RELAZIONE PROGRAMMATICA DI CARLO PODDA AL COMITATO DIRETTIVO DELLA FP CGIL NAZIONALE - ROMA 5-6 APRILE 2004
 

Ho sempre trovato curioso, lo dico con il dovuto rispetto, per le regole della nostra organizzazione, che il discorso programmatico sia collocato dopo e non prima della consultazione. Conosco ovviamente la ragione formale, quella cioè per la quale si deve offrire pari opportunità ad eventuali autocandidature emerse nel corso della consultazione. Tuttavia si potrebbe garantire questo diritto anticipando i tempi delle autocandidature, rendendole cioè contemporanee alla proposta del centro regolatore. Ma tant’è,  il candidato è chiamato a presentarsi conoscendo lui stesso ed essendo nota all’organismo chiamato di lì a poco a votarlo,  la misura del consenso espresso nella consultazione. Insomma, se tutto va bene, con questo mio discorso confermerò l’importante consenso che avete espresso, di cui vi ringrazio e di cui sono onorato. Se le cose andassero in maniera meno brillante dovrò invece pensare a lungo su quanto poco convincente sia stato questo mio discorso programmatico.

Dal Comitato Direttivo di settembre, quello nel quale,  insieme ai segretari regionali e provinciali che non ne fanno parte,  abbiamo provato ad analizzare la fase ed a tracciare le linee generali della nostra iniziativa, il quadro è mutato di poco e ben poche sono state le novità in grado di farci guardare con meno preoccupazione al nostro futuro.

Lo scenario internazionale continua ad essere scosso da una guerra davvero senza fine che, esattamente come la CGIL insieme al movimento per la pace aveva previsto e denunciato, ha generato nuova violenza e terrorismo.

Le uniche buone notizie sono rappresentate dal fatto che il nostro premier non è più il presidente di turno dell’U.E. e quindi può fare meno danno,  almeno all’Europa ed alla sua collocazione internazionale. Speriamo anche per questo motivo che l’UE possa finalmente ridare vigore ad una visione ed un’iniziativa multilaterale della politica estera, che ponga fine ai conflitti in corso.


A questo obiettivo si può guardare con nuovo ottimismo certamente dopo le recenti affermazioni della sinistra in Spagna ed in Francia, ma anche dopo il ritorno sulla scena in tutto il mondo ed in Italia di un forte movimento per la pace. Questo movimento ha per la prima volta nel suo insieme indicato due obiettivi per la propria iniziativa: la pace e la lotta al terrorismo. Mi piace pensare che ciò sia dovuto anche al contributo della CGIL che, come ricordiamo fin dalla marcia straordinaria per la Pace di Perugia Assisi del settembre 2002,  indicò la necessità di contrastare con pari forza e fermezza la guerra ed il terrorismo. Devo dire in ogni caso che ho trovato sorprendente lo stupore con cui alcuni osservatori hanno commentato la chiarezza con cui questa posizione è emersa dalla manifestazione del 20 marzo. Chi infatti come noi ha frequentato e partecipato a questo movimento,  sa che fin dall’inizio tra le ragioni di opposizione alla guerra c’era la convinzione che questa non avrebbe sconfitto il terrorismo, ma che anzi lo avrebbe alimentato.

Questo alla fine resta sul terreno dopo tre anni di governo delle destre. Una abitudine necessitata a fare i conti con una guerra a cui partecipano contingenti italiani che indipendentemente dalla volontà che anima i militari italiani,  vengono percepiti come truppe di occupazione al seguito di una guerra ingiusta. Ed è di questa mattina la notizia che il contingente italiano è in queste ore costretto a rimanere in caserma allo scopo di evitare incidenti con la popolazione. Ha fatto davvero bene la CGIL a dire con fermezza che bisogna venir via di lì e riportare a casa quei militari che non sono mercenari pagati per sostenere azioni guerra,  come sembra pensare il Presidente del Consiglio che evidentemente è più interessato a sentir parlare di calcio che di loro. Va da sè che l’IRAQ deve rapidamente andare sotto il controllo dell’ONU.

