PIU’ FORTE LA DEMOCRAZIA CON LA PARTECIPAZIONE

palacisalfa.jpg (83850 byte) Assemblea nazionale dei quadri e delegati


Relazione di Laimer Armuzzi

Segretario Generale FP – CGIL

 

 

 

 

Palacisalfa 21 maggio 2001 - Roma

 

Ieri mattina in Via Salaria abbiamo commemorato Massimo D’Antona nel secondo anniversario del suo assassinio.

Oggi lo ricordiamo, qui al Palacisalfa, in un’iniziativa politica di massa.

Molti di voi non sarebbero diventati probabilmente delegati sindacali dirigenti di posto di lavoro, se le idee ed il lavoro di Massimo non avessero prodotto l’architrave su cui si basa la legge sulla rappresentanza.

L’innovazione che c’è stata, sia sul terreno del diritto, sia sul terreno sociale, nel lavoro pubblico, non si sarebbe dispiegata senza i provvedimenti che videro la luce grazie alla capacità di ascolto e di mediazione di D’Antona, senza il suo lavoro paziente ed al tempo stesso in grado di trovare soluzioni creative.

La contrattualizzazione del rapporto di lavoro per i pubblici dipendenti, la legge 59 del 1997, che cambiò il decreto legislativo 29 vide il contributo determinante di D’Antona nell’affermare la valorizzazione del lavoro pubblico come elemento centrale su cui puntare per accompagnare il processo di cambiamento nella Pubblica Amministrazione.

La contrattualizzazione del rapporto di lavoro è stata un tassello fondamentale per stabilire "un nesso esplicito tra il definitivo superamento della specialità del P.I. e l’organica riforma amministrativa".

C’era un solido impianto riformista ed una grande lucidità politica che faceva da filo conduttore nei provvedimenti che hanno affrontato questioni come: il federalismo amministrativo, la delegificazione, le relazioni sindacali nel P.I., la nascita della contrattazione integrativa, la nuova classificazione del personale e le regole sulla rappresentanza.

Le riforme frutto del lavoro di D’Antona, non devono tornare indietro e noi ci batteremo per difenderle, consolidarle ed attuarle pienamente: i nemici, purtroppo, sono ancora tanti!

Lui manca ovviamente prima di tutto ai suoi cari e a tutti noi.

Ciò che non possiamo permettere di farci mancare sono i valori che stanno alla base della sua elaborazione e del suo lavoro, quelli contro i quali hanno sparato quando è stato assassinato.

Voglio ringraziare Olga D’Antona che oggi è qui con noi, la sua forza e la sua intelligenza le permettono, pur nel rinnovarsi continuo del dolore che forse anche queste occasioni le provocano, di tenere vivo il ricordo di Massimo attraverso l’iniziativa politica e l’impegno e noi per questo le siamo grati.

A distanza di due anni, gli assassini sono ancora liberi e ancora in grado di colpire persone che hanno come unica difesa le loro idee e come unica colpa quella di esprimerle.

Colpire in questo modo persone inermi ed indifese è prima di tutto un atto di totale vigliaccheria.

Confidiamo nel fatto che le indagini portino finalmente all’arresto di questi delinquenti.

Siamo però stupiti e preoccupati delle continue e puntuali fughe di notizie, che si manifestano ogni qual volta le indagini sembrano essere ad una svolta e di cui non si individua mai il responsabile o i responsabili.

In queste settimane sono state inviate, anche in alcuni posti di lavoro dei nostri settori, documenti deliranti inneggianti alla lotta armata in cui il sindacato viene indicato come nemico da abbattere.

Siamo riusciti già nel passato ad allontanare il terrorismo dai posti di lavoro.

Gli anni di piombo non torneranno.

Il sindacato ed i lavoratori ancora una volta sconfiggeranno questi rigurgiti di follia eversiva.

Non passeranno!

Non hanno né presente né futuro!

Proponiamo a CISL e UIL di tenere assemblee sui posti di lavoro contro il terrorismo, a cominciare da quelli in cui sono arrivati i documenti intimidatori, perché l’isolamento in cui vivono deve essere visibile e totale e perché crediamo, come sempre, che la partecipazione di massa, la democrazia, sia la via maestra da percorrere.

