DOCUMENTO CONCLUSIVO DEL COMITATO DIRETTIVO CGIL NAZIONALE 16-17 DICEMBRE 2003

1. Il Direttivo Nazionale della CGIL, riunito a Roma il 16 e 17 dicembre 2003, approva la relazione del segretario generale Guglielmo Epifani. La grande partecipazione di lavoratori, giovani e pensionati allo sciopero generale del 24 ottobre, alle manifestazioni del 15 e del 29 novembre e alla manifestazione del 6 dicembre confermano e rafforzano le analisi e l'impegno unitario di CGIL CISL e UIL contro la delega previdenziale e una legge finanziaria iniqua che taglia lo stato sociale e contrasta con l'esigenza di realizzare politiche di sviluppo.

Anche l'incontro chiesto dal Governo alle organizzazioni sindacali confederali all'indomani della manifestazione del 6 dicembre conferma quanto la riuscita della stessa abbia inciso sul paese e sulla politica, rendendo ancor più evidenti gli errori strategici del governo sull’intera politica economica e la inaccettabilità degli atti unilaterali e contro i lavoratori e pensionati.

Nell'incontro che si è svolto il 10 dicembre in merito alla delega previdenziale, le posizioni del Governo e delle organizzazioni sindacali sono rimaste sostanzialmente invariate e chiaramente inconciliabili tra loro.

La CGIL continua a sostenere la necessità del ritiro di un provvedimento che si presenta inemendabile, e solo a condizione di un evidente cambio di linea è possibile un negoziato. Con queste premesse non ci siamo sottratti alla richiesta del Governo di un confronto, previa sospensione dei lavori parlamentari sulla delega fino al 10 gennaio, andando a verificare in questo lasso di tempo, la "vera" disponibilità del Governo a discutere nel merito di una proposta alternativa e complessiva sullo stato sociale.

Nel frattempo è importante che si addivenga ad una proposta sindacale unitaria, in grado di parlare al paese, che dovrà essere discussa in tutti i posti di lavoro e ricevere il consenso dei lavoratori e dei pensionati.

L'andamento degli stessi lavori parlamentari sulla legge finanziaria e il decreto-legge collegato, i reiterati voti di fiducia che hanno impedito ogni possibilità di introdurre correttivi, confermano che il vero ed unico obiettivo del Governo è quello di sostituire alle una tantum e ai condoni tagli strutturali di spesa e quindi, in modo diretto e differito, di fare cassa ancora una volta comprimendo la spesa sociale nel suo complesso.

1.1. La CGIL riafferma l’esigenza di portare con gradualità ma in tempi certi la spesa sociale italiana a livello medio europeo per rafforzare il welfare, come strumento fondamentale dello sviluppo e della competitività del sistema economico nazionale. Le scelte operate dall’attuale governo, invece, hanno ridotto tutto il sistema delle prestazioni sociali , dalla scuola al sistema socio-sanitario, dalla prevenzione (vedi anche il documento unitario in materia di delega su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) alla rete degli ammortizzatori sociali , ad una condizione di cronico sottofinanziamento. Ad esempio la sottostima del fabbisogno ha portato il servizio sanitario nazionale ad un deficit di circa 18 miliardi di Euro a cui si aggiunge l’enorme accumulo di miliardi (circa 15) frutto del ritardo col quale lo stato versa alle regioni le somme dovute. Inoltre, con la riduzione del fondo per le politiche sociali e il taglio dei trasferimenti ai comuni tutta l’area dei servizi affidati alle autonomie locali viene a trovarsi in una condizione di squilibrio strutturale che può diventare irreversibile.

1.2. Intervenire su questi temi comporta la sostanziale rimessa in discussione della politica fiscale del governo socialmente iniqua nei confronti dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, già penalizzati dalla mancata restituzione del drenaggio fiscale, da una maggiore imposizione sul TFR, dalla cancellazione delle specifiche detrazioni per i pensionati (penalizzati ulteriormente anche da una no-tax area meno favorevole), fattori tutti che acuiscono il problema della insufficiente rivalutazione del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni.

La CGIL ribadisce la più netta contrarietà alla delega fiscale voluta dal Governo che annulla il principio di progressività e pratica una redistribuzione delle risorse dai meno abbienti ai redditi alti. Occorre riconciliare i cittadini con il sistema fiscale ponendo fine alla politica dei condoni e dei concordati, riprendendo una battaglia intransigente contro l’elusione e l’evasione fiscale. Occorre che ci si ponga l’obiettivo di mettere in valore il risanamento degli anni ’90 per corrispondere alle mutate esigenze sociali, anziché affrontare come tema prioritario, come fa il governo, la riduzione del gettito fiscale.

Vanno altresì monitorati i risultati dell’applicazione dell’ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) per verificare la capacità di questo strumento di selezionare in modo equo l’accesso ai servizi e il pagamento delle compartecipazioni.