Ricondurre, per così dire l’Italia nell’alveo di una collocazione autonoma dell’Europa ponendo fine alla posizione di subordinazione alla politica dell’amministrazione repubblicana degli USA,  è del resto un atto preliminare, come in altre occasioni abbiamo convenuto, necessario a riportare il dibattito sull’evoluzione generale del nostro paese per ciò che riguarda i diritti, il welfare l’equità e la giustizia sociale nel solco della cultura europea.

Al congresso del 2001 scrivemmo nel documento di categoria – cito testualmente – che …. “abbattere la rete di protezione sociale, che impedisce alla libertà di ciascun individuo di acquisire un livello di benessere tale da garantirgli autonomamente sicurezza per il presente ed il futuro, in sintesi la convinzione che i diritti collettivi siano un ostacolo alla libertà si è fatta strada e costituisce una degli assi di fondo dello spostamento a destra della società italiana”. Denunciavamo cioè il rischio vero che la maggioranza politica elettorale; si trasformasse in maggioranza sociale.

Tutto il movimento che la CGIL ha fatto, ed a cui noi abbiamo con forza partecipato,  aveva ed ha come fine quello di difendere le condizioni materiali di chi rappresentiamo, ma insieme quello di impedire il consolidarsi di un blocco sociale.

Sbagliò chi disse allora che quel blocco fosse già costituito. Avevamo ragione noi a contrastarlo, la caducità di memoria del sistema delle comunicazioni di massa è impressionante. E’ sorprendente leggere od ascoltare quegli stessi commentatori ed opinionisti che all’indomani delle elezioni del 2001 profetizzavano dieci o quindici anni di governo della destra, affermare,  con la stessa decisione che oggi un traguardo straordinario per il governo Berlusconi sarebbe arrivare alla scadenza naturale.

Il governo Berlusconi è purtroppo ancora qui, con tutto il suo carico di minacce ed incognite per la democrazia e la giustizia di questo Paese.

Ciò che è cambiata finalmente è la percezione che gran parte delle persone hanno dell’azione di governo. Oggi, se dovessi,  non riscriverei quel brano che ho citato prima del documento congressuale.

Le persone, così dicono i sondaggi e la nostra esperienza quotidiana di rapporto con loro, vogliono con forza: protezione sociale, vogliono reti pubbliche, tutela dai rischi della vita, salute, invecchiamento, perdita di istruzione, perdita di cultura, di conoscenze professionali, perdita del proprio lavoro, perdita del proprio reddito.

Sembra, in sintesi,  finalmente finita o comunque in questa fase attenuata,  la grande ubriacatura degli anni ’80,  per la quale l’equazione meno stato più mercato sembrava poter risolvere ogni problema. E’ questa per la CGIL e per noi una straordinaria finestra di opportunità che si è aperta e della quale dobbiamo approfittare.

La legge 30 ed il decreto 276 devono essere contrastati se possibile negando la loro applicazione o stipulando accordi interconfederali di applicazione che di fatto contraddicono nei punti più nefasti il contenuto della legge, come, ad esempio,  la CGIL è riuscita unitariamente a fare nel caso dei contratti di inserimento.

Abbiamo in altre sedi valutato positivamente i risultati di questa impostazione nei contratti pubblici. Voglio qui invece sottolineare come lo stesso orientamento unitario stia invece prevalendo in altri CCNL stipulati (I.A. pubblica e privata, Federcasa),  ovvero in corso di stipula (sanità privata, Uneba cooperative insomma terzo settore). Penso proprio per questi motivi che la trattativa che si apre all’ARAN sull’armonizzazione della normativa pubblica con la L. 30 vada condotta con lo stesso fermo orientamento che ha garantito questi risultati e, se si può dire, ha contribuito ad una evoluzione del giudizio sul valore di questa legge di CGIL-CISL e UIL di categoria,  assolutamente significativa.

Rimane, dal mio punto di vista, una preoccupante sottovalutazione, per usare un eufemismo, dei temi del lavoro del suo ruolo e del suo valore sociale,  nello schieramento politico di opposizione, fatto questo che getta una luce poco rassicurante anche sul futuro. Per questo penso che l’iniziativa della CGIL, e se possibile del sindacato unitario, finalizzata a far assumere la rappresentanza del lavoro e più in generale del sociale anche alla politica, debba proseguire . Si tratta in effetti di un problema di rilievo europeo, che in Germania ed in Gran Bretagna due paesi attualmente governati dalla sinistra, porta importanti organizzazioni sindacali (Verdi e I.G.M. in Germania, Unison in Gran Bretagna) ad elaborare posizioni che partono dalla constatazione che le tradizionali forze politiche di sinistra,  non sono più in grado di rappresentare il lavoro.

