Approfondimenti

A proposito di...


Gennaio 2003 

PER IL DIRITTO ALLA SALUTE,
UN SISTEMA DI QUALITA’
 

Piattaforma programmatica
 

1 Le politiche neoliberiste del governo

1.1     Il governo sta perseguendo il suo disegno neoliberista in economia e nel sociale: i diritti del lavoro e di cittadinanza sono messi costantemente in discussione; non si promuovono politiche capaci di arrestare il declino economico del paese; la qualità complessiva del vivere civile si impoverisce. 

1.2     Ciò risulta evidente dal complesso dei provvedimenti fin qui assunti o annunciati: la legge finanziaria 2003, che taglia le risorse agli enti locali e agisce, così, pesantemente sulla qualità della vita delle persone; la delega sul fisco, che, oltre a determinare una profonda iniquità del sistema, riduce le risorse a disposizione per lo stato sociale; le normative sul mercato del lavoro, che considerano il lavoro alla stregua di una merce; la delega sulla prevenzione nei luoghi di lavoro; la delega previdenziale, che determina una vera e propria crisi del sistema pubblico;  la delega sulla scuola, che prefigura un futuro assai povero di saperi per le generazioni che verranno; la delega ambientale, che smantella le tutele in tema di acqua, suolo, rifiuti, parchi. 

1.3     Altrettanto evidente è l’obiettivo di impoverire e dequalificare il sistema di stato sociale fino a renderlo residuale, rivolto ai soli poveri, svuotandolo, così, di ogni ambizione di rappresentare uno strumento universalistico di tutela e affermazione di diritti; di determinare le condizioni nelle quali il privato aumenti progressivamente i propri spazi, fino a condizionare anche ciò che resterà di pubblico. Si mette in discussione il processo di costruzione, prima e di costante adeguamento, poi, che ha contraddistinto, per tutto il secolo passato, l’iniziativa del sindacato e delle forze progressiste in tema di stato sociale e che ha comportato un grande impegno democratico e civile per la redistribuzione del reddito, per l’affermazione di diritti e di pari opportunità. 

1.4     L’attacco al sistema delle tutele e dei diritti viene ulteriormente rafforzato dal disegno di legge sulla devoluzione già votato al Senato. Esso, oltre a produrre una rottura dell'unità del paese, contrapponendosi all'idea di federalismo solidale dentro un quadro forte di unità e di coesione del paese, assesta un colpo pesantissimo al sistema socio-sanitario, innanzitutto, attraverso la costituzione di ventuno diversi sistemi che producono, tra l’altro, la rottura  del carattere universalistico delle prestazioni. 

1.5     In tema di assetto sanitario ed assistenziale il governo persegue l’obiettivo di de-strutturare entrambi i sistemi, facendo leva, contemporaneamente, sia sulla riduzione delle risorse pubbliche per le politiche sociali, sia sull’incentivazione del mercato privato, peraltro in gran parte pagato dal pubblico. Tenta di introdurre, così, un sistema “binario” per cui ai servizi di "qualità" gestiti dal privato, accede chi ha le possibilità economiche; gli altri, devono accontentarsi dell’assistenza “caritatevole” dello Stato.

In generale, ciò che lega le scelte del governo sulla sanità e sull’assistenza, alle deleghe sul mercato del lavoro, sulla previdenza, sulla prevenzione, sul fisco, sulla scuola, è  il tentativo di colpire un modello economico e sociale fondato sulla solidarietà, l’eguaglianza, la coesione sociale: cioè, di affermare una cultura secondo la quale c’è incompatibilità fra politiche di welfare e politiche di sviluppo. 

