Riunone seminariale sul tema "Servizi pubblici e il bisogno di un quadro normativo e di tutela europeo e nazionale: ANALISI, PROPOSTE ED INIZIATIVE"


Relazione di

Rosa Pavanelli - Segretaria nazionale Fp Cgil responsabile politiche europee ed internazionali

Roma 7 luglio 2006
 

Quando abbiamo pensato ad una riunione seminariale del nostro CD sulla “Campagna per una normativa quadro europea per servizi pubblici di qualità”, lanciata dalla FSESP il 4 e 5 maggio scorsi a Vienna avevamo l’idea di collegare la nostra partecipazione a questo impegno internazionale con il lavoro avviato, un anno fa nella 2^ Conferenza di Programma della FP e proseguito lungo tutto il percorso congressuale della CGIL con le nostre proposte e le decisioni che ne sono conseguite. Naturalmente contavamo anche di potere offrire un ulteriore contributo di elaborazione, anche grazie al confronto con i nostri ospiti, oltre a condividere con tutto il gruppo dirigente un piano i lavoro che intreccia il nostro agire quotidiano con la costruzione un progetto comunitario per la tutela e la valorizzazione dei servizi pubblici.

Oggi, però, mi permetto di dire che questo appuntamento riveste un’attualità straordinaria anche nel dibattito politico italiano, soprattutto per i temi che il Governo propone come centrali per la definizione del DPEF e della prossima legge finanziaria.

Non mi voglio dilungare su questo aspetto, che abbiamo approfonditamente dibattuto, ieri, nel direttivo della CGIL e stamane tra di noi, ma è del tutto evidente che se il punto attorno al quale si concentreranno le misure per sanare la voragine del buco dei conti pubblici saranno previdenza, sanità, enti locali e lavoro pubblico, senza che si modifichi l’ottica da cui si affronta il problema, i servizi che noi eroghiamo rischiano di essere nell’occhio del ciclone, passibili di un poderoso ridimensionamento e le lavoratrici ed i lavoratori che noi rappresentiamo diventerebbero coloro che sostengono l’onere maggiore del risanamento, ancora una volta le vittime.

I primi atti del nuovo Governo che direttamente o indirettamente riguardano i servizi pubblici denunciano con evidenza quanto l’esperienza alla Commissione Europea abbia segnato il Presidente Prodi.
Basterebbe ricordare che, a pochi giorni dall’insediamento, alla riunione del Consiglio dei Ministri Europei per la competitività il Ministro Bonino ha illustrato la posizione del governo sulla Direttiva servizi (la cd. Bolkestein), per fortuna sbarazzando il tavolo dagli emendamenti già presentati dal governo Berlusconi che puntavano a rilanciare rispetto al campo di applicazione definito nel testo votato dal P.E., ma nella sostanza accettando la riscrittura della C.E. del testo di compromesso del P.E. Neppure un accenno al fatto che la direttiva include l’acqua tra i servizi da liberalizzare sul mercato interno, benché proprietà e gestione pubblica dell’acqua siano impegni contemplati nel programma dell’Unione e del governo; neppure sui servizi sociali, definiti nel discorso programmatico di Prodi alle Camere, fondamento per la coesione sociale e la solidarietà.

In realtà, leggendo il decreto Bersani della manovra correttiva varato venerdì scorso, ci si rende conto che è ben più profondo l’imprinting europeo che Prodi innesta nella politica del governo, proprio riguardo alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali.
L’art. 12, “disposizioni in materia di circolazione dei veicoli di trasporto comunale e intercomunale”, nell’aprire ai privati la gestione del servizio di trasporto locale, stabilisce che gli enti locali “disciplinano secondo modalità non discriminatorie tra gli operatori economici ed in conformità con i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione” le condizioni di effettuazione del servizio.
I criteri indicati mutuano testualmente quelli che l’art. 16 della direttiva servizi impone agli stati membri per impedire l’adozione di norme protezionistiche.

Ed ancora, l’art. 13, “Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali a tutela della concorrenza”, traduce, anche qui, alla lettera le sentenze della Corte di Giustizia europea sulle società a capitale pubblico o misto.