Penso per questo motivo che la spinta propulsiva del Congresso della CGIL, del 23 marzo, dei cinque milioni di firme sia tutt’ altro che esaurita.

Certo il contesto è, per fortuna aggiungo, mutato. Sono mutati i rapporti unitari, ma sono mutati, grazie al nostro rigore, al consenso evidente sulla nostra posizione e grazie alla nostra capacità di ascolto.

Non si pone e non si è mai posto per noi il tema  di sostituire o surrogare la politica,  ma quello invece,  proprio di un sindacato generale,  di incalzare la politica perché assuma la centralità del lavoro e della rappresentanza sociale.

Questo ci chiedono le persone ed i movimenti che tanta forza alla CGIL ed a noi hanno dato negli ultimi anni. Ma non ci hanno detto di farlo necessariamente da soli. Anzi – sbaglia dal mio punto di vista, chi vede contraddizione tra la fermezza su questa impostazione e il rapporto unitario – Nessuno più di noi può testimoniarlo.


Dall’accordo di febbraio 2002,  alla trattativa sulla sanità privata a quella sul terzo settore,  siamo stati,  con la CISL e la UIL,  convinti che stare insieme fosse possibile e che, questo stare insieme soprattutto,  desse ancora più forza alle nostre ragioni. Il punto fondamentale rimane però avere chiara la destinazione finale. Non c’è approdo possibile per noi in un luogo in cui i diritti siano cancellati o indeboliti. Se si mantiene chiarezza sul punto di arrivo,  sul resto tutto è ovviamente disponibile alla discussione ed alla mediazione.

Rimane evidente per noi che il risultato di questa discussione deve avere il consenso dei destinatari dei nostri accordi.

Tra gli elementi che nel quadro generale non sono certo migliorati vi è la situazione economica. Gli indicatori macroeconomici continuano ad essere negativi e si riaffaccia una fase economica che non si conosceva fin dalla fine degli anni ’70 di stagnazione ed inflazione insieme.

Il declino industriale e del paese è diventato un tema con il quale tutti oggi sono costretti a misurarsi,  anche se molti continuano a scambiare il sintomo per il male,  e vorrebbero quasi indicare al paese chi ha denunciato tra i primi questo problema come untori.

Il Governo per parte sua invece che interrogarsi seriamente sull’urgenza di una politica industriale e sulla necessità di incentivare l’innovazione di prodotto finanziando ricerca e formazione del personale,  pensa a misure di sostegno alla domanda interna basata su improbabili e, per quel che si capisce, del tutto iniqui sgravi fiscali.

Finalmente dopo 3 anni di politiche mal riuscite di sostegno alla produzione, tutte basate su una politica di riduzione dei costi,  finanziata da una incessante precarizzazione del lavoro, il Ministro dell’Economia – ma esiste ancora un responsabile delle Attività Produttive? – ha capito che bisogna sostenere la domanda. Solo che, invece che mettere in campo una politica di sostegno di tutti i redditi, pensa di ridurre le tasse a partire dai ricchi,  finanziando il tutto, è  evidente,  con riduzione delle spese per servizi e pensioni. Bankitalia ha già infatti giustamente dichiarato l’intangibilità delle riserve auree, e Confindustria ha già manifestato ogni possibile contrarietà a che vengano tagliati i finanziamenti al sistema delle imprese.

Eliminati quindi questi interventi, rimangono disponibili ai tagli solo le spese per stipendi pubblici, istruzione, welfare.

Bisogna avere la forza di dire con chiarezza che la riduzione delle tasse produrrà per i ceti meno abbienti, per quelli che noi rappresentiamo, una duplice ingiustizia. Per quel che allo stato attuale è possibile capire,  essa riguarderà essenzialmente i redditi più elevati e sarà alternativa ad una politica di sostegno reale dei redditi da lavoro. Non vi è nemmeno l’annuncio di una politica dei prezzi e delle tariffe per i servizi pubblici, mentre è chiaro che vi saranno tagli alla previdenza ed alle spese per i servizi,  prima di tutto per la Sanità, che a quel punto diventeranno a pagamento,  provocando un ulteriore impoverimento dei reddito da lavoro.