1.6     Questa strategia si accompagna a scelte che il governo non compie in tema di politiche di sostegno e di inclusione che rendono sempre più evidente ideologicamente e culturalmente la connotazione di destra della maggioranza. Ciò è accaduto nel caso della legge sull’immigrazione, che non solo lascia aperte tutte le contraddizioni sulle regolarizzazioni, ma non attiva, sul terreno sociale, alcun meccanismo di accoglienza e sostegno per coloro che sono autorizzati a rimanere, rimarcando, così, la volontà di impedire, alla radice, il formarsi di una società multietnica. Oppure, quando si annuncia una svolta in senso punitivo sulle tossicodipendenze, attraverso una sostanziale imposizione di trattamenti non sostitutivi e l’annullamento, di fatto, del principio della riduzione del danno. Oppure ancora, quando si mettono in campo interventi fondati sulla retorica “familistica” per “normalizzare” i rapporti fra le persone, esaltando la famiglia esclusivamente fondata sul matrimonio, come nel caso delle agevolazioni per il mutuo per l’acquisto della casa alle giovani “coppie sposate”. Si produce, cioè, una rottura del rapporto fra diritti della persona e diritti del cittadino quando compie delle scelte non confacenti a un’etica di parte.  

1.7     Tutto questo si somma a una situazione nella quale il cittadino è costretto a lunghe attese per le prestazioni; a migrare, sostenendone i relativi costi,  per farsi curare adeguatamente; a restare solo, a fronteggiare il disagio, in particolare,  dopo una fase acuta della malattia. 

*  La Cgil intende battersi per una prospettiva radicalmente diversa: quella che fa della qualità, nelle tutele e nell’esigibilità dei diritti, il suo connotato fondamentale e considera lo stato sociale universalistico un fattore attivo dello sviluppo dell’economia. Come per  le politiche industriali e di sviluppo, la Cgil sceglie, quindi,  la qualità e si batte, conseguentemente, contro una politica di spesa pubblica finalizzata esclusivamente al contenimento dei costi.

*  Strategiche, quindi, per la Cgil, sono l’affermazione delle politiche di prevenzione, l’integrazione socio-sanitaria e la centralità del territorio, la valorizzazione e il pieno utilizzo delle risorse umane.

*  La Cgil intende operare per affermare il diritto alla salute come parte fondamentale della battaglia più generale sulla qualità dello sviluppo e del vivere civile del nostro paese; per realizzare coesione e inclusione, contro ogni logica di divisione del paese; per determinare uno sviluppo equilibrato e socialmente sostenibile; per offrire opportunità di nuova occupazione, in grado di soddisfare bisogni sociali che la moderna società produce e che rimangono largamente inevasi,  a partire dai servizi alla persona.

*  La Cgil sostiene, decisamente, il ruolo del sistema pubblico ed il suo operare attraverso i criteri di efficacia, di efficienza e di economicità e l’ esercizio di una funzione esplicita e riconosciuta nella razionalizzazione dell’offerta di prestazioni, sulla base di una lettura della domanda che ne evidenzi l’appropriatezza e l’essenzialità. Per questo è ineliminabile la funzione programmatoria  dello Stato, che deve essere declinata a livello regionale in termini di scelte sui servizi e sulla allocazione delle risorse finanziarie ed umane. In questo quadro, la Cgil considera importante e da valorizzare l’esperienza fin qui realizzata da alcune regioni, in particolare quelle storicamente governate dalla sinistra. Esse hanno, infatti, dimostrato che un sistema pubblico socio-sanitario improntato alla qualità è possibile; che la programmazione democratica e partecipata determina condizioni di cambiamento governate con il consenso dei cittadini; che risparmi ed investimenti non sono termini fra loro incompatibili, bensì fattori essenziali, contemporaneamente, di buon governo e di sviluppo.

*  La Cgil, con questa piattaforma programmatica, intende aprire un confronto con tutte le forze politiche e sociali - innanzitutto con Cisl e Uil - i movimenti, le associazioni del volontariato e del terzo settore e degli utenti e consumatori, che condividono con noi un’idea di stato sociale universalistico. Allo stesso modo, la Confederazione intende ricercare, sui contenuti della piattaforma, il consenso delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati. La Cgil, su questi obiettivi, impegna l'intera Confederazione, a tutti i livelli, a determinare le condizioni per una vertenzialità, in grado di conquistare gli obiettivi qui prefissati.   