Ed è proprio perché crediamo profondamente nella partecipazione democratica che noi vogliamo in autunno rieleggere le RSU e questa volta anche i rappresentanti per la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Esiste nel nostro Paese una grande questione che attiene alla sicurezza sul lavoro, troppi continuano ad essere gli incidenti mortali, troppi sono gli infortuni anche, contrariamente a ciò che comunemente si ritiene, nei nostri settori, basta pensare ai VVF.

Gli infortuni ed anche le morti sul lavoro continuano ad essere una sciagurata ma ordinaria eventualità della normale organizzazione del lavoro.

Noi non possiamo rassegnarci a questo sistema, l’infortunio non può diventare una sorta di abitudine.

Se si vuole dare concretezza alla scelta fatta dalla CGIL di fare per quest’anno una specifica campagna con lo slogan " al lavoro sicuri" bisogna iniziare con il dare certezza ed esigibilità alle normative esistenti.

L’elezione degli R.L.S. dovrà essere per ciò un momento centrale del nostro impegno nella prossima campagna elettorale in tutti i posti di lavoro.

Chiediamo alla CISL e alla UIL di definire insieme il percorso che porta al voto per le RSU e RLS e sono sicuro che non sarà necessario ricorrere a quella parte della legge che consente l’indizione delle elezioni da parte di una singola organizzazione.

I rapporti unitari nei nostri settori, non sono idilliaci, pur tuttavia hanno tenuto, ed io penso che questo sia stato possibile proprio perché le RSU sono state elette in base alla legge sulla rappresentanza.

Il misurarsi quotidianamente con i contenuti, l’affrontare e cercare di risolvere problemi, la costruzione delle piattaforme negoziali e l’esercizio della contrattazione in migliaia di posti di lavoro, ha costituito un valore aggiunto, per tutti i lavoratori e le lavoratrici, e per la tenuta di un rapporto unitario, perché ha permesso di mettere in secondo piano le logiche interne delle singole organizzazioni.

Anche per questo noi vogliamo rivotare, è questa a mio modo di vedere, la via per costruire un argine alla divisione tra le organizzazioni sindacali.

Credo che la questione della rappresentanza nei luoghi di lavoro attenga ad un valore in sé: la democrazia nel nostro Paese e non ad un fatto privato di questa o quella organizzazione, per quanto grande quell’organizzazione possa essere.

Noi ci batteremo perché il prezioso lavoro di Massimo D’Antona che ha reso possibile ed attuabile, a più di 50 anni dall’approvazione della Costituzione, il più alto punto di democrazia sindacale nel nostro Paese, diventi una legge dello Stato per tutti i lavoratori e le lavoratrici.

Il Segretario Generale della CISL, Savino Pezzotta, nel suo intervento all’assemblea dei quadri e delegati della CGIL, ha affermato che noi siamo un’anomalia perché la legge sulla rappresentanza nel P.I. obbliga tutti a misurarsi con il consenso elettorale dei lavoratori.

Vorrei far notare che, laddove questa anomalia non agisce, e cioè nella parte prevalente del lavoro dipendente – quello privato – è sufficiente il veto di un gruppo dirigente per negare ai lavoratori il diritto di voto.

Noi pensiamo che questo diritto debba essere considerato un diritto individuale indisponibile.

Penso che al Parlamento, appena eletto, dovremo riproporre l’esigenza di estendere a tutto il mondo del lavoro il diritto al voto.

So che sarà dura, ma non per questo si può mollare!

Il 5 maggio dell’anno scorso eravamo in questo stesso luogo per dire forte il nostro NO alla libertà di licenziamento che veniva proposta attraverso un quesito referendario.

Quella sciagurata ipotesi fu battuta dal voto di milioni di persone.

Ritengo chiusa e vinta quella battaglia in difesa dei diritti dei più deboli.

So bene però che sono in troppi ancora coloro che non si sono rassegnati al giudizio delle urne, e che i tentativi di rimettere mano allo Statuto dei diritti dei lavoratori sono possibili.

Credo che su questa questione si debba tenere alta la guardia: sulla difesa dei diritti delle persone più deboli non ci sono spazi per mediazioni!