Aggiungo infine, per quanto ci riguarda più da vicino, che lo scambio tra riduzione fiscale e risorse per i contratti pubblici è già qualcosa di più che un’ipotesi in ambienti governativi.
 

Il Governo insomma tira diritto per la sua strada,  come già abbiamo più volte affermato,  in maniera solo apparentemente sgangherata. C’è un solo filo conduttore lungo il quale si rivolge l’azione governativa,  quello che lega il blocco della direttiva per il CCNL dei medici e dirigenti del SSN,  l’eliminazione per legge dell’esclusività di rapporto per i medici e conseguente regalo di una indennità di 750 euro attraverso la stessa legge,  ai tagli al fisco per pochi,  in luogo di una nuova politica fiscale frutto di accordo con le OO.SS.,  che dia equamente risposte per tutti.

Si tratta insomma per il Governo di azzerare le funzioni di rappresentanza sociale e concedere unilateralmente vantaggi a pochi e singoli gruppi.
 

Occorre tornare a rivendicare con forza la necessità di un fisco la cui equità sia caratterizzata dal fatto che le tasse devono essere pagate da tutti. Occorre affermare senza timidezza che c’è un nesso tra fisco e sistemi di welfare,  tra fisco e redistribuzione della ricchezza. Sento personalmente la mancanza di una iniziativa più decisa e specifica di CGIL-CISL-UIL su questo terreno. Sembra quasi che si abbia una qualche timidezza a spiegare a quelli che noi rappresentiamo,  la grande illusione,  il grande imbroglio che c’è per la gran parte dei redditi da lavoro dipendente,  dietro la annunciata riduzione del prelievo fiscale. Trovo in questo quadro,  in qualche modo fuorviante,  dichiarare che, anche da parte nostra,  si affermi che c’è stato un aumento della pressione fiscale. E’ forse troppo pretendere di avere la restituzione del fiscal drag? Ed è ancora troppo affermare che l’unico sistema fiscale equo è quello che prevede la progressività delle aliquote come anche un Ministro sicuramente moderato come Visco,  aveva negli anni scorsi fatto?


Nel quadro di questo forsennato attacco al sistema di sicurezza sociale,  il Governo ha dedicato una attenzione del tutto particolare al lavoro pubblico.

La maggioranza di centro destra ha,  fin dal suo insediamento al governo,  svolto un’azione di vera e propria demolizione delle riforma delle pubbliche amministrazioni,  la cui elaborazione ha richiesto circa un decennio.

Personalmente distinguo nel lungo lavoro  delle riforme tre tempi:

il primo tempo fu quello del primo D.L. 29, era il 1993,  eravamo in presenza dei primi processi di convergenza verso l’Unione Europea , ed all’avvio di un processo di risanamento della finanza pubblica,  al cui dissesto contribuiva significativamente la spesa per le pubbliche amministrazioni. Eravamo all’indomani degli accordi di luglio del ’92,  con la contestata – per la CGIL – moratoria sulla contrattazione integrativa, il Parlamento istituì un’apposita commissione d’inchiesta per conoscere il reale costo dei rinnovi dei CCNL pubblici siglati per il Governo dal Ministro Cirino Pomicino. Il pubblico impiego, così era giusto allora chiamarlo,  fu costretto ad offrire,  obtorto collo,  un suo specifico contributo al risanamento del Paese.

In quegli anni saltammo un’intera tornata contrattuale. Inoltre emerse in Italia agli occhi di tutti,  con l’esplosione di tangentopoli,  l’intreccio profondo tra politica ed affari. Questo intreccio passava dentro la pubblica amministrazione. Il primo decreto 29 affermò la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro per il personale e per la dirigenza,  separò con nettezza le funzioni politiche da quelle amministrative e pose un quadrilatero (ARAN Pd CM Tesoro e Corte dei Conti) a salvaguardia della spesa pubblica. Fu un approccio prevalentemente economicistico che considerò il contenimento della spesa il vero obiettivo ed a questo sacrificò in più di qualche caso,  una reale ipotesi di contrattualizzazione del rapporto di lavoro.