2 La salute in Europa

2.1 L’Unione europea si trova nella fase costituente della cittadinanza sociale e si misura con l’offensiva del liberismo che ha prodotto contraccolpi nelle politiche di welfare e nei sistemi sanitari, perfino in quelli a base universale e solidaristica. Le politiche di riduzione della spesa sociale hanno determinato, quasi ovunque, una contrazione del diritto alla salute e alla cura, con variazioni anche significative da paese a paese. C’è il rischio concreto che le politiche monetaristiche e la prevalenza di indirizzi economicistici nella costituzione dell’Unione europea portino a uniformare le tutele al livello più basso o comunque a determinare una subordinazione del welfare e dei diritti alla crescita economica.

Allo stesso modo, vi è il rischio che l’allargamento a nuovi paesi possa essere inteso come un’occasione per un allineamento agli standard più bassi delle tutele e delle prestazioni, e non, invece, una occasione di crescita complessiva per tutte le popolazioni della nuova Europa. 

2.2 La Carta di Nizza, varata nell’anno 2001, anche con il contributo delle Organizzazioni sindacali europee, è certamente un punto di riferimento essenziale per affrontare e risolvere positivamente il problema della cittadinanza sociale europea. Essa impegna gli Stati membri dell’Unione europea a portare i diritti di cittadinanza sociale al livello più alto e dovrebbe impedire ogni regressione rispetto alle conquiste realizzate nelle legislazioni di ogni paese che, peraltro, è ciò che il governo italiano sta perseguendo con le sue politiche. 

*  La Cgil ritiene necessario che nella Costituzione europea i principi di universalità, di solidarietà, di equità, di partecipazione e di responsabilità, trovino un posto centrale.

In termini concreti, la definizione di un quadro comune di “livelli essenziali ed uniformi” dei diritti sociali in tutta l’Unione deve costituire il punto di partenza della politica sociale europea. Si tratta di un obiettivo necessario, possibile, ma non scontato.

*  La Cgil non considera la Carta di Nizza un “protocollo”, ma un atto fondativo di regole e di diritti davvero  esigibili.

Da qui è possibile partire perché l’Europa, per la sua cultura, per le scelte complessive di politica sociale, che hanno prodotto fin qui i livelli più alti nel mondo nella tutela sociale, possa dare, altresì, un contributo decisivo al riconoscimento e all'applicazione dei principi fondamentali della Dichiarazione dei diritti e all’affermazione di un ruolo decisionale dell’ONU per un governo” super partes” della salute globale.

*  In questa fase di transizione dell’Unione, la Cgil ritiene necessaria una forte iniziativa unitaria delle organizzazioni sindacali di tutta l’Europa, perché le politiche sociali e i diritti di cittadinanza siano il fondamento e il volano di una nuova qualità dello sviluppo. 

3 La salute nella globalizzazione

3.1 La tutela della salute è, sempre più, un problema che si evidenzia a livello planetario.

La nube di Cernobyl, la diffusione dell’aids, il surriscaldamento dell’atmosfera del pianeta, il naufragio della petroliera Prestige e altri fatti ancora, hanno reso evidente agli occhi del mondo che i rischi e i danni si trasmettono rapidamente da una parte all’altra del mondo e che la salute è un problema globale.

Nel “villaggio globale”, il collasso sociale di una parte del mondo interessa inevitabilmente il mondo intero. Anche per questo il diritto universale alla salute è oggi, più di sempre, un principio irrinunciabile. 

3.2 Il percorso verso la realizzazione del diritto universale alla salute si è, viceversa, interrotto, sostituito dal prevalere assoluto del profitto e della globalizzazione del mercato.

Il liberismo ha preso il posto della solidarietà internazionale.

