo secolo europeo ha decretato con i suoi crimini. Ebbene, l'Europa archivierà davvero il suo terribile Novecento solo quando saprà riprendere tra le sue mani il filo di quel pensiero che i totalitarismi hanno tentato di annichilire: appunto, il primato della persona, insieme al pensiero cristiano e liberale. Al contrario, in alcune élite europee sembra prevalere la tentazione di neutralizzare le religioni, l'idea di una laicità solo negativa che relega la fede alla vita privata, negando che i valori della religione possano contribuire a formare l'etica pubblica e quasi considerando chi crede un cittadino di serie B. Ma questo, oltre che assurdo, è impossibile. In una democrazia liberale tutti i valori hanno diritto, a pari titolo, a concorrere a formare l'etica pubblica. A maggior ragione valori come quelli del cristianesimo, che hanno contribuito ad edificare i principi stessi delle nostre democrazie, formulando per la prima volta nella storia, con la divisione tra Dio e Cesare, persino quelle che sono le fondamenta della laicità dello Stato. La laicità dello Stato è un bene supremo; altra cosa è l'indifferentismo etico. La verità è che dopo il crollo delle ideologie c'è chi, non sapendo più credere in niente, vuole che lo stesso destino sia condiviso da un'Europa imprigionata dentro una sorta di anestesia dei valori, resa immemore del proprio spirito, della propria storia, delle proprie tradizioni. In una parola: sterilizzata nella propria identità. Ma non succederà. Signor Presidente, fatta l'Europa, forse si può ancora dire che restano da fare gli europei. La storia non si ferma e chiede anche alla nostra generazione pensieri forti e coraggiosi. Non sarà un cammino facile, ma a chi chiedesse se siamo ottimisti o pessimisti, risponderemo come Jean Monnet: né l'uno né l'altro, siamo solo determinati. Determinati a costruire un'Europa liberale, un'Europa popolare, un'Europa di pace (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro)!
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
La Camera, ricognizione non è certo agevole. Recentemente nelle sedi istituzionali dell'Unione europea sono state assunte posizioni che dimostrano tali difficoltà e l'esigenza per gli Stati di riservare le scelte su questioni così delicate alle sedi di rappresentanza democratica come il Parlamento nazionale, impegna il Governo
a promuovere nelle competenti sedi e con
gli atti coerenti con il diritto internazionale e dell'Unione europea una
interpretazione del Trattato che ribadisca i seguenti principi:
La
Camera,
impegna il Governo ad
agire in favore di una soluzione più avanzata del testo, dando vita,
all'indomani dell'entrata in vigore del presente trattato, ad iniziative
volte a predisporre una serie di modifiche del testo, da sottoporre al
Consiglio europeo, affinché convochi una nuova Convenzione al fine di
superare quei limiti importanti ancora in esso contenuti, che vadano verso
l'integrazione politica e sociale dell'Europa e che prevedano, in
particolare:
La Camera, impegna il Governo
a riproporre l'inserimento di un
esplicito riferimento alle radici giudaico cristiane nel Preambolo del
Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, qualora si dovesse
procedere ad una sua revisione;
La
Camera, ad
attivarsi, nelle forme previste dallo stesso Trattato, al fine di
introdurvi una norma che riprenda i contenuti dell'articolo 11 della
Costituzione italiana.
La
Camera,
sociale, un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità
dell'ambiente»; occorre peraltro notare, negativamente, una mancanza di
coerenza costante fra la I e la III Parte della Costituzione (le politiche
dell'Unione). E questo è particolarmente vero in materia di politica
sociale. Nella III Parte non si parla più della piena occupazione come
obiettivo dell'Unione, bensì di un «livello di occupazione elevato». La
stessa incoerenza è rilevabile nell'ambito della politica economica. Il
termine «economia sociale di mercato», di cui agli obiettivi definiti
nella Parte I, viene sostituito nella Parte III da «economia di mercato
aperta»; impegna il Governo:
ad attuare una campagna di informazione finalizzata ad informare e sensibilizzare i cittadini in merito al contenuto della Costituzione e alla politica europea, con l'obiettivo primario di stimolare un
dibattito approfondito sull'impianto costituzionale, sui suoi aspetti
critici e sugli strumenti che dovranno essere adottati per migliorarlo;
La
Camera, nella
convinzione che tale tappa è stata raggiunta grazie al metodo della
Convenzione europea, metodo che deve essere preservato e rafforzato in
occasione delle revisioni della Costituzione abbandonando di fatto il
negoziato intergovernativo; con
l'eccezione (rilevante) della cooperazione giudiziaria in materia penale e
delle misure relative al diritto di famiglia;
impegna il Governo a
promuovere attività di informazione e comunicazione sullo sviluppo del
processo di integrazione europea e sul valore del Trattato costituzionale;
La
Camera, impegna il Governo: a non
legittimare nessuna interpretazione delle citate disposizioni del trattato
che autorizzi o addirittura promuova nel nostro Paese una normativa che
permetta la clonazione a fini terapeutici.
La
Camera,
impegna il Governo: a non
promuovere atti normativi che riconoscano ed autorizzino modelli di
famiglia diversi da quella monogamica, eterosessuale e fondata sul
matrimonio che appartiene alla tradizione e alla cultura del nostro Paese.
La
Camera, impegna il Governo: a non
promuovere normative basate su una interpretazione estensiva del dettato
costituzionale europeo che si discostino dal concetto di tutela della
salute previsto dalla Costituzione italiana e che comporterebbero aggravi
insostenibili per l'organizzazione sanitaria del nostro paese. La
Camera, impegna il Governo: ad
adoperarsi in ogni futura sede di discussione e di revisione del trattato
che istituisce una Costituzione per l'Europa affinché all'eredità
cristiana sia riconosciuto il ruolo di valore fondante del pensiero, della
cultura storica e della tradizione dell'Europa. La
Camera,
impegna il Governo: ad
adoperarsi in sede comunitaria per garantire che nessuna disposizione del
trattato, ed in particolare gli articoli I-6, I-42, III-270, III-271,
possa consentire che siano posti ostacoli, impedimenti, esclusioni o
regressioni nell'applicazione delle norme interne italiane che
direttamente o in attuazione della Costituzione italiana, sono poste a
tutela dei diritti fondamentali. La
Camera; impegna il Governo: a non
legittimare nessuna interpretazione delle citate disposizioni del trattato
che autorizzi o addirittura promuova nel nostro Paese una normativa che
permetta la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali.
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