Infine, l’enfasi con cui il provvedimento mira a tutelare la concorrenza, da un lato, e il consumatore dall’altro, non rende giustizia rispettivamente al ruolo preminente che i servizi pubblici debbono avere in un progetto di “rinascita del Paese”, come dice Prodi, o di “ricostruzione” come abbiamo detto nel congresso della CGIL, e al lavoro pubblico che, in questa ottica continua a rimanere un costo da comprimere e non un fattore di sviluppo per il benessere della comunità e per la stessa economia.
Anzi, la logica delle liberalizzazioni, se concepita solo come attenzione al “consumatore”, alla lunga, rischia di riaprire una divaricazione pericolosa tra i diritti dei consumatori e quelli dei produttori, cioè i lavoratori, i cui danni la Fp ben conosce per averli combattuti sin dai primi anni 90, quando decidemmo che per qualificare i servizi pubblici bisognava coniugare la difesa dei diritti dei lavoratori e quelli degli utenti.

Questa lunga premessa per dire che l’Europa sarà sempre più presente nelle scelte del governo e che per questo la sintonia tra le nostre rivendicazioni nazionali e quelle europee deve trovare continuità e coerenza.

Per questo la campagna con cui la FSESP si impegna nei confronti delle istituzione europee perché entro il 2007 il Parlamento Europeo possa finalmente discutere una normativa quadro per la difesa dei servizi pubblici, propone l’idea di rilanciare rispetto all’esito del percorso europeo della Direttiva Bolkestein, ma anche di collegare alla più generale iniziativa comunitaria le nostre proposte sui servizi pubblici in Italia.

Bolkestein e non solo

La Direttiva per la libera circolazione dei servizi sul mercato interno giungerà in autunno al PE per la seconda e definitiva lettura.

Sul testo approvato lo scorso 14 febbraio, risultante dal compromesso tra il PSE e il PPE, abbiamo espresso un giudizio meditato, consapevoli che anche dalla grande mobilitazione che ci ha visto impegnati in Italia e in Europa, sono derivate le importanti modifiche introdotte.
In primo luogo la soddisfazione per la cancellazione del “principio del paese d’origine”, per l’introduzione del vincolo al rispetto delle legislazioni nazionali sul lavoro e dei contratti collettivi, che, come abbiamo più volte sottolineato avrebbe determinato un inaccettabile peggioramento dei diritti per milioni di lavoratrici e lavoratori della UE, innalzando al rango di requisito necessario alla concorrenza il ricorso al dumping sociale e contrattuale, trasformando in regola ciò che in realtà costituisce una patologia e una distorsione del mercato perché produce una concorrenza sleale tra gli operatori.

Ma allo stesso tempo abbiamo manifestato la nostra insoddisfazione per l’inclusione nel campo di applicazione di settori fondamentali del welfare, quali l’acqua, l’educazione, ma anche la raccolta e il trattamento dei rifiuti, l’energia, e la quasi totalità dei servizi sociali.
Su questi ultimi, l’esclusione dalla Direttiva è prevista solo per i servizi di edilizia popolare, di assistenza domiciliare e all’infanzia rivolti agli indigenti e ripropone con forza preoccupante l’idea dello “stato minimo” che si incarica solo di assicurare il cosiddetto “welfare compassionevole”.

Anche riguardo alla sanità rimangono delle preoccupazioni, perché, mentre la esclude dal campo delle direttiva, la CE annuncia però che i servizi sanitari saranno oggetto di una specifica direttiva.

Gli argomenti con cui ci siamo opposti alla “Direttiva sui servizi nel mercato interno”, stanno alla base della campagna che oggi ci impegna nell’ambito della FSESP: la constatazione che è lontana dalle istituzioni comunitarie, in primo luogo dalla Commissione e dalla maggioranza di centro destra del Parlamento europeo, qualsiasi idea di approvare norme che riconoscano il ruolo che i servizi pubblici possono svolgere per attenuare le differenze presenti nei sistemi di protezione sociale dei 25 paesi dell’Unione, che vincolino gli Stati membri a tutelare la funzione insostituibile da essi svolta per la crescita del benessere e della coesione sociale, che impongano parametri oggettivi per elevare la qualità dei servizi pubblici in quanto elemento indispensabile a garantire e armonizzare i diritti di cittadinanza dei cittadini europei.

