Materiali della riunione
delle compagne della Fp Cgil
( 5 aprile 2001)
Decreto
Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001: Testo unico a tutela della
maternita' e della paternita'
Direzione Generale per l'Impiego
|
CIRCOLARE N.21/2001 Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale Prot. n. 174/4a |
AI PRESIDENTI DELLE GIUNTE REGIONALI AI PRESIDENTI DELLE GIUNTE PROVINCIALI AI PRESIDENTI DELLE PROVINCIE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO |
Oggetto: Nomina dei/delle Consiglieri/e di parità regionali e provinciali effettivi/e e supplenti
L’art.
2 del D.l.vo 23.05.00 n. 196, nel
disciplinare la procedura di nomina e la durata del mandato delle
consigliere e dei consiglieri di parità regionali e provinciali, effettivi e
supplenti, dispone che tale nomina deve essere effettuata con decreto del
Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro
delle Pari Opportunità "su designazione degli organi a tal fine
individuati dalla regioni e dalle province, sentite le commissioni
rispettivamente regionali e provinciali tripartite" (comma 1).
Il comma 2 del summenzionato art. 2, prevede che "le
consigliere ed i consiglieri di parità devono possedere i requisiti di
specifica competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile,
di normative sulla parità e pari opportunità nonché di mercato del lavoro, comprovati
da idonea documentazione", mentre il comma 3 dispone che il relativo
decreto di nomina deve contenere " il curriculum della persona
designata".
Poiché la documentazione finora inviata da alcune regioni e
province risulta incompleta, si fa presente che ai fini della nomina delle
consigliere e dei consiglieri di parità occorre inviare a questo Ministero:
1)originale o copia conforme della
delibera della giunta regionale o provinciale con cui si designano le
consigliere effettive e supplenti;
2) copia conforme del parere della commissione regionale o
provinciale tripartita, ove costituita, o stralcio del verbale della commissione
regionale o provinciale tripartita, contenente l’ordine del giorno e
sottoscritta dalle persone preposte;
3) curriculum vitae sia della consigliera effettiva che di
quella supplente, nonché la documentazione comprovante i requisiti
professionali dichiarati dalle candidate.
Si fa, altresì, presente che deve
essere nominata sia la consigliera di parità effettiva, che quella supplente.
Si ricorda, infine, che - laddove le regioni e le province
non abbiano provveduto, tempestivamente, alle designazione suddette, ovvero la
designazione manchi dei requisiti richiesti - la nomina sarà effettuata, entro
il 31 marzo 2001, come previsto dal D.L.vo 196/00, direttamente dal
Ministro del Lavoro e Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro delle Pari
Opportunità.
IL DIRETTORE GENERALE
( Daniela CARLA’)
Coordinamento
Ispezione del Lavoro - Div.VII Direzione Generale del Personale
Ministero
del Lavoro CIRCOLARE
N.31/2001 prot. n. 575 Direzione
Generale degli Affari Generali OGGETTO:
Attività di vigilanza in materia di divieto di discriminazione e pari
opportunità. Profili sanzionatori e indicazioni operative. |
Alle
Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro Ai S.I.L. delle
Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro Alla Provincia
Autonoma di Bolzano Alla Provincia
Autonoma di Trento Alla Regione
Siciliana e, p.c. Ai
Sottosegretari di Stato Ai Direttori
Generali Al SECIN Al Coordinatore
del Servizio Ispettivo Alla
Consigliera Nazionale di Parità Al Comitato
Nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento e di
uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici SEDE |
1.
Premessa.
2. Divieto di discriminazioni e uguaglianza: art.3, art.37 della Costituzione
e art.15 legge 20 maggio 1970 n.300
(Statuto dei lavoratori).
3. Legge n.903 del 9 dicembre 1977: divieto di discriminazione.
3.1 Discriminazione diretta e indiretta e legge n.125 del 10 aprile 1991.
3.2 Ambiti di discriminazione previsti dalle leggi vigenti.
3.2.1 Retribuzione.
3.2.2 Risoluzione del rapporto di lavoro.
3.2.2.1. Licenziamento della lavoratrice per matrimonio.
3.2.2.2. Dimissioni della lavoratrice per matrimonio.
3.2.2.3. Dimissioni della lavoratrice madre.
3.3 Lavoro notturno.
3.4.Azioni in giudizio.
3.5.Sanzioni.
4. Promozione e assunzione di iniziative volte a realizzare la parità fra i
sessi: art.1 legge n. 125 del 10 aprile 1991.
5. Imposizione alle imprese di determinati obblighi allo scopo di controllare
il rispetto delle disposizioni sulle pari opportunità.
6. Sanzioni.
6.1. Mancata attuazione dei progetti di azioni positive.
6.2. Violazione dell’obbligo di trasmissione del rapporto
7. Gli Organi amministrativi preposti alla gestione e al controllo della
politica delle pari opportunità.
8. Rapporti fra i Consiglieri di Parità e le Direzioni Regionali e
Provinciali del Lavoro.
9. Indicazioni operative.
1.Premessa
Nell’ambito
di un mutato quadro normativo e contestualmente al processo di modernizzazione
e semplificazione dell’azione amministrativa, si pone l’esigenza di
rendere più incisiva l’attività di vigilanza in materia di pari opportunità.
Dall’esame dei dati statistici relativi all’attività ispettiva, infatti,
non si riscontrano, sostanzialmente, casi di discriminazione basati sul sesso
ovvero relativi all’accesso al lavoro e ciò talora fa sorgere dubbi se si
relaziona il dato al numero delle denunce che pervengono presso gli uffici del
Consigliere di Parità.
Pertanto, al fine precipuo di realizzare in toto il principio di tutela reale
nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori tramite una puntuale e
consapevole azione di prevenzione e repressione, si reputa indispensabile
sensibilizzare l’ispettore del lavoro verso la rilevazione di tutte quelle
discriminazioni, attuate in ambito lavorativo, che di fatto impediscono "
il pieno sviluppo della persona umana" nonché la realizzazione di pari
opportunità fra uomini e donne.
L’azione
di vigilanza, pertanto, deve essere rivolta in modo significativo
all’accertamento di tutti quegli atti o comportamenti discriminatori, posti
in essere dal datore di lavoro, che costituiscono il presupposto per
l’applicazione della sanzione.
E’ opportuno in questa sede ribadire che dall’analisi della normativa
vigente si evince una precisa competenza, per la materia in questione, delle
direzioni regionali e provinciali del lavoro. Pertanto, in sede di vigilanza
ordinaria, realizzata nell’ambito di tutti i settori merceologici, sarà
cura dell’ispettore non solo indirizzare la propria indagine verso la
corretta applicazione della normativa in tema di pari opportunità, ma anche
rivolgere la propria sensibilità e la propria ricerca verso tutte quelle
ipotesi, spesso di non facile individuazione, che possano integrare gli
estremi di una discriminazione .
Nel contempo le direzioni regionali e provinciali del lavoro si adopereranno
al fine di realizzare un fruttuoso rapporto di collaborazione con gli
organismi istituzionalmente preposti alla piena realizzazione delle pari
opportunità fra uomini e donne, anche in virtù delle più recenti
innovazioni normative. A tale proposito si sottolinea che l’intento primario
della presente circolare è finalizzato all’approfondimento dell’aspetto
sanzionatorio.
Alla
luce di quanto sopra, d’intesa con la Direzione generale dei Rapporti di
lavoro e la Consigliera Nazionale di Parità, si reputa necessario richiamare
i principali riferimenti normativi inerenti la materia di cui in oggetto, al
fine di fornire un agile strumento di consultazione per il regolare
svolgimento dell’attività ispettiva.
2.
Divieto di discriminazioni e uguaglianza: art.3, art.37 della Costituzione e
art.15 legge 20 maggio 1970 n.300 (Statuto dei lavoratori).
La
materia relativa alla parità di trattamento tra uomini e donne affonda le
proprie radici nell’art. 3 della Costituzione ove viene per la prima volta
codificato il principio di uguaglianza. Detto articolo, riconoscendo a tutti i
cittadini pari dignità sociale e dichiarandone l’uguaglianza " davanti
alla legge, senza distinzione di sesso ,di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali", si rivolge a
tutti i cittadini in quanto tali e non già in relazione all’attività
lavorativa svolta. Tuttavia è proprio da tale norma che deriva, per il datore
di lavoro, il dovere di rispettare il principio di uguaglianza professionale
tra i lavoratori dipendenti della sua azienda. Principio che trova precisa
codificazione nell’art. 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970 n.300 (
statuto dei lavoratori).Esso, infatti, testualmente specifica che : è nullo
qualsiasi patto o atto diretto a "fini di discriminazione politica,
religiosa, razziale di lingua o di sesso".
L’esigenza di prevenire e sanzionare ogni discriminazione basata sul sesso
era, d’altronde, già stata sentita e formalizzata dall’Assemblea
Costituente per la tutela di una categoria, quella della donna-lavoratrice,
considerata "debole" e, come tale, particolarmente bisognosa di
tutela. L’art. 37 della Costituzione, infatti, riconosce alla donna
lavoratrice gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni
che spettano al lavoratore.
Tale moderno intendimento, che garantisce alla donna l’ uguaglianza
professionale, è stato oggetto di tutta la normativa prodotta in tema di
parità e che si indirizza sostanzialmente su tre fronti:
·
divieto di discriminazione sul lavoro e fissazione degli strumenti di
azione giuridica per garantire il rispetto di tale divieto;
·
promozione e assunzione delle iniziative volte a realizzare
concretamente la parità tra i sessi;
·
imposizione alle imprese di determinati obblighi allo scopo di
controllare il rispetto delle disposizioni sulle pari opportunità.
3.
Legge n. 903 del 9 dicembre 1977 : divieto di discriminazione.
La
legge n.903 del 1977 è intesa a realizzare la parità di trattamento fra
lavoratori e lavoratrici sia sotto il profilo retributivo, sia con riferimento
agli altri aspetti del rapporto di lavoro, in attuazione dell’art.37 e di
tutta la normativa in materia di tutela del lavoro femminile.
L’art.1, comma 1, sancisce il divieto di discriminazione "fondata sul
sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro indipendentemente dalle
modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a
tutti i livelli della gerarchia professionale".Il comma 2, vieta altresì
"qualsiasi discriminazione realizzata con riferimento allo stato
matrimoniale, di famiglia o di gravidanza" o, in modo indiretto,
attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con
"qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito
professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso".
La
norma,poi, dopo aver esteso l’applicazione di tale divieto anche a tutte le
iniziative in materia di orientamento e formazione professionale, individua
alcune deroghe legate alle ipotesi in cui il riferimento al sesso rappresenta
una condizione determinante per l’esecuzione del lavoro o della
prestazione.Si tratta di situazioni tassative: a) per le attività della moda,
dell’arte, dello spettacolo per le quali non costituisce discriminazione il
fatto di condizionare l’assunzione all’appartenenza ad un determinato
sesso; b) per mansioni lavorative considerate particolarmente pesanti dalla
contrattazione collettiva. In sede d’ispezione si dovrà verificare che il
datore di lavoro abbia avuto la necessità e non la mera convenienza o
opportunità, di assumere un uomo o una donna in rapporto al contenuto del
lavoro o alle condizioni del suo svolgimento. Inoltre, l’accertamento deve
basarsi su elementi oggettivi prescindendo il più possibile dalle intenzioni
o dalle opinioni dell’autore della condotta.
3.1.Discriminazione
diretta e indiretta e Legge n. 125 del 10 aprile 1991.
L’art.1
della legge n.903/77, introduce l’ importante nozione di discriminazione
diretta la quale consiste in tutti quegli atti o comportamenti lesivi che
producono un effetto pregiudizievole per i lavoratori in ragione del sesso. Si
tenga presente che i differenti modi di selezione e valutazione del personale
sono discriminatori quando non vengano adeguatamente motivati in relazione
alla professionalità o alle prestazioni richieste. In tali situazioni,
infatti, si potrà riscontrare che la preclusione ai posti di lavoro avvenga
nei confronti della globalità delle donne, oggettivamente impossibilitate a
soddisfare la richiesta di determinati requisiti.