La salute, da valore in sé, è stata ridotta a grande business delle multinazionali. In alcuni casi si sono, perfino, condizionati “gli aiuti” ai Paesi poveri allo smantellamento dei sistemi sanitari, imponendo a molti governi programmi di politica sanitaria improntati a principi di concorrenza e di competizione sul mercato e sistemi di privatizzazione dell’erogazione dell’assistenza. Le conseguenze sono drammatiche. Centinaia di milioni di uomini e donne vivono in povertà estrema, al di sotto dei limiti della sopravvivenza; intere popolazioni sono falcidiate da malattie infettive, più di un miliardo di persone sono prive di acqua potabile; la mortalità infantile raggiunge in alcuni paesi africani il 150 per mille sui bambini nati, l’età media non supera i 40 anni nelle popolazioni sub sahariane, ci sono circa mille morti ufficiali al giorno per infortuni e malattie professionali.

La verità drammatica di questi risultati è così evidente che nell’anno 2000 perfino il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e l’ONU, in un documento congiunto, hanno riconosciuto il sostanziale “fallimento nell’affrontare le iniquità di reddito, educazione e accesso alle cure sanitarie e le disuguaglianze tra uomini e donne…”

Il ruolo delle multinazionali raggiunge, poi, l'apice della brutalità nella vicenda dei farmaci per i malati di aids dei paesi poveri, particolarmente africani, con la difesa assoluta dei diritti di brevetto. 

* La Cgil è impegnata, al pari di altri movimenti, nello sviluppo di una critica serrata all’ordine delle cose esistenti, al modello di un mercato senza regole, che non si cura dei diritti, che consuma e distrugge l’ambiente e cancella il futuro delle giovani generazioni.

* Essa, quindi, opera per coniugare le lotte per la piena occupazione, per la qualità del lavoro, per i diritti sociali e per la salute dentro e fuori i luoghi di lavoro, con le iniziative necessarie a garantire la qualità ambientale. E’ impegnata per liberare la sanità dalle scelte esclusive delle multinazionali; per azzerare il debito dei Paesi poveri; per garantire un flusso di risorse e di programmi adeguati a far decollare le economie locali; per modificare le inique ragioni di scambio che penalizzano i paesi del Terzo mondo; per rispettare e rendere cogenti gli accordi internazionali di protezione ambientale, che devono essere coordinati dall’ONU, che rimane l’unico luogo moralmente legittimato a rappresentare tutti i paesi del mondo; per governare i processi di globalizzazione nell’interesse della intera umanità; per superare l'attuale sistema di brevettazione internazionale sui farmaci; ad assumere la salute quale obiettivo fondamentale e cartina al tornasole della qualità dello sviluppo; ad affermare il primato del sistema sanitario pubblico.

* La Cgil ritiene che tutti i provvedimenti di politica economica adottati dal Governo e dalle Agenzie internazionali, compreso il Wto, debbano essere subordinati alla valutazione di impatto sulla salute, in modo da conseguire politiche economiche sane, pubbliche o private che siano. 

4 La prevenzione, una cultura da affermare

4.1 Gli studi epidemiologici evidenziano la crescita del numero delle persone in stato di disagio. Ciò è il frutto anche dell’accentuarsi della disuguaglianza che caratterizza questa fase dello sviluppo della nostra società. La stessa speranza di vita delle persone dipende non solo da eventi meramente biologici, bensì dalle condizioni sociali, di lavoro e dalle opportunità che la società offre. Il grado e le forme delle disuguaglianze sociali incidono sulle condizioni di salute della popolazione, tant’è che le classi sociali più povere presentano un’attesa di vita significativamente più bassa rispetto a quelle culturalmente ed economicamente più elevate e una minore capacità di selezione e scelta rispetto al loro bisogno effettivo. Ciò dimostra che le politiche della salute sono strettamente correlate ad interventi sociali mirati e non possono essere lasciate alle dinamiche spontanee del mercato.

