COMITATO DIRETTIVO - ROMA 18/19 SETTEMBRE 2003

RELAZIONE DI CARLO PODDA  SEGRETARIO NAZIONALE FP-CGIL

Abbiamo deciso di convocare questo Comitato Direttivo, allargato ai segretari regionali e di comprensorio che non ne fanno parte, perché abbiamo ritenuto che fosse necessario coinvolgere il gruppo dirigente più ampio nella discussione sul come affrontare una fase politica ed economica che é sicuramente la più drammatica almeno degli ultimi 10 anni.

E’ trascorso circa un anno e mezzo dal Congresso della categoria e da quello della CGIL. E tuttavia in così poco tempo il governo della destra è riuscito a far precipitare il Paese, le condizioni materiali dei lavoratori e dei cittadini, le stesse strutture democratiche formali e sostanziali che lo sorreggono, in una crisi che, se non si arresta, provocherà effetti che andranno ben oltre la durata di questa legislatura. Dopo poco più di due anni di Governo non c’è un punto, un aspetto, una sede, che sia rimasta immune dall’assalto della ideologia berlusconiana.

Ad iniziare dalla collocazione internazionale così palesemente sub americana. Dico sub americana perché questa posizione di totale sottomissione alle scelte dell’amministrazione Bush non ha nulla a che vedere nemmeno con la storica collocazione filoatlantica dei governi democristiani che pure, fin dal trattato di Roma, collocarono l’Italia in ruolo centrale di promozione e sviluppo dell’Unione Europea.

Questo Presidente del Consiglio ha operato perché l’Europa svolgesse un ruolo comprimario nello scenario internazionale. E’ sufficiente ricordare il balbettio cui l’Europa è stata costretta durante i mesi precedenti la guerra di Iraq. Anche se varrebbe la pena di riflettere sul perché non ci sia una spinta dal basso perché l’Europa viva e svolga un ruolo protagonista. Forse, soprattutto da sinistra, sarebbe giusto impegnarsi a dar voce e corpo ad un Europa che sia attenta ai diritti ed ai bisogni delle persone, almeno quanto lo è ai bilanci ed ai parametri.

E’ evidente che la collocazione in Europa ci salva da derive e crisi simili a quelle dell’Argentina, ma è altrettanto vero che, nella diffidenza con cui larghi strati della popolazione nord europea, da ultimo gli svedesi, continuano a guardare all' Unione, c’è il timore di perdere sicurezza sociale ed un consolidato welfare, che si teme venga sacrificato sull’altare di equilibri economici europei.

Penso cioè che la spinta dei governi di destra europei ad indebolire l’unione e ad attenuare qualsiasi aspetto politico dell’unione stessa, possa essere contrastata solo da un movimento che chieda dal basso di valorizzare la sua diversa storia, la propria realtà sociale politica ad un’ autonoma collocazione internazionale, rispetto a quella nord-americana ed al pensiero-unico dominante di cui la presidenza USA è portatrice.

Contro tutto questo abbiamo assistito all’estremo tentativo di schierare l’Italia in guerra, e solo la forza dei movimenti che si sono opposti e la solidità dell’art. 11 della Costituzione, hanno impedito che questo avvenisse.

La guerra in Iraq, come quella in Afghanistan, era ed è ingiusta, era ed è inefficace. Sono morte e rimaste ferite migliaia di persone innocenti, sono vivi ed in libertà i bersagli dichiarati di queste guerre.

Non è diminuito il consenso di cui godono, in larghe aree del pianeta, i movimenti terroristi che avversano l’occidente, perché non è diminuita l’ingiustizia. La sicurezza per il popolo Israeliano e la pace in Palestina continuano ad essere un miraggio lontano, che nessuna road-map può raggiungere. Ed il presidente dell’ANP, che è il capo di uno Stato indipendente, eletto dal suo popolo, è ancora li confinato dove era quando l’abbiamo ascoltato telefonicamente al nostro Congresso ed è addirittura minacciato di esilio o di morte non da organizzazioni criminali ma dal governo di un’ altro Stato.