Fattispecie
classica di discriminazione diretta fondata sul sesso è la sottoposizione
delle aspiranti lavoratrici a test-gravidico. Lo stato di gravidanza non può
essere oggetto di indagine da parte del datore di lavoro, perché non
rilevante, ai sensi dell’art. 8 della legge 20 maggio 1970 n. 300, ai fini
della valutazione delle attitudini professionali del soggetto da assumere
(Sentenza Corte di Cassazione n.2365/1997).
La tutela accordata dal legislatore in attuazione dei principi costituzionali
realizza la libertà di scelta della maternità e non solo il principio di
parità fra i sessi in quanto, se la donna fosse discriminata per il suo
stato, sarebbe indotta al rifiuto della maternità o ad altri comportamenti
conseguenziali.
Pertanto,
nessun ostacolo può frapporsi all’assunzione della lavoratrice in stato di
gravidanza e il principio è operativo con riferimento a tutte le situazioni
che possono in concreto verificarsi:
1.nel
caso in cui al momento dell’assunzione non esista alcun divieto legale;
2.nel
caso in cui la lavoratrice si trovi in periodo di astensione obbligatoria ex
art. 4 L.1204/71;
3.nel
caso in cui il rapporto da costituire riguardi lo svolgimento di mansioni che
si rivelino incompatibili fin dall’inizio con la gestazione ai sensi degli
artt. 3 e 5 della L.1204/71 e dell’art. 5 del D.P.R. 25 novembre 1976,
n.1026 (Sentenze Corte di Cassazione Sez. Lavoro n. 4064/91 e n.8971/95).
Rientrano
nel concetto di discriminazione diretta anche le forme di cosiddetta
discriminazione occulta che colpiscono tutti gli appartenenti ad un sesso i
quali vengono esclusi globalmente da alcuni benefici od opportunità. A titolo
di esempio si cita l’ ipotesi, individuata dalla giurisprudenza, in cui il
datore di lavoro rifiuti in modo aprioristico qualsiasi candidatura femminile
per l’accesso ad un determinato posto di lavoro o a determinate mansioni
senza alcun tipo di giustificazione ( Pret. Pomigliano d’Arco 22 luglio
1989) o quando si chiede un requisito che le donne non possiedono quale
l’aver svolto il servizio militare ( Cons. di Stato sez. VI 24 settembre
1983 n.686). L’ispettore del lavoro potrà considerare sospetta , in sede
d’ispezione, una situazione di pressoché totale assenza femminile
all’interno di una azienda qualora la tipologia di lavoro non richieda di
per sé tale esclusione.
Diversa
è, poi, la nozione di discriminazione indiretta. Essa si realizza con
l’adozione di criteri che solo apparentemente possono definirsi neutri ma
che, invece, hanno un effetto diverso nella scelta o nella valutazione dei
lavoratori dell’uno o dell’altro sesso, senza peraltro riguardare
requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa. In tale
modo si potranno riscontrare svantaggi proporzionalmente maggiori per i
lavoratori dell’uno o dell’altro sesso. Tale definizione, che si ricollega
ad indicazioni già emergenti nella direttiva n.76/207/C.E.E. e in alcune
pronunce della Corte di Giustizia (sent. 31 marzo 1981, causa 96/80 e sent.13
maggio 1986, causa 170/84), fa riferimento a quelle misure che, apparentemente
neutre, creano disparità di fatto idonee a pregiudicare le opportunità di
lavoro delle donne, in quanto esse sono in grado di soddisfare i requisiti
richiesti in numero minore degli uomini.
I
concetti di discriminazione diretta e indiretta introdotti con la legge
n.903/77, trovano una nuova collocazione nell’art.4, punto n.1 della legge
10 aprile 1991 n.125 come modificato dall’art.8 del D.Lgs.vo 23 maggio 2000
n.196. Esso specifica che costituisce discriminazione " qualsiasi atto,
patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando
anche in via indiretta le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro
sesso" e ancora, al punto n.2 " costituisce discriminazione
indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di
criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori
dell’uno o dell’altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo
svolgimento dell’attività lavorativa". Il legislatore, quindi , di
recente ha sentito l’esigenza di rielaborare la materia al fine di porre
sempre maggiori garanzie a tutela della donna lavoratrice, tant’è che
l’art.8 del citato decreto n.196/2000, al punto n.3, impone ai datori di
lavoro pubblici e privati di specificare, con formule apposite, nei bandi di
concorso o nelle diverse forme di selezione, che la prestazione di lavoro
viene richiesta indifferentemente all’uno o all’altro sesso salvo i casi
in cui il sesso sia requisito essenziale per la natura del lavoro o della
prestazione.
3.2.
Ambiti di discriminazione previsti dalle leggi vigenti.
3.2.1.
Retribuzione.
L’art.2
della legge n.903/77 riprendendo quanto già sancito dall’art.37 della
Costituzione, sancisce, per la lavoratrice, la stessa retribuzione del
lavoratore in caso di prestazioni uguali o di pari valore.
Sebbene esista una norma di rango costituzionale che sancisca il principio
della parità di trattamento economico a parità di prestazioni, l’ispettore
del lavoro, nel corso della propria indagine, potrà trovarsi ad esaminare
accordi collettivi (anche aziendali) che contengano delle limitazioni relative
al trattamento giuridico ed economico, a sfavore del personale femminile, che
non trovino giustificazione all’interno della realtà aziendale esaminata.
In tali casi dovrà procedere comunicando il fatto alla Consigliera di Parità
competente territorialmente per gli ulteriori accertamenti.
Si
deve sottolineare, preliminarmente, che la giurisprudenza della Corte di
Cassazione ha per lungo tempo escluso l’esistenza di un principio di parità
retributiva nel nostro ordinamento. Il cambiamento di indirizzo fu iniziato
nel 1982 (Cass.n.5773 del 3 novembre 1982) allorché si ritenne
discriminatorio il mancato riconoscimento alle lavoratrici, a parità di
mansioni, di benefici retributivi concessi agli uomini; in tale occasione fu
dichiarato nullo il provvedimento che, riconoscendo la stessa qualifica a
lavoratori di sesso diverso che abbiano svolto le stesse mansioni, per le
lavoratrici operi una limitazione del trattamento giuridico ed economico senza
alcuna razionale giustificazione. Si dovrà arrivare al 1989, tuttavia, (Corte
Cost.n.103 del 9 marzo), per trovare definitivamente negata la legittimità
costituzionale degli artt.2086,2087,2095,2099 e 2103 Cod.Civ. nella parte in
cui consentono all’imprenditore, a parità di mansioni, di realizzare
diversi livelli o categorie generali di inquadramento; veniva, altresì,
limitato in modo sostanziale, lo jus variandi del datore di lavoro da una
serie di norme e principi :
·
ex art.2103 del Cod.Civ. (art.13 Statuto dei lavoratori) il datore di
lavoro deve adibire il lavoratore alle mansioni per le quali lo ha assunto,
ovvero a mansioni equivalenti (in tal caso senza diminuzione di compenso),
qualora lo adibisca a mansioni superiori non occasionalmente, deve
attribuirgli la relativa qualifica;
·
il contratto collettivo è una regolamentazione, che, in una data
situazione di mercato, rappresenta il punto d’incontro, di contemperamento e
di coordinamento dei confliggenti interessi dei lavoratori e degli
imprenditori;
·
anche i contratti collettivi devono rispettare i precetti
costituzionali (artt.35,3,37 Cost.) ed i principi di non discriminazione che
sono trasfusi negli artt.15 e 16 dello Statuto dei lavoratori.
A
tale proposito, si fa presente che sebbene esistano norme- anche di rango
costituzionale- che sanciscano la parità di trattamento economico a parità
di prestazioni, l’ispettore del lavoro, nel corso della propria indagine,
potrà, talora, trovarsi ad esaminare accordi collettivi (anche aziendali) che
contengano limitazioni relative al trattamento giuridico ed economico, a
sfavore del personale femminile, non giustificate all’interno della realtà
aziendale esaminata. Tali situazioni, una volta riscontrate, dovranno essere
oggetto degli approfondimenti del caso.
·
la dignità sociale del lavoratore è tutelata contro discriminazioni
che riguardano l’area dei diritti di libertà e l’attività sindacale, ma
anche l’area dei diritti di libertà finalizzati allo sviluppo della
personalità morale e civile; la dignità è intesa in senso assoluto e
relativo;
·
notevolmente limitato è lo jus variandi e in virtù del precetto
costituzionale di cui all’art.41, il potere d’iniziativa
dell’imprenditore non può esprimersi in termini di pura discrezionalità o
addirittura di arbitrio, ma deve essere sorretto da una causa coerente con i
principi fondamentali dell’ordinamento ed in ispecie non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza ed
alla dignità umana.
3.2.2.
Risoluzione del rapporto di lavoro.
3.2.2.1.
Licenziamento della lavoratrice per matrimonio.
Il
riferimento normativo è dato dall’art.1 della legge n.7 del 1963 per il
quale, il licenziamento intimato nel periodo che va dalla pubblicazione di
matrimonio fino ad un anno dopo l’avvenuta celebrazione è nullo. In tale
caso spetterà al datore di lavoro provare che la causa di licenziamento non
è legata al matrimonio. Le uniche eccezioni sono legate alla provata colpa
grave della lavoratrice , alla cessazione dell’attività dell’azienda,
all’ultimazione delle prestazioni per le quali la lavoratrice è stata
assunta o alla risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Si
menzionano qui di seguito alcune ipotesi giurisprudenziali :
-
il licenziamento intimato nel periodo compreso tra il giorno della richiesta
delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione del matrimonio è
nullo indipendentemente dal fatto che la lavoratrice non abbia comunicato al
datore di lavoro il costituirsi del suo stato coniugale ( Pret. Salerno 26
luglio 1989 ).
-
la legge sulla nullità del licenziamento per matrimonio è da ritenersi
estensibile anche al lavoratore, non potendosi ammettere un trattamento
discriminatorio tra le due posizioni ( Pret. Salerno 26 luglio 1989).
-
non è sufficiente l’allegazione datoriale di una presunta ristrutturazione
con chiusura di una divisione dell’impresa, non integrando quest’ultima la
cessazione dell’attività dell’azienda. Il datore di lavoro deve comunque
dimostrare l’impossibilità di utilizzare la lavoratrice in un altro reparto
(Cass.9 febbraio 1990 n.941).
3.2.2.2.
Dimissioni della lavoratrice per matrimonio
Al
fine di evitare che il licenziamento per causa di matrimonio venga mascherato
con le dimissioni della lavoratrice, la legge n.7/63 considera nulle le
dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo intercorrente tra la
richiesta delle pubblicazioni ed un anno dopo la celebrazione delle nozze, a
meno che la lavoratrice non le confermi entro un mese presso la direzione
provinciale del lavoro. A tale proposito si ricorda che la conferma alla
direzione provinciale del lavoro deve avvenire per tutti gli atti unilaterali
della lavoratrice che comunque siano efficaci ai fini della risoluzione del
rapporto di lavoro ( Cass. 30 ottobre 1981 n.5734 ).Circa le modalità di
conferma delle dimissioni si richiama la circolare n.45 del 31 marzo 1964 di
questo Ministero in base alla quale si possono individuare tre ipotesi:
1)
il datore di lavoro, ricevute le dimissioni della lavoratrice, le comunica
alla direzione provinciale del lavoro competente ;
2)
la lavoratrice, presentate le dimissioni al datore di lavoro, esprime la
volontà di confermarle scrivendo alla direzione del lavoro competente;
3)
la lavoratrice, depositate le dimissioni al datore di lavoro, si presenta alla
direzione del lavoro per confermarle di persona.
Si
sottolinea che la convalida o la comunicazione delle dimissioni alla
competente direzione provinciale non deve essere una atto meramente formale di
"ricezione" bensì deve concretamente portare ad indagare la reale
volontà della donna dimissionaria.
In sede di accertamento ispettivo, per le ipotesi di nullità di licenziamento
o di dimissioni, si dovrà accertare che il datore di lavoro abbia corrisposto
alla lavoratrice allontanata dal lavoro, la retribuzione globale di fatto fino
al giorno della riammissione in servizio.
E’
opportuno richiamare l’attenzione su una deprecabile prassi instaurata da
alcuni datori di lavoro, per cui all’atto dell’assunzione viene fatto
firmare alla neo lavoratrice un foglio in bianco ovvero una lettera di
dimissione ove sia stata lasciata in bianco la data e ciò al fine precipuo di
garantire l’allontanamento immediato della lavoratrice qualora dia notizia
delle proprie nozze (ovvero venga a trovarsi in stato di gravidanza).