Non a caso la FSESP, e la FP hanno sempre chiesto il ritiro della Direttiva Bolkestein, sostenendo che qualsiasi liberalizzazione dei servizi sul mercato interno non potesse entrare in vigore se non dopo l’approvazione di una norma a sostegno dei servizi pubblici.
Anche in occasione della recente approvazione in prima lettura, abbiamo ribadito la necessità di sospendere l’entrata in vigore della Direttiva servizi fino alla approvazione di una regolamentazione di sostegno dei SIG.

Siamo convinti che la crisi politica della UE, lo stop alle procedure di ratifica del Trattato Costituzionale, dopo la bocciatura referendaria in Francia e in Olanda, siano responsabilità, prima di tutto, delle sue istituzioni, incapaci di riconoscere i limiti che manifesta il processo di costruzione dell’Europa se resta incentrato solo sulle politiche economiche, monetarie e finanziarie, incapaci di vedere il fallimento a cui si condanna la costruzione dell’Europa se si continuerà a favorire le forze liberiste che con grande determinazione rivendicano la preminenza del mercato sull’interesse generale.
Ma colpevole è anche la frequente ambiguità dei governi nazionali, sempre pronti ad avallare le scelte della Commissione e del Parlamento europei tanto quanto a scaricare le proprie responsabilità sull’Europa.
Che prospettive avrebbe l’Europa, e quanto potrebbe durare se crescessero la sfiducia e lo scetticismo tra i suoi cittadini?
Per quanto ancora i governi degli Stati membri potrebbero mantenere la doppiezza di questo equilibrio, se il disagio e il malcontento dei cittadini iniziassero a riconoscere la loro corresponsabilità nelle scelte europee e, di conseguenza, a privarli del consenso?
E che qualità può avere lo sviluppo economico dell’Europa se si fonda sulla diminuzione della protezione dei cittadini, delle loro condizioni di vita materiali e immateriali?

La nostra risposta è che si può e si deve dare una durevole prospettiva all’Europa introducendo nelle sue politiche una forte dimensione sociale, favorendo la partecipazione dei suoi cittadini e il rispetto della loro volontà, armonizzando verso l’alto le condizioni per un effettivo benessere in tutti i 25 paesi dell’Unione: in sintesi, con l’innesto di una dose maggiore di solidarietà e democrazia.
Questi principi si possono realizzare se ovunque è garantito l’esercizio dei diritti fondamentali delle persone e solo la diffusa presenza dei servizi pubblici, la loro accessibilità e trasparenza, la qualità delle prestazioni che erogano possono assicurare l’universalità dei diritti.

Non occorre, perciò , insistere sul fatto che l’affermazione di questi principi non si concilia con l’orientamento che prevale in tutti i provvedimenti della Commissione Europea a favore della competizione mercantile sul mercato interno e, ancor più, nelle sentenze della Corte di Giustizia Europea che, a protezione della concorrenza e del mercato, continua a restringere l’ambito delle funzioni pubbliche e la possibilità di assicurare la continuità dei servizi pubblici.

E’ facile intuire che, senza un sensibile contenimento dell’influenza delle regole del mercato interno, le forze liberiste continueranno ad esercitare pressioni in questa direzione, assecondate dalla tendenza ormai manifesta in gran parte delle politiche nazionali che, vuoi per l’esigenza di tenere sotto controllo la spesa pubblica, vuoi per scelta ideologica, da anni perseguono la riduzione dello spazio pubblico, fino al punto di abdicare all’esercizio di fondamentali funzioni pubbliche.

La privatizzazione dei servizi pubblici ha attori importanti nelle autonomie locali, cui spesso si deve l’originalità delle cosiddette “innovazioni gestionali” dei servizi, e da alcune delle quali, tuttavia, stanno venendo segnali importanti di un ripensamento, proprio in forza della insoddisfazione e della critica dei cittadini riguardo alla qualità dei servizi privatizzati e, spesso, all’aumento delle tariffe di cui sono gravati (un esempio e la ripubblicizzazione della gestione dei servizi idrici nella città di Grenoble in Francia e, in Italia quella dell’Acquedotto Pugliese).