Gli altri obiettivi dell’assemblea dello scorso anno erano: completamento della riforma della P.A., i contratti e la previdenza complementare.

Ebbene, se pur con difficoltà e problemi, ci pare di poter dire che il processo di riforma della Pubblica Amministrazione, sia avanzato ed abbia incominciato e produrre effetti positivi. Il governo di questo processo, dal nostro punto di vista, non è cosa semplice, ma ritengo di poter fare complessivamente un bilancio positivo di questo anno di lavoro: il decentramento prosegue, le Agenzie fiscali sono state strutturate e sono oramai una realtà e l’Agenzia della protezione civile ha infine visto la luce con l’approvazione di un regolamento nel quale i vigili del fuoco cominciano ad avere una più adeguata collocazione.

Non va però dimenticato che il processo di riorganizzazione delle Autonomie locali è ancora agli inizi e che la realizzazione della cosiddetta sussidiarietà orizzontale procede a sussulti secondo percorsi il cui disegno sfugge spesso al confronto con le OOSS e provoca una segmentazione del lavoro e dei contratti che finiscono col realizzare una riduzione dei diritti dei lavoratori.

Infine per ciò che riguarda la nuova forma di governo, l’esecutivo che si formerà a giorni, è atteso alla prova dei fatti.

La stagione contrattuale per i rinnovi del 2° biennio dei nostri comparti pubblici è stata portata a termine positivamente.

Manca invece ancora all’appello il contratto della sanità privata, dove raggiungere l’accordo sulle nostre proposte e sui nostri contenuti sarà cosa complicata e difficile, anche perché la principale controparte potrebbe subire pesanti condizionamenti da Confindustria.

Con la stessa determinazione e fermezza dimostrata per la sanità pubblica andremo al tavolo della privata per conquistare il contratto di questo importante settore che conta circa 100.000 addetti.

I contratti conclusi recitano in altrettante singole interpretazioni, la medesima impostazione di fondo.

Abbiamo concluso accordi che hanno garantito la salvaguardia del potere d’acquisto dei salari.

Quella che definimmo un’interpretazione dinamica del 23 luglio ci ha permesso di ottenere risultati apprezzabili sul terreno economico, ed al tempo stesso di difendere l’impianto contrattuale che proprio nell’accordo del 23 luglio era previsto.

Lo scontro più duro per i rinnovi l’abbiamo condotto nel comparto della sanità, dove il problema era di natura squisitamente politica in quanto in questo comparto hanno fatto le prove per tentare di scardinare il CCNL e il SSN.

Loro hanno perso e noi abbiamo vinto, per ora.

Se ci riproveranno ci troveranno di nuovo pronti!

A Confindustria che si straccia le vesti per le quantità economiche messe sul contratto della sanità, ricordiamo – ricordiamo solo, perché lo sanno benissimo- che le regioni del Nord governate dal Polo, che sono tanto amate da D’Amato, spesso proponevano, nei convegni e nei seminari, aumenti solo per una parte del personale, da loro individuato, più sostanziosi di quelli da noi richiesti.

Ci proponevano, in sostanza uno scambio tra soldi virtuali e destrutturazione del contratto nazionale insieme alla rinuncia a difendere il servizio sanitario nazionale.

Ora si apre una nuova tornata di contrattazione integrativa.

Negli accordi nazionali è stato dato grande spazio alla contrattazione di 2° livello.

Credo che la stagione che si apre debba essere caratterizzata dalla qualità e che la priorità delle priorità stia nel mettere davvero mano all’organizzazione del lavoro, alla ricomposizione dei cicli produttivi e all’organizzazione dei servizi.

Penso che sia questa un’esigenza politica che davvero risponde ai bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici.

Mettere al centro il lavoro, il suo senso, il suo valore ed il suo contenuto e da questo partire per costruire le piattaforme di posto di lavoro, è la sfida che dobbiamo lanciare.

Da qui passa la possibilità di ricostruire un progetto ambizioso, culturale e politico, che rende protagonisti i lavoratori e le lavoratrici, collettivamente.

Mettere in campo l’obiettivo della ricomposizione dei cicli produttivi, vuol anche dire occuparsi delle ormai migliaia di persone che anche nei nostri comparti hanno un rapporto di lavoro cosiddetto atipico o flessibile.

