Quando abbiamo pensato
ad una riunione seminariale del nostro CD sulla “Campagna per una
normativa quadro europea per servizi pubblici di qualità”, lanciata
dalla FSESP il 4 e 5 maggio scorsi a Vienna avevamo l’idea di
collegare la nostra partecipazione a questo impegno internazionale
con il lavoro avviato, un anno fa nella 2^ Conferenza di Programma
della FP e proseguito lungo tutto il percorso congressuale della
CGIL con le nostre proposte e le decisioni che ne sono conseguite.
Naturalmente contavamo anche di potere offrire un ulteriore
contributo di elaborazione, anche grazie al confronto con i nostri
ospiti, oltre a condividere con tutto il gruppo dirigente un piano i
lavoro che intreccia il nostro agire quotidiano con la costruzione
un progetto comunitario per la tutela e la valorizzazione dei
servizi pubblici.
Oggi, però, mi
permetto di dire che questo appuntamento riveste un’attualità
straordinaria anche nel dibattito politico italiano, soprattutto per
i temi che il Governo propone come centrali per la definizione del
DPEF e della prossima legge finanziaria.
Non mi voglio
dilungare su questo aspetto, che abbiamo approfonditamente
dibattuto, ieri, nel direttivo della CGIL e stamane tra di noi, ma è
del tutto evidente che se il punto attorno al quale si
concentreranno le misure per sanare la voragine del buco dei conti
pubblici saranno previdenza, sanità, enti locali e lavoro pubblico,
senza che si modifichi l’ottica da cui si affronta il problema, i
servizi che noi eroghiamo rischiano di essere nell’occhio del
ciclone, passibili di un poderoso ridimensionamento e le lavoratrici
ed i lavoratori che noi rappresentiamo diventerebbero coloro che
sostengono l’onere maggiore del risanamento, ancora una volta le
vittime.
I primi atti del
nuovo Governo che direttamente o indirettamente riguardano i servizi
pubblici denunciano con evidenza quanto l’esperienza alla
Commissione Europea abbia segnato il Presidente Prodi.
Basterebbe ricordare che, a pochi giorni dall’insediamento, alla
riunione del Consiglio dei Ministri Europei per la competitività il
Ministro Bonino ha illustrato la posizione del governo sulla
Direttiva servizi (la cd. Bolkestein), per fortuna sbarazzando il
tavolo dagli emendamenti già presentati dal governo Berlusconi che
puntavano a rilanciare rispetto al campo di applicazione definito
nel testo votato dal P.E., ma nella sostanza accettando la
riscrittura della C.E. del testo di compromesso del P.E. Neppure un
accenno al fatto che la direttiva include l’acqua tra i servizi da
liberalizzare sul mercato interno, benché proprietà e gestione
pubblica dell’acqua siano impegni contemplati nel programma
dell’Unione e del governo; neppure sui servizi sociali, definiti nel
discorso programmatico di Prodi alle Camere, fondamento per la
coesione sociale e la solidarietà.
In realtà, leggendo
il decreto Bersani della manovra correttiva varato venerdì scorso,
ci si rende conto che è ben più profondo l’imprinting europeo che
Prodi innesta nella politica del governo, proprio riguardo alla
liberalizzazione dei servizi pubblici locali.
L’art. 12, “disposizioni in materia di circolazione dei veicoli di
trasporto comunale e intercomunale”, nell’aprire ai privati la
gestione del servizio di trasporto locale, stabilisce che gli enti
locali “disciplinano secondo modalità non discriminatorie tra gli
operatori economici ed in conformità con i principi di
sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione” le condizioni
di effettuazione del servizio.
I criteri indicati mutuano testualmente quelli che l’art. 16 della
direttiva servizi impone agli stati membri per impedire l’adozione
di norme protezionistiche.
Ed ancora, l’art.
13, “Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici
regionali e locali a tutela della concorrenza”, traduce, anche qui,
alla lettera le sentenze della Corte di Giustizia europea sulle
società a capitale pubblico o misto.
Infine, l’enfasi
con cui il provvedimento mira a tutelare la concorrenza, da un lato,
e il consumatore dall’altro, non rende giustizia rispettivamente al
ruolo preminente che i servizi pubblici debbono avere in un progetto
di “rinascita del Paese”, come dice Prodi, o di “ricostruzione” come
abbiamo detto nel congresso della CGIL, e al lavoro pubblico che, in
questa ottica continua a rimanere un costo da comprimere e non un
fattore di sviluppo per il benessere della comunità e per la stessa
economia.