Cresce l’area della emarginazione, si affievoliscono gli interventi a tutela dei tossicodipendenti e della popolazione carceraria, riemerge una cultura che nega i diritti, si mettono in discussione le conquiste realizzate con la legge 180 nell'assistenza al disagio mentale. 

4.2 Il quadro demografico vede l’aumento della popolazione infantile nelle aree meno protette dal punto di vista delle opportunità sociali e l’allungamento della vita media, con conseguenti problemi legati a una più lunga persistenza di cronicità di tipo sanitario. Tutto ciò rende più complesse le scelte relative all’assistenza, ma anche centrali nella programmazione del sistema. 

4.3 L’ultimo “Rapporto sulle politiche contro la povertà” contiene dati allarmanti: si stabilizza il dato relativo a quella che viene definita “emergenza da esclusione”, che coinvolge almeno il 13,6% delle persone; vivono al di sotto della soglia di quella che viene definita di "povertà relativa" 7.830.000 persone; sono stimate in 3 milioni le persone che vivono in povertà assoluta. Nel quadriennio 1997-2000 sono cresciute le percentuali di povertà relativa tra coloro la cui età è compresa fra i 35 e i 44 anni. Ancor più preoccupante è la situazione tra i minori.

Altro problema è la “persistenza in povertà”. La povertà, infatti, sembra una condizione immutabile. Molto raramente le famiglie che vivono in situazione di povertà e di emarginazione riescono autonomamente a percorrere la difficile strada del miglioramento della situazione economica e del reinserimento nel contesto sociale attivo. Se nelle regioni del centro-nord esiste qualche possibilità di uscire dalla povertà, nel sud le speranze sono vicine allo zero. 

4.4. Sui luoghi di lavoro il tema salute e sicurezza risulta, in un sempre maggior numero di casi, assolutamente residuale, sia dal versante degli imprenditori, che lo considerano un puro costo, sia da quello dello Stato e dei soggetti pubblici, che abbassano progressivamente il livello di vigilanza, di controllo e di ricerca sulla prevenzione, con il risultato di oltre un milione di infortuni all’anno, di cui 1500 mortali e una consistente presenza di malattie professionali in genere “silenti”. Rapporti di lavoro precari e piccole imprese hanno il primato negativo in materia.

In un quadro caratterizzato dalla scarsità di risorse  messe a disposizione dallo Stato, si differenziano solo poche realtà regionali, che hanno realizzato progetti ed investito in qualità. Tale condizione ha subito un ulteriore peggioramento con le politiche perseguite dall’attuale esecutivo, che mantiene un ruolo residuale per gli operatori pubblici ed  equipara, nell’esercizio delle competenze rispetto alla medicina del lavoro, i medici legali e gli igienisti ai medici del lavoro specializzati in questa disciplina.  La fine del vincolo di destinazione del Fondo sanitario, ancor più in un contesto di drastico ridimensionamento delle risorse, comporterà una consistente riduzione degli strumenti e del personale della prevenzione.

La pressione delle imprese, gli interessi condizionanti che sussistono in alcuni campi della ricerca biomedica, l’utilizzo poco pertinente di alcune acquisizioni mediche e tecnologiche più recenti,  stanno mettendo sempre più in discussione la razionalità collettiva dell’intervento di prevenzione.

La delega sulla prevenzione nei luoghi di lavoro – in corso di approvazione – è la base che il governo si dà per smantellare l’intero sistema di tutela della salute nel lavoro, adeguando le norme alla “compatibilità aziendale” e rendendo più evanescenti le già scarse funzioni di vigilanza, fino a far prefigurare la depenalizzazione. 