Una normativa quadro per la tutela dei servizi pubblici può essere uno degli strumenti con cui l’Europa può ritrovare la coerenza necessaria per coniugare e realizzare di pari passo i due principi contenuti negli articoli 1, 2 e 3 del progetto di Costituzione che, da un canto, sanciscono che l’Unione Europea deve essere “un’economia sociale di mercato altamente competitiva, che tenda al progresso sociale” e “un mercato unico in cui la concorrenza sia libera e non falsata”, ma dall’altro che l’Unione europea deve promuovere “la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri”.
E pensiamo anche che l’adozione di una simile normativa potrebbe rinvigorire e dare nuovo impulso alla agenda di Lisbona, oggi compromessa dal prevalere delle spinte liberiste e mercantili.

Principi e obiettivi per una proposta di direttiva.

La premessa riguardo all’orientamento del governo Prodi, mi consente di non dilungarmi circa gli effetti che una norma europea di protezione dei servizi pubblici potrebbe avere anche nel nostro paese, ma l’esigenza di questa norma sta anche nella constatazione che lo sforzo di contrastare la privatizzazione dei servizi resistendo caso per caso, la sola azione di difesa a livello nazionale non possono realizzare risultati significativi contro l’aggressione del mercato globale, e proprio per questo sia meglio richiedere collettivamente, a livello dell’Unione europea, un cambiamento positivo, in grado di anche di favorire l’armonizzazione delle regole per il finanziamento dei servizi pubblici nei 25 paesi della UE.

La FSESP propone un quadro legale europeo dei servizi pubblici (servizi di interesse generale, nel gergo comunitario) che definisca i seguenti elementi:

• i principi comuni del servizio pubblico;

• la certezza giuridica della prevalenza dell’interesse generale sulle regole della concorrenza, compresa la non applicazione di quest’ultima ai servizi sociali, alla sanità, all’acqua e alla educazione;

• il diritto delle amministrazioni locali e regionali alla autoproduzione (gestione diretta) dei servizi essenziali senza temere ulteriori intrusioni della Commissione europea o della Corte di giustizia europea;

• la costituzione di un Osservatorio dei servizi pubblici, con la partecipazione dei sindacati, per monitorare e valutare i servizi e l’impatto della liberalizzazione, la promozione della cooperazione, il miglioramento delle norme e il monitoraggio della evoluzione dei bisogni dei cittadini;

• meccanismi di finanziamento dei servizi pubblici che tengano conto del fabbisogno reale e indichino i criteri per valutare gli effetti della compartecipazione.

Dalla definizione dei criteri identificativi comuni appena citati consegue quella dei principi in base ai quali devono operare i servizi pubblici:

• parità di accesso, con il divieto di operare qualsiasi discriminazione verso gli utenti;

• universalità, con la fornitura del servizio, identica per quantità e qualità delle prestazioni, a tutti i cittadini, anche quando ciò contrasti con considerazioni di ordine commerciale o di redditività del servizio;

• continuità e qualità del servizio, con l’obbligo di mantenere la fornitura, di assicurare la manutenzione e gli adeguati investimenti;

• accessibilità, con il rispetto di tempi adeguati di risposta, il controllo dei prezzi e delle tariffe, ecc.;

• tutela dell’utente/consumatore, con l’obbligo dell’informazione, del consenso, della tutela della privacy, del diritto al risarcimento;

• concertazione, con il rispetto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, delle procedure contrattuali e delle relazioni sindacali, con la previsione di forme di partecipazione degli utenti;

• controllo democratico, con norme precise per la trasparenza, l’imparzialità, l’obbligo di rendicontazione;

• solidarietà, assicurando l’equilibrio tra le generazioni e i generi, verso i gruppi e i cittadini in difficoltà o più vulnerabili.