Anzi, la logica delle liberalizzazioni, se concepita solo come
attenzione al “consumatore”, alla lunga, rischia di riaprire una
divaricazione pericolosa tra i diritti dei consumatori e quelli dei
produttori, cioè i lavoratori, i cui danni la Fp ben conosce per
averli combattuti sin dai primi anni 90, quando decidemmo che per
qualificare i servizi pubblici bisognava coniugare la difesa dei
diritti dei lavoratori e quelli degli utenti.
Questa lunga
premessa per dire che l’Europa sarà sempre più presente nelle scelte
del governo e che per questo la sintonia tra le nostre
rivendicazioni nazionali e quelle europee deve trovare continuità e
coerenza.
Per questo la
campagna con cui la FSESP si impegna nei confronti delle istituzione
europee perché entro il 2007 il Parlamento Europeo possa finalmente
discutere una normativa quadro per la difesa dei servizi pubblici,
propone l’idea di rilanciare rispetto all’esito del percorso europeo
della Direttiva Bolkestein, ma anche di collegare alla più generale
iniziativa comunitaria le nostre proposte sui servizi pubblici in
Italia.
Bolkestein e non
solo
La Direttiva per la
libera circolazione dei servizi sul mercato interno giungerà in
autunno al PE per la seconda e definitiva lettura.
Sul testo approvato
lo scorso 14 febbraio, risultante dal compromesso tra il PSE e il
PPE, abbiamo espresso un giudizio meditato, consapevoli che anche
dalla grande mobilitazione che ci ha visto impegnati in Italia e in
Europa, sono derivate le importanti modifiche introdotte.
In primo luogo la soddisfazione per la cancellazione del “principio
del paese d’origine”, per l’introduzione del vincolo al rispetto
delle legislazioni nazionali sul lavoro e dei contratti collettivi,
che, come abbiamo più volte sottolineato avrebbe determinato un
inaccettabile peggioramento dei diritti per milioni di lavoratrici e
lavoratori della UE, innalzando al rango di requisito necessario
alla concorrenza il ricorso al dumping sociale e contrattuale,
trasformando in regola ciò che in realtà costituisce una patologia e
una distorsione del mercato perché produce una concorrenza sleale
tra gli operatori.
Ma allo stesso
tempo abbiamo manifestato la nostra insoddisfazione per l’inclusione
nel campo di applicazione di settori fondamentali del welfare, quali
l’acqua, l’educazione, ma anche la raccolta e il trattamento dei
rifiuti, l’energia, e la quasi totalità dei servizi sociali.
Su questi ultimi, l’esclusione dalla Direttiva è prevista solo per i
servizi di edilizia popolare, di assistenza domiciliare e
all’infanzia rivolti agli indigenti e ripropone con forza
preoccupante l’idea dello “stato minimo” che si incarica solo di
assicurare il cosiddetto “welfare compassionevole”.
Anche riguardo alla
sanità rimangono delle preoccupazioni, perché, mentre la esclude dal
campo delle direttiva, la CE annuncia però che i servizi sanitari
saranno oggetto di una specifica direttiva.
Gli argomenti con
cui ci siamo opposti alla “Direttiva sui servizi nel mercato
interno”, stanno alla base della campagna che oggi ci impegna
nell’ambito della FSESP: la constatazione che è lontana dalle
istituzioni comunitarie, in primo luogo dalla Commissione e dalla
maggioranza di centro destra del Parlamento europeo, qualsiasi idea
di approvare norme che riconoscano il ruolo che i servizi pubblici
possono svolgere per attenuare le differenze presenti nei sistemi di
protezione sociale dei 25 paesi dell’Unione, che vincolino gli Stati
membri a tutelare la funzione insostituibile da essi svolta per la
crescita del benessere e della coesione sociale, che impongano
parametri oggettivi per elevare la qualità dei servizi pubblici in
quanto elemento indispensabile a garantire e armonizzare i diritti
di cittadinanza dei cittadini europei.
Non a caso la
FSESP, e la FP hanno sempre chiesto il ritiro della Direttiva
Bolkestein, sostenendo che qualsiasi liberalizzazione dei servizi
sul mercato interno non potesse entrare in vigore se non dopo
l’approvazione di una norma a sostegno dei servizi pubblici.