Abbiamo fatto bene ad opporci alla guerra e voglio qui cogliere l’occasione per ringraziare quelle centinaia di militanti, compagne e compagni, che con il loro lavoro hanno reso così forte la presenza della categoria in tutte le manifestazioni, e che hanno reso possibile il successo dello sciopero del 20 marzo 2003, all’indomani dei primi bombardamenti in Iraq.

La ricollocazione nello scenario internazionale del nostro Paese è del resto parte di un progetto solo apparentemente sgangherato, ma in realtà determinato ad asportare il nostro sistema dal contesto europeo ed a renderlo più simile possibile a quello nord-americano.

Dalla volontà di raggiungere questo obiettivo discende la necessità di demolire lo stato sociale universale nei suoi capisaldi: istruzione, sanità, previdenza. Sempre da qui discende l’imperativo di trasformare il diritto del lavoro in una branca del diritto commerciale, riformare, ma sarebbe più opportuno dire deformare, la Costituzione, il Parlamento, la forma di Governo ed il sistema elettorale.

Dalla vittoria elettorale del 2001 la Casa della Libertà si sta incessantemente adoperando per trasformare il blocco elettorale, che ha reso possibile tale vittoria, in blocco sociale.

L’affermarsi dei movimenti, con i quali la CGIL ha saputo contaminarsi e dai quali tanta forza ha ricevuto in questi due anni, ha impedito il dispiegarsi di questo progetto ed ha offerto a tante persone una prospettiva, prima di resistenza e poi di cambiamento.

La battaglia per l’art. 18 ha assunto un valore emblematico fino alla grande manifestazione del 23 marzo 2003.

Si tratta ora di riprendere l’iniziativa sul terreno della difesa ed estensione dei diritti, ricongiungendo a pieno l’iniziativa della CGIL con quella dei movimenti e più in generale con le attese delle persone che alla CGIL, e a noi, continuano ad affidare le speranze di difesa della democrazia. Per questo motivo penso abbia fatto bene il Comitato direttivo della CGIL a decidere per questo mese lo sciopero di due ore contro la Legge 30, la precarizzazione del lavoro e per lo sviluppo.

E’ la dimostrazione che quella della CGIL non è stata una fiammata uno sfogo che si è fisiologicamente esaurito In questa stessa direzione va la manifestazione nazionale della FIOM del 17 ottobre a cui è necessario dare adesione e sostegno.

Bisogna dare un segno di continuità e di ripresa della nostra battaglia per i diritti. La categoria parteciperà con forza all’iniziativa della CGIL, nella consapevolezza che non sta partecipando ad una battaglia per solidarietà, ma perché la precarizzazione sta già diventando una caratteristica del nostro lavoro.

Dobbiamo dare certezza a chi rischia di smarrirsi e dobbiamo chiedere orientamenti più stabili ad un’opposizione che, un giorno grida al rischio democratico, e l’altro dichiara disponibilità al dialogo sulle pensioni come sul federalismo.

La ripresa dell’ iniziativa sui diritti e sull’art. 18 sconta oggi, dal mio punto di vista, un doppio errore: la promozione di un referendum da parte di una forza politica della sinistra sull’ estensione art. 18 e la scelta di altra parte della sinistra, al momento del voto, di astenersi. Queste scelte hanno di fatto oggettivamente svuotato agli occhi dell’opinione pubblica vasta, l’istituto referendario e ne rendono complicata, oggi la riproposizione, provocando un doppio effetto sul piano politico e su quello sindacale. Non c’è dubbio infatti che sarà più difficile per la CGIL riproporre il referendum abrogativo per la Legge 30 e, per l’opposizione, riaggregare quanti, con Di Pietro, hanno scelto di raccogliere le firme per il referendum sulla giustizia.

E giacchè ci sono, da cittadino elettore, mi verrebbe voglia di chiedere a chi ci propone, per l’ennesima volta, non una sfida sui contenuti e sui programmi della politica, ma sulle sue forme: un partito dei riformisti, ma per fare che?