1.3. La delega previdenziale rientra a tutti gli effetti nella filosofia di questo Governo, che mira allo sgretolamento del sistema pubblico per arrivare anche in questo campo alla privatizzazione. Processi in linea con lo smantellamento del Welfare pubblico e universale che apre varchi vistosi a nuove forme di assicurazione sostitutiva e di privatizzazione dei servizi, secondo l’ideologia del libero mercato delle prestazioni sociali e del capitalismo compassionevole.

Intenzione evidente anche nel progetto di legge di devoluzione, che mina alle radici la unitarietà del paese anche nel sistema di stato sociale.

2. La riduzione di ruolo della protezione pubblica viene manifestata in tutta la prima parte della delega previdenziale sulla quale rimangono pienamente confermate le valutazioni unitarie già espresse su decontribuzione, uso del TFR ai fini dello sviluppo della previdenza complementare, parificazione tra fondi aperti e fondi negoziali.

Per quanto concerne lo sviluppo della previdenza complementare, si conferma come questa debba avvenire attraverso la netta distinzione tra la stessa e i piani pensionistici individuali, la individuazione di incentivi fiscali che ne amplino la convenienza e modalità di investimento delle risorse che offrano maggior garanzia di rendimento, soprattutto per le quote corrispondenti ai conferimenti del TFR. Ma l'adesione deve rimanere una libera scelta del lavoratore realmente esercitabile anche qualora si addivenisse alla formula del silenzio assenso, come sollecitato dalla COVIP e dalle recenti posizioni assunte dalle associazioni dei gestori.. Devono, inoltre, essere risolti i problemi inerenti lo sviluppo della previdenza complementare per i lavoratori del pubblico impiego, il cui avvio è considerato inderogabile.

Va poi affrontato il tema della protezione dei lavoratori che hanno aderito alla previdenza complementare nel momento del pensionamento e della trasformazione del montante contributivo in rendita. Ad ora le rendite erogate sono molto poche e di fatto non c'è un vero mercato che assicuri certezze circa la rivalutazione nel tempo delle rendite medesime. Sotto questo profilo, una maggiore protezione potrebbe venire se i montanti maturati con i fondi pensione, all'atto dell'erogazione delle rendite, fossero riportati in gestione agli enti previdenziali pubblici (INPS, INPDAP...) che potrebbero trasformarli in trattamenti aggiuntivi a quelli della pensione obbligatoria, applicando le stesse formule di conversione. Tale decisione garantirebbe la copertura dal rischio di inflazione, difficilmente ottenibile nel mercato finanziario, un'equiparazione dei trattamenti per genere a prescindere dalla diversa speranza di vita, e probabilmente qualche aiuto a sostenere nei prossimi anni il peso finanziario della "gobba", considerato che i flussi finanziari che fanno capo agli enti della previdenza contano nella determinazione del fabbisogno pubblico. Questa operazione renderebbe più semplice anche la dinamica della previdenza complementare per il pubblico impiego, dal momento che già ora l'eventuale adesione dei lavoratori comporta l'attribuzione di un TRF "virtuale" presso l'INPDAP.

2.1. La CGIL ritiene indispensabile la conferma del doppio canale di accesso al pensionamento prima dell'età pensionabile (40 anni di anzianità da raggiungere secondo la scansione già definita o 35 anni di contribuzione a 57 anni di età) e ritiene inaccettabile l'alterazione di questo principio, peraltro coerente con l'assetto a regime delle possibilità di pensionamento previste dalla riforma Dini. Ritiene, quindi, che la proposta del Governo non sia emendabile perché iniqua socialmente e irrazionale dal punto di vista economico. L’aumento nel 2008 di ben cinque anni dell’età di pensionamento si scontrerà con comportamenti opposti delle imprese,e creerà problemi rilevanti al mercato del lavoro che, per tutto il prossimo decennio, vedrà ancora l’afflusso di coorti numerose di giovani in cerca di prima occupazione.

Questa misura, a differenza di quanto sostenuto dal Governo, non si propone di affrontare il problema della cosiddetta gobba demografica. Essa, infatti, non stabilizza, ma riduce la spesa pensionistica tra il 2008 e il 2015 al di sotto dell’attuale livello, comprimendo la spesa sociale ancora più in basso rispetto a quella media europea, dimostrando chiaramente l’intenzione di utilizzare i tagli previdenziali per reperire risorse volte a completare la politica fiscale decisa dal governo.Nel lungo periodo, invece, l’emendamento del Governo, provocando l’aumento della pensione media, genera ulteriori squilibri in termini di maggiore spesa, squilibri che vengono corretti a danno delle flessibilità introdotte dalla riforma Dini, che sono del tutto abolite. Si configura in questo modo, anche a regime, un sistema pensionistico rigido, incapace di misurarsi con un’economia sempre più flessibile.

2.2. La CGIL ritiene, invece, che sia necessario portare a compimento la riforma DINI e prevedere una serie di nuove misure tese ad estendere diritti e tutele, anche in relazione al mutare delle dinamiche del mercato del lavoro e all’emergere di figure “deboli”.