Anche in occasione della recente approvazione in prima lettura,
abbiamo ribadito la necessità di sospendere l’entrata in vigore
della Direttiva servizi fino alla approvazione di una
regolamentazione di sostegno dei SIG.
Siamo convinti che
la crisi politica della UE, lo stop alle procedure di ratifica del
Trattato Costituzionale, dopo la bocciatura referendaria in Francia
e in Olanda, siano responsabilità, prima di tutto, delle sue
istituzioni, incapaci di riconoscere i limiti che manifesta il
processo di costruzione dell’Europa se resta incentrato solo sulle
politiche economiche, monetarie e finanziarie, incapaci di vedere il
fallimento a cui si condanna la costruzione dell’Europa se si
continuerà a favorire le forze liberiste che con grande
determinazione rivendicano la preminenza del mercato sull’interesse
generale.
Ma colpevole è anche la frequente ambiguità dei governi nazionali,
sempre pronti ad avallare le scelte della Commissione e del
Parlamento europei tanto quanto a scaricare le proprie
responsabilità sull’Europa.
Che prospettive avrebbe l’Europa, e quanto potrebbe durare se
crescessero la sfiducia e lo scetticismo tra i suoi cittadini?
Per quanto ancora i governi degli Stati membri potrebbero mantenere
la doppiezza di questo equilibrio, se il disagio e il malcontento
dei cittadini iniziassero a riconoscere la loro corresponsabilità
nelle scelte europee e, di conseguenza, a privarli del consenso?
E che qualità può avere lo sviluppo economico dell’Europa se si
fonda sulla diminuzione della protezione dei cittadini, delle loro
condizioni di vita materiali e immateriali?
La nostra risposta
è che si può e si deve dare una durevole prospettiva all’Europa
introducendo nelle sue politiche una forte dimensione sociale,
favorendo la partecipazione dei suoi cittadini e il rispetto della
loro volontà, armonizzando verso l’alto le condizioni per un
effettivo benessere in tutti i 25 paesi dell’Unione: in sintesi, con
l’innesto di una dose maggiore di solidarietà e democrazia.
Questi principi si possono realizzare se ovunque è garantito
l’esercizio dei diritti fondamentali delle persone e solo la diffusa
presenza dei servizi pubblici, la loro accessibilità e trasparenza,
la qualità delle prestazioni che erogano possono assicurare
l’universalità dei diritti.
Non occorre, perciò
, insistere sul fatto che l’affermazione di questi principi non si
concilia con l’orientamento che prevale in tutti i provvedimenti
della Commissione Europea a favore della competizione mercantile sul
mercato interno e, ancor più, nelle sentenze della Corte di
Giustizia Europea che, a protezione della concorrenza e del mercato,
continua a restringere l’ambito delle funzioni pubbliche e la
possibilità di assicurare la continuità dei servizi pubblici.
E’ facile intuire
che, senza un sensibile contenimento dell’influenza delle regole del
mercato interno, le forze liberiste continueranno ad esercitare
pressioni in questa direzione, assecondate dalla tendenza ormai
manifesta in gran parte delle politiche nazionali che, vuoi per
l’esigenza di tenere sotto controllo la spesa pubblica, vuoi per
scelta ideologica, da anni perseguono la riduzione dello spazio
pubblico, fino al punto di abdicare all’esercizio di fondamentali
funzioni pubbliche.
La privatizzazione
dei servizi pubblici ha attori importanti nelle autonomie locali,
cui spesso si deve l’originalità delle cosiddette “innovazioni
gestionali” dei servizi, e da alcune delle quali, tuttavia, stanno
venendo segnali importanti di un ripensamento, proprio in forza
della insoddisfazione e della critica dei cittadini riguardo alla
qualità dei servizi privatizzati e, spesso, all’aumento delle
tariffe di cui sono gravati (un esempio e la ripubblicizzazione
della gestione dei servizi idrici nella città di Grenoble in Francia
e, in Italia quella dell’Acquedotto Pugliese).
Una normativa
quadro per la tutela dei servizi pubblici può essere uno degli
strumenti con cui l’Europa può ritrovare la coerenza necessaria per
coniugare e realizzare di pari passo i due principi contenuti negli
articoli 1, 2 e 3 del progetto di Costituzione che, da un canto,
sanciscono che l’Unione Europea deve essere “un’economia sociale di
mercato altamente competitiva, che tenda al progresso sociale” e “un
mercato unico in cui la concorrenza sia libera e non falsata”, ma
dall’altro che l’Unione europea deve promuovere “la coesione
economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati
membri”.