L’ispettore del lavoro avrà cura, nella propria ricerca, di prestare
particolare attenzione alle indicate situazioni al fine di reprimere tali
comportamenti denunziandoli, senza ritardo, all’Autorità Giudiziaria
competente. In particolare, l’indagine dovrà essere rivolta al riscontro di
una manifesta volontà da parte della lavoratrice di risolvere unilateralmente
il rapporto di lavoro e alla verifica che la stessa non sia stata indotta in
tal senso, direttamente o indirettamente, da cause poste in essere dal datore
di lavoro ( a titolo di esempio le dimissioni potrebbero scaturire da forme di
mobbing).
3.2.2.3.
Dimissioni della lavoratrice madre
Durante
il periodo di gravidanza e puerperio la lavoratrice è libera di dimettersi
ma, ai sensi dell’art.11 del D.P.R. n.1026/76 "Regolamento di
esecuzione della L.1204/71", la risoluzione del rapporto è condizionata
alla convalida dell’atto da parte del Servizio Ispezione del Lavoro. Lo
scopo della norma è quello di preservare la lavoratrice da eventuali
pressioni del datore di lavoro e di accertare la volontarietà delle
dimissioni nel periodo tutelato dal divieto di licenziamento (Circolari della
Dir. Gen. RR.LL. n.83/95, n.36/96, n.164/97).
L’art. 18, comma 2, della legge n. 53/2000 ha sancito l’obbligo della
convalida della richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal
lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di
accoglienza del minore adottato o in affidamento. Alla lavoratrice ed al
lavoratore dimissionari spettano, ai sensi dell’art. 12 della L.1204/71, le
indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di
licenziamento.
3.3.
Lavoro notturno.
Relativamente
al lavoro notturno delle donne, al fine di adeguare la normativa nazionale a
quanto stabilito dalla Corte di Giustizia della Comunità europea ( C.Giust.CE
4 dicembre 1997 C-207/96), il legislatore ha apportato alcune modifiche alla
normativa interna le quali riguardano, attualmente, solo le donne lavoratrici
in stato di gravidanza. Ai sensi dell’ art.5 della legge n.903/77 e
dall’art. 17 della legge n.25 del 5 febbraio 1999, l’ ispettore del
lavoro, in sede di accertamento, dovrà verificare che una lavoratrice,
(impiegata in qualsivoglia settore), dal momento in cui viene accertato lo
stato di gravidanza fino ad un anno di età del bambino, non svolga attività
lavorativa dalle ore 24 alle ore 6. La stessa legge, peraltro, prevede che
l’eventuale adibizione, anche occasionale, al lavoro nell’intervallo di
tempo sopra indicato, è condizionata al consenso della lavoratrice o del
lavoratore nel caso in cui debba essere prestato:
·
dalla lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o,
alternativamente, dal padre convivente con la stessa;
·
dalla lavoratrice o dal lavoratore che sia l’unico genitore
affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;
·
dalla lavoratrice o dal lavoratore che abbia a proprio carico un
soggetto disabile.
3.4.
Azioni in giudizio.
A
fronte di una presunta discriminazione la legge offre alla lavoratrice la
possibilità di agire in giudizio sia direttamente sia delegando la
Consigliera o il Consigliere di Parità per la tutela dei propri diritti.
Oltre all’azione in giudizio a carattere individuale esperita ex art.4,
comma 4, della legge n.125/91 come modificato dal D.lgs.vo n.196/00, per la
tutela di situazioni discriminatorie la legge consente un’azione di tipo
collettivo: "qualora le Consigliere o i Consiglieri di parità regionali
e, nei casi di rilevanza nazionale, il Consigliere o la Consigliera nazionale,
rilevino l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o
indiretti di carattere collettivo" (art.4, comma 7, legge n.125/91
modificato dall’art.8, comma 7, del D.lgs.vo n.196/00 ).
L’art.
4 , comma 4, citato statuisce che "chi intende agire in giudizio per la
dichiarazione delle discriminazioni di cui ai commi precedenti, deve
promuovere un tentativo di conciliazione stragiudiziale ai sensi
dell’art.410 del c.p.c. o, rispettivamente, dell’art.69-bis del D.lgs.vo 3
febbraio 1993 n.29, anche tramite la Consigliera o il Consigliere di Parità
provinciale o regionale territorialmente competente".
Se tale tentativo di conciliazione non ha esito positivo, la lavoratrice potrà
esperire l’ordinaria azione giudiziaria.
Un
ulteriore rimedio per reprimere le discriminazioni in materia di accesso al
lavoro e di lavoro notturno, è previsto dall’art.15 della legge n.903/77.
Si tratta di un’azione speciale in base alla quale, su ricorso del
lavoratore o per sua delega alle organizzazioni sindacali," il Pretore
– rectius Giudice Unico – del luogo ove è avvenuto il comportamento
denunziato, in funzione di Giudice del lavoro, nei giorni successivi,
convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la
violazione, ordina all’autore del comportamento denunziato… omissis…la
rimozione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti".
E’
d’uopo ricordare, infine, che il Consigliere di Parità ha facoltà di agire
in giudizio per conto della lavoratrice ovvero di intervenire nei giudizi
individuali promossi da quest’ultima.
Relativamente
all’azione collettiva, di cui al menzionato art.4, comma 7, modif. dal
D.lgs.vo n.196/00, il Consigliere o Consigliera di Parità, prima di
promuovere l’azione in giudizio ai sensi del successivo comma 8, possono" chiedere all’autore della
discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni
accertate …omissis…sentite le rappresentanze sindacali. Se il piano è
considerato idoneo alla rimozione, la Consigliera o il Consigliere di Parità
promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale , in copia
autenticata, acquista forza di titolo esecutivo…omissis…" .
Il
comma 8, sancisce altresì, nel caso in cui il Consigliere o la Consigliera
non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione, la facoltà di
proporre ricorso davanti al Giudice del Lavoro, il quale (comma 9) accertata
la discriminazione, avrà facoltà di predisporre un piano di rimozione delle
discriminazioni fissando i " criteri, anche temporali, da osservarsi ai
fini della definizione ed attuazione del piano" . E’ prevista, poi, una
procedura d’urgenza davanti al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro
ai sensi dei commi 10 e 11.
3.5.
Sanzioni.
Fermo
restando che a sensi dell’art.19 della legge n.125/77 "sono abrogate
tutte le disposizioni legislative contrarie alla presente Legge e sono nulle
le disposizioni dei Contratti collettivi o individuali, dei regolamenti
interni delle imprese e degli statuti professionali in contrasto con la
stessa", nel caso di inadempienza a quanto stabilito dal Giudice, il
datore di lavoro è sanzionato penalmente con l’arresto fino a 3 mesi o con
l’ammenda fino a £.400.000 ( art.650 c.p. ).
La
legge 9 dicembre 1977 n.903 all’art.16, comma 1,prevede, poi, per le
discriminazioni attuate relativamente all’ accesso al lavoro, alla parità
retributiva, alle qualifiche, alle mansioni e alla carriera, nonché all’età
del pensionamento la sanzione dell’ammenda da £. 200.000 a £. 1.000.000.
La
violazione, poi, delle norme relative al lavoro notturno delle donne in stato
di gravidanza, di cui all’art.5 della legge n.903/77,comma 1,come modificato
dall’art.17, comma 1, della legge n.25 del 5 febbraio 1999, sono sanzionate
con l’arresto da 2 a 4 mesi o con l’ammenda da £.1.000.000 a £.5.000.000,
ai sensi dell’art. 16 della legge n.903/77 come modificato dall’art.26,
comma 49, del D.lgs.vo 19 settembre 1994 n.758 ( si veda per tale materia
anche la circolare n.86 del 6 dicembre2000 "Modifiche al sistema
sanzionatorio in tema di part-time, tutela della maternità e paternità,
lavoro notturno e lavoro minorile. Chiarimenti operativi").
Ai
sensi dell’art.8, comma 12, del D.lgs.vo n.126/00, inoltre, "ogni
accertamento di atti, patti, o comportamenti discriminatori, posti in essere
da soggetti ai quali siano stati accordati dei benefici ai sensi delle vigenti
leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti d’appalto
attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture"(
per tali casi troveranno applicazione le circolari n.26 del 21 aprile 2000 in
tema di "Appalti d’opera pubblica. Strumenti di tutela per i dipendenti
dell’appaltatore e del subappaltatore" e la n.8 del 12 gennaio 2001 su
"Sicurezza sociale nelle pubbliche forniture e negli appalti pubblici e
privati di servizi"), viene comunicato immediatamente dalla direzione
provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui
amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o
dell’appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se
necessario, la revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di
recidiva, possono decidere l’esclusione del responsabile per un periodo di
tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni
finanziarie o creditizie…".
Ad
ogni buon fine si rammenta che le disposizioni sopra richiamate non troveranno
applicazione qualora sia stata raggiunta la conciliazione.
4.
Promozione e assunzione di iniziative volte a realizzare la parità fra i
sessi: art.1 legge n.125 del 10 aprile 1991 modificato dall’ art.7 D.lgs.vo
n.196/00.
Al
fine di garantire la parità effettiva tra uomo e donna nei luoghi di lavoro,
nonché favorire l’occupazione femminile, è stata emanata nel 1991 la legge
n.125 denominata, per l’appunto, "Azioni positive per la realizzazione
della parità uomo-donna nel mondo del lavoro". Con tale legge si
prevedono misure apposite, dette azioni positive, poste " al fine di
rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari
opportunità". L’art.1 della legge 125/91 modificato dall’art.7 del
D.lgs.vo n.196/00 prevedendo le azioni positive intende incoraggiare la
partecipazione delle donne in ogni settore e livello lavorativo e ciò:
·
eliminando le disparità di cui le donne sono oggetto nella formazione
scolastica e professionale;
·
favorendo la diversificazione delle scelte professionali delle donne
anche per quanto riguarda il lavoro autonomo;
·
superando condizioni, organizzazioni e distribuzione del lavoro che
producono effetti diversi a seconda del sesso;
·
favorendo il miglior contemperamento fra le responsabilità familiari e
professionali grazie anche ad una migliore ripartizione fra i sessi.
Le
azioni positive possono essere effettuate su base volontaristica ai sensi
dell’art.2, comma 1, modif.dall’art.7 del D.lgs.vo n.196/00, e in tale
caso i progetti vengono ammessi, su richiesta, al rimborso totale o parziale
dei relativi oneri finanziari da parte del Ministero del Lavoro oppure, se si
tratta di azioni positive realizzate mediante la formazione professionale,
vengono finanziati dal Fondo sociale europeo; ovvero su base autoritativa e ciò
avviene regolarmente nel pubblico impiego. Infatti ex art.2, comma 6, citato
"entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge le
amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e tutti gli
Enti pubblici non economici, nazionali, regionali e locali…omissis…
adottano piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito, la
rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di
pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne".
5.
Imposizione alle imprese di determinati obblighi allo scopo di controllare il
rispetto delle disposizioni sulle pari opportunità : art.9 legge 125/91.
L’adozione
di piani di azioni positive risulta sollecitata dall’obbligo, ex art.9 della
legge n.125/91. Esso testualmente recita " le aziende pubbliche e private
con oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto ogni due anni
sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle
professioni ed in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione,
della formazione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di
qualifica, o di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa
integrazione Guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e
pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.". Tale
rapporto è trasmesso alle r.s.a e al Consigliere regionale di Parità il
quale potrà agire in giudizio qualora ritenga che sussistano discriminazioni
di carattere collettivo". Si fa presente che nel rapporto devono essere
esaminati gli aspetti essenziali della gestione del personale, trattando
separatamente le informazioni per lavoratori e lavoratrici. Ai sensi della
circolare ministeriale del 6 aprile 1992 n.48, poi, si ricorda che nel computo
dei 100 dipendenti deve essere considerata tutta la forza lavoro a qualunque
titolo occupata in azienda, compresi gli apprendisti e i lavoratori assunti
con Contratto Formazione Lavoro.
In
sede di ispezione, sarà opportuno coadiuvare i Consiglieri/Consigliere di
Parità, verificando la mancata presentazione del rapporto di cui sopra e
diffidando le aziende ad ottemperare; in tale caso ne verrà data notizia per
conoscenza agli stessi Consiglieri/Consigliere .