4.5 Il quadro dei rischi che mina la salute alimentare è ampio e grave ed una parte minima è rappresentata dalle sempre più diffuse intolleranze, dall’aumento dei soggetti obesi nella popolazione, dal crescente numero di anziani con patologie da alimentazione, per non parlare delle forme acute, più facilmente individuabili. Nulla si sa sui rischi a lungo termine derivanti dalle manipolazioni biochimiche, di più recente introduzione; su quelli relativi agli agenti introdotti nelle colture per la concimazione e per la lotta agli infestanti, nonché su quelli usati per la conservazione e il trasporto dei prodotti. A tutto ciò, va aggiunta la presenza ricorrente di attività illegali, quali l’uso di materiali inquinati da sostanze chimiche (pcb, diossine), l’uso di ormoni per la crescita e lo sviluppo di particolari attitudini produttive degli animali (latte, ad esempio) e la produzione di mangimi tramite materiali provenienti da animali anche malati, di cui è drammatica testimonianza la vicenda della BSE. La strategia legislativa per la sicurezza alimentare in Europa adottata negli ultimi trent’anni si è rivelata insufficiente a garantire gli scopi cui era dedicata e se ne è avviata, di conseguenza, la riforma, il cui punto centrale è la trasparenza del sistema produttivo agroalimentare. 

*  La Cgil affronta la complessità dei fattori che compongono il quadro della salute nel nostro paese e i rischi derivanti da veri e propri processi contro- riformatori voluti dal governo, innanzitutto rilanciando la cultura della  prevenzione. Nella vita, nel lavoro, nell’ambiente. Essa rappresenta il momento principale dell’intervento dei sistemi socio-sanitari finalizzato ad implementare la qualità della vita e il benessere delle persone ed a preservare lo stato di salute dalla insorgenza di malattie e disabilità.

*  Prevenzione significa considerare l’essere umano come persona e la salute  come un bene complessivo.

*  Nell’intervento sanitario sviluppare la prevenzione significa invertire la rotta  che ha visto finora centrale il momento della cura e dell’assistenza ospedaliera; investire risorse adeguate per sviluppare i servizi sul territorio; incrementare il livello di consapevolezza delle persone; promuovere corretti stili di vita. Servono, in particolare, campagne di sensibilizzazione e di informazione - già a partire dalle scuole - sull'utilizzo consapevole dei farmaci, anche attraverso specifici protocolli con i medici di medicina generale, campagne rivolte alla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale e delle più diffuse patologie tumorali femminili e maschili; va, altresì, rilanciata, in questo contesto, l'informazione sulle attività dei consultori familiari. Occorre, altresì, attivare servizi mirati rivolti alle persone con problematiche connesse alle diversità di identità e di orientamento sessuale.

* Nel sociale la prevenzione  significa  promuovere il benessere sociale rivolgendosi agli strati deboli della popolazione, per reddito e cultura, agli anziani, agli emarginati, ai tossicodipendenti, ai malati di mente, ai detenuti, offrendo loro non solo sostegno, ma reali possibilità di riprogettare la propria esistenza. Significa, anche, promuovere partecipazione e socializzazione e sviluppare reti  relazionali.

*  Prevenzione significa creare ambienti di vita e di lavoro salubri, eliminare le condizione di rischio, sostituire le sostanze tossiche o pericolose e migliorare in un'opera di monitoraggio continuo il microclima lavorativo. Prevenzione significa rafforzare le competenze del delegato della sicurezza e promuovere la sperimentazione diffusa del delegato sociale, collegando queste figure - per le rispettive competenze - alla contrattazione sulle condizioni di lavoro e di vita. Significa, inoltre, incrementare, anziché annullare, interventi efficaci di vigilanza e sanzioni, fino al livello penale. Significa, anche, emanare i provvedimenti che da anni il governo deve produrre, ad esempio sui registri degli esposti, essenziali per i singoli lavoratori e per le indagini epidemiologiche.