Veniamo tutti da una storia collettiva nella quale per fare un partito o farne nascere uno nuovo da un altro, si determinava un travaglio, un’ elaborazione, insomma si costruivano idee che, per adesione o contrapposizione, traversavano anni. E’ troppo pretendere di sapere, su due o tre punti fondamentali, in che modo questo nuovo partito dovrebbe esercitare la sua capacità di riforma? E mi chiedo, è ancora troppo pretendere che queste idee durino almeno lo spazio di un programma elettorale? Un programma che deve essere ideato, confrontato e condiviso tra tutte le forze dell’opposizione, a cui l’elettorato chiede di essere unita in un’alleanza vasta più ampia di quella che ha perso nel 2001, che tenga insieme le forze politiche da Di Pietro a Rifondazione e che sappia cogliere la proposta e la spinta che viene dai movimenti.

Penso che la CGIL, e per la nostra parte anche noi, possa dare un contributo a questo programma, confermando la vocazione storica di un sindacato che, da Di Vittorio a Lama, non ha voluto essere partito, ma è sempre stato, ed ha sempre voluto essere, un soggetto politico. Abbiamo con questa radicata convinzione dato il nostro contributo a tutto la straordinario movimento di questi ultimi due anni, e tenuta dritta la barra di una rotta contrassegnata dalla convinzione che, nei nostri settori, difendere ed estendere i diritti di chi lavora è spesso coincidente con la difesa di chi usufruisce dei servizi prodotti . Per questo non comprendo ed anzi contesto radicalmente la pretesa di quei compagni che hanno“……… del tutto chiaro che il sindacato agisce esclusivamente sul terreno dell’organizzazione sociale e della rappresentanza degli interessi………….” Questo autoconfinamento del sindacato sarebbe un errore straordinario, lo snaturamento della CGIL e, per chi come noi incrocia tutti i giorni il proprio lavoro con i diritti delle persone, francamente impossibile. Che questo ci sia stato chiesto dalle controparti e da altri sindacati è persino comprensibile. Che si levino nella CGIL voci che chiedono ciò è, a mio parere, inaccettabile. Ovviamente nel dibattito ogni posizione è legittima, ma per una svolta come questa è necessario travolgere il Congresso di Rimini e farne un’ altro. Noi non lo riteniamo nè necessario nè utile, ma se qualcuno pensa di fare questo cambiamento, magari senza dirlo in esplicito, attraverso una lotta od un aggiustamento tra burocrazie sindacali, sappia che non gli sarà consentito. Gli iscritti alla CGIL, i lavoratori, le persone che con tanta passione hanno lottato con noi in questi anni, hanno il diritto di dire ciò che pensano e i gruppi dirigenti hanno il dovere di tenerne conto.

E del resto perché dovremmo cambiare o ripensare al nostro passato se, dal tesseramento alle manifestazioni, passando per i risultati elettorali dei posti di lavoro nei quali si è votato, abbiamo registrato solo successi.

Questa solida impostazione sul terreno generale non ha significato per noi abdicare sul terreno della rappresentanza diretta degli interessi.

Abbiamo fatto l’accordo del 4 febbraio del 2002 e sottoscritto le intese dello Stato, degli Enti pubblici e dell’Igiene Ambientale. Abbiamo fatto accordi ogni volta che era possibile, laddove per possibile, va inteso il momento in cui è stato possibile difendere i salari ed i diritti.

Siamo ora nel quadro di una recessione vera. Dal PIL, ha detto qualcuno, non si misura la felicità di un popolo quando va bene, aggiungo io, figuriamoci quando va male.

L’Italia è oggi più povera, il lavoro è diminuito, è alle porte una legge finanziaria che: conterrà la straordinaria innovazione di un condono edilizio, tagli ai trasferimenti al sistema delle autonomie (leggasi ulteriore riduzione dei servizi alla persona), tagli alle spese dei ministeri risorse incongrue ed insufficienti per i nostri contratti. Mentre si annuncia la manomissione del sistema previdenziale. Abbiamo già avuto modo di dire, da soli ed unitariamente, che la perequazione dei trattamenti tra pubblico e privato passa esclusivamente per l’avvio della previdenza integrativa .