6.
Sanzioni.
6.1.
Mancata attuazione dei progetti di azioni positive.
Relativamente
alle azioni positive, si è detto che determinati soggetti individuati
dall’art.2 della legge n.125/91, possono essere ammessi a benefici
finanziari. Ai sensi dell’art.10, comma 1, del D.lgs.vo n.196/00, " la
mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la
restituzione delle somme eventualmente già riscosse. In caso di attuazione
parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata…" A
tale proposito si fa presente che gli uffici saranno tenuti ad effettuare i
relativi controlli anche in sede di verifica amministrativo-contabile (in
particolare nelle due fasi in itinere ed ex post). In merito, si evidenzia che
secondo il disposto del citato art. 10,comma 1, del D.Lgs.vo 196/00, è in
corso di emanazione un decreto interministeriale che, nell’individuare una
competenza specifica in capo alle direzioni provinciali del lavoro
relativamente alle suddette verifiche, stabilisce le modalità di
presentazione, valutazione e finanziamento dei progetti di azione positiva per
la parità uomo-donna. Esso, indicando le modalità di erogazione dei
finanziamenti e delle procedure di verifica, prevede (salvo emendamenti
futuri) che il beneficiario dell’erogazione di fondi, debba dare immediata
notifica dell’avvio dell’iniziativa alla direzione provinciale del lavoro
competente ; inoltre, viene specificato che l’erogazione della prima quota
è subordinata all’esito positivo di una verifica ispettiva (amministrativo-
contabile) che dovrà essere trasmessa, sempre a cura della direzione
provinciale, alla Segreteria tecnica del Comitato Nazionale di Parità. Tale
verifica ispettiva dovrà accertare la veridicità dei dati contenuti nella
domanda di finanziamento, nonché l’effettivo avvio entro due mesi
dall’autorizzazione e dovrà, altresì, essere effettuata entro i 30 giorni
successivi dalla notifica di cui sopra. La normativa precisa che a conclusione
di tutte le azioni programmate, prima dell’erogazione a titolo di saldo
dell’ultima percentuale della quota assegnata, dovrà essere svolta, una
ulteriore verifica amministrativo-contabile. Si fa , infine, presente che il
Comitato Nazionale di Parità, salve le verifiche iniziali e finali di cui
sopra, potrà in ogni momento disporre ulteriori visite ispettive.
6.2.
Violazione dell’obbligo di trasmissione del rapporto.
Per
ciò che concerne, poi, l’obbligo di trasmissione del rapporto sulla
situazione del personale è previsto , sempre dall’art.9 della legge
n.125/91, che l’ispettorato regionale del lavoro- rectius direzione
regionale-S.I.L. , su segnalazione delle rappresentanze sindacali aziendali o
del Consigliere/ Consigliera regionale di Parità, inviti le aziende a
provvedere entro 60 giorni. Si ricorda, a tal proposito, che tale diffida ha
carattere obbligatorio e non già facoltativo, pertanto costituisce condicio
sine qua non (condizione di procedibilità) per l’applicazione della
sanzione. In riferimento a quanto disciplinato con la precedente circolare
n.119 del 15 ottobre 1992 avente per oggetto l’applicazione della legge
n.125/91, nel caso di inottemperanza alla diffida entro il termine dei 60
giorni , la direzione regionale del lavoro- S.I.L provvederà a segnalare il
fatto alla direzione provinciale del lavoro la quale avvierà le procedure
previste dalla legge n.689/1981 per l’irrogazione della sanzione
amministrativa consistente, ex art. 11, comma 1, della legge n.758/94, nel
pagamento di una somma compresa fra le £. 200.000 e £.1.000.000. Nei casi più
gravi, infine, come ad esempio il persistente inadempimento dell’azienda, può
essere disposta, da parte degli organi erogatori e su segnalazione della
direzione regionale del lavoro, la sospensione per un anno dai benefici
contributivi eventualmente goduti dall’azienda. Sebbene la legge attribuisca
la competenza ad effettuare gli accertamenti di cui sopra solo alla direzione
regionale del lavoro, si ritiene, tuttavia, che gli stessi possano essere
effettuati anche dalle direzioni provinciali nell’esercizio della propria
funzione di vigilanza e di controllo.
7.
Gli organi amministrativi preposti alla gestione e al controllo della politica
delle pari opportunità.
La
legge n.125/91 modificata dal D.lgs.vo n.196/00, si preoccupa di creare una
struttura amministrativa idonea a gestire e controllare la politica delle pari
opportunità.
Si
tratta di organismi composti da persone in possesso di documentate conoscenze
di mercato di lavoro, di normative specifiche sul lavoro femminile e di
normative sulla parità.
·
Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di
trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici.
Tale
organismo, che è istituito presso il Ministero del Lavoro al fine di
"promuovere la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di
ogni altro ostacolo che limiti di fatto l’uguaglianza delle donne
nell’accesso al lavoro e sul lavoro e nella progressione professionale e di
carriera " (art.6) ha compiti molto ampi: formula proposte, informa e
sensibilizza l’opinione pubblica, formula ogni anno un programma-obiettivo
nel quale vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive,
esprime pareri sui finanziamenti, elabora codici di comportamento, verifica lo
stato di applicazione della legislazione, propone soluzioni alle controversie
collettive, può richiedere alle direzioni provinciali del lavoro di
acquisire, presso i luoghi di lavoro, informazioni sulla situazione
occupazionale maschile e femminile etc...
·
Collegio istruttorio e segreteria tecnica.
Si
tratta di organi di supporto per l’istruzione di atti relativi alla
individuazione e rimozione delle discriminazioni e per la redazione di pareri
al Comitato.
·
Consiglieri e Consigliere di Parità.
Il
citato D.lgs.vo n.196/00 ha apportato numerose modifiche alla materia delle
pari opportunità e, in particolare, ha dato alla figura del Consigliere di
Parità nuovi contorni al fine di valorizzarne e potenziarne il ruolo. Si
tratta dell’organismo più importante e la sua presenza , prevista sui tre
livelli, (nazionale, regionale e provinciale) garantisce un intervento
immediato ove ve ne sia bisogno.
In
base al disposto dell’art.1 "essi svolgono funzioni di promozione e
controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e non
discriminazione per donne e uomini nel lavoro". Inoltre, "
nell’esercizio delle funzioni loro attribuite sono pubblici ufficiali ed
hanno l’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria per i reati di
cui vengono a conoscenza.
Da
quanto sopra, si evince che il legislatore riconosce un ruolo delicato e di
grande rilievo alla figura del Consigliere di Parità in relazione alle
funzioni espletate, tant’è vero che, da un lato, per la loro nomina la
legge prevede il possesso di requisiti di specifica competenza ed esperienza
pluriennale, di documentate conoscenze di mercato del lavoro e di normative
specifiche sul lavoro femminile nonché di normative sulla parità;
dall’altro per l’esercizio delle loro funzioni, ove si tratti di
lavoratori dipendenti, è loro concesso di assentarsi dal posto di lavoro
fruendo di permessi speciali retribuiti o non retribuiti.
L’ufficio
del Consigliere, che è ubicato rispettivamente presso le Regioni e presso le
Province, ovvero presso il Ministero del Lavoro per il Consigliere Nazionale,
è "funzionalmente autonomo, dotato di personale, delle apparecchiature e
delle strutture necessarie per lo svolgimento dei loro compiti. Il personale,
la strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso
cui l’ufficio è ubicato " (art.5).
L’art.3,
inoltre, chiarisce, poi, quali siano i principali compiti e funzioni dei
Consiglieri:
·
rilevano situazioni di squilibrio di
genere al fine di svolgere funzioni di promozione di pari opportunità;
·
promuovono progetti di azioni positive anche attraverso
l’individuazione di risorse ;
·
sostengono le politiche attive del lavoro, comprese quelle formative;
·
collaborano con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine
di individuare efficaci procedure di rilevazione delle violazioni alla
normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzie contro le
discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti
formativi;
·
si occupano di diffondere la conoscenza e lo scambio fra buone prassi e
attività di informazione;
·
verificano i risultati della realizzazione dei progetti di azioni
positive
·
gestiscono il collegamento e la collaborazione con gli assessorati del
lavoro degli enti locali e con altri organismi di parità.
8.
Rapporti fra i Consiglieri di Parità e le Direzioni Regionali e Provinciali
del Lavoro.
In
relazione al rapporto di collaborazione di cui all’art.3 lett.f) del D.
L.gs.vo n.196/00 si coglie l’occasione per rammentare che le questioni
trattate dai Consiglieri di Parità richiedono spesso tempestività
d’intervento, pertanto gli uffici sono invitati a coadiuvare tali organismi
al fine di perseguire l’obiettivo comune della tutela del lavoratore. Si
richiama, a tale proposito, il punto n.4 dell’art.3 per il quale "su
richiesta delle Consigliere o dei Consiglieri di Parità, le direzioni
provinciali e regionali del lavoro territorialmente competenti acquisiscono
nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e
femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e
promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro,
della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche
in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta".
Dal
punto di vista più prettamente operativo, si ricorda che le direzioni del
lavoro sono istituzionalmente preposte anche alla vigilanza e al controllo
della corretta applicazione della normativa sulle pari opportunità. Pertanto,
a fronte di una richiesta da parte dei Consiglieri di Parità, gli uffici
dovranno esaminare e affrontare le ipotesi di discriminazione prospettate, con
la dovuta urgenza inserendole nella ordinaria programmazione e pianificando
gli interventi a seguito di una precisa comparazione fra i diversi interessi.
9.
Indicazioni operative.
Al
fine di verificare che sia stato rispettato il principio di non
discriminazione diretta e indiretta tra uomini e donne, sancito dalla
normativa sopra richiamata, gli ispettori dovranno accertare la composizione
per genere del personale dipendente dell’azienda. Per il raggiungimento di
tale scopo, sarà utile acquisire dati statistici distinti per sesso in
relazione all’accesso al lavoro, alle posizioni professionali e retributive,
alle progressioni di carriera, alle cessazioni dei rapporti di lavoro e alle
condizioni generali dell’ambiente lavorativo. Gli eventuali squilibri nella
posizione tra uomini e donne dovranno essere segnalati alla Consigliera di
Parità eventualmente competente per le relative indagini.
In
sede di verifica, una attenta indagine dovrà, altresì, essere rivolta alle
posizioni professionali e delle condizioni ambientali nelle quali si trovano
ad operare le lavoratrici al rientro dei periodi di astensione obbligatoria
e/o facoltativa per maternità. Infatti, spesso esse vengono adibite a
mansioni diverse e, in alcuni casi inferiori, rispetto a quelle
precedentemente ricoperte o vengono private degli strumenti idonei per lo
svolgimento della loro attività o, ancora, subiscono comportamenti vessatori.
Ma non solo. Talora, al rientro in seguito a maternità, potrà risultare
sospetto anche un mutamento dell’orario di lavoro: la lavoratrice potrà
essere indotta al part-time come alternativa al licenziamento ovvero potrà
esserle minacciato il licenziamento qualora richieda la fruizione di un orario
ridotto.
Qualora,
infine, l’ispezione scaturisca da una denuncia, particolare cura dovrà
essere prestata nell’acquisizione di tutti gli elementi utili (documentali o
informali ) a verificare l’esistenza della discriminazione stessa.
L’ispettore procederà ad acquisire le dichiarazioni della lavoratrice o del
gruppo di lavoratrici interessate, del datore di lavoro ovvero del Comitato
pari Opportunità aziendale (ove costituito) e di eventuali testimoni
provvedendo ad adottare, senza ritardo, tutti i provvedimenti sanzionatori di
cui si detto nei paragrafi precedenti.
Confidando
nella piena osservanza dei contenuti della presente circolare da parte di
codeste direzioni si rimane a disposizione per ogni eventuale chiarimento.
Si
raccomanda, altresì, la massima diffusione della direttiva a tutto il
personale ispettivo.
LA DIRETTRICE GENERALE
F.to Dr.ssa Paola CHIARI
INPS
DIREZIONE
CENTRALE PRESTAZIONI A SOSTEGNO DEL REDDITO
DIREZIONE CENTRALE DELLE ENTRATE CONTRIBUTIVE
DIREZIONE CENTRALE FINANZA, CONTABILITA’ E BILANCIO
circolare 15
marzo 2001 n. 64
OGGETTO: |
Legge
23.12.2000, n. 388, all’art.80, comma 2. Congedi per gravi e
documentati motivi familiari. Indennizzabilità fino a due anni delle
relative assenze ai genitori o, in caso di loro decesso, ai fratelli o
sorelle conviventi di soggetti handicappati in situazione di gravità.
Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti. |
SOMMARIO: |
Dal
1° gennaio 2001 ai genitori o, in caso di loro decesso, ai fratelli o
sorelle conviventi di soggetti handicappati in situazione di gravità
spettano alternativamente congedi"straordinari" per la durata
massima complessiva di due anni nell’arco della vita lavorativa. I
congedi suddetti, per i lavoratori dipendenti da privati datori di
lavoro, sono indennizzati dall’INPS nella misura dell’ultima
retribuzione, con un massimo di 70 milioni annui per le assenze di
durata annuale. Per le assenze di durata inferiore, il massimo
indennizzabile è proporzionalmente ridotto. |
La
legge 23.12.2000, n. 388, all’art.80, comma 2, ha aggiunto, dopo il comma 4
dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, il seguente articolo 4-bis.:
"La
lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, o,
dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o delle sorelle conviventi di
soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all'articolo 3, comma
3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell'articolo 4,
comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e che abbiano titolo a
fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 1, 2 e 3, della predetta
legge n. 104 del 1992 per l'assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del
congedo di cui al comma 2 del presente articolo entro sessanta giorni dalla
richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a
percepire un'indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo
medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l'indennità e la
contribuzione figurativa spettano fino ad un importo complessivo massimo di
lire 70 milioni annue per il congedo di durata annuale. Detto importo è
rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2002, sulla base della
variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e
impiegati. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità
previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I
datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo
dell'indennità dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente
previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro
privati, compresi quelli per i quali non è prevista l'assicurazione per le
prestazioni di maternità, l'indennità di cui al presente comma è
corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30
dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio
1980, n. 33. Il congedo fruito ai sensi del presente comma alternativamente da
entrambi i genitori, anche adottivi, non può superare la durata complessiva
di due anni; durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono
fruire dei benefici di cui all'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n.
104, fatte salve le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 del medesimo
articolo".
Per
la prima attuazione di quanto previsto dalla legge suddetta, ai fini
dell’erogazione dell’indennità connessa alla fruizione del "congedo
straordinario" (come nel corso della presente circolare sarà definito)
di cui trattasi, concedibile a far tempo dal 1°.1. 2001, si forniscono
le indicazioni che seguono.
Si
precisa poi che il riferimento a persone handicappate senza altra
specificazione si intende comunque effettuato, nel prosieguo della presente
circolare, sempre a soggetti in situazione di gravità, non ricoverati
a tempo pieno in strutture specializzate.
Hanno
titolo a fruire dei benefici in argomento i lavoratori dipendenti:
a.
genitori,
naturali o adottivi, (il diritto non è riconoscibile agli affidatari)
di soggetti handicappati per i quali è stata accertata, ai sensi
dell’art.4, comma 1, della legge 104/92, da almeno 5 anni, la
situazione di gravità contemplata dall’art.3, comma 3, della
medesima legge e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui
all'articolo 33, commi 1, 2 e 3, della predetta legge n. 104 del 1992 (1).
A
parte il requisito temporale (riconoscimento da almeno 5 anni) sono richieste
quindi le stesse condizioni che consentono ai genitori stessi di
fruire dei permessi di cui alla legge 104/92, compresa quella che prevede che
il soggetto non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
La
fruizione del beneficio in questione spetta in via alternativa alla madre o al
padre, con l’ovvia conseguenza che il beneficio non può essere utilizzato
contemporaneamente da entrambi i genitori.
Ciò
premesso, in analogia a quanto previsto per la fruizione dei permessi di cui
all’art. 33 della 104 citata -anche a seguito delle innovazioni introdotte
con la legge 53/2000- (v. circ. n. 133/2000) per l’ottenimento
dell’assegno in oggetto non è richiesta la convivenza con il figlio.
Se
trattasi di figlio minorenne è senz’altro possibile fruire del
beneficio in questione anche se l’altro genitore non lavora; se invece il
figlio, convivente con entrambi i genitori, è maggiorenne e
l’altro genitore non lavora non è possibile ottenere il beneficio di cui
trattasi a meno che non ricorrano i requisiti e le condizioni di cui alla
circolare n. 133/2000, punti 2.4. e 2.5, relativi alla dimostrazione
dell’impossibilità, da parte del genitore che non lavora, di prestare
assistenza.
Sempre
in analogia con i criteri della circolare succitata, se il richiedente (padre
o madre) non è convivente con il figlio maggiorenne handicappato,
occorre che l’assistenza sia prestata in via continuativa ed esclusiva dal
richiedente stesso (v. circ. citata, punti 2.3.1 e 2.3.2).
b.
Il
diritto è riconoscibile -sempre alternativamente- anche a fratelli o
sorelle (ovviamente anche "adottivi") del soggetto handicappato
grave (sempre che sia riconosciuto come tale da almeno 5 anni e non sia
ricoverato a tempo pieno) in caso di decesso di entrambi i genitori di
quest’ultimo; a differenza del diritto dei genitori, è richiesta la
convivenza con il soggetto handicappato a prescindere dal fatto che
quest’ultimo sia maggiorenne o minorenne. Trattandosi di
"parenti", ferma restando la necessità, appena menzionata, della
convivenza, sono richieste le altre condizioni previste per il riconoscimento
dei permessi della legge 104 a favore dei "parenti". Il limite di
due anni di fruizione è quello complessivo tra tutti i fratelli e sorelle e
vale nell’arco della vita lavorativa di tutti gli interessati.
Destinatari
della provvidenza erogata dall’Istituto per il congedo straordinario di cui
trattasi, sono anche (purché si tratti di dipendenti da datori di lavoro
privati) i genitori -oppure, nel suddetto caso di decesso, fratelli o sorelle-
di soggetto handicappato appartenenti a categorie professionali per le quali
non è prevista l’assicurazione per maternità, ai quali non vengono invece,
come è noto, riconosciute a carico dell’INPS le prestazioni economiche per
permessi ex art. 33 citato.
L’indennità
in oggetto non è riconoscibile ai lavoratori domestici e ai lavoratori a
domicilio, a cui, come è noto, non sono riconoscibili i permessi di cui alla
legge n. 104/92.
Si
fa riserva di comunicazioni per quanto si riferisce ai lavoratori a termine,
compresi quelli agricoli e quelli stagionali.
3.
DURATA DELLA PRESTAZIONE
La
prestazione è riconoscibile per la durata massima complessiva, nell’arco
della vita lavorativa, di due anni, che costituiscono anche il limite
complessivo fruibile, tra tutti gli aventi diritto, per ogni persona
handicappata. La prestazione stessa può essere frazionata (v. punto 4).
Si
sottolinea che comunque i periodi di congedo straordinario di cui trattasi
rientrano nel limite massimo globale spettante a ciascun lavoratore ai sensi
dell’art. 4, comma 2, della legge n. 53/2000, di due anni di permesso, anche
non retribuito, "per gravi e documentati motivi familiari"(il testo
completo dell’art. 4 è riportato ad ogni buon conto nell’allegato 1). Trattandosi
di limite massimo individuale, ad un lavoratore o lavoratrice che nel
tempo avesse fruito (anche soltanto per motivi riguardanti esclusivamente la
propria persona e non il figlio handicappato), ad es., di un anno e quattro
mesi di permessi anche non retribuiti "per gravi e documentati motivi
familiari", il congedo straordinario di cui trattasi potrà essere
riconosciuto solo nel limite di otto mesi: naturalmente la differenza fino ai
due anni -e cioè un anno e quattro mesi- potrà invece essere riconosciuta
all’altro genitore che non avesse mai richiesto permessi per motivi
familiari o li avesse chiesti per non oltre otto mesi. Le stesse regole
valgono per i fratelli dei soggetti handicappati in caso di decesso dei
genitori.
Lo
spirito e le finalità della legge portano a concludere che in caso di
pluralità di figli handicappati il beneficio spetta per ciascun figlio
handicappato, sia pure con i limiti previsti dalle disposizioni impartite, a
seguito di parere del Consiglio di Stato, per la fruizione dei permessi ex
lege 104 circa la necessità che sia rigorosamente riconosciuta,
tramite accertamento sanitario, l’impossibilità di assistenza di ambedue i
figli usufruendo di un solo congedo straordinario; a proposito della pluralità
di figli portatori di handicap, va peraltro tenuto conto che, dovendosi
considerare il congedo straordinario in parola, compreso, come detto,
nell’ambito massimo di due anni di permessi "per gravi e documentati
motivi familiari", non è mai possibile per lo stesso lavoratore
fruire del "raddoppio": infatti, utilizzati i due anni per il
primo figlio, avrà esaurito anche il limite individuale per "gravi e
documentati motivi personali". La accennata possibilità di fruizione di
ulteriori periodi biennali per altri figli handicappati è dunque ipotizzabile
solo per l’altro genitore (ovvero, nei casi previsti, per i fratelli o
sorelle), con decurtazione di eventuali periodi da lui utilizzati a titolo di
permessi per gravi e documentati periodi familiari. Lo spirito e le finalità
della legge, invece, escludono che il beneficio in argomento sia concedibile
se la persona handicappata da assistere presti, a sua volta, attività
lavorativa nel periodo di godimento del congedo da parte degli aventi diritto
(genitori o fratelli o sorelle in caso di morte dei genitori).
4.
MISURA DELLA PRESTAZIONE
L’indennità
è corrisposta nella misura dell’ultima retribuzione percepita
e cioè quella percepita nell’ultimo mese di lavoro che precede il congedo
(comprensiva del rateo di emolumenti non riferibili al solo mese considerato
(2), e cioè quelli relativi a tredicesima mensilità, altre mensilità
aggiuntive, gratifiche, indennità, premi, ecc.), sempreché la stessa, rapportata
ad un anno sia inferiore o pari al limite di 70 milioni di Lire,
pari a 36.151,98 Euro (valore valido per il 2000 -v. in appresso). In pratica,
ai fini del limite massimo di erogabilità, la retribuzione del mese preso a
riferimento (comprensiva della quota parte di tredicesima mensilità, ecc.), se
il mese è lavorato a tempo pieno, va moltiplicata per 12 e divisa per 365
giorni (366 se le assenze cadono in un anno bisestile), con un limite
giornaliero, quindi (anno 2000), di Lire 191.780 (99,04 Euro). Se invece nel
mese preso a riferimento l’attività è stata svolta in regime di contratto
di lavoro a part time verticale, la retribuzione percepita nel mese
stesso va divisa per il numero dei giorni retribuiti, compresi quelli festivi
o comunque di riposo relativi al periodo di lavoro effettuato: la retribuzione
giornaliera così determinata va raffrontata con il limite massimo giornaliero
sopra indicato (Lire 191.780 per il 2000).
Considerato
che, come detto, il beneficio è frazionabile anche a giorni (interi),
l’indennità (pari alla retribuzione effettiva, oppure a quella inferiore
connessa ai limiti massimi annui suddetti di 70 milioni), è da corrispondere
per tutti i giorni per i quali il beneficio è richiesto.
A
proposito della frazionabilità si precisa che analogamente alle astensioni
facoltative dal lavoro (congedi parentali), ai fini della frazionabilità
stessa, tra un periodo e l’altro di fruizione è necessaria -perché non
vengano computati nel periodo di congedo straordinario i giorni festivi, i
sabati e le domeniche- l’effettiva ripresa del lavoro, requisito non
rinvenibile né nel caso di domanda di fruizione del congedo in parola dal
lunedì al venerdì (settimana corta) senza ripresa del lavoro il lunedì
della settimana successiva a quella di fruizione del congedo, né nella
fruizione di ferie. Ciò non significa comunque che immediatamente dopo un
periodo di congedo al titolo in argomento non possano essere ammessi periodi
di ferie (o di fruizione di altri congedi o permessi), cosicché sia
necessario continuare nella fruizione di congedo straordinario. Significa
invece che due differenti frazioni di congedo straordinario intervallate da un
periodo feriale o altro tipo di congedo, debbono comprendere ai fini del
calcolo del numero di giorni riconoscibili come congedo straordinario anche i
giorni festivi e i sabati (settimana corta) cadenti subito prima o subito dopo
le ferie (o altri congedi o permessi).