La CGIL ritiene che si debbano perseguire i seguenti obiettivi:

 estendere i diritti e le tutele ai lavoratori e lavoratrici che oggi ne sono esclusi, anche con una profonda riforma degli ammortizzatori sociali, ritenendo del tutto insufficiente il semplice innalzamento dell’attuale trattamento di disoccupazione ordinaria. Si rinvia a quanto già deliberato dal CD della CGIL in materia di ammortizzatori sociali;

 per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati è necessario estendere a questi lavoratori l’insieme dei diritti sociali a partire da una piena tutela in materia di malattia,maternità, infortuni,indennità di disoccupazione e sostegno al reddito, nonché il principio della totalizzazione dei contributi. Fuori da questo quadro il solo innalzamento dell’aliquota contributiva rischia di tradursi in una perdita di reddito, con un pericolo di fuga dal fondo o aumento del sommerso, in una trasformazione di molte collaborazioni in partite Iva. Le proposte predisposte dalla CGIL in merito alla unificazione del mondo del lavoro e alla riforma degli ammortizzatori sociali vanno proprio in questo senso;

 prevedere modifiche nel sistema contributivo per tutte le donne e gli uomini che svolgono lavori saltuari, precari, stagionali o nuove forme di lavoro, per garantire loro l’accesso ad una pensione dignitosa. Per tali lavoratori, e per le donne in particolare, infatti, è oltremodo difficile se non impossibile raggiungere una delle condizioni indispensabili per maturare il diritto a pensione:quella di avere un importo di pensione pari a 1,2 volte l’assegno sociale, condizione necessaria fino al compimento dei 65 anni. Per tali lavoratori si propone, pertanto, che l’importo da raggiungere debba essere pari a quello dello assegno sociale. Inoltre, è da valutare anche con estrema attenzione la possibilità di prevedere nei confronti di questi lavoratori un’aliquota di computo delle prestazioni maggiorata rispetto a quella effettivamente pagata, rafforzando criteri di solidarietà motivati e visibili all'interno del complessivo sistema previdenziale e ricorrendo alla fiscalità generale;

 trovare soluzioni adeguate per i lavoratori e le lavoratrici che svolgono attività part-time, dal momento che la normativa attuale risulta, sia nel sistema retributivo (part-time ciclico) sia nel sistema contributivo, penalizzante e di conseguenza disincentivante rispetto alla scelta di questa forma di lavoro (che spesso per le donne è l’unico modo di lavorare);

 prevedere la copertura figurativa “piena” per i periodi di congedo parentale e per il lavoro di cura (vedi casi di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time dovuti alla necessità o alla volontà di dedicarsi alla cura di familiari anziani o disabili): ciò se veramente si vuole incentivare il lavoro femminile e nello stesso tempo si vuole arrivare ad una vera e sostanziale parità nelle responsabilità familiari, così come è necessario estendere l’accredito della contribuzione per i periodi di congedo per formazione o per eventi particolari che ora sono completamente scoperti ai fini pensionistici;

 dare realmente avvio ai fondi negoziali nazionali di previdenza complementare per tutti i settori fino ad ora di fatto esclusi, a partire dal pubblico impiego e dal settore dell’artigianato;

 individuare sistemi efficaci che incentivino gli “anziani” a restare al lavoro nonostante il raggiungimento del diritto a pensione. La proposta della CGIL sugli incentivi non prevede benefici retributivi o fiscali bensì benefici sul trattamento pensionistico (maggiorazione del rendimento per ogni anno di attività lavorativa prestato dopo la maturazione del diritto a pensione). La CGIL ritiene inoltre che debbano essere creati sistemi premianti anche per coloro che decidono una uscita morbida dal mondo del lavoro, trasformando il loro rapporto da full- time a part-time e introducendo modifiche normative e del mercato del lavoro finalizzate a garantire il diritto degli anziani al lavoro;

 estendere il principio della totalizzazione dei contributi per garantire a tutti i lavoratori la possibilità di avere un unico trattamento di pensione;

 ripristinare la facoltà di opzione per il sistema contributivo;

 riprendere l’iniziativa e portare a compimento la normativa relativa ai lavori usuranti, confermando anche l'esigenza di ridefinire la normativa sui benefici previdenziali dell’amianto, di fatto eliminati con la conversione in legge del decreto legge 269 del 2 ottobre 2003;

 è necessario ridefinire complessivamente la normativa sui diritti sociali dei lavoratori migranti, prevedendo anche nei loro confronti l’estensione degli stessi diritti di cui godono i lavoratori italiani, da molti dei quali sono attualmente esclusi. A tale riguardo è necessario prima di tutto che l’Italia riprenda le trattative per stipulare con i paesi terzi non comunitari accordi bilaterali o multilaterali di sicurezza sociale;

 è necessario continuare nella lotta all’evasione e all’elusione contributiva, senza utilizzare lo strumento dei condoni, ma facendo rispettare le regole ed intensificando i controlli anche con un rafforzamento degli organici. Al riguardo si rinvia alla specifica proposta elaborata dalla CGIL per l’emersione del lavoro nero. A tal proposito sono da incentivare quelle esperienze che attraverso incentivi mirati, spingono le imprese a concretizzare la responsabilità sociale dell’impresa sul versante dei diritti, delle tutele e della legalità.