Abbiamo il dovere di tutelare questi lavoratori certo, ma abbiamo anche la necessità di rimettere in un unico circuito di lavoro, conoscenza e rappresentanza questi lavoratori.

E’ questa una questione su cui è necessario riflettere per attrezzarci in modo adeguato.

In ogni caso non possiamo permetterci di affrontare un nuovo ciclo di contrattazione integrativa all’insegna di uno scambio, che pure ci sarà proposto dalla controparte, tra erogazioni salariali e diritti.

Il contratto nazionale va difeso e salvaguardato confermandone il contenuto solidaristico e redistributivo.

Nel 1993 abbiamo stipulato un grande patto sociale. Quel patto ci ha consentito di entrare in Europa garantendo il rinnovo dei contratti, il mantenimento e l’introduzione di due livelli di contrattazione, anche laddove non si praticava, una sostanziale difesa del potere di acquisto delle retribuzioni.

Si tratta di risultati importanti e tuttavia non sfugge a nessuno che siamo in presenza di una nuova fase.

Penso che, se è vero, che i profitti delle imprese sono cresciuti, che il risanamento sia in buona parte compiuto, che l’incidenza della spesa per il personale nella P.A. sul prodotto interno lordo è diminuita, che la mobilità sociale nell’ultimo decennio si è bloccata, la necessità di attuare una reale politica di tutti i redditi è se possibile ancora più urgente.

Sarebbe in effetti necessario affrontare una nuova fase della concertazione, ma come recentemente ha affermato Sergio Cofferati si dovrà prima di tutto verificare se esiste un quadro generale di obbiettivi convergenti tra noi e il governo di centro-destra.

L’unico obiettivo che non abbiamo ancora raggiunto è la costituzione dei fondi per concretizzare il decollo della previdenza complementare.

Sono state stanziate le risorse nei contratti, ma c’è bisogno di una grande accelerazione per portare a regime la riforma del sistema pensionistico in ogni sua parte.

Qualora qualcuno avesse la tentazione di rimettere in discussione la riforma previdenziale, deve sapere che si troverebbe di fronte ad un muro, perché noi la difenderemo, ma al tempo stesso, se i tempi per la costituzione di quella che è stata chiamata la seconda gamba del sistema, non saranno rapidi, noi chiederemo alla CISL e alla UIL la proclamazione dello sciopero generale delle nostre categorie.

Il danno che si produce sulla copertura pensionistica di migliaia di lavoratori e lavoratrici è insopportabile.

Siamo ora alle soglie di una nuova stagione contrattuale, di un nuovo CCNL quadriennale.

Avremo nei prossimi mesi modo e luoghi nei quali affrontare la discussione di merito.

Ciò non di meno penso che la nostra iniziativa sarà in gran parte orientata dalle scelte che saranno fatte nel DPEF e che, a termini di 23/7 dovrebbero essere oggetto di una apposita sessione di concertazione tra le parti sociali ed il Governo.

In particolare la definizione del tasso di inflazione effettivamente verificatosi nel 2000 e di quelli ipotizzabili per il prossimo triennio, si rifletterà, qualora si addivenisse ad un accordo, sulle nostre richieste contrattuali.

Per questo motivo ritengo indispensabile che nel DPEF, venga previsto il riallineamento dei tassi di inflazione attesi con quelli reali.

E’ questo un problema che peraltro non riguarda solo le nostre categorie.

Lo scontro che i metalmeccanici stanno sostenendo con Confindustria è in gran parte determinato dall’interpretazione che si vuole dare dell’accordo del luglio 93’.

Su questo punto verificheremo se i comportamenti del Governo si collocheranno in una posizione di garante di quell’accordo o se invece, come temo, in coerenza con le dichiarazioni fin qui fatte dalla CdL, si schiererà a fianco delle imprese.

La lotta dei meccanici ha sempre assunto un significato simbolico per tutto il movimento dei lavoratori.

I simboli, penso siano importanti a volte, soprattutto quando dietro a questi ci sono le condizioni di vita e di lavoro di centinaia di migliaia di uomini e donne in carne ed ossa.