Quanto
precede vale anche in caso di part time orizzontale. In caso di
variazioni successive nell’orario di lavoro previsto nel corso del periodo
di congedo richiesto, (passaggio da un periodo part time orizzontale ad
uno di lavoro a tempo pieno o viceversa) la retribuzione va ridimensionata per
adeguarla a quella che effettivamente verrebbe meno per effetto della
fruizione del congedo straordinario: la retribuzione mensile a cui far
riferimento è sempre quella effettiva con il limite di 70 milioni di Lire
rapportate ad anno -vale a dire con il limite delle anzidette L. 5.833.333
mensili (comprensive delle mensilità aggiuntive, ecc.)-; per le frazioni di
mese si richiamano i criteri di cui alla circolare n. 182 del 4.8.1997, par.
1.
Il
beneficio invece non è riconoscibile, per i periodi in cui non è prevista
attività lavorativa, come ad es. in caso di part time verticale
per i periodi non retribuiti.
Se
il congedo viene fruito per frazioni di anno, ai fini del computo del periodo
massimo previsto per la concessione dei 2 anni di beneficio, l’anno si
assume per la durata convenzionale di 365 giorni.
A
partire dall’anno 2002 il limite di Lire 70.000.000 è rivalutato
annualmente sulla base delle variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai e impiegati.
5.
DOMANDA E DOCUMENTAZIONE
La
domanda -da avanzare secondo i facsimile allegati 2 (mod. hand 4 - congedi
straordinari genitori) e 3 (mod. hand 5 - congedi straordinari fratelli), che
le Sedi avranno cura di riprodurre in loco (3)- per l’ottenimento del
congedo di cui trattasi va prodotta all’INPS in due copie, una delle quali
deve essere restituita a vista (a stretto giro di posta, se pervenuta
con tale mezzo), all’interessato con l’attestazione da parte
dell’INPS della ricezione, per la consegna al datore di lavoro, che è
conseguentemente autorizzato, dal momento della consegna stessa, ad erogare la
prestazione, dopo aver verificato le condizioni di erogazione sulla base
della documentazione presentata. Eventuali dubbi circa la possibilità di
accoglimento vanno tempestivamente comunicati da parte del datore di lavoro
all’INPS, affinché l’Istituto stesso assuma le decisioni finali.
L’INPS,
dal canto suo, una volta ricevuta la domanda del lavoratore, effettuerà
autonomamente, con la massima tempestività, le valutazioni di
competenza, comunicando con immediatezza all’interessato e al suo
datore di lavoro i motivi che dovessero ostare al riconoscimento del beneficio
richiesto. Non è, in sostanza, previsto un provvedimento esplicito di
"autorizzazione" nell’ipotesi di esito positivo delle valutazioni
anzidette.
Sulla
domanda deve essere ovviamente indicato il periodo di congedo che si intende
fruire. In
caso di modifica del periodo in precedenza fissato, deve essere presentata,
con le modalità sopra indicate, una nuova domanda, rettificativa della
precedente.
Con
la domanda deve essere prodotta dichiarazione dell’altro genitore di non
aver fruito del beneficio, con impegno a comunicare all’INPS ed al datore di
lavoro eventuali modifiche ovvero con l’indicazione dei periodi fruiti. Dovrà
essere riportata con chiarezza la denominazione del relativo datore di lavoro
e, possibilmente, il numero di posizione INPS dello stesso, qualora si tratti
di datore di lavoro privato.
Alla
domanda va allegata la documentazione (anche in copia dichiarata autentica)
relativa al riconoscimento della gravità dell’handicap, a suo tempo
rilasciata dalla commissione medica della competente ASL, ai sensi dell’art.
4 comma 1 della legge 104/92, con dichiarazione di responsabilità relativa al
fatto che nel frattempo non sono intervenute variazioni nel
riconoscimento della gravità dell’handicap stesso ed impegno a
comunicare qualsiasi variazione che possa avere riflessi sul diritto al
congedo.
Si
ricorda che l’accertamento della gravità dell’handicap deve essere stato
effettuato dalla competente commissione ASL da almeno 5 anni. Fa fede a tale
proposito la data di rilascio del provvedimento, salvo che sulla
certificazione non sia indicata una diversa decorrenza.
Non
è necessario presentare nuovamente la documentazione qualora l’accertamento
sanitario suddetto sia già in possesso dell’Istituto per una precedente
domanda presentata allo stesso e al datore di lavoro: è sufficiente
dichiarazione in tal senso, unitamente a quella relativa alla permanenza delle
condizioni di gravità.
Il
congedo straordinario e le relative prestazioni s’intendono decorrenti dalla
data indicata sulla domanda, salvo diversa decorrenza fissata dal datore di
lavoro (da comunicare al lavoratore e all’INPS) (4), che in ogni modo è
tenuto ad accoglierla (sempre che sussistano le condizioni) entro 60 giorni
dalla richiesta dell’interessato.
6.
MODALITÀ DI CORRESPONSIONE DELL’INDENNITÀ
L’indennità
per il congedo in questione è anticipata dal datore di lavoro secondo le
modalità previste per la corresponsione dei trattamenti di maternità, vale a
dire con possibilità di conguaglio con i contributi dovuti all’INPS.
Tale
possibilità è prevista per i soli datori di lavoro privati,
compresi quelli non tenuti al versamento della contribuzione per i trattamenti
economici di maternità.
Per
quanto riguarda i lavoratori agricoli a tempo indeterminato, conformemente al
sistema di cui all’art.1 della legge 33/80, il pagamento deve essere
effettuato direttamente dall’INPS; le relative istruzioni verranno fornite a
parte.
6.1.
Istruzioni per i datori di lavoro che operano con il sistema del DM10/2
Ai
fini della compilazione del mod. DM10/2, i datori di lavoro indicheranno
l'importo dell'indennità in argomento in uno dei righi in bianco del quadro
"D" utilizzando il codice di nuova istituzione "L070",
preceduto dalla dicitura "IND. CONG.
art.80 L.388/2000".
Con
la stessa denuncia contributiva i datori di lavoro provvederanno a
conguagliare anche le eventuali indennità afferenti ai periodi di paga a
partire da "GENNAIO 2001".
Nella
denuncia interessata dalle operazioni di conguaglio delle indennità ex art.80
L.388/2000, i datori di lavoro provvederanno, altresì, ad indicare il numero
dei dipendenti ai quali si riferiscono le indennità in parola, riportandolo
in uno dei righi in bianco dei quadri "B-C" del mod.DM10/2,
preceduto dal codice di nuova istituzione "CS01", e dalla
dicitura "CONG. STRAORD."
Stante
la finalità statistica di tale rilevazione nessun dato dovrà essere
riportato nelle caselle "GIORNATE", "RETRIBUZIONI" e
"SOMME A DEBITO".
Nelle
ipotesi in cui il lavoratore richieda al datore di lavoro la trasformazione
delle giornate di assenza per le quali ha percepito l’indennità ex art. 80
lege n. 388/2000 in "ferie" o permessi di altro genere (v.
successivo punto 7), con la denuncia afferente il periodo in cui viene
richiesta la trasformazione, il datore di lavoro provvederà alla restituzione
delle somme anticipate a titolo di "congedo straordinario".
L’importo
da restituire dovrà essere esposto in uno dei righi in bianco dei quadri
"B-C" del mod.DM10/2 preceduto dalla dicitura "REST.CONG.STRAORD."
e dal codice di nuova istituzione "M070". Nessun dato dovrà
essere riportato nelle caselle "GIORNATE", "NUMERO
DIPENDENTI" e "RETRIBUZIONI".
7.
COMPATIBILITÀ DEL CONGEDO STRAORDINARIO CON ALTRI PERMESSI
La
legge finanziaria prevede esplicitamente che "durante il periodo di
congedo entrambi i genitori non possono usufruire dei benefici di cui
all’art.33 della legge 104/92".
Ciò
significa non solo che, come ovvio, chi fruisce del congedo in questione non
può richiedere durante lo stesso periodo permessi ai sensi dell’art. 33
suindicato ma che tale facoltà è preclusa nello stesso periodo anche
all’altro genitore (o all’altro fratello o sorella in caso di
fruizione da parte di tali soggetti).
Significa
anche che non è possibile, prima o dopo la fruizione di un periodo di
congedo straordinario che si riferisca -anche solo come conseguenza della
fruizione del congedo stesso a cavaliere di due o più mesi- ad una sola parte
del mese, richiedere nell’ambito dello stesso mese giorni di permesso ex
lege 104/92 (5). Nel caso di fruizione, nell’ambito dello stesso
mese -prima del godimento di un periodo di congedo straordinario- di permessi
di cui alla legge da ultimo citata, i giorni di permesso utilizzati ai sensi
della legge 104 saranno conteggiati, sempre che sussistano le altre condizioni
(essenzialmente quella del riconoscimento della gravità dell’handicap da
almeno 5 anni), come "congedo straordinario": in tale ultima ipotesi
si dovrà tenere conto, se necessario, dei criteri illustrati al punto 4),
terzo capoverso. E’ comunque fatta salva la possibilità per il lavoratore
stesso di richiedere al datore di lavoro la trasformazione delle suddette
giornate di assenza in "ferie" o permessi di altro genere,
retribuiti o meno: in ogni caso le indennità a carico INPS per le giornate
come sopra non riconoscibili devono essere recuperate per il tramite del
datore di lavoro.
Quanto
precede vale anche nel caso in cui i permessi stessi vengano richiesti
nell’ambito dello stesso mese dal secondo genitore (o, nei casi previsti,
fratello o sorella), prima o dopo la fruizione del periodo frazionato di
congedo straordinario da parte dell’altro.
Perciò,
ad es., se un congedo straordinario viene chiesto dal 24.1. al 5.4., non
potranno essere riconosciuti, né alla madre né al padre, giorni di permesso ex
lege 104, sia nel mese di gennaio che in quello di aprile (oltre che in
quelli di febbraio e marzo).
Il
verificarsi, per lo stesso soggetto, durante il "congedo
straordinario", di altri eventi che di per sè potrebbero giustificare
una astensione dal lavoro, non determina interruzione nel congedo
straordinario. In caso di malattia o maternità è però fatta salva una
diversa esplicita volontà da parte del lavoratore o della lavoratrice volta
ad interrompere la fruizione del congedo straordinario, interruzione che può
comportare o meno, secondo le regole consuete, l’erogazione di indennità a
carico dell’INPS; in tal caso la possibilità di godimento, in momento
successivo, del residuo del congedo straordinario suddetto, è naturalmente
subordinata alla presentazione di nuova domanda (v. par. 4). A proposito della
indennizzabilità o meno dell’evento di malattia o di maternità che
consente l’interruzione del congedo straordinario si sottolinea in
particolare che, considerato che la fruizione del congedo straordinario
comporta la sospensione del rapporto di lavoro, l’indennità è
riconoscibile solo se non sono trascorsi più di 60 giorni (6) dall’inizio
della sospensione (in linea di massima coincidente, come è noto, con
l’ultima prestazione lavorativa).
L’astensione
facoltativa da parte dell’altro genitore, per il medesimo figlio
handicappato e nello stesso periodo in cui il primo genitore è in
godimento del congedo straordinario, non è ammissibile in quanto l’alternatività
di cui alla disposizione in esame si riferisce anche al godimento di benefici
diretti al medesimo fine, da parte dell’altro genitore.
8.
CONTRIBUZIONE FIGURATIVA
La
disposizione in esame prevede che "il periodo medesimo è coperto da
contribuzione figurativa", che spetta, come l’indennità "fino ad
un importo complessivo massimo di lire 70 milioni annue per il congedo di
durata annuale".
Sull’argomento
si fa riserva di istruzioni a parte.
9.
NORME CONTABILI
Per
l'imputazione contabile dell'indennità percepita durante la fruizione del
congedo straordinario di cui si tratta, stante la sua natura di prestazione a
sostegno della famiglia con onere a carico dello Stato e quindi da
evidenziare, come già precisato con circolare n. 206 dell'11.12.2000, nella
contabilità separata " GAT " nell'ambito della "Gestione degli
interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali", sono
stati istituiti i seguenti conti:
·
GAT 30/06
- se anticipata dai datori di lavoro, di competenza degli anni precedenti:
diretta
da parte dell'Istituto.