*  Prevenzione nel sistema agro-alimentare, significa applicare il principio del “controllo di filiera”, affidandolo sia alla reciprocità degli obblighi commerciali ed etici tra contraenti economici, sia alla supervisione delle Autorità regionali e locali. Alla base delle scelte di filiera e della supervisione delle autorità, il "Principio di precauzione" è lo strumento che può indurre la prevenzione primaria, determinata all'origine. Per queste ragioni, è necessario che la funzione generale di controllo sugli alimenti sia esercitata dal ministero della salute e non da quello delle politiche agricole, come proposto dal governo.

* Prevenzione è un impegno certo di risorse, ma anche un sicuro risparmio economico su costi sociali e sanitari futuri.

* Prevenzione è un’impronta culturale che deve informare i comportamenti di tutti e di ognuno, in particolare, di quanti programmano, ai diversi livelli di competenza e di responsabilità loro affidate, le attività sociali e sanitarie per la promozione della salute.

*  Prevenzione è, infine, promuovere una adeguata educazione sanitaria dei cittadini, per l’appropriatezza delle prestazioni.

* Accanto al rilancio della cultura della prevenzione la Cgil ritiene decisiva la battaglia a difesa delle leggi che, nei vari settori qui trattati, hanno segnato il processo riformatore degli anni scorsi e che, oggi, il governo vuole cancellare o, almeno, vanificarne la portata. In particolare, la riforma sanitaria nella sua ispirazione di fondo e quella ultima, la cosiddetta “riforma Bindi”, la legge quadro sull’assistenza, la riforma della psichiatria, la legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, la riforma della sanità penitenziaria e la legge sulle tossicodipendenze. Difendere questo quadro normativo certo e positivo per il sistema salute del nostro paese, rappresenta il presupposto per l’obiettivo qualità che intendiamo realizzare.      

5 L’integrazione socio-sanitaria e un sistema di qualità, una scelta strategica

5.1Un sistema socio-sanitario universalistico e solidaristico ha bisogno di strutture adeguate per garantire servizi di qualità. Ciò rende necessaria una strategia e una progettualità che  vadano oltre i confini ordinari dell’azione amministrativa e siano in grado, invece, di mettere in rete tutte le competenze e le risorse che operano sul territorio. 

5.2 Il sistema territoriale è l'elemento su cui operare una vera e propria svolta. Il punto critico del nostro Servizio sanitario nazionale, che pure ha raggiunto livelli di eccellenza come dimostrano le ricerche prodotte dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, può essere individuato nella carenza dei servizi dedicati alla prevenzione, alla lotta alla diseguaglianza e all'emarginazione, nella carenza di una efficiente rete di interventi territoriali e distrettuali. Del tutto inadeguato è stato così lo sviluppo di un sistema di cure primarie che riconoscesse nel distretto il punto di reale integrazione e programmazione; sono pochissime infatti le regioni che hanno spostato il baricentro dell’intervento sanitario dalla cura alla prevenzione, dall’ospedale al territorio, come dimostra l'Emilia Romagna, che destina ad esso il 52% delle risorse, a fronte del 38% della regione Lazio.

Questa situazione è anche il frutto di un approccio alle questioni socio-sanitarie ancora centrato sui servizi di carattere clinico-individuale. 

5.3 L’esigenza di programmazione e integrazione si afferma, oggi, a fronte della domanda di servizi connotata da una forte crescita e da tratti di novità. E’ una realtà che va interpretata e governata per tempo per evitare lacerazioni e squilibri sociali.

L’aumento del numero degli anziani produce una domanda crescente di servizi sanitari, prevalentemente dedicati alle forme di cronicità e di assistenza socio-sanitaria. Una risposta a questo fenomeno attraverso una tradizionale politica di “posti letto” quale soluzione residenziale assistita, si rivela sempre più costosa e incontra sempre meno consenso tra i soggetti interessati.

La crescita della società multietnica determina nuovi bisogni e necessita di nuove tutele anche sanitarie, in particolare verso gli immigrati che ancora non sono regolarizzati. E’ una condizione, questa, che somma al rischio per la loro salute le occasioni di esclusione. 