 completamento del processo di armonizzazione delle regole, soprattutto sul versante delle aliquote contributive e nel rapporto tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, i cui fondi registrano da alcuni anni disavanzi crescenti e per i quali si pongono problemi di adeguatezza nel sistema a regime delle pensioni maturate con le attuali aliquote;

 continuare nella separazione tra previdenza ed assistenza, per chiarire fino in fondo l’imputazione dei relativi oneri e di conseguenza l’effettivo costo che fa capo al sistema previdenziale;

 è necessario che il Governo riconosca che esiste una larghissima fascia di pensioni povere, oltre 6 milioni, che va ben al di là della soglia individuata dalla finanziaria 2002. Ciò significa che occorre avviare gradualmente la realizzazione del minimo vitale per tutti i soggetti disagiati, quale nuovo diritto sociale; procedere alla correzione dei criteri di distribuzione delle risorse, ampliare la platea dei beneficiari dell'aumento previsto dalla finanziaria 2002 introducendo una più accentuata salvaguardia per le prestazioni di carattere previdenziale;

 garantire alle pensioni il loro potere di acquisto, di conseguenza bisogna immediatamente dar corso a quanto è previsto dal decreto legislativo 503/1992, in merito all’istituzione di una verifica periodica tra Governo e parti sociali sull’andamento del reddito netto dei pensionati per definire misure correttive della attuale perequazione automatica e interventi di riduzione del carico fiscale sia a livello centrale che locale, tenendo conto anche della esigenza di intervenire sul sistema delle rette e delle tariffe.

2.3. Siamo, quindi, nell'ambito di una proposta che rafforza il sistema introdotto dalle riforme degli anni '90, affrontando il problema serio che riguarda la cosiddetta "adeguatezza" dei redditi pensionistici degli anziani e, quindi, la necessità di intervenire a favore delle parti più deboli del sistema, ossia le lavoratrici e i lavoratori con carriere discontinue e meno brillanti, ridisegnando le solidarietà interne al sistema e il contributo dello Stato.

E' nell'ambito di questo processo che vanno viste anche le dinamiche future della spesa e la sostenibilità della stessa, garantendo, come abbiamo fatto fino ad ora, la capacità del sistema previdenziale di mantenere l’equilibrio finanziario coniugato alla sostenibilità sociale. La CGIL ribadisce come quella che ad oggi è prevedibile come curva di aumento della spesa futura non sia assolutamente allarmante, né tale da determinare interventi di ulteriore compressione sulla struttura dei diritti previdenziali.

In questi anni abbiamo registrato riduzioni di spesa, in percentuale sul PIL, consistenti che hanno permesso sia di risanare i conti degli enti previdenziali che di ridurre la partecipazione del bilancio dello Stato.

La cosiddetta "gobba" non è da considerare patologica, cioè determinata da rendimenti pensionistici elevati rispetto alla media europea, né da un accesso al pensionamento in età troppo giovane, anch'essa nella media europea; va invece considerata fisiologica, in quanto determinata naturalmente dalla concomitanza di una fase con maggior numero di pensionati rispetto alla popolazione attiva, per gli effetti della natalità di questi decenni.

Molto influirà sulle dinamiche future il possibile sviluppo del paese e soprattutto l'andamento dell'occupazione dal punto di vista quantitativo e delle sue tutele retributive e in termini di diritti collegati, nonché la determinazione necessaria per contrastare il lavoro nero e le evasioni ed elusioni contributive.

Già altri paesi europei (10 su 15) si sono orientati verso la costituzione di fondi di riserva investiti e finalizzati a intercettare il momento di maggior spesa fisiologica determinata dalle dinamiche demografiche. Si ritiene che la validità di un sistema a ripartizione non sia alterata dalla costituzione di un fondo a capitalizzazione temporanea, volto a incrociare il momento di maggior spesa per la concomitanza dei fattori sopra descritti. L'alimentazione del fondo può avvenire in diversi modi, sia con gli attuali maggiori risparmi (ad esempio derivanti dalla nostra proposta in materia di incentivi al prolungamento dell'attività lavorativa) e con le maggiori entrate derivanti dalla armonizzazione e dalla nostra proposta di gestione delle rendite dei fondi pensione da parte degli enti pubblici, sia utilizzando in modo più razionale e sinergico gli oneri non salariali che gravano sul costo del lavoro e che, se opportunamente investiti ,permettono di lasciare inalterati i diritti dei lavoratori e possono liberare risorse per autofinanziare la maggiore spesa pensionistica.

Affrontare ora questo insieme di temi è propedeutico ad indirizzare anche il futuro dibattito in merito alla verifica del 2005 prevista per l'analisi dei coefficienti di conversione del sistema contributivo. La CGIL ribadisce fin da ora che quella verifica non solo non va anticipata rispetto ai tempi stabiliti, ma non potrà vedere alcun automatismo di modifica dei coefficienti di trasformazione in relazione alle mutate aspettative di vita. E’ evidente che quella verifica può assumere un carattere positivo e non penalizzante solo se affrontata a valle di un processo di reale armonizzazione e di rafforzate tutele, a partire dalla reale esigibilità al diritto della pensione complementare.