Poi abbiamo la ristesura del 29 operata dai governi dell’Ulivo. Si tratta di un approccio ancora prevalentemente economico; tuttavia il personale non è più un mero costo. Anzi,  secondo linee proprie dell’amministrazione democratica nordamericana di quegli anni,  il lavoro è una risorsa sulla quale vale la pena investire per trasformare le PP.AA. da costo a possibile volano dello sviluppo.

Secondo questa ipotesi,  con l’integrazione europea,  la competizione non sarà più tra sistemi nazionali, ma tra sistemi locali. Il funzionamento diversificato,  in base alle diverse missioni di ciascuna P.A. ed in base alle esigenze del territorio,  è decisivo per lo sviluppo locale. A ciò si deve la scelta di superare le riserve di legge sulla organizzazione dei servizi e degli uffici, l’introduzione della contrattazione di secondo livello e la stessa legge sulla rappresentanza.

Dal punto di vista amministrativo queste idee producono il federalismo amministrativo e la sussidiarietà prima verticale e poi orizzontale. Un esempio lampante di come queste tendenze potessero positivamente svilupparsi,  è stato il caso dello sportello unico delle attività produttive.

Si trattò di un passo deciso della riforma nella direzione della valorizzazione del lavoro e verso la convinzione che si potessero risanare e riorganizzare le pubbliche amministrazioni,  non solo contenendo i costi.  Si affermò la convinzione che questo lavoro potesse essere davvero utile  operando scelte decise e coraggiose. Ciò non di meno,  è ancora un taglio assai economistico,  che in Italia, ma anche in altri Paesi d’Europa,  comporta alcuni effetti collaterali e vere e proprie contraddizioni sulla strada delle riforme: attenuazione della netta separazione tra politica ed amministrazione e prevalenza, nella riorganizzazione e nell’avvio della sussidiarità sia verticale che orizzontale, di una cultura aziendalistica,  che fa del pareggio di bilancio o dell’utile,  l’unico obiettivo dell’azione pubblica.

Esempi particolarmente significativi di questa distorsione possono riscontrarsi in Sanità e nella politica delle esternalizzazioni,  condotte  tutte alla luce di un dettato ideologico per cui privato è bello.

Si arriva in questo modo ai giorni nostri con l’avvento di Berlusconi. Queste distorsioni diventano l’asse portante dell’azione di Governo. La Legge Frattini sulla dirigenza annulla la separazione tra politica ed amministrazione e crea una catena gerarchica discendente, una sorta di vassallaggio, lungo la quale si scende dall’autorità politica fino alla vice dirigenza.

L’intervento pubblico nel sistema dei servizi nel welfare va drasticamente ridotto. Per raggiungere questo risultato si seguono due vie solo apparentemente in contraddizione tra loro, da un lato bisogna privatizzare le funzioni pubbliche ed esternalizzare lavoro pubblico, dall’altro il lavoro che resta pubblico deve essere decontrattualizato: si veda il caso dei VVF o della Scuola, per la quale,  con due distinti DDL,  si propone la pubblicizzazione del rapporto di lavoro e l’abrogazione delle RSU.

Bisogna ovviamente continuare a contrastare l’azione demolitrice del Governo,  ma,  come diceva lo slogan della nostra assemblea nazionale di novembre, bisogna difendere il presente e riprogettare il futuro.

Penso in estrema sintesi che bisogna rilanciare una nuova idea di funzioni pubbliche.

Esse vanno rideterminate e riorganizzate avendo come fondamento, l’idea che le funzioni pubbliche sono i luoghi della società nei quali assumono consistenza i diritti di cittadinanza.