E pensiamo anche che l’adozione di una simile normativa potrebbe
rinvigorire e dare nuovo impulso alla agenda di Lisbona, oggi
compromessa dal prevalere delle spinte liberiste e mercantili.
Principi e
obiettivi per una proposta di direttiva.
La premessa
riguardo all’orientamento del governo Prodi, mi consente di non
dilungarmi circa gli effetti che una norma europea di protezione dei
servizi pubblici potrebbe avere anche nel nostro paese, ma
l’esigenza di questa norma sta anche nella constatazione che lo
sforzo di contrastare la privatizzazione dei servizi resistendo caso
per caso, la sola azione di difesa a livello nazionale non possono
realizzare risultati significativi contro l’aggressione del mercato
globale, e proprio per questo sia meglio richiedere collettivamente,
a livello dell’Unione europea, un cambiamento positivo, in grado di
anche di favorire l’armonizzazione delle regole per il finanziamento
dei servizi pubblici nei 25 paesi della UE.
La FSESP propone un
quadro legale europeo dei servizi pubblici (servizi di interesse
generale, nel gergo comunitario) che definisca i seguenti elementi:
• i principi comuni
del servizio pubblico;
• la certezza
giuridica della prevalenza dell’interesse generale sulle regole
della concorrenza, compresa la non applicazione di quest’ultima ai
servizi sociali, alla sanità, all’acqua e alla educazione;
• il diritto delle
amministrazioni locali e regionali alla autoproduzione (gestione
diretta) dei servizi essenziali senza temere ulteriori intrusioni
della Commissione europea o della Corte di giustizia europea;
• la costituzione
di un Osservatorio dei servizi pubblici, con la partecipazione dei
sindacati, per monitorare e valutare i servizi e l’impatto della
liberalizzazione, la promozione della cooperazione, il miglioramento
delle norme e il monitoraggio della evoluzione dei bisogni dei
cittadini;
• meccanismi di
finanziamento dei servizi pubblici che tengano conto del fabbisogno
reale e indichino i criteri per valutare gli effetti della
compartecipazione.
Dalla definizione
dei criteri identificativi comuni appena citati consegue quella dei
principi in base ai quali devono operare i servizi pubblici:
• parità di
accesso, con il divieto di operare qualsiasi discriminazione verso
gli utenti;
• universalità, con
la fornitura del servizio, identica per quantità e qualità delle
prestazioni, a tutti i cittadini, anche quando ciò contrasti con
considerazioni di ordine commerciale o di redditività del servizio;
• continuità e
qualità del servizio, con l’obbligo di mantenere la fornitura, di
assicurare la manutenzione e gli adeguati investimenti;
• accessibilità,
con il rispetto di tempi adeguati di risposta, il controllo dei
prezzi e delle tariffe, ecc.;
• tutela
dell’utente/consumatore, con l’obbligo dell’informazione, del
consenso, della tutela della privacy, del diritto al risarcimento;
• concertazione,
con il rispetto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori,
delle procedure contrattuali e delle relazioni sindacali, con la
previsione di forme di partecipazione degli utenti;
• controllo
democratico, con norme precise per la trasparenza, l’imparzialità,
l’obbligo di rendicontazione;
• solidarietà,
assicurando l’equilibrio tra le generazioni e i generi, verso i
gruppi e i cittadini in difficoltà o più vulnerabili.
Questo quadro potrà
essere arricchito e implementato sulla scorta delle esperienze e
delle elaborazioni che dai sindacati nazionali verranno proposte.
Ad esempio, io credo che bisognerebbe rafforzare questi principi
anche con l’individuazione di strumenti tecnici che ne consolidino
l’efficacia.
Penso, cioè, che si potrebbe prevedere che l’approvazione delle
trasformazioni gestionali dei servizi pubblici abbiano il sostegno
di una relazione tecnica oggettiva riguardo agli effetti che la
trasformazione stessa può produrre sui lavoratori, sugli utenti e
sulla comunità in cui risiedono. Una sorta di procedura di
“valutazione dell’impatto sociale” cui condizionare
l’autorizzazione.