3. Occorre inoltre continuare con forza l’iniziativa sul versante delle politiche per l’istruzione e la formazione.

Dopo due anni e mezzo, il bilancio negativo dell’operato del Governo è sotto gli occhi di tutti: gli organici del personale sono stati falcidiati aumentando l’area del lavoro precario; le risorse stanziate per l’istruzione (90 milioni di euro per il 2004) e l’università coprono a stento il funzionamento ordinario; l’autonomia dei sistemi di formazione è aggredita sul fronte delle risorse e del proprio ruolo istituzionale; si sono avviati prepotentemente processi di privatizzazione dell’università. Nel frattempo questo Governo ha abolito l’obbligo scolastico a 15 anni ed ha approvato una legge di riordino senza confronto vero né con le organizzazioni sindacali , con il Parlamento, con il mondo della scuola.

L’ampia partecipazione che si è espressa con forza in piazza il 29 novembre ed il successo delle liste della CGIL scuola, nell’ambito di un rafforzamento della presenza confederale, nelle recenti elezioni delle RSU devono costituire i riferimenti per bloccare i tentativi di penalizzare la scuola di base e per sconfiggere l’obiettivo perseguito dalla maggioranza di cancellare le rappresentanze sindacali unitarie, la contrattazione e di ripristinare il controllo politico e la legificazione sul personale della scuola.

Sul versante delle politiche di sviluppo occorre rilanciare la nostra iniziativa a partire dai contenuti dell’Accordo sottoscritto alcuni mesi fa da CGIL, CISL e UIL e Confindustria, che individuava negli investimenti in formazione e ricerca uno degli strumenti fondamentali per invertire la tendenza al declino del nostro apparato produttivo ed il fulcro di una politica economica in grado di assumere gli obiettivi del trattato di Lisbona per colmare il divario tra l’Italia e gli altri paesi europei in tema di formazione per tutto l’arco della vita e di stanziamento di risorse per l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica.

Con le scelte compiute nella Legge Finanziaria, il Governo ha non solo ignorato i contenuti delle richieste delle parti sociali, ma peggiorato il quadro di riferimento finanziario in termini di investimenti. Ed è per questo che occorre fare di questi temi gli obiettivi di una nuova fase di mobilitazione sociale nel nostro Paese.

4. Nelle politiche socio sanitarie la CGIL fa della qualità, nelle tutele e nell’esigibilità dei diritti il connotato fondamentale della difesa e del rinnovamento delle strutture pubbliche e considera il sistema e la sua natura universalistica un fattore attivo dello sviluppo dell’economia. Il diritto alla salute, quindi, è parte fondamentale della battaglia più generale sulla qualità dello sviluppo e del vivere civile del nostro paese. In questa ottica riteniamo strategiche l’affermazione delle politiche di prevenzione, l’integrazione socio sanitaria, la centralità del territorio, la valorizzazione e il pieno utilizzo delle risorse umane.

La CGIL, a partire dalla piattaforma programmatica già approvata dal Comitato Direttivo, si batte prioritariamente sui seguenti obiettivi:

 il fondo sanitario nazionale deve essere adeguato alla media della spesa sanitaria europea. Una parte delle risorse deve essere destinata a riequilibrare i bilanci sanitari regionali secondo i criteri di riparto vigenti. Un’altra quota va finalizzata alle azioni di solidarietà responsabile, e cioè a un piano straordinario di riorganizzazione del sistema sanitario nelle aree più deboli del paese a partire da quelle meridionali, condiviso e verificato in sede di conferenza stato/regioni.

 Va rilanciata concretamente la prevenzione sia nell’insieme delle politiche sanitarie che nella qualità dello sviluppo delle attività produttive con le relative conseguenze sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla qualità della vita. In particolare nel sistema agro-alimentare, significa applicare il principio del “controllo di filiera”, affidandolo sia alla reciprocità degli obblighi commerciali ed etici tra contraenti economici, sia alla supervisione delle autorità regionali e locali. Tutti i fenomeni che hanno causato effetti epidemiologici sconosciuti e in larga parte derivanti dallo scarso livello di qualità dei processi produttivi sono chiari segnali del nuovo livello in cui oggi si presenta il rischio ambientale. La questione fondamentale che deve essere risolta riguarda l’attivazione su tutto il territorio nazionale di un sistema di controlli ambientali efficace, permanente, autonomo e affidabile per tutti i soggetti interessati. Allo stato queste condizioni non sono garantite per due ragioni di fondo che vanno assolutamente rimosse. La prima riguarda il ripristino delle funzioni e dell’autonomia tecnico-scientifica dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT); la seconda riguarda le Agenzie Regionali per la protezione dell’ambiente per le quali occorre garantire un canale di finanziamento diretto ed autonomo perché possano svolgere efficacemente la delicatissima funzione dei controlli ambientali. Analogamente, ed è la terza condizione, vanno garantite le risorse dedicate ai dipartimenti di prevenzione delle ASL.