Stare bene, non essere curati quando si sta male, accedere ad un livello il più alto possibile s’istruzione, avere sistemi adeguati di protezione sociale, avere una pensione adeguata al termine del proprio lavoro, sono altrettanti diritti di cittadinanza e le funzioni pubbliche sono chiamate a garantirli. Un diritto è tale se vi è una sede in cui è possibile esigerlo, solo le funzioni pubbliche possono candidarsi ed essere queste sedi. Certo si deve continuare a garantire il buon andamento e l’equilibrio economico di ogni struttura, ma questo deve essere il prerequisito,  non il fine,  dell’azione e del lavoro pubblico. In questa luce va considerata anche la nostra battaglia contro la precarizzazione del lavoro nei nostri settori. Stabilizzare le decine di migliaia di lavoratori tra tempi determinati, C.F.L. senza fine, L.S.U. L.P.U., Co.co.co., partite IVA,  che lavorano per le pubbliche amministrazioni,  non risponde solo ad una esigenza di questi lavoratori di avere finalmente un lavoro stabile. Si tratta, infatti,  allo stesso modo di dare stabilità alle funzioni pubbliche che, attraverso queste persone,  si garantiscono. Può la Protezione Civile avere Geologi a tempo determinato? Può il Ministero dell’Ambiente avere tecnici a collaborazione ? Può l’Agenzia del Territorio fondare il suo lavoro sui tempi determinati?

Avremo modo di parlarne ancora,  ma davvero penso che se si vogliono difendere i diritti, bisogna difendere le funzioni pubbliche. Per farlo bisogna smetterla di esternalizzare funzioni e lavoratori, provando invece a internalizzare il lavoro quando questo è proprio del ciclo lavorativo. Alle lavoratrici, ai lavoratori, ai nostri iscritti va detto che stabilizzare il lavoro precario è un modo per difendere il nostro lavoro.

A tutti gli altri dobbiamo riuscire a spiegare che difendere e valorizzare il nostro lavoro vuol dire difendere i diritti di tutti.

Anche per questo è importante rinnovare i Contratti come ci siamo impegnati a fare in settembre, dobbiamo insieme con la CGIL impostare la vertenza per il rinnovo. Abbiamo stabilito con CISL e UIL una richiesta di un incremento economico che è pari a più del doppio delle disponibilità offerte dal Governo nella Legge Finanziaria.  A sostegno di questa richiesta,  che dovrà essere riportate nelle piattaforme di ciascun comparto, nelle settimane trascorse abbiamo fatto tre assemblee interregionali.  Abbiamo proposto ora a CISL e UIL di proseguire questa mobilitazione con una grande assemblea nazionale dei quadri e dei delegati RSU. Questa assemblea avrà il compito di fare il punto e di proclamare uno sciopero nel mese di maggio,  finalizzato alla stipula di un accordo con il Governo che renda possibile negoziare i rinnovi contrattuali.

Questo accordo non può essere la pura replica dell’accordo di febbraio 2002, si tratta infatti di trovare il modo di renderlo efficace e rapidamente esigibile. Sarà indispensabile a questo scopo avere al tavolo di trattativa non solo il Governo ma anche una rappresentanza delle Regioni e dei Comuni. Il conflitto che si sta aprendo sarà aspro e penso non possa essere affrontato con la parodia della 146 che la Commissione di Garanzia ci sta offrendo.

E’ di questi giorni la notizia che la Commissione di Garanzia sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici si stia accingendo a deliberare sulle assemblee,  assoggettandole ad un regime analogo a quello dello sciopero. Si tratta, a mio avviso, dell’ennesimo atto della commissione dal fondamento giuridico almeno incerto,  con il quale la commissione si assume il compito di legiferare in materia di conflitto. Penso che sia ormai maturo il tempo di una energica iniziativa delle confederazioni verso questa commissione,  che va rapidamente ricondotta al compito al quale è preposta: vigilare sulla modalità con cui si contemperano diritti di egual peso quello di sciopero o quello di fruizione di un servizio pubblico. La interpretazione che di questo compito la commissione sta offrendo, se non fermata,  finirà col provocare l’esplodere di una conflittualità sempre più segmentata e con esiti incontrollati sul l’utenza.