Tutto ciò potrebbe realizzarsi mediante l’utilizzo di parametri
certi e a seguito di un percorso partecipato e democratico dei
soggetti coinvolti, al fine di salvaguardare il principio di
sussidiarietà.
Non mi illudo che questo possa essere un obiettivo realizzabile a
breve tempo, né in Europa né in Italia. Tuttavia c’è da chiedersi se
una impresa analoga è stata possibile per quanto attiene il rispetto
dei vincoli ambientali, per il quale valgono in tutta la UE le
medesime regole per la “valutazione di impatto ambientale”, perché
ciò possa rappresentare un’utopia riguardo alla qualità delle
condizioni economiche e sociali dei singoli e della collettività.
Un’ultima
considerazione va, infine, fatta riguardo all’opportunità di
definire la materia in una direttiva onnicomprensiva, che avendo un
carattere generale risulterebbe più tutelante a condizione che non
rimanga nella genericità dei principi, rispetto alla tendenza, che
pare emergere anche in parte del sindacato, per direttive settoriali
che rischiano di indebolire il progetto complessivo di difesa del
sistema dei servizi pubblici, e i cui contenuti sarebbero
difficilmente recuperabili, secondo il principio praticato nella UE
in base al quale le normative generali non si applicano ai settori
regolati da norme specifiche.
La campagna
italiana sarà promossa unitariamente dai sindacati italiani
affiliati alla FSESP e dovrà puntare ad un ampio coinvolgimento di
numerosi soggetti istituzionali e sociali.
Innanzitutto le associazioni e i movimenti che con noi hanno
promosso e sostenuto la campagna “Stop Bolkestein” , così come gli
enti locali che hanno dato vita ad un loro coordinamento contro la
Direttiva Bolkestein, ma con l’obiettivo di ampliare queste
partecipazioni, a partire dal coinvolgimento di tutti coloro -
associazioni, comitati di utenti, cittadini - che, nelle singole
realtà locali, hanno a cuore la continuità e la qualità dei servizi
pubblici.
Per questo sarà importante realizzare incontri di approfondimento,
studi di caso, esame delle “buone pratiche”, in maniera diffusa sul
territorio.
Ci servirà ricercare anche collaborazioni tecniche e di merito sui
contenuti di una possibile normativa quadro europeo, sollecitando il
confronto con esperti, ricercatore, docenti, come già oggi stiamo
facendo.
Infine, ma non
ultimo obiettivo, sarà fondamentale sollecitare un confronto con il
governo Prodi affinché si inizi, anche in Italia ad affrontare il
problema che, come sappiamo è molto più che attuale, per tentare di
indirizzare una normativa nazionale analoga e per concorrere alla
formazione del parere che l’Italia dovrà esprimere su questi temi al
Consiglio dei Ministri europeo.
Un primo esempio, ed una prima pratica positiva in tal senso è
costituita dall’iniziativa che stiamo tentando, assieme alle forze
che compongono il Forum italiano per l’acqua, di predisposizione di
una legge di iniziativa popolare.
Alla ricerca di una
denominazione condivisa
La normativa
europea dovrà tutelare tutti quei servizi che garantiscono il
godimento dei diritti fondamentali delle persone, sia che si tratti
di servizi di interesse generale (SIG), di servizi di interesse
economico generale (SIEG) o, secondo una nuova definizione
introdotta nel testo della Direttiva servizi dalla Commissione, di
servizi di interesse non economico generale (SINEG). Il tutto
intrecciato con la definizione di “beni comuni” usata, nell’ambito
globale, in riferimento agli oggetti del negoziato GATS.
Nel linguaggio
comunitario i SIG identificano le funzioni pubbliche che lo Stato
non può cedere a privati (ad esempio la difesa), mentre
l’espressione “servizio di interesse economico generale” – secondo
il “Libro verde sui servizi di interesse generale” – “è utilizzata
negli articoli 16 e 86, paragrafo 2 del trattato. Non è definita nel
trattato o nella normativa derivata. Tuttavia, nella prassi
comunitaria vi è ampio accordo sul fatto che l’espressione si
riferisce a servizi di natura economica che, in virtù di un criterio
di interesse generale, gli Stati membri o la Comunità assoggettano a
specifici obblighi di servizio pubblico” (par. 18).