Per
la rilevazione di eventuali recuperi delle indennità in argomento è stato
istituito il conto GAT 24/34. In corrispondenza di tale conto è stato
istituito il codice di bilancio " 87 " con il quale sarà aggiornata
la procedura "recupero crediti per prestazioni".
Al
predetto conto verranno imputati, da parte della procedura DM, anche eventuali
recuperi effettuati al suddetto titolo dai datori di lavoro.
Gli
importi relativi alle partite di che trattasi che alla fine dell'esercizio
risultino ancora da definire, saranno imputati, mediante la ripartizione del
saldo del conto GPA 00/32 eseguita dalla suddetta procedura, al conto
esistente GAT 00/30.
Il
suddetto codice di bilancio con la denominazione: "Indennità derivante
da congedo straordinario art. 80, comma 2, L. 388/2000" dovrà essere
utilizzato, ovviamente, anche per evidenziare, nell'ambito del partitario del
conto GPA 00/69, i crediti per prestazioni divenuti inesigibili.
Inoltre,
le eventuali somme non riscosse dai beneficiari dovranno essere evidenziate
nell'ambito del partitario del conto GPA 10/31 e contraddistinte dal codice di
bilancio di nuova istituzione " 87 - Somme non riscosse dai beneficiari -
indennità derivante da congedo straordinario art. 80, comma 2, L.
388/2000".
Al
termine dell'esercizio le partite in argomento che risultino ancora da
definire dovranno essere imputate al conto GAT 10/36.
Nell'allegato
n. 4 si riportano i conti di nuova istituzione GAT 10/35, GAT 10/36, GAT
24/34, GAT 30/06, GAT 30/07, GAT 30/86 e GAT 30/87.
1.
Il riferimento ai commi 1 e 2 dell’art. 33 della l. 104 -che come è
noto, sono applicabili solo fino al terzo anno di età del bambino- è
certamente improprio per situazioni di handicap grave accertato da almeno
cinque anni: il riferimento stesso deve intendersi perciò operato solo ai
fini dell’individuazione dei soggetti titolari del diritto al congedo
straordinario.
Per
l’allestimento tipografico dei moduli dovrà essere utilizzato il formato A3
(cm. 29,7 x 42) in modo che il foglio ripiegato assuma le dimensioni del
formato A4 (cm. 21 x 29,7).
In
sostanza, sulla facciata anteriore (da ripiegare) dovranno essere stampate, a
sinistra la pag. 4 e a destra la pag. 1, e sulla facciata posteriore a
sinistra la pag. 2 e a destra la pag. 3.
Come
può rilevarsi dai moduli consultabili nel sito INTRANET/INTERNET, il colore
di alcuni riquadri è arancio chiaro per il mod. hand 4 - congedi straordinari
genitori, giallo chiaro per il mod. hand 5 - congedi straordinari fratelli.
Ovviamente
i moduli possono essere stampati da P.C., per singola pagina, in formato A4,
utilizzando i "files" scaricabili dal predetto sito INTERNET/INTRANET.
GLI
INTERVENTI DELLA LEGGE FINANZIARIA 2001
D’INTERESSE
PER LE DONNE
1.
I capitoli della Finanziaria prevedono una serie di interventi di:
riduzione della pressione fiscale per le famiglie, con particolare riguardo ai
redditi da lavoro dipendente e da pensione medio-bassi (innalzamento della
fascia esente, ampliamento del primo scaglione Irpef, diminuzione delle
aliquote centrali Irpef, maggiorazione della integrazione delle pensioni al
minimo); alleggerimento della pressione fiscale sulle imprese, con particolare
riguardo a quelle minori (riduzioni fiscali su Irap e Irpeg, introduzione di
regimi agevolati, riduzione dei costi energetici, riduzione del costo del
lavoro); sostegno alla nuova occupazione e agli investimenti (utilizzo del
credito d’imposta, utilizzo delle risorse derivanti dai proventi UMTS);
riduzione di alcune spese di prima necessità (riduzione del costo del
riscaldamento e dei carburanti, eliminazione progressiva dei ticket sanitari).
2.
La Cgil ha espresso un giudizio positivo sul testo di Legge
Finanziaria, definitivamente approvato alla Camera il 22 dicembre scorso. La
perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni lorde negli ultimi dieci
anni specie ai livelli medio-bassi, dove sono maggiormente concentrate le
retribuzioni femminili; il contributo dato dai redditi da lavoro dipendente e
da pensione al risanamento del paese; la crescita di produttività del sistema
andata tutta a vantaggio dei profitti delle imprese; il ripresentarsi di una
nuova questione salariale nel conflitto distributivo: sono state le ragioni da
noi portate a sostegno di una chiara scelta di priorità nell’identificare i
soggetti beneficiari della restituzione fiscale. La manovra finanziaria per il
2001 ha dato una prima risposta in termini di equità, avendo come obiettivo
privilegiato l’aumento del reddito disponibile di lavoratrici, lavoratori e
pensionati. La restituzione fiscale, infatti, ha riguardato per 2/3 i redditi
delle famiglie e per 1/3 le imprese. Inoltre, ha definito una serie di misure
a sostegno del lavoro e dello sviluppo, riaffermando il valore positivo della
tassazione come fondativo di un patto tra cittadini e Stato, l’utilità
delle politiche fiscali per lo sviluppo e la coesione sociale.
3.
L’alleggerimento della pressione fiscale sui redditi da lavoro
dipendente e da
pensione medio-bassi (in particolare, l’ampliamento del primo
scaglione di reddito a 20 milioni e l’ampliamento della fascia esente a 12
milioni), interessa in modo significativo le donne, spesso collocate a questo
livello nella scala dei redditi. Interessa molte donne anziane, anche la
modifica introdotta nel corso dell’iter parlamentare, da noi sostenuta,
riguardante il sostegno dei redditi da pensione cosiddetti ‘incapienti’,
ossia di coloro i cui redditi sono talmente bassi da non poter usufruire
neppure del beneficio dell’aumento delle detrazioni. A questo proposito, la
Finanziaria ha previsto la maggiorazione di 300 mila lire annue in favore dei
titolari di trattamenti pensionistici pubblici non superiori al trattamento
minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, soggetta ai vincoli
definiti per gli interventi di natura assistenziale (riferimento al limite di
reddito e al reddito di coppia).
4.
Il collegato alla Legge Finanziaria 2000 ha introdotto alcune misure a
sostegno del lavoro parasubordinato, equiparandone il trattamento fiscale al
reddito da lavoro dipendente (modalità del prelievo, detrazioni, assegni
familiari); la Legge Finanziaria 2001 ha ampliato le tutele per il lavoro
parasubordinato, prevedendo una sorta di ‘totalizzazione’ dei contributi
previdenziali. Il riconoscimento di tutele e di diritti ai lavoratori e le
lavoratrici cosiddetti ‘atipici’ è importante, perché risponde ad una
logica di ‘inclusione’ nel welfare di soggetti prima esclusi, mediante una
politica di ampliamento e non di redistribuzione al ribasso di quello che c’è.
La presenza tra i lavoratori atipici delle donne è, come si sa, rilevante.
5.
Un altro intervento che interessa in modo particolare le lavoratrici
nelle fasce di lavoro più deboli e precarizzate, previsto in Finanziaria e da
noi fortemente sostenuto, riguarda l’individuazione di una nuova detrazione
corrisposta ai redditi entro i 12 milioni di lire, dei lavoratori dipendenti
con contratto di lavoro a tempo determinato di durata
inferiore all’anno.
6.
Per quanto riguarda le politiche di sostegno al lavoro, è previsto il
monitoraggio e la verifica degli effetti dell’agevolazione alle imprese
introdotta con il credito d’imposta per l’assunzione di nuovi dipendenti
con contratto di lavoro a tempo indeterminato, identificando la nuova
occupazione generata per area territoriale, sesso, età e professionalità.
7.
Per quanto infine attiene alle politiche sociali, vi è un aumento
delle detrazioni per ciascun figlio a carico nel 2001 e nel 2002
(rispettivamente fino a 552.000 e 588.000 lire per il primo figlio per i
redditi fino a 100 milioni di lire; fino a 616.000 e 652.000 lire dal secondo figlio per i
redditi sino a 100 milioni di lire; di 240.000 lire è la maggiorazione per i
figli sotto i tre anni di età); l’aumento dell’assegno di maternità da
300.000 a 500.000 lire mensili (purtroppo riconosciuto ancora solo alle
cittadine italiane); la possibilità di fruire di congedi parentali per
l’assistenza del figlio con handicap, con indennità e contribuzione
figurativa spettanti fino ad un importo massimo di lire 70 milioni annui. Sono
previste una serie di misure relative al sistema pensionistico: un nuovo
sistema di rivalutazione automatica delle pensioni;
la maggiorazione concessa ai titolari dell’assegno sociale pari a
25.000 lire mensili e a 40.000 lire mensili, rispettivamente riconosciute ai
titolari con età inferiore o uguale e superiore a settantacinque anni di età;
l’elevamento della maggiorazione sociale per le pensioni al minimo pari a
80.000 lire mensili, per i titolari di pensione con età inferiore a
settantacinque anni e pari a 100.000 lire mensili, per i titolari di pensione
con età pari o superiore a settantacinque anni. Per quanto infine riguarda il
riconoscimento del lavoro di cura, il Collegato alla Finanziaria 2000, prevede
la deducibilità dal reddito imponibile di una cifra massima di 3 milioni di
lire degli oneri sociali versati dal datore di lavoro per gli addetti ai
servizi domestici e di assistenza personale (baby sitter, assistenza agli
anziani, etc.).
Roma,
12 Marzo 2001
Comitato
Nazionale di Parita’ e Pari Opportunità nel lavoro
Dott.
Ubaldo Poti
Capo
Dipartimento Funzione Pubblica
Corso
Vittorio Emanuele II, 116
00186
ROMA
Egregio Dottore,
l’art. 7, comma 5, del d.lgs. n.
196 del 23 maggio 2000, nell’intento di dare effettività alla previsione di
cui all’art. 2, comma 6, della legge n. 125 del 10 aprile 1991, impone alle
pubbliche amministrazioni la predisposizione di piani di azioni positive
tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli
ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità
di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, adottati in conformità
alla procedura prevista dalla legge, hanno durata triennale ed in sede di
prima applicazione vanno predisposti entro il 30 giugno 2001; l’imposizione
della scadenza, e la previsione della sanzione applicabile alle ipotesi di
mancato adempimento al disposto legale, serve a richiamare l’attenzione
delle pubbliche amministrazioni sull’adempimento di tale obbligo, in
larghissima misura inattuato stanti le previgenti disposizioni.
L’approssimarsi della data
indicata nel d.lgs. 196 per porre in essere i piani di azioni positive fa
apparire quanto mai opportuno e urgente, da parte di questo Comitato Nazionale
di Parità, istituito per legge al fine di promuovere condizioni di parità e
di pari opportunità nell’accesso al lavoro e nelle condizioni di lavoro tra
uomini de donne, sollecitare a codesto Ministero, nelle forme ritenute
adeguate e pertinenti, l’emanazione di un atto di indirizzo rivolto alle
amministrazioni destinatarie dell’obbligo in parola, al fine di richiamare
la loro attenzione sulla importanza dell’adempimento in discorso per dare
corretta attuazione all’obiettivo di assicurare effettive condizioni di pari
opportunità alle donne nell’accesso al lavoro, nello svolgimento delle
carriere, nella corresponsione di voci salariali legate alle concrete modalità
di svolgimento della prestazione, nella attribuzione delle posizioni
organizzative, nella concreta fruibilità di opportunità formative, ecc.,
obiettivo con il quale le autorità nazionali sono chiamate a misurarsi anche
nel quadro europeo delle procedure di coordinamento delle politiche
occupazionali, previste dal Trattato di Amsterdam, in particolare ai fini
delle misure previste nel quarto pilastro.