Questo quadro potrà essere arricchito e implementato sulla scorta delle esperienze e delle elaborazioni che dai sindacati nazionali verranno proposte.
Ad esempio, io credo che bisognerebbe rafforzare questi principi anche con l’individuazione di strumenti tecnici che ne consolidino l’efficacia.
Penso, cioè, che si potrebbe prevedere che l’approvazione delle trasformazioni gestionali dei servizi pubblici abbiano il sostegno di una relazione tecnica oggettiva riguardo agli effetti che la trasformazione stessa può produrre sui lavoratori, sugli utenti e sulla comunità in cui risiedono. Una sorta di procedura di “valutazione dell’impatto sociale” cui condizionare l’autorizzazione.
Tutto ciò potrebbe realizzarsi mediante l’utilizzo di parametri certi e a seguito di un percorso partecipato e democratico dei soggetti coinvolti, al fine di salvaguardare il principio di sussidiarietà.
Non mi illudo che questo possa essere un obiettivo realizzabile a breve tempo, né in Europa né in Italia. Tuttavia c’è da chiedersi se una impresa analoga è stata possibile per quanto attiene il rispetto dei vincoli ambientali, per il quale valgono in tutta la UE le medesime regole per la “valutazione di impatto ambientale”, perché ciò possa rappresentare un’utopia riguardo alla qualità delle condizioni economiche e sociali dei singoli e della collettività.

Un’ultima considerazione va, infine, fatta riguardo all’opportunità di definire la materia in una direttiva onnicomprensiva, che avendo un carattere generale risulterebbe più tutelante a condizione che non rimanga nella genericità dei principi, rispetto alla tendenza, che pare emergere anche in parte del sindacato, per direttive settoriali che rischiano di indebolire il progetto complessivo di difesa del sistema dei servizi pubblici, e i cui contenuti sarebbero difficilmente recuperabili, secondo il principio praticato nella UE in base al quale le normative generali non si applicano ai settori regolati da norme specifiche.

La campagna italiana sarà promossa unitariamente dai sindacati italiani affiliati alla FSESP e dovrà puntare ad un ampio coinvolgimento di numerosi soggetti istituzionali e sociali.
Innanzitutto le associazioni e i movimenti che con noi hanno promosso e sostenuto la campagna “Stop Bolkestein” , così come gli enti locali che hanno dato vita ad un loro coordinamento contro la Direttiva Bolkestein, ma con l’obiettivo di ampliare queste partecipazioni, a partire dal coinvolgimento di tutti coloro - associazioni, comitati di utenti, cittadini - che, nelle singole realtà locali, hanno a cuore la continuità e la qualità dei servizi pubblici.
Per questo sarà importante realizzare incontri di approfondimento, studi di caso, esame delle “buone pratiche”, in maniera diffusa sul territorio.
Ci servirà ricercare anche collaborazioni tecniche e di merito sui contenuti di una possibile normativa quadro europeo, sollecitando il confronto con esperti, ricercatore, docenti, come già oggi stiamo facendo.

Infine, ma non ultimo obiettivo, sarà fondamentale sollecitare un confronto con il governo Prodi affinché si inizi, anche in Italia ad affrontare il problema che, come sappiamo è molto più che attuale, per tentare di indirizzare una normativa nazionale analoga e per concorrere alla formazione del parere che l’Italia dovrà esprimere su questi temi al Consiglio dei Ministri europeo.
Un primo esempio, ed una prima pratica positiva in tal senso è costituita dall’iniziativa che stiamo tentando, assieme alle forze che compongono il Forum italiano per l’acqua, di predisposizione di una legge di iniziativa popolare.

Alla ricerca di una denominazione condivisa

La normativa europea dovrà tutelare tutti quei servizi che garantiscono il godimento dei diritti fondamentali delle persone, sia che si tratti di servizi di interesse generale (SIG), di servizi di interesse economico generale (SIEG) o, secondo una nuova definizione introdotta nel testo della Direttiva servizi dalla Commissione, di servizi di interesse non economico generale (SINEG). Il tutto intrecciato con la definizione di “beni comuni” usata, nell’ambito globale, in riferimento agli oggetti del negoziato GATS.

Nel linguaggio comunitario i SIG identificano le funzioni pubbliche che lo Stato non può cedere a privati (ad esempio la difesa), mentre l’espressione “servizio di interesse economico generale” – secondo il “Libro verde sui servizi di interesse generale” – “è utilizzata negli articoli 16 e 86, paragrafo 2 del trattato. Non è definita nel trattato o nella normativa derivata. Tuttavia, nella prassi comunitaria vi è ampio accordo sul fatto che l’espressione si riferisce a servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale, gli Stati membri o la Comunità assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico” (par. 18).