Una direttiva
quadro dovrà, perciò, risolvere anche l’incertezza con cui si
definiscono in Europa i servizi pubblici, incertezza che è, in
parte, lessicale, in parte conseguenza di come storicamente è
cresciuto nei diversi paesi lo stato sociale, ma che, in Europa,
oggi riguarda prevalentemente se e quanto, nell’assolvimento di una
missione di servizio pubblico, l’interesse generale possa prevalere
sull’applicazione delle norme comunitarie (vale a dire le norme a
tutela della concorrenza).
Nel “Libro bianco sui servizi di interesse generale” del 2004, la
Commissione afferma che in caso di controversia ciò è possibile,
tuttavia, nessuna esplicita regolamentazione sostiene questo
principio e, di conseguenza, non esiste una base giuridica idonea a
prevenire l’insorgere di controversie sui servizi pubblici e il
conseguente contenzioso presso la Corte di Giustizia con gli effetti
che ciò comporta.
Il problema è reale, tanto è vero che, nella sua relazione al
Parlamento sul “Libro bianco sui SIG”, Rapkay afferma che “deplora
che la Corte di Giustizia, con la sua giurisprudenza, e la
Commissione, con la sua interpretazione su casi singoli, definiscano
le regole applicabili” nell’Unione per i servizi di interesse
generale.
Il tema della
definizione è importante perché solo i servizi d'interesse economico
generale (SIEG) sono riconosciuti dai Trattati attuali come parte
integrante dei valori comuni dell'Unione e come elementi che
contribuiscono alla sua coesione sociale e territoriale (articolo 16
TCE ); l'accesso ai SIEG e i diritti relativi a componenti
specifiche dei servizi d'interesse generale (sicurezza sociale e
assistenza sociale, protezione la salute, tutela dell'ambiente,
ecc.) sono riconosciuti nella Carta dei diritti fondamentali
(Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa — Parte II —
Titolo IV articoli da II-94 a II-96).
La richiesta dei
sindacati europei di inserire la promozione dei servizi d'interesse
generale tra gli obiettivi dell'articolo 3 del Trattato che adotta
una costituzione per l'Europa non è stata accolta, L’articolo
III-122 permetterebbe all'UE di legiferare in modo trasversale in
materia di servizi d'interesse economico generale sui principi e le
condizioni di funzionamento di tali servizi.
Inoltre il Trattato sancisce libera amministrazione degli enti
locali e riconosce la possibilità che questi forniscano direttamente
servizi d'interesse economico generale come un principio
costituzionale attraverso il quale si concretizza anche il principio
di sussidiarietà delle competenze rispettive dell'Unione, degli
Stati membri, delle autonomie locali per i servizi d'interesse
generale.
Nonostante ciò, nella sostanza, il diritto derivato continua a
essere caratterizzato da uno squilibrio generale tra il diritto
della concorrenza, sostenuto da un corpus giuridico comunitario
dettagliato e con effetti diretti, da un lato, e, dall'altro, gli
obiettivi d'interesse generale che si configurano come eccezioni a
tale diritto.
L’obiettivo finale
è quindi quello di recuperare ad una dimensione di tutela e
valorizzazione larga parte servizi che la Direttiva Bolkestein ha
compreso nel campo di applicazione o per i quali solo parzialmente
ha riconosciuto la prevalenza dell’interesse generale, per sottrarli
in via definitiva al rischio della liberalizzazione e della
privatizzazione.
Sanità, educazione, servizi sociali, acqua, raccolta e trattamento
dei rifiuti, energia - relativamente alle reti - devono rimanere un
servizio pubblico accessibile a tutti.
Non pensiamo che
sarà una strada facile da percorrere né un obiettivo a portata di
mano.
Infatti, la CE, benché ripetutamente invitata dal PE, (con il
rapporto Langen del 2001e il rapporto Herzog del 2003), a
predisporre una quadro giuridico per i criteri di funzionamento dei
SIG, per dare certezza del diritto ai servizi e per contenere
l’indirizzo della Corte di Giustizia, volto a privilegiare le regole
del mercato, non ha mai sostenuto tale esigenza.
Anzi i documenti
prodotti vanno in senso contrario.
Da un canto nel libro verde (2004), che incoraggia i PPP, non
contempla alcuna area protetta per i servizi pubblici, dall’altro
nel libro bianco (2003) sui SIG esclude esplicitamente questa
previsione.