A proposito dell’accordo con il governo e con i rappresentanti delle regioni e dei comuni,  va con fermezza respinto il tentativo,  che qualcuno dovesse affacciare,  di spostare la discussione dal rinnovo al modello contrattuale. Prima si rinnovi il CCNL,  poi la confederazione vedrà tempi, modi e contenuti di una eventuale discussione sul nuovo modello contrattuale. A quel punto ed in quel momento mi piacerebbe proporre a CISL e UIL di categoria di provare a mettere in campo una proposta delle OO.SS. del lavoro pubblico che tenga conto delle nostre esperienze e delle nostre necessità. Se dovessi anticipare una qualche mia idea in proposito mi sentirei di dire che il livello nazionale deve essere confermato nel suo ruolo di difesa del salario reale e di garanzia dei diritti uguali per tutti. Questi diritti sono essenziali non minimi; a meno che non si voglia intendere che,  ad esempio,  sulla malattia,  piuttosto che sulla maternità,  si possa fissare un livello minimo,  che in qualche regione o territorio può essere implementato.

Così come sembra a me che le materie che i nostri contratti consegnano alla contrattazione integrativa,  sia per le risorse impegnate sia per le materie,  si pensi alla gestione del modello classificatorio,  non abbiano bisogno di essere ulteriormente irrobustite. A dirla tutta,  quello che ormai non funziona più,  è il sistema di adeguamento salariale alle dinamiche inflative. Già nel nostro Congresso presentammo una proposta che prevedeva l’istituzione di una sede contrattuale a metà del biennio che,  in caso di uno scarto tra inflazione reale e programmata,  consenta di negoziare il recupero. Su questa idea si è verificata negli anni scorsi una possibile convergenza con CISL e UIL e persino un accordo sia pure in un piccolo settore (consorzi agrari). Non trovo infine convincente la tesi per cui la riforma istituzionale comporti un adeguamento del modello contrattuale.

Il motivo è presto detto. Questa riforma istituzionale è un mostro che rompe l’unità del Paese,  indebolisce con i poteri del Premier la democrazia sostanziale e formale,  e va respinta e contrastata con forza maggiore rispetto a quello fino ad oggi messa in campo.
 

I diritti a geometria variabile sarebbero, nel caso in cui la riforma venisse approvata, il nostro incubo peggiore che si materializza. Altro che adeguamento del modello contrattuale ai nuovi/assetti istituzionali!

In ogni caso la categoria, quando si aprirà la discussione sul nuovo modello contrattuale, dovrà cercare di collocarsi nel dibattito con una sua proposta. Ritengo che se avremo la capacità di avanzare tale proposta,  noi faremo una cosa utile,  non solo alle lavoratrici ed ai lavoratori che rappresentiamo, ma anche alla CGIL. La discussione sul nuovo modello contrattuale richiederà infatti una pluralità di apporti ed una capacità di far sintesi da parte della Confederazione della quale abbiamo assolutamente bisogno. In questo senso non comprendo questa voglia,  manifestata da qualcuno, di schierarsi nel congresso della FIOM e sulle proposte lì avanzate.

Il travaglio ed il percorso a cui la FIOM si va sottoponendo, nella ricerca di una proposta finalizzata a superare le difficoltà in cui si trova, vanno rispettati.

Avere rispetto significa in questo caso non sovraccaricare quella discussione e quella sede di altri significati e di dinamiche esterne a quella categoria.

Al termine del percorso congressuale,  la FIOM definirà una sua strategia,  una sua proposta che - lo dice la scelta del congresso – sarà quella valida per la categoria e la offrirà alla discussione più generale. A quel punto nella discussione generale,  ognuno dirà la propria e, insisto, alla CGIL spetterà di fare sintesi.

Si avvicina, mancano ormai poco più di 7 mesi, l’appuntamento per le elezioni delle RSU nei nostri comparti.
 

Si tratta di un appuntamento fondamentale e,  trattandosi della terza tornata elettorale,  siamo chiamati a confermare,  con l’esercizio del diritto di voto,  una regola fondamentale di ogni sistema democratico: quella di scegliersi liberamente i propri rappresentanti. Dovremo inoltre dimostrare che tre anni di Berlusconismo non hanno intaccato la vocazione del lavoro pubblico ad avere una rappresentanza prevalentemente confederale.

Infine da ultimo, ma non per ultimo dovremo confermare alla nostra categoria il primato conseguito nelle precedenti due elezioni.