Il 70% dei lavoratori iscritti all’INPDAP è oggi nel sistema misto retributivo-contributivo o totalmente contributivo e rischia di avere alla fine della propria vita lavorativa una pensione pari o inferiore al 50% della retribuzione.

Abbiamo unitariamente già detto al governo ed all’ opinione pubblica che ogni intervento ulteriormente peggiorativo comporterà lo sciopero generale delle categorie pubbliche. Inoltre non è dato ancora sapere, ma allo stato non vi è traccia, qual’è il grado di recepimento dell’’intesa confindustria CGIL-CISL-UIL sul rilancio e lo sviluppo. Gli investimenti per l’innovazione, la formazione e la ricerca latitano. Il Presidente del Consiglio annuncia trionfalmente che la manovra sarà fatta per due terzi di provvedimenti una tantum.

La riduzione delle tasse è solo un ricordo. Mentre è certa la riduzione del gettito di chi cioè paga le tasse, per ora nascoste dai condoni.

Insomma anche per quest’anno il miracolo è rinviato.

In questo quadro va collocata la necessità di prendere atto del fatto che questo governo ha distrutto la politica dei redditi. Di conseguenza le piattaforme per il prossimo biennio contrattuale non potranno essere costruite nel modo nel quale l’abbiamo fatto dal 23/07/’93. Pensiamo di proporre, a CISL e UIL e poi ai lavoratori, piattaforme che prevedano il recupero integrale del differenziale tra inflazione reale e programmata, più un incremento, pari all’inflazione attesa in Italia secondo le stime dei maggiori istituti statistici ed economici nazionali ed europei, una quota di produttività, più una quota di maggiore inflazione per quei beni a domanda rigida (casa, alimentazione, istruzione) verso i quali è indirizzata la spesa incomprimibile dei redditi medio bassi. E’ bene in proposito ricordare che in tale fascia di reddito sono compresi tutti i redditi fino a 25.000 euro lordi e che essi costituiscono il 90% dei redditi del nostro Paese, e sono sostanzialmente il reddito della totalità delle persone che noi rappresentiamo.

E’ bene su questa vicenda essere chiari fin da subito. E’ emersa l’evidenza di una ineludibile questione salariale che non può essere ignorata. Bisogna redistribuire reddito e i rinnovi contrattuali sono lo strumento che il sindacato ha a disposizione. Questa scelta, se condivisa, deve essere connotata da una totale consapevolezza del gruppo dirigente della durezza del conflitto che si va ad aprire.

Per poter far questo in ogni caso noi dobbiamo preliminarmente chiudere , la stagione contrattuale in corso.

Nel mese di Agosto sono state varate tutte le direttive. E’ questo il frutto della capacità di mobilitazione dimostrata. Ricordo che l’apertura dei tavoli è costata a noi e soprattutto alle lavoratrici ed ai lavoratori quattro giornate di sciopero.

E solo la grande manifestazione del 27 giugno, svoltasi in condizioni proibitive, e per la cui riuscita voglio ancora oggi ringraziare i dirigenti, i militanti le persone che l’ hanno resa possibile, ha costretto il Governo ad aprire i tavoli. Lo ribadisco qui, perché penso vada reso più evidente di quanto non sia stato fatto finora, il nesso che c’è tra la lotta ed i suoi risultati, anche perché è possibile, anzi probabile, che si debba tornare a chiedere alle lavoratrici ed ai lavoratori di tornare di nuovo a lottare per il loro CCNL.

Il fatto che il negoziato sia finalmente all’avvio ha per ora messo all’angolo quei soggetti che puntavano a non rinnovare i CCNL per poterli superare, in particolare, nel sistema delle AA.LL. e della Sanità. E’ bene però ricordare che questi soggetti non hanno abbandonato la scena, sono solo un passo indietro, in attesa ed al lavoro per un qualche evento che li riporti in primo piano. E di questo nel negoziato occorrerà costantemente tener conto.