Per questa ragione voglio dichiarare qui la disponibilità della nostra categoria a scendere in lotta a fianco dei metalmeccanici qualora la confederazione dovesse ritenere necessario il ricorso alla mobilitazione generale a sostegno di questa vertenza.

Per tornare ai nostri contratti e a ciò che attiene invece ai contenuti normativi penso che la nostra opzione debba essere quella che porta alla costruzione di contratti di settore, che , secondo l’impostazione della CGIL, sono l’unico antidoto alla frantumazione dei cicli lavorativi e alla riduzione dei diritti.

E’ una strada impervia, che impegna già una parte della nostra categoria, penso al contratto nazionale dell’igiene ambientale ed allo sforzo che si sta compiendo nel settore socio-sanitario, a cui tutta la categoria dovrebbe forse dare maggior supporto, ma che non ha alternative.

Come affrontare diversamente l’esternalizzazione di buona parte dei servizi pubblici locali? Come ricomporre il lavoro nel comparto della sanità tra pubblico e privato? Avremo modo di rifletterci, ma non vedo una direzione diversa rispetto alla quale orientare le nostre energie.

Anche perché, al di là dei referendum truffaldini sulla devolution, propagandisticamente agitati da Formigoni e al di là del federalismo anti-solidale, corredato da una cultura che contiene in sé i germi dell’intolleranza civile e di pulsioni regressive, propugnato dalla Lega, noi con i cambiamenti in atto vogliamo misurarci.

Vogliamo e dobbiamo affrontare queste questioni perché anche da qui passa la difesa del valore dei contratti collettivi nazionali.

Per sconfiggere qualsiasi ipotesi di contratti regionali e quindi di diritti a geometria variabile, in particolar modo nei comparti maggiormente coinvolti dai processi di decentramento dei poteri alle Regioni, dobbiamo avere la capacità di mettere in campo proposte politicamente forti.

Infine credo sia giusto esprimersi sul quadro politico che le elezioni della scorsa settimana ci hanno consegnato.

Credo sia inutile nascondere il fatto che io non sono contento del risultato elettorale, ma non sono per nulla attonito o depresso, semmai molto arrabbiato.

Il solo pensiero che una qualsivoglia carica istituzionale della nostra Repubblica, nata dalla lotta antifascista e dalla Resistenza, possa essere affidata ad un rappresentante di una forza politica a cui peraltro il popolo italiano non ha neanche dato voti sufficienti per raggiungere il quorum, che nei suoi tratti costitutivi ha il separatismo, il razzismo e l’intolleranza, financo religiosa, mi indigna.

Francamente non capisco come nel nuovo Parlamento forze politiche, laiche e cattoliche, che hanno tra i loro valori fondanti la tolleranza, la solidarietà ed il rispetto delle diversità, possano accettare, senza alcun imbarazzo tale prospettiva.

Così come trovo intollerabile che siano tornati a manifestarsi, come si apprende anche dai giornali, in alcune zone del Sud del Paese, nei pressi dei seggi elettorali, fenomeni inquietanti di intimidazione.

Personalmente penso che il centro-sinistra sia stato battuto, nonostante abbia governato bene, portato il nostro paese in Europa, promosso riforme importanti, attuato provvedimenti redistributivi in favore dei più deboli, anche attraverso una nuova politica fiscale ed una continua lotta all’evasione che se abbandonata penalizzerebbe innanzitutto il lavoro dipendente.

Ricordo in proposito che il patto di Natale prevede che la riduzione del prelievo fiscale sulle buste paga, sia finanziato proprio con i proventi derivanti dal recupero dell’evasione.

Ma la quotidiana buona amministrazione non è comunque sufficiente.

Il buon governo non basta.

E’ mancata la capacità di offrire un orizzonte più vasto, di delineare un progetto di società, di rappresentare il lavoro ed i lavori, di rimettere al centro valori forti.

Io non ho dimenticato le ambiguità i tentennamenti ed i ripensamenti che ci sono stati ad esempio durante e dopo il varo della riforma Bindi sulla sanità, nè posso dimenticare la solitudine e l’isolamento nel quale è stata a volte condotta la battaglia per la riforma fiscale e la riduzione dell’evasione.

Questi comportamenti politici hanno nei fatti depotenziato il valore della riforma stessa agli occhi dei cittadini .