Se è vero, infatti, che il tasso di
femminilizzazione delle forze di lavoro è massimo in alcuni comparti
pubblici, è tuttavia altrettanto vero che ai livelli professionali più
elevati e nelle posizioni dirigenziali si continua ad assistere ad una
sottorappresentazione della presenza femminile, e che spesso il datore di
lavoro pubblico appare restio a sperimentare in concreto nuove modalità
flessibili di erogazione della prestazione di lavoro pur consentite da una
normativa che su questo terreno appare all’avanguardia e che potrebbe
agevolare soprattutto le donne nel conciliare i loro mille impegni familiari e
professionali. Adeguati piani di azioni positive potrebbero, pertanto, in
considerazione delle situazioni di squilibrio di genere in concreto esistenti,
favorire nel tempo un progressivo riequilibrio della presenza femminile nelle
attività e nelle posizioni gerarchiche in cui le donne sono
sottorappresentate, nonché servirsi dei nuovi strumenti normativi (telelavoro,
part-time, congedi, opportunità formative, ecc.) per rispondere a concrete
esigenze manifestate dalle donne, la cui soddisfazione potrebbe liberare
notevoli risorse organizzative.
Certa del Suo impegno e
dell’Attenzione da Lei riservata alla questione prospettata, che potrebbe
dare alle pubbliche amministrazioni quel ruolo trainante in materia di
promozione di pari opportunità che il legislatore del ’91 aveva immaginato,
Le invio i più cordiali saluti.
La Vice Presidente
Libera Del Rosario Chiaromonte
Decreto Legislativo 23
maggio 2000, n. 196
Art. 7.
Azioni positive
1.
All'articolo 2 della legge 10 aprile 1991, n. 125, il comma 1 e' sostituito
dal seguente:
"1. A partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i
datori di lavoro pubblici e privati, i centri di formazione professionale
accreditati, le associazioni, le organizzazioni sindacali nazionali e
territoriali possono richiedere al Ministero del lavoro e della previdenza
sociale di essere ammessi al rimborso totale o parziale di oneri finanziari
connessi all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al
programma-obiettivo di cui all'articolo 6, comma 1, lettera c).".
2.
All'articolo 6, comma 1, della legge 10 aprile 1991, n. 125, la lettera c) e'
sostituita dalla seguente:
"c) formula entro il 31 maggio di ogni anno un programma-obiettivo nel
quale vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive che intende
promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di
valutazione. Il programma e' diffuso dal Ministero del lavoro e della
previdenza sociale mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;".
3.
All'articolo 6, comma 1, della legge 10 aprile 1991, n. 125, la lettera g) e'
sostituita dalla seguente:
"g) propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando
gli interessati all'adozione di progetti di azioni positive per la rimozione
delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione
di uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e
promozione professionale, delle condizioni di lavoro e retributive, stabilendo
eventualmente, su proposta del collegio istruttorio, l'entita' del
cofinanziamento di una quota dei costi connessi alla loro attuazione;".
4.
All'articolo 7 della legge 10 aprile 1991, n. 125, il comma 4 e' sostituito
dal seguente:
"4. Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle
proprie modalita' di organizzazione e di funzionamento; per lo svolgimento dei
loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato puo'
deliberare la stipula di convenzioni nonche' di avvalersi di collaborazioni
esterne:
a) per l'effettuazione di studi e ricerche;
b)
per attivita' funzionali all'esercizio dei compiti in materia di progetti di
azioni positive previsti dall'articolo 6, comma 1, lettera d).".
5.
Ai sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 61, comma 1, del
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, le amministrazioni dello Stato,
anche ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni e tutti gli
enti pubblici non economici, nazionali, regionali e locali, sentiti gli
organismi di rappresentanza previsti dall'articolo 47 del citato decreto
legislativo n. 29 del 1993 ovvero, in mancanza, le organizzazioni
rappresentative nell'ambito del comparto e dell'area di interesse, sentito
inoltre, in relazione alla sfera operativa della rispettiva attivita', il
Comitato di cui all'articolo 5 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e la
consigliera o il consigliere nazionale di parita', ovvero il Comitato per le
pari opportunita' eventualmente previsto dal contratto collettivo e la
consigliera o il consigliere di parita' territorialmente competente,
predispongono piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito
rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena
realizzazione di pari opportunita' di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne.
Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei
settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, ai
sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera d), della citata legge n. 125 del
1991, favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attivita' e
nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a
due terzi. A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di
promozioni, a fronte di analoga qualificazione e
preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale
scelta del candidato di sesso maschile e' accompagnata da un'esplicita ed
adeguata motivazione. I piani di cui al presente articolo hanno durata
triennale. In sede di prima applicazione essi sono predisposti entro il 30
giugno 2001. In caso di mancato adempimento si applica l'articolo 6, comma 6,
del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.
6.
In fase di prima attuazione, il programma obiettivo di cui all'articolo 6,
comma 1, lettera c), della legge 10 aprile 1991, n. 125, come sostituito dal
comma 2, e' formulato per l'anno 2000 entro due mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Decreto Legislativo 3 febbraio 1993 n.29
1. Finalità
ed ambito di applicazione.
1. Le disposizioni del presente decreto disciplinano
l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie
locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto
dell'articolo 97, comma primo, della Costituzione, al fine di:
………
c) realizzare
la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni,
curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo
pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni
uniformi rispetto a quelle del lavoro privato .
6.
Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche.
……………..
6. Le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti
di cui al presente articolo e a quelli previsti dall'articolo 31 non possono
assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette
.
7. Gestione
delle risorse umane.
1. Le amministrazioni pubbliche garantiscono parità e pari
opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul
lavoro.
47. Diritti
e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.
1. Nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività
sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della Legge 20
maggio 1970 n.300, e successive modificazioni. Fino a quando non vengano
emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che
sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni,
in attuazione dei criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), della
Legge 23 ottobre 1992 n.421 , osservano le disposizioni seguenti in materia di
rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell'attribuzione
dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e
dell'esercizio della contrattazione collettiva.
2. In ciascuna
amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, le
organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell'articolo 47-bis, siano
ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi,
possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo
19 e seguenti della Legge 20 maggio 1970 n.300 . Ad esse spettano, in
proporzione alla rappresentatività, le garanzie previste dagli articoli 23,
24 e 30 della medesimaLegge 20 maggio 1970 n.300, e le migliori condizioni
derivanti dai contratti collettivi nonché dalla gestione dell'accordo
recepito nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 ottobre
1994, n. 770 , e dai successivi accordi.
3. In ciascuna
amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad
iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2,
viene altresì costituito, con le modalità di cui ai commi seguenti, un
organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle
quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori.
4. Con appositi accordi o contratti collettivi nazionali, tra
l'ARAN e le confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi
dell'articolo 47-bis, sono definite la composizione dell'organismo di
rappresentanza unitaria del personale e le specifiche modalità delle
elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il metodo proporzionale e
il periodico rinnovo, con esclusione della prorogabilità. Deve essere
garantita la facoltà di presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in
base ai criteri dell'articolo 47-bis, siano ammesse alle trattative per la
sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre organizzazioni
sindacali, purché siano costituite in associazione con un proprio statuto e
purché abbiano aderito agli accordi o contratti collettivi che disciplinano
l'elezione e il funzionamento dell'organismo. Per la presentazione delle
liste, può essere richiesto a tutte le organizzazioni sindacali promotrici un
numero di firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3 per cento
del totale dei dipendenti nelle amministrazioni, enti o strutture
amministrative fino a duemila dipendenti, e del 2 per cento in quelle di
dimensioni superiori.
5. I medesimi accordi o
contratti collettivi possono prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8,
siano costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a più
amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio.
Essi possono altresì prevedere che siano costituiti organismi di
coordinamento tra le rappresentanze unitarie del personale nelle
amministrazioni e enti con pluralità di sedi o strutture di cui al comma 8.
6. I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono
equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della
Legge 20 maggio 1970 n.300 , e successive modificazioni e del presente decreto
legislativo. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione e il
funzionamento dell'organismo, stabiliscono i criteri e le modalità con cui
sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del
personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali delle
organizzazioni sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o vi
aderiscano.
7. I medesimi accordi
possono disciplinare le modalità con le quali la rappresentanza unitaria del
personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di
partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali
dall'articolo 10 e successive modificazioni o da altre disposizioni della
legge e della contrattazione collettiva. Essi possono altresì prevedere che,
ai fini dell'esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la
rappresentanza unitaria del personale sia integrata da rappresentanti delle
organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del
comparto.
8. Salvo che i
contratti collettivi non prevedano, in relazione alle caratteristiche del
comparto, diversi criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3
del presente articolo possono essere costituiti, alle condizioni previste dai
commi precedenti, in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici
dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o
strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o
strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di
contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali.
9. Fermo restando
quanto previsto dal comma 2 per la costituzione di rappresentanze sindacali
aziendali ai sensi dell'articolo 19 della Legge 20 maggio 1970 n.300 , la
rappresentanza dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture
amministrative è disciplinata, in coerenza con la natura delle loro funzioni,
dagli accordi o contratti collettivi riguardanti la relativa area
contrattuale.
10. Alle figure professionali per le quali nel contratto
collettivo del comparto sia prevista una disciplina distinta ai sensi
dell'articolo 45, comma 3, deve essere garantita una adeguata presenza negli
organismi di rappresentanza unitaria del personale, anche mediante
l'istituzione, tenuto conto della loro incidenza quantitativa e del numero dei
componenti dell'organismo, di specifici collegi elettorali.
11. Per quanto riguarda
i diritti e le prerogative sindacali delle organizzazioni sindacali delle
minoranze linguistiche, nell'ambito della provincia di Bolzano e della regione
Valle d'Aosta, si applica quanto previsto dall'articolo 9 del decreto del
Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58 , e dal decreto legislativo
28 dicembre 1989, n. 430.
61. Pari
opportunità.
1. Le pubbliche amministrazioni, al fine di garantire pari
opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul
lavoro:
a)
riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti
di componente delle commissioni di concorso, fermo restando il principio di
cui all'articolo 36, comma 3, lettera e) ;
b)
adottano propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità di uomini
e donne sul lavoro, conformemente alle direttive impartite dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica ;
c)
garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione
e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale alla loro presenza
nelle amministrazioni interessate ai corsi medesimi, adottando modalità
organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione
fra vita professionale e vita familiare ;
d)
possono finanziare programmi di azioni positive e l'attività dei Comitati
pari opportunità nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio .
2. Le pubbliche amministrazioni, secondo le modalità di cui
all'articolo 10, adottano tutte le misure per attuare le direttive della
Unione europea in materia di pari opportunità, sulla base di quanto disposto
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione
pubblica .
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Legge 10 aprile 1991 n.125
1. Finalità.
-
2. Le azioni
positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
…………
d) promuovere
l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei
livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori
tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
5. Comitato
nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed
uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici. -
1. Al fine di promuovere la rimozione dei comportamenti
discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto
l'uguaglianza delle donne nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la
progressione professionale e di carriera è istituito, presso il Ministero del
lavoro e della previdenza sociale, il Comitato nazionale per l'attuazione dei
principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra
lavoratori e lavoratrici.
2. Fanno parte del Comitato:
a)
il Ministro del lavoro e della previdenza sociale o, per sua delega, un
Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;
b)
cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori
maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
c)
cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di
lavoro dei diversi settori economici, maggiormente rappresentative sul piano
nazionale;
d)
un componente designato unitariamente dalle associazioni di rappresentanza,
assistenza e tutela del movimento cooperativo più rappresentative sul piano
nazionale;
e)
undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili più
rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parità e delle
pari opportunità nel lavoro;
f)
il consigliere di parità componente la commissione centrale per l'impiego.
3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto
di voto:
a)
sei esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze
in materia di lavoro;
b)
cinque rappresentanti, rispettivamente, dei Ministeri della pubblica
istruzione, di grazia e giustizia, degli affari esteri, dell'industria, del
commercio e dell'artigianato, del Dipartimento della funzione pubblica;
c)
cinque funzionari del Ministero del lavoro e della previdenza sociale con
qualifica non inferiore a quella di primo dirigente, in rappresentanza delle
Direzioni generali per l'impiego, dei rapporti di lavoro, per l'osservatorio
del mercato del lavoro, della previdenza ed assistenza sociale nonché
dell'ufficio centrale per l'orientamento e la formazione professionale dei
lavoratori.
4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono
nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Per ogni
componente effettivo è nominato un supplente.
5. Il Comitato è convocato, oltre che ad iniziativa del Ministro
del lavoro e della previdenza sociale, quando ne facciano richiesta metà più
uno dei suoi componenti.
6. Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e a
quello del collegio istruttorio e della segreteria tecnica di cui all'articolo
7, nonché in ordine alle relative spese.