 Rendere realmente esigibile il diritto ai livelli essenziali di assistenza sanitaria, pubblici e universali, in ogni parte del paese, senza essere costretti a migrare per ottenere adeguate cure. I LEA vanno garantiti a tutti, a fronte di una contribuzione altrettanto omogenea e universale, secondo i criteri di progressività. Questa è la sostanza di un patto fiscale moderno, alternativo a quello del governo. Le singole comunità regionali possono poi stringere patti aggiuntivi con i propri cittadini per contribuzioni integrative a fronte di prestazioni aggiuntive. Oggi non è così. Sia perché il Governo, con la finanziaria, impedisce di farlo, sia perché molte regioni impongono tasse e ticket semplicemente per far quadrare i conti dei bilanci sanitari. Per porre rimedio a questa ingiustizia occorre cancellare le tasse e i ticket imposti da alcune regioni per garantire i livelli essenziali di assistenza. In questo quadro, inoltre, occorre battere qualsiasi progetto di federalismo competitivo che renderebbe ancora più profonde e definitive le disuguaglianze e le ingiustizie affermando, invece, il principio di un federalismo fiscale solidale in un sistema socio sanitario pubblico, universale, capace di garantire a tutta la popolazione i livelli essenziali di assistenza.

 Occorre definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali e rendere realmente esigibile il diritto all’assistenza socio sanitario su tutto il territorio nazionale. Ciò significa recuperare il senso profondo e programmatico della legge 328 e prevedere, anche nel settore dell’assistenza sociale, il progressivo recupero del differenziale di spesa che si registra rispetto agli altri paesi europei.

 È urgente la costituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza alimentato dalla fiscalità generale (verificando come coinvolgere le rendite finanziarie e le grandi ricchezze oltre ai redditi personali) ed implementabile con risorse aggiuntive reperite a livello regionale. Ciò costituisce una priorità ed una vera e propria emergenza. Inoltre la questione della non autosufficienza rende evidenti i nessi tra la programmazione prevista dalla riforma dell’assistenza e la programmazione sanitaria, rendendo così centrale il tema dell’integrazione socio-sanitaria. Di una sanità, cioè, fatta non solo di posti letto ma di investimenti nella prevenzione, nell’integrazione, nella coesione sociale, nei distretti socio-sanitari.

 La lotta contro la povertà e l’esclusione rappresenta per noi una priorità. Infatti, nel nostro paese vivono tre milioni di persone in una condizione di povertà assoluta e otto milioni in una situazione di povertà relativa. Le famiglie più povere, con tre o più figli o composte da anziani, si concentrano prevalentemente nel Mezzogiorno. L’aumento dei prezzi, in particolare quelli dei generi di prima necessità, sta producendo nuove situazioni di povertà per molte famiglie che oggi sono ai limiti di tale soglia. A fronte di questa situazione, non solo il governo non ha attivato alcun provvedimento di lotta contro la povertà ma ha definitivamente cancellato il reddito minimo di inserimento. Ciò ha riportato migliaia di cittadini in una condizione di emarginazione e di abbandono. Da qui l’esigenza di definire e finanziare uno strumento non assistenziale di lotta alla povertà e all’esclusione.

 Occorre rispondere alla demagogia del governo sulla famiglia. Le scelte fin qui operate, infatti, si riducono ad interventi indistinti, solo monetari, come l’assegno per il secondo figlio, in una logica di riduzione dei servizi pubblici e di solitudine della famiglia stessa, alla ricerca, sul mercato, delle soluzioni ai problemi che la assillano. A questa demagogia contrapponiamo una politica di sostegno alla famiglia basata su una rete di servizi, sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sulla priorità della lotta alla precarizzazione del lavoro che rappresenta la ragione principale dell’insicurezza delle famiglie e delle giovani coppie.

 I sistemi di tutela sociale del lavoro devono essere rivisitati, in modo tale da rappresentare “un disincentivo strutturale” per chi, eludendo o violando leggi e contratti, scarica sul singolo lavoratore, sulla sua famiglia e sulla collettività il dramma e i costi di infortuni, malattie professionali, disagi e inidoneità che nessun mercato del lavoro, sistema sanitario e pensionistico o ammortizzatore sociale possono assorbire e risanare.)

5. In Italia il mercato delle abitazioni si presenta rigido e ingessato. Per il 20% delle famiglie che non sono proprietarie la casa sta diventando un ulteriore fattore di erosione del potere d’acquisto e un elemento di insicurezza e di precarietà. Infatti, l’effetto congiunto dell’andamento del mercato immobiliare e dell’assenza di investimenti nel campo dell’edilizia sociale, hanno determinato gravi fenomeni speculativi e hanno fatto saltare, soprattutto nelle grandi aree urbane, qualsiasi relazione tra reddito disponibile e canone. I più colpiti da questa situazione sono gli anziani, i giovani, i lavoratori in mobilità territoriale, gli immigrati, le famiglie monoreddito.