Riconfermiamo con forza la nostra scelta di non sottoscrivere CCNL che abbiano contenuti propri della L. 30 e delle nuove forme di tempo determinato. Gli stessi decreti applicativi rinviano la materia ad un ulteriore decreto del Ministro della Funzione Pubblica, riconoscendo in ogni caso che non di materia contrattuale si tratta, Sull’eventuale decreto stiamo valutando con la Consulta giuridica della CGIL la possibilità di sostenere la tesi di una sua non emanabilità. Sembra infatti a noi che il decreto ecceda per così dire la delega, in quanto la Legge 30 afferma con chiarezza l’inapplicabilità di tali disposizioni nel pubblico impiego. Se questa impostazione sarà confermata, risolveremmo in radice il problema, rimanendo in vigore tutte le disposizioni legislative e contrattuali per così dire speciali esistenti. Rimarrebbe da affrontare in questo caso solo la questione dei co.co.co., che per le caratteristiche che hanno nei nostri posti di lavoro, potrebbero, con una nostra vera e diffusa iniziativa vertenziale, essere trasformati in rapporti di lavoro dipendente.

Se dovesse invece prevalere la tesi della applicabilità della Legge 30, penso che al tavolo di Palazzo Vidoni la CGIL non possa che avere lo stesso atteggiamento di radicale opposizione che ha avuto in questi due anni a Palazzo Chigi. Rimane ovviamente la necessità di attrezzare la nostra contrattazione integrativa, come individua il documento predisposto dal dipartimento mercato del lavoro, alle novità comunque introdotte e che in ogni caso, anche con forzature, i singoli amministratori tenteranno di introdurre.

Ma tornando allo stato delle trattative, ed iniziando dai CCNL numericamente più piccoli, c’è da registrare per la Presidenza del Consiglio una impostazione della trattativa inaccettabile per gli effetti che determinerebbero le ipotesi della controparte, sia sui destinatari del contratto, che su gli altri comparti.

Si parte da un richiesta di aumento a 40 ore dell’orario di lavoro per arrivare ad una proposta di classificazione in cui siamo alla riproposizione dell’armamentario del vecchio, vecchissimo, pubblico impiego. Si potrebbe dire con una battuta che manca solo il merito comparativo.

Le proposte avanzate per le Agenzie Fiscali sono ancora del tutto nebulose, mentre per quanto ci riguarda è del tutto evidente che non possiamo accettare un contratto fotocopia del comparto ministeri, una depressione della base di calcolo, una classificazione che non contenga almeno la soluzione dei problemi provocati dalla sentenza della Consulta, i cui destinatari erano proprio i lavoratori delle Agenzie Fiscali.

Nel CCNL delle aziende siamo in presenza dell’unico tavolo con piattaforme separate tra CGIL-CISL-UIL.

Il motivo è noto: si tratta della conseguenza della scelta ideologica di CISL e UIL del settore, compiuta in merito alla ricollocazione della categoria nel comparto sicurezza.

Non riprendo qui per ragioni di tempo le ragioni per cui ci opponiamo a questa scelta, mi limito a dire che per intanto CISL-UIL dovrebbero riconoscere che sono dovute venire all’ARAN, dopo aver stentoreamente dichiarato la loro indisponibilità. Inoltre ribadisco il nostro obiettivo principale in questa rivendicazione, istituire una indennità, da attribuire a chi effettivamente opera gli interventi, pari almeno a 150 euro e che prescinda dalle quantità messe a disposizione per il rinnovo.

Per il comparto delle AA.LL. e quello della Sanità abbiamo chiesto di arrivare sollecitamente ad una fase del negoziato ultimativa. Vale a dire che, o si profila un percorso di conclusione del negoziato, oppure si deve prendere atto della rottura del tavolo, con le azioni sindacali conseguenti. Ciò che serve per chiudere è, sul tavolo delle AA.LL., alleggerire la normativa, liberalizzare l’utilizzo delle risorse aggiuntive previste.

Consentire una distribuzione delle risorse secondo i criteri già utilizzati nei rinnovi degli altri contratti.

Nel comparto della Sanità è necessario che la controparte, le regioni, comprendano che aver predisposto una direttiva che non richiede stravolgimenti dell’attuale normativa contrattuale non è sufficiente a consentire la stipula del contratto.