Anche la
comunicazione “Attuazione del programma comunitario di Lisbona:i
servizi sociali d’interesse generale nell’Unione europea”,
pubblicata il 26 aprile 2006, mentre esplicita l’intenzione di una
direttiva sui servizi sanitari non lascia spazi aperti per una
regolamentazione dei servizi sociali.
Questi
provvedimenti sono attualmente in discussione al PE e, nonostante il
relatore Rapkay, riguardo ai SIG si esprima in maniera favorevole ad
una qualche forma di protezione, il parere delle commissioni è più
orientato sulla posizione della CE.
Spetta ora al legislatore europeo decidere, ma, quale che sia
l’esito, alcune novità già si vedono.
L’esperienza del
voto sulla Direttiva servizi, seppure ha mostrato la tenuta del
compromesso raggiunto tra PSE e PPE, ha, tuttavia, reso esplicito
che il fronte liberista è compatto e poco disposto a cedere riguardo
ad una maggiore protezione dei servizi pubblici.
Neppure uno degli emendamenti, non concordati e volti ad escludere
dal campo di applicazioni settori fondamentali come l’acqua e i
servizi sociali, presentati dai gruppi del centro sinistra ha
ottenuto la maggioranza dei voti dell’Assemblea.
Nasce, probabilmente, dalla valutazione di questa esperienza la
decisione del PSE di cambiare strategia.
Il 31 maggio 2006
il PSE ha presentato la bozza definitiva di una proposta di
direttiva sui SI(E)G che, benché non ancora adeguatamente
dettagliata, può costituire un primo terreno di confronto per la
campagna della FSESP.
La prima bozza del testo si riferiva genericamente ai SIG: ora,
l’aggiunta di quella (E), che sta per economici, pare indicare
l’intenzione del PSE di affrontare il tema con una visuale più ampia
che potrebbe favorire una discussione non prettamente economicista
attorno al provvedimento.
Anche i Verdi hanno
predisposto un testo per la regolamentazione dei SIG e nel gruppo
del GUE è in corso la valutazione circa l’opportunità di promuovere
una analoga iniziativa.
Su un altro
versante, anche la CES ha predisposto una proposta di direttiva sui
SIEG .
Il testo è frutto di una intesa con la CEEP, e dovrà essere
approvato al prossimo Comitato Esecutivo di settembre.
Pur apprezzando lo
spirito della iniziativa e, soprattutto il tentativo di coinvolgere
in una azione propositiva la rappresentanza europea delle imprese
pubbliche, il testo ha destato nella Funzione Pubblica non poche
perplessità.
In primo luogo
perché, con un ossequio eccessivo al principio di sussidiarietà su
cui si basano le regole della UE, lascia le cose pressoché invariate
riguardo alla competenza dei diversi livelli istituzionali sulla
individuazione dei SIG/SIEG, perché consente qualsiasi forma di
gestione pubblica o privata, perché non fornisce criteri chiari ed
oggettivi per qualificare il requisito della prevalenza
dell’interesse generale sulla concorrenza tale da costituire anche
un sostegno giuridico per i servizi pubblici.
In secondo luogo
perché non traspare uno sforzo serio di provare a mettere in
discussione il principio (ideologico) che classifica gran parte dei
servizi pubblici di interesse economico e, perciò, di natura
commerciale, tant’è che i servizi sociali e sanitari, l’educazione e
quelli culturali sono considerati tali, e l’acqua neppure viene
menzionata.
Un sindacato che fa della qualità sociale nell’UE il proprio
impegno, non può sottrarsi al compito, magari più ideale, valoriale,
che esclusivamente tecnico- giuridico, di sostenere l’aspirazione al
cambiamento culturale che tanti cittadini invocano dalle istituzioni
europee.
E’ un lavoro di
lunga lena che si profila, dunque. Ma è anche utile considerare che
queste iniziative rappresentano una novità nello scenario europeo,
dove fino ad oggi solo le regole per la concorrenza interessavano il
legislatore.
Semmai suscita non poco sconforto riscontrare che almeno in Europa
questo dibattito è aperto, mentre in Italia la discussione rimane
ancora legata al pregiudizio del lavoro pubblico inteso come puro
costo per la collettività e la natura pubblica dei servizi come
ostacolo alla crescita e allo sviluppo.
Noi rimaniamo convinti che occorre cambiare strada per ridare
fiducia nel futuro e una prospettiva di benessere tanto al nostro
paese quanto all’Unione Europea.
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