E’ un obiettivo alla nostra portata,  purchè si metta in campo la nostra capacità di far vivere nella campagna elettorale i connotati principali di ciò che abbiamo fatto e di ciò che vogliamo fare: difesa dei diritti, rinnovo dei contratti, difesa e valorizzazione del lavoro pubblico come motore dei diritti di cittadinanza.

Giungendo verso la conclusione del mio discorso programmatico risulta credo ormai evidente come il mio programma sia assolutamente in continuità con il lavoro che fin qui abbiamo fatto i cui contenuti, d’altro canto, sono stati fin qui apprezzati da noi, dalla confederazione e,  quel che più conta,  per gli indicatori in nostro possesso (tesseramento, consultazioni sugli accordi, votazione per RSU ed altri organismi), dalle lavoratrici e dai lavoratori della categoria.

La fase che si apre ora però richiederà,  unitamente alla fermezza ed al rigore delle azioni di contrasto fin qui avute nei confronti delle iniziative del governo e delle controparti,  la capacità di mettere in campo nuove proposte.

Per affrontare questo ulteriore carico,  ed essere all’altezza di queste responsabilità,  abbiamo bisogno di una discussione ampia e di una più spiccata collegiabilità. Ci sarà - se mi vorrete eleggere - tempo e modo,  ma voglio fin d’ora dirvi che penso sarebbe utile discutere su come si riesca ad associare alla discussione ed alla direzione operativa,  le strutture regionali e territoriali, mantenendo saldamente nelle mani del direttivo la direzione politica.
 

Sarà a cura di tutti noi,  ed in special modo mia,  garantire che tutti i punti di vista siano presenti nella costruzione delle proposte. A tutti noi è richiesta una rinnovata capacità di ascolto e di influenzamento reciproco. Starà alla capacità ed alle qualità del gruppo dirigente saper far sintesi.
 

Alla fine certamente varrà il principio di maggioranza che però, questo è il mio impegno, non può essere brandito come una clava.

So che molti si aspettano una parola anche riguardo alle questioni amministrative.

Quello che in proposito oggi posso assicurarvi è il mio impegno ad assumere,  a partire dal comitato direttivo che faremo sul bilancio consuntivo,  d’intesa con la CGIL,  tutte le iniziative necessarie a rendere totalmente leggibili e trasparenti a tutto il comitato direttivo le condizioni amministrative e finanziarie della federazione.

Dovrei infine dire di me, ma penso che mi conosciate abbastanza. Posso solo dire che sono davvero onorato della proposta che la CGIL mi ha fatto e che un così gran numero di compagne e compagni del comitato direttivo ha condiviso. Proverò a dare il mio contributo in un’organizzazione che ho attraversato e, se così si può dire, dalla quale sono stato attraversato. Una organizzazione che ho iniziato a frequentare da giovane delegato al congresso di Fiuggi,  che era il primo dopo quello costitutivo. Ho dapprima diretto un settore cosiddetto minore poi ho fatto il Segretario Generale alla FP di Palermo in una esperienza che considero la più significativa nella mia personale formazione, ho avuto poi responsabilità nel dipartimento organizzazione e negli ultimi otto anni mi sono occupato prevalentemente di riforme e contratti.

La Funzione Pubblica va verso i suoi primi 25 anni,  l’ho vista trasformarsi da somma di sindacati di settore a vero sindacato di categoria con una propria identità. Nel corso del nostro lavoro anche su questo abbiamo, soprattutto da ultimo, lavorato: costruire il tratto specifico, l’identità della categoria e l’orgoglio di appartenervi.

L’organizzazione è molto cambiata, quando sono entrato in questa federazione c’erano le componenti, mi presentarono allora subito dopo il Segretario Generale il capo della mia componente.

Ora siamo un sindacato di programma che fa del pluralismo politico e di genere uno dei tratti fondamentali del proprio essere.

Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno dei gruppi dirigenti che si sono succeduti.

Se penso ai segretari generali che ho conosciuto,  parafrasando una nota affermazione,  e riproporzionandola sui nostri piccoli fatti,  penso di essere seduto sulle spalle di giganti. Questo da un lato mi dà solidità, dall’altro,  mi dà la consapevolezza di non potermi permettere il lusso di sbagliare.

La sfida che ci attende è durissima, ma vale la pena di accettarla. Insieme.

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