5.4 Un moderno Servizio sanitario riserva all’ospedale il ruolo di cura di quegli episodi acuti che, richiedendo un’alta intensità di assistenza, un monitoraggio continuo delle funzioni vitali e un impiego di mezzi diagnostici complessi, non possono essere affrontati efficacemente in ambulatorio, o al domicilio del paziente. L’ospedale è il luogo dove il sapere medico, frutto della conoscenza e della buona pratica professionale, si integra con le straordinarie possibilità diagnostiche e terapeutiche offerte dalla moderna tecnologia.

In questo quadro gli ospedali devono costituire une rete integrata di presidi caratterizzati da una diversa intensità di cura e specializzazione, ma comunque sempre finalizzate al massimo livello di qualità. In essi le prestazioni e le dotazioni strumentali di elevata tecnologica devono consentire la permanenza del paziente soltanto per il tempo strettamente necessario alla risoluzione dell’acuzie o alla formulazione diagnostica.  

5.5 Il sistema ospedaliero del nostro paese pur attestandosi nel suo complesso  ad un livello  adeguato alla media europea mostra ancora disequilibri e disorganizzazione, che vanno combattuti e che richiedono progettualità, definizione esatta degli obiettivi ed investimenti.

Gli attuali standard di dotazione in posti letto, così come definiti dalla legge 405/2001 nel numero di 5 per mille, di cui uno per riabilitazione, vedono un eccesso di posti letto per acuti (circa 35.000) ed un difetto dei posti di riabilitazione e post acuzie (circa 29.500): si pone dunque la necessità di una riconversione, che riguarda sia gli usi delle strutture, sia le funzioni degli operatori.

Le regioni governate dal centro destra hanno scelto con determinazione un  percorso fatto di politiche restrittive, di tagli selvaggi, quanto inutili. Sono stati chiusi interi ospedali al di fuori di una logica di riequilibrio tra territorio ed ospedale stesso, tra acuzie e riabilitazione. Riabilitazione che rappresenta sempre di più un serissimo problema per il cittadino e la famiglia, proprio quando più dovrebbe essere garantita la continuità terapeutica. Hanno finito col prevalere, esclusivamente, esigenze finanziarie senza preoccupazione alcuna per le conseguenze sui cittadini. 

5.6 Le diverse tipologie di assistenza – dal sostegno domiciliare, al reddito minimo di inserimento, dal sostegno all’handicap, alle Residenze sanitarie assistenziali, al potenziamento dei consultori materno-infantili - coprono un ventaglio di bisogni non comprimibili che vanno affrontati attuando una programmazione territoriale consapevole dei bisogni effettivi del territorio.

A queste esigenze il governo risponde riducendo drasticamente le risorse destinate agli enti locali a sostegno delle politiche sociali. La mancata definizione dei Leas rappresenta, nel contempo, l’emblematica raffigurazione di una volontà vanificatrice della legge 328 – che nella finanziaria 2003 arriva al livello massimo di far discendere la definizione dei Lea sociali dalle compatibilità finanziarie - e la condizione mancante per rendere universale ed esigibile il diritto della persona ad essere assistita in caso di bisogno. 

* La Cgil assume la centralità del territorio e del distretto come asse strategico della propria iniziativa politico-rivendicativa per la realizzazione di una vera integrazione socio-sanitaria. Centralità del sistema territoriale-distrettuale, intesa come luogo nel quale si intercettano i bisogni, si interpreta la domanda di assistenza,  si individuano le fonti del disagio, si incontrano  la programmazione sociale e quella sanitaria; si portano i servizi vicino alle persone e ai loro bisogni in forma partecipata; si supera l'approccio alla politica sanitaria intesa solo come produzione ospedaliera e di posti letto: si afferma compiutamente il diritto alla salute e al benessere.

* La Cgil si batte per una riorganizzazione della rete ospedaliera capace di