L’offerta di complessivi 103 euro per il rinnovo è frutto di una evidente ed artificiosa contrazione della base di calcolo, nella quale è stato del tutto neutralizzato l’incremento del salario complessivo, dovuto alla contrattazione integrativa.

Abbiamo la fondata impressione che le regioni, avendo raggiunto l’accordo con il Ministero dell’ Economia sui finanziamenti ulteriori da avere dallo stato centrale per il rinnovo contrattuale, vogliano furbescamente risparmiare sulla quota di loro pertinenza. Inoltre nessuno ci toglie dalla testa l’idea che il vero problema non sia determinato - entro limiti ragionevoli - da quanto si spende, ma da chi spende. In sintesi è meglio per il comitato di settore della Sanità un contratto regionale più ricco, a scapito di quello nazionale, piuttosto che un CCNL in linea con gli accordi già fatti, che costringa gli entusiasti sostenitori della contrattazione regionale a spendere di tasca propria.

In ogni caso, per quanto ci riguarda, siamo abbondantemente oltre il tempo necessario. Come potete constatare siamo in una situazione non brillante ed anche nei settori non pubblici non va meglio.

Nella giornata del 16 settembre si sono rotte le trattative con l’UNEBA, sul punto qualificante del nuovo inquadramento,e il giorno 24 una riunione unitaria delle strutture deciderà la data dello sciopero nazionale, di cui dobbiamo garantire la piena riuscita, sapendo che questa dipende in gran parte dal lavoro che riusciremo a svolgere noi. Ricordo che si tratta di circa 80.000 addetti.

Tornando ai contratti ARAN voglio dire con chiarezza che le condizioni sulle quali si può costruire un’intesa sono note. O nel prossimo incontro si profila il percorso che conduce all’accordo, oppure siamo già d’accordo con CISL e UIL dovremo mettere in campo il massimo del conflitto possibile.

Dovremo essere grado in costruendo le condizioni per questa mobilitazione, di avere il massimo di adesione alle iniziative di lotta.

Le nostre lotte saranno come sempre attenti ai diritti dei cittadini ma deve essere chiaro che abbiamo esaurito ogni pazienza.

Non tollereremo ulteriormente letture, complicazioni burocratiche, interpretazioni di parte, sulla proclamazione ed effettuazione degli scioperi.

La necessità di garantire il diritto all’esercizio dello sciopero, con la stessa efficacia con cui si garantiscono i servizi, è per noi inderogabile. Coniugare questi due diritti è da sempre anche un nostro obiettivo ed una nostra pratica, ma accettare supinamente l’attività di una commissione che da ultimo sembra lavorare non per regolare, ma per limitare il diritto allo sciopero, sarebbe sbagliato e inaccettabile. Del resto, che si sia oltrepassato un limite, è dimostrato anche dal recente tentativo della commissione di deliberare sullo sciopero generale.

A questo tentativo CGIL-CISL-UIL si sono opposte con fermezza, ma sono convinto che la volontà di attaccare anche questo diritto, tornerà a manifestarsi e noi dovremo essere pronti ad opporci.

Concludendo, compagne e compagni, ripensando rapidamente a ciò che in questi due anni abbiamo fatto, penso che possiamo essere soddisfatti per come, insieme a tante altre persone, movimenti, soggetti, che si sono affacciati per la prima volta, o sono ritornati con entusiasmo alla passione politica e sociale, siano riusciti a delimitare l’invasività distruttiva del governo Berlusconi.

Ma il nostro lavoro deve continuare. Per questo il processo messo in campo negli ultimi due anni di partecipazione e lotta per il cambiamento, non può arrestarsi, dovrà arricchirsi anzi di nuovi soggetti. Man mano che le vere intenzioni del governo Berlusconi divengono chiare per tutti, ora che il fumo della propaganda si è dileguato per lasciar posto all’evidente declino del Paese, ancora altre persone ed altri soggetti chiederanno tutela e cambiamento. Sta a noi dare voce a queste persone. Questa è del resto la linea scelta al nostro Congresso e a quello della CGIL, ed è per noi chiaro che non c’è motivo alcuno per cambiarla.

 

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