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Sintesi dell’intervento di Carlo Podda
Segretario Generale Nazionale FP-CGIL
all’Assemblea Nazionale dei Quadri e Delegati

Chianciano, 13 e 14 maggio 2004
 

Il 21 maggio, a una settimana esatta da oggi, 3 milioni di lavoratrici e lavoratori pubblici sciopereranno e manifesteranno in Piazza S. Giovanni a Roma per il proprio rinnovo contrattuale.

Si tratta dell’ottavo sciopero generale che la categoria fa negli ultimi due anni. E’ uno sciopero che difende il diritto della categoria ad avere il contratto, ma che difende insieme e contemporaneamente il lavoro pubblico.

Il lavoro pubblico, la sua devastazione, costituisce una vera e propria ossessione per questo Governo.

Viene perseguita pervicacemente attraverso tre obiettivi: privatizzazione precarizzazione ed esternalizzazione, devoluzione contrattuale, decontrattualizzazione del rapporto di lavoro, (come dimostra il tentativo di rilegificare quello dei Vigili del Fuoco e degli insegnanti).

Obiettivo unico – solo apparentemente sgangherato – determinato dalla consapevolezza che il lavoro pubblico è il luogo in cui prendono forma ed hanno consistenza i diritti di cittadinanza.

Nelle persone vi è una nuova coscienza, di cui Epifani ci ha parlato nella sua bella relazione, - che ho condiviso nell’impianto, nel merito e nel tono, - circa la funzione redistributrice, di riequilibrio, di equità, di attenuazione delle disuguaglianze, cui l’individuo è consegnato da questo modello di società, che solo lo Stato nelle sue articolazioni, per meglio dire nelle funzioni pubbliche, può assicurare.

E’ ormai chiaro a tutti, con l’eccezione ancora dell’opposizione che non ne ha ancora interamente consapevolezza, che solo sistemi universali di welfare nazionale e locale dalla scuola, alla previdenza, passando per la sanità, possono svolgere questa funzione e sono in grado di farlo solo se sono pubblici.

Non è casuale il fatto che nelle società moderne, tramontata l’idea degli stati nazione, l’appartenenza e l’identità nazionale sia data dal grado di diffusione del welfare, come peraltro affermato da molti studiosi.

Superare il welfare vuol dire anche provare a rendere rendere indolore, meno compreso, meno visibile, il danno democratico che comporterà la devoluzione della riforma costituzionale.

E’ più facile convincere, far comprendere alle persone la necessità di contrastare, fino al ricorso al referendum, quella che sarà non una riforma, ma un’altra costituzione, se saremo in grado di rendere visibile il rapporto che c’è tra il welfare e l’unità dello Stato. Lo Stato è per tanti, i servizi che eroga, i diritti che garantisce.

Aggiungo che, smarrito il nesso tra fisco e servizi resi, sarà impossibile difendere un sistema fiscale equo e progressivo e la sua funzione redistributiva.

La contrapposizione da parte del Governo tra annunciata riforma fiscale e CCNL pubblici, non risponde solo a banali esigenze di cassa, ma nasconde l’idea e il progetto di dimostrare che se non si finanzia più il lavoro pubblico ed i servizi connessi, non c’è bisogno del fisco è l’equazione meno stato più mercato più volte enunciata.

Questa proposta di riforma fiscale è una provocazione per le lavoratrici e i lavoratori pubblici, ma dovrebbe essere intollerabile a tutti ed a ogni soggetto che si ponga l’obiettivo di difendere ed affermare un’altra idea di società.

Vorrei un’opposizione politica, tutta l’opposizione, meno timida. Mi chiedo se tutta la sinistra sarà in grado di dire finalmente sul fisco almeno quello che qui ha ieri detto Pezzotta.

Noi, in ogni caso non abbiamo alternative. Quando abbiamo scelto, e qui con forza Guglielmo ci propone di confermarlo, di essere il sindacato dei diritti, abbiamo assunto un compito di rappresentanza generale, di soggettività politica, che si afferma prima di tutto lottando per riportare il nostro paese ad un’idea di società in linea con la storia del nostro continente. E’ paradossale che negli anni della Unione e della 1^ Costituzione Europea ci sia così tanta teoria e pratica sociale americana nel nostro paese e così poca Europa.

C’è un’unica trama che si svolge: dalla concentrazione dei poteri di governo, alla trasformazione dei fondamentali assetti dell’equilibrio sociale, all’uso della guerra come mezzo di soluzione dei conflitti e dei problemi politici.

La totale subordinazione alle politiche neoconservatrici della amministrazione repubblicana degli Stati Uniti d’America ci ha portato in guerra in Iraq e ci ha portato il terrorismo dentro casa. Non s’è mai visto un liberatore che tortura prigionieri.

Avevamo ragione noi e il grande movimento per la pace, bisogna essere contro la guerra.

Era chiaro alla maggioranza dei popoli dei paesi in guerra e del popolo italiano, Non c’erano allora e non ci devono essere più oggi i SE e i MA che hanno così tanto a lungo afflitto l’opposizione politica.

Dunque a difesa del CCNL, ma soprattutto dei diritti di tutti, di una idea di società, facciamo sciopero, lo facciamo unitariamente.

Unitariamente abbiamo lavorato anche in questi anni difficili non arretrando di una virgola dalle posizioni della CGIL.

Abbiamo sottoscritto CCNL senza un rigo, una parola sulla legge 30 o del patto per l’Italia, abbiamo potuto farlo per le regole che ci sono nei nostri settori, ma anche per l’orientamento che la CISL e la UIL hanno assunto nelle nostre categorie, contribuendo, credo per questa via anche a qualche riflessione delle loro confederazioni.

La questione dell’unità ha come contenuto principale il tema della democrazia sindacale, ma più propriamente della democrazia nel Paese.

Comprendo l’attaccamento all’idea del sindacato come associazione, ma il fatto è che noi decidiamo anche per chi non sta in quella associazione.

E la verifica del mandato da parte dei destinatari delle nostre azioni, è un tema non eludibile.

Da sindacalista, apprezzo il passo in avanti fatto dalla CISL, in particolare quest’idea dell’unità pluralista, in cui le differenze si confrontano. Non mi sfugge che fino a ieri queste differenze erano assunte a postulare l’impossibilità di incrociare le nostre strade.

Segnalo però che il tema di fondo rimane irrisolto, se la democrazia sindacale è un segmento costitutivo della democrazia del Paese, non si fa molta strada in un sistema nel quale per un terzo del lavoro dipendente vi è un’esigibilità garantita dalla legge per eleggere i propri rappresentanti, per la validazione dei CCNL e per accertare la rappresentatività dei soggetti sindacali, mentre per 2/3 questa stessa esigibilità non c’è.

Se il tema rimane irrisolto, anche la legge sulla rappresentanza, grazie alla quale a novembre torneremo a votare, per confermare il diritto fondamentale di ogni democrazia quello cioè di scegliersi i propri rappresentanti, è destinata ad essere messa in discussione.

Chiudo da dove ho iniziato, il 21 c’è lo sciopero, spero e conto di vedervi tra una settimana. Difendere il lavoro pubblico vuol dire difendere i diritti di tutti. Per fare questo contiamo su di noi.