C’è bisogno, quindi, di un forte sostegno pubblico (Fondo nazionale di sostegno all’affitto e rilancio degli investimenti nell’edilizia sociale ed agevolata in affitto) senza il quale offerta e domanda abitativa non si incontrano e, per le fasce sociali a reddito basso e medio-basso, l’accesso alla casa rischia di essere praticamente negato.

CGIL-CISL-UIL con un documento unitario e con iniziative comuni, hanno ribadito le loro proposte sulle questioni dell’abitare.

Tenuto conto dell’intreccio fra condizione abitativa e qualità urbana occorre inoltre sostenere, con adeguati finanziamenti, i “contratti di quartiere” come strumento di recupero e integrazione sociale delle periferie degradate, in particolare nel Mezzogiorno. E, per contrastare le tentazioni centralistiche del governo e gli appetiti delle grandi immobiliari, stimolati dalle cartolarizzazioni in atto, e per rafforzare il ruolo delle comunità locali nelle decisioni riguardanti il loro futuro, è necessario promuovere gli strumenti di partecipazione a cominciare dalle “Agende 21 locali” e dal bilanci sociali locali.

Ribadiamo la nostra contrarietà al condono edilizio. Richiamiamo inoltre le autonomie locali ad un ruolo attivo sostenendo quelle Regioni che, utilizzando le proprie prerogative, hanno legiferato per rendere inapplicabile sul loro territorio le decisioni del governo, e invitiamo tutte le altre a fare altrettanto.

Il direttivo della CGIL dà mandato alla Segreteria di proseguire nel lavoro unitario intrapreso per arrivare alla definizione di una piattaforma unitaria alternativa e complessiva sulla riforma del Welfare e del fisco da contrapporre alla controriforma delle pensioni proposta dal Governo Berlusconi.

Infine, il Comitato Direttivo della CGIL considera importante e positiva la sospensione della trattativa con le Associazione Artigiane, sia per tentare di evitare una possibile firma separata sul modello contrattuale, sia perché la proposta conclusiva avanzata al tavolo sulle linee portanti delle regole che dovranno determinare il nuovo modello contrattuale è per la CGIL inaccettabile.




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Ordine del giorno sulla procreazione medicalmente assistita
 

La legge sulla procreazione medicalmente assistita votata dal Parlamento italiano e il dibattito d’aula che ne ha accompagnato l’iter, confermano il profilo del governo e l’inadeguatezza delle forze politiche che l’hanno votata, disponibili in nome di ideologie oscurantiste e di mere convenienze elettorali a licenziare norme che risultano nella realtà disumane e inapplicabili.

La nuova legge viola il principio della libertà riproduttiva e pone pesanti limiti al progetto di vita delle persone. Nega la responsabilità e l’autodeterminazione delle donne. Si contrappone al progresso scientifico.

Troppe sono le ipocrisie e le contraddizioni del provvedimento. Il divieto di donazione dei gameti colpisce indistintamente anche coppie a rischio di trasmissione di malattie genetiche. Il divieto di diagnosi pre-impianto, con l’obbligo di reinserimento in utero di tutti gli embrioni formati, il cui numero imposto per legge non ha conferma in alcuna argomentazione a carattere scientifico, risulta di fatto ripugnante da un punto di vista morale e impraticabile nella realtà.

E’ evidente come tutto ciò incida inevitabilmente sulla salute e sul benessere delle donne e dei nascituri ed è nel contempo molto distante dalla sacrosanta richiesta di una seria e severa regolamentazione dei centri dove si pratica la procreazione assistita, unica vera e urgente necessità da normare.

La legge costituisce una sconfitta per chi crede nell’affermazione delle libertà costituzionali, poiché lì hanno prevalso principi di chiusura e di fondamentalismo; è una sconfitta per chi crede e confida nel progresso scientifico, perché lì a quel progresso è negata una possibilità; lo è anche per tutti i cittadini perché lì lo Stato è leso nel suo principio fondante di laicità.

La CGIL non si rassegnerà all’oscurantismo, di cui è impregnata la legge.

Una legge che colpisce la libertà delle donne, dà un duro colpo alla laicità dello Stato, conferma l’attacco ai diritti delle donne che la maggioranza di Governo ha già realizzato attraverso la Finanziaria, la legge 30, la sostanziale cancellazione della Commissione Nazionale delle Pari Opportunità. Ci sfugge francamente la logica, l’idea di Stato che esprime l’avallo a questa legge di una parte del Centro-sinistra. Quale modello sociale si può fondare sulla repressione del libero arbitrio? Quale modello sociale può esprimere uno stato etico? Anche a questo interrogativo non possiamo sfuggire.

Riteniamo che la battaglia per la libertà condotta in questi anni da tante persone non possa arrestarsi soprattutto ora che il provvedimento è stato sostanzialmente approvato.