Inoltre credo che siano mancati – e penso che vadano ricostruiti – luoghi di discussione e di partecipazione dei cittadini.

I centomila lavoratori e lavoratrici della sanità in Piazza San Giovanni, che manifestavano per avere il loro contratto ed in difesa del SSN, dimostrano che è possibile.

I cittadini che ai lati del corteo applaudivano o commentavano positivamente la nostra lotta dimostrano che è possibile e magari anche necessario.

E’ anche in ragione di questa esigenza che penso che il prossimo Congresso della CGIL debba essere un Congresso aperto.

Sollecitare e favorire la partecipazione significa discutere partendo dalla propria esperienza, dal merito dei problemi, dalle concrete soluzioni trovate, per arrivare ad una sintesi politica più alta, frutto di un pluralismo vero.

Un Congresso insomma che non sia vissuto e gestito in modo burocratico per dividersi, contarsi e collocarsi su mozioni, ma che invece faccia parlare la gran parte dei nostri iscritti.

Di questo c’è di bisogno sempre, ma sicuramente ancor di più in questa fase.

Berlusconi ha detto che il suo programma è uguale a quello della Confindustria, ed in effetti sembra sia scritto dalla stessa mano.

Trovo davvero inquietante che un programma di Governo non si faccia carico degli interessi di tutti.

Pare di trovarsi davanti ad una modifica, seppur non formale della Costituzione: da repubblica fondata sul lavoro, l’Italia diventerebbe una Repubblica fondata sull’impresa.

Non a caso Confindustria ha già chiesto di riscuotere le promesse fatte in campagna elettorale.

La consonanza che si era registrata con la Casa delle Libertà nel convegno di Parma, dove D’Amato aveva suggerito un’agenda in 7 punti, e vi li voglio ricordare:

riduzione della pressione fiscale per le sole imprese a partire dal Sud, riforma delle pensioni e del mercato del lavoro riducendo i diritti, piano contro il sommerso con ulteriori vantaggi per le imprese, realizzazione infrastrutture, semplificazione normativa, rilancio di liberalizzazioni e privatizzazioni, è ora all’incasso.

Dietro a quest’idea si vede in trasparenza un progetto di società in cui i diritti delle persone sono messi in discussione.

Precarizzazione, destrutturazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, assenza di solidarietà, sono in totale assonanza con la devolution, con la politica dei bonus per la scuola e per la sanità.

E se tutto questo non bastasse ancora, ci troveremo forse di fronte il problema della difesa della laicità dello Stato.

Già Storace nella Regione Lazio ha incominciato a varare provvedimenti che mettono in discussione i consultori.

Ora, autorevoli esponenti del Polo di centro-destra, dichiarano che bisogna rivedere o abrogare la legge 194, una conquista delle donne, ma che considero un diritto civile acquisito nel nostro Paese per tutti.

Noi non mettiamo ovviamente in discussione la legittimità delle opinioni ed i valori della Chiesa cattolica, vorremmo però continuare a vivere in uno Stato non confessionale.

La CGIL ha già detto che questo modello di società non è il nostro.

Il nostro segretario generale ha già affermato che ascolteremo con attenzione la presentazione del programma di governo alle Camere, ma che su sanità, scuola e tutela dei diritti, non possiamo far altro che ribadire il nostro NO GRAZIE!

La FP con ancora maggior vigore dovrà contribuire a far sì che venga battuto questo progetto politico.

Ovviamente ci confronteremo nel merito, non conosciamo altro modo per fare il nostro mestiere, ma altrettanto ovviamente, come ben si sa, sui valori non si negozia!

Il cavaliere pensa che il dio mercato governi il mondo, che l’impresa sia al centro del mondo e che quindi debba essere liberata dai vincoli a cui la sottopone la presenza e l’azione del sindacato, del lavoro organizzato e certamente quindi la difesa dei diritti delle persone gli sembrerà un fatto ridicolo.

La storia però non si ricorda di quelli che costruiscono grandi ricchezze personali, la storia si ricorda di chi difende la democrazia, la coesione sociale, la civiltà, la storia la fanno le migliaia e migliaia di persone che ogni giorno lavorano per costruire un Paese più giusto e migliore: la storia siamo noi!