Una direttiva quadro dovrà, perciò, risolvere anche l’incertezza con cui si definiscono in Europa i servizi pubblici, incertezza che è, in parte, lessicale, in parte conseguenza di come storicamente è cresciuto nei diversi paesi lo stato sociale, ma che, in Europa, oggi riguarda prevalentemente se e quanto, nell’assolvimento di una missione di servizio pubblico, l’interesse generale possa prevalere sull’applicazione delle norme comunitarie (vale a dire le norme a tutela della concorrenza).
Nel “Libro bianco sui servizi di interesse generale” del 2004, la Commissione afferma che in caso di controversia ciò è possibile, tuttavia, nessuna esplicita regolamentazione sostiene questo principio e, di conseguenza, non esiste una base giuridica idonea a prevenire l’insorgere di controversie sui servizi pubblici e il conseguente contenzioso presso la Corte di Giustizia con gli effetti che ciò comporta.
Il problema è reale, tanto è vero che, nella sua relazione al Parlamento sul “Libro bianco sui SIG”, Rapkay afferma che “deplora che la Corte di Giustizia, con la sua giurisprudenza, e la Commissione, con la sua interpretazione su casi singoli, definiscano le regole applicabili” nell’Unione per i servizi di interesse generale.

Il tema della definizione è importante perché solo i servizi d'interesse economico generale (SIEG) sono riconosciuti dai Trattati attuali come parte integrante dei valori comuni dell'Unione e come elementi che contribuiscono alla sua coesione sociale e territoriale (articolo 16 TCE ); l'accesso ai SIEG e i diritti relativi a componenti specifiche dei servizi d'interesse generale (sicurezza sociale e assistenza sociale, protezione la salute, tutela dell'ambiente, ecc.) sono riconosciuti nella Carta dei diritti fondamentali (Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa — Parte II — Titolo IV articoli da II-94 a II-96).

La richiesta dei sindacati europei di inserire la promozione dei servizi d'interesse generale tra gli obiettivi dell'articolo 3 del Trattato che adotta una costituzione per l'Europa non è stata accolta, L’articolo III-122 permetterebbe all'UE di legiferare in modo trasversale in materia di servizi d'interesse economico generale sui principi e le condizioni di funzionamento di tali servizi.
Inoltre il Trattato sancisce libera amministrazione degli enti locali e riconosce la possibilità che questi forniscano direttamente servizi d'interesse economico generale come un principio costituzionale attraverso il quale si concretizza anche il principio di sussidiarietà delle competenze rispettive dell'Unione, degli Stati membri, delle autonomie locali per i servizi d'interesse generale.
Nonostante ciò, nella sostanza, il diritto derivato continua a essere caratterizzato da uno squilibrio generale tra il diritto della concorrenza, sostenuto da un corpus giuridico comunitario dettagliato e con effetti diretti, da un lato, e, dall'altro, gli obiettivi d'interesse generale che si configurano come eccezioni a tale diritto.

L’obiettivo finale è quindi quello di recuperare ad una dimensione di tutela e valorizzazione larga parte servizi che la Direttiva Bolkestein ha compreso nel campo di applicazione o per i quali solo parzialmente ha riconosciuto la prevalenza dell’interesse generale, per sottrarli in via definitiva al rischio della liberalizzazione e della privatizzazione.
Sanità, educazione, servizi sociali, acqua, raccolta e trattamento dei rifiuti, energia - relativamente alle reti - devono rimanere un servizio pubblico accessibile a tutti.

Non pensiamo che sarà una strada facile da percorrere né un obiettivo a portata di mano.
Infatti, la CE, benché ripetutamente invitata dal PE, (con il rapporto Langen del 2001e il rapporto Herzog del 2003), a predisporre una quadro giuridico per i criteri di funzionamento dei SIG, per dare certezza del diritto ai servizi e per contenere l’indirizzo della Corte di Giustizia, volto a privilegiare le regole del mercato, non ha mai sostenuto tale esigenza.

Anzi i documenti prodotti vanno in senso contrario.
Da un canto nel libro verde (2004), che incoraggia i PPP, non contempla alcuna area protetta per i servizi pubblici, dall’altro nel libro bianco (2003) sui SIG esclude esplicitamente questa previsione.