Roma 17 dicembre 2003
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Comitato Direttivo Cgil : Ordine del Giorno sulle Politiche per l’Immigrazione (Roma, 17/12/03)


Il fenomeno migratorio s’impone ormai come questione sociale di prima grandezza e rappresenta uno snodo importante di misurazione della evoluzione delle società moderne e della qualità di vita sul pianeta.

I luoghi comuni sull’immigrazione sono duri a morire, la politica ed i governi ne sono ancora prigionieri e responsabili.

La Cgil insieme a Cisl e Uil hanno lanciato da alcuni mesi una campagna di informazione, confronto e mobilitazione che avrà un momento importante nella giornata di domani 18/12/03 con la manifestazione di Vicenza dove parteciperanno i tre Segretari generali.

Il Comitato Direttivo della Cgil riunito nei giorni 16 e 17 dicembre dopo una discussione intensa sul tema delle Politiche per l’Immigrazione, intende rilanciare la sua iniziativa sui seguenti punti:


1. Ratifica della Convenzione ONU sui diritti dei migranti che considera un atto prioritario e strategico

2. Inserimento nel Trattato Costituzionale Europeo del principio di cittadinanza di residenza che estende i diritti di cittadinanza a oltre 15 milioni di stranieri residenti stabilmente in Europa che sarebbero esclusi dal principio di cittadinanza di nazionalità

La battuta d’arresto della Conferenza intergovernativa sulla Costituzione deve consentire un rilancio di questa nostra rivendicazione. Su questi due punti l’iniziativa dei prossimi mesi sarà finalizzata ad una espressione di consenso e coinvolgimento dei lavoratori e dell’insieme dell’opinione pubblica attraverso petizioni popolari da inviare al governo italiano ed ai governi europei.

3. Impegnarci a fondo per concretizzare sul piano normativo nazionale e del sistema degli Enti Locali il diritto di voto agli Immigrati;

4. Rivendicare l’approvazione di una adeguata legge sul diritto di asilo, in quanto il nostro paese è ormai l’unico paese ad esserne sprovvisto;

5. Chiedere al governo una nuova legge sull’immigrazione in quanto la Bossi-Fini, che sta dimostrando di essere sia nell’ispirazione, sia nella attuazione concreta una legge sbagliata ed inefficace. Una legge barriera all’immigrazione che, se da una parte non riesce ad arginare o contenere gli ingressi produce molti ostacoli che rendono la vita ancora più difficile agli immigrati condannandoli ad una condizione di irregolarità, incertezza e ricattabilità Particolarmente grave in questo ambito, è la restrizione prevista dalla legge sui ricongiungimenti familiari.

6. Nel contesto di una rivisitazione dei meccanismi d’ingresso, sia di asilo, sia di lavoro, superare l’esperienza negativa dei CPT (Centri di Permanenza temporanea) che sono ormai semplicemente drammaticamente luoghi di detenzione e di sospensioni dei più fondamentali diritti umani; e la strutturazione invece di Centri d’accoglienza, sotto la giurisdizione degli Enti Locali come luoghi d’informazione, formazione, dotati di personale specializzato, nella mediazione culturale e nell’assistenza socio-sanitaria;

7. Rlanciare e generalizzare sui territori piattaforme (già presenti in molte nostre strutture) sulle politiche d’integrazione (scuola, formazione, casa, Welfare locali);
 

8. Assumere nella proposta complessiva che riguarda il sistema pensionistico-previdenziale alcune specificità tese a rimuovere profonde discriminazioni che anche in questo campo caratterizzano la condizione dei lavoratori e lavoratrici immigrati;


9. Porre con nettezza la questione del superamento delle quote costruendo un meccanismo più fluido d’ingressi collegato alla ricerca d’occupazione attraverso la istituzione di un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di occupazione.

Accanto a questo porre la questione di riaprire un percorso di regolarizzazione in considerazione del fatto che nonostante sia ormai in chiusura la regolarizzazione dell’anno scorso che ha portato 650 mila lavoratori regolarizzati, permangono sul nostro territorio, secondo le stime degli esperti ed anche dello stesso Ministero dell’Interno, alcune centinaia di migliaia di clandestini vecchi e nuovi

10. La Cgil assume anche la necessità di consolidare e sviluppare la rete dei nostri uffici immigrazione e di promuovere in tutte le strutture Confederali e di categoria la costituzione dei Comitati Migranti come luoghi di cittadinanza e di militanza politica sindacale dei compagni e compagne immigrate della Cgil, e per qualificare la nostra capacità contrattuale e di rappresentanza.

Il Comitato Direttivo della Cgil ritiene di indicare all’insieme dell’organizzazione un prossimo appuntamento sul tema dell’immigrazione con una conferenza in preparazione della conferenza dei delegati programmata per metà marzo.

Avanziamo allo stesso governo la richiesta di affrontare il tema dell’Immigrazione in modo organico in una conferenza governativa dove ci si possa misurare in modo compiuto la strategia complessiva ed alta, al di fuori del teatrino delle uscite quotidiane più o meno estemporanee di questo e di quel ministro.

Approvato all’unanimità