Anche la comunicazione “Attuazione del programma comunitario di Lisbona:i servizi sociali d’interesse generale nell’Unione europea”, pubblicata il 26 aprile 2006, mentre esplicita l’intenzione di una direttiva sui servizi sanitari non lascia spazi aperti per una regolamentazione dei servizi sociali.

Questi provvedimenti sono attualmente in discussione al PE e, nonostante il relatore Rapkay, riguardo ai SIG si esprima in maniera favorevole ad una qualche forma di protezione, il parere delle commissioni è più orientato sulla posizione della CE.
Spetta ora al legislatore europeo decidere, ma, quale che sia l’esito, alcune novità già si vedono.

L’esperienza del voto sulla Direttiva servizi, seppure ha mostrato la tenuta del compromesso raggiunto tra PSE e PPE, ha, tuttavia, reso esplicito che il fronte liberista è compatto e poco disposto a cedere riguardo ad una maggiore protezione dei servizi pubblici.
Neppure uno degli emendamenti, non concordati e volti ad escludere dal campo di applicazioni settori fondamentali come l’acqua e i servizi sociali, presentati dai gruppi del centro sinistra ha ottenuto la maggioranza dei voti dell’Assemblea.
Nasce, probabilmente, dalla valutazione di questa esperienza la decisione del PSE di cambiare strategia.

Il 31 maggio 2006 il PSE ha presentato la bozza definitiva di una proposta di direttiva sui SI(E)G che, benché non ancora adeguatamente dettagliata, può costituire un primo terreno di confronto per la campagna della FSESP.
La prima bozza del testo si riferiva genericamente ai SIG: ora, l’aggiunta di quella (E), che sta per economici, pare indicare l’intenzione del PSE di affrontare il tema con una visuale più ampia che potrebbe favorire una discussione non prettamente economicista attorno al provvedimento.

Anche i Verdi hanno predisposto un testo per la regolamentazione dei SIG e nel gruppo del GUE è in corso la valutazione circa l’opportunità di promuovere una analoga iniziativa.

Su un altro versante, anche la CES ha predisposto una proposta di direttiva sui SIEG .
Il testo è frutto di una intesa con la CEEP, e dovrà essere approvato al prossimo Comitato Esecutivo di settembre.

Pur apprezzando lo spirito della iniziativa e, soprattutto il tentativo di coinvolgere in una azione propositiva la rappresentanza europea delle imprese pubbliche, il testo ha destato nella Funzione Pubblica non poche perplessità.

In primo luogo perché, con un ossequio eccessivo al principio di sussidiarietà su cui si basano le regole della UE, lascia le cose pressoché invariate riguardo alla competenza dei diversi livelli istituzionali sulla individuazione dei SIG/SIEG, perché consente qualsiasi forma di gestione pubblica o privata, perché non fornisce criteri chiari ed oggettivi per qualificare il requisito della prevalenza dell’interesse generale sulla concorrenza tale da costituire anche un sostegno giuridico per i servizi pubblici.

In secondo luogo perché non traspare uno sforzo serio di provare a mettere in discussione il principio (ideologico) che classifica gran parte dei servizi pubblici di interesse economico e, perciò, di natura commerciale, tant’è che i servizi sociali e sanitari, l’educazione e quelli culturali sono considerati tali, e l’acqua neppure viene menzionata.
Un sindacato che fa della qualità sociale nell’UE il proprio impegno, non può sottrarsi al compito, magari più ideale, valoriale, che esclusivamente tecnico- giuridico, di sostenere l’aspirazione al cambiamento culturale che tanti cittadini invocano dalle istituzioni europee.

E’ un lavoro di lunga lena che si profila, dunque. Ma è anche utile considerare che queste iniziative rappresentano una novità nello scenario europeo, dove fino ad oggi solo le regole per la concorrenza interessavano il legislatore.
Semmai suscita non poco sconforto riscontrare che almeno in Europa questo dibattito è aperto, mentre in Italia la discussione rimane ancora legata al pregiudizio del lavoro pubblico inteso come puro costo per la collettività e la natura pubblica dei servizi come ostacolo alla crescita e allo sviluppo.
Noi rimaniamo convinti che occorre cambiare strada per ridare fiducia nel futuro e una prospettiva di benessere tanto al nostro paese quanto all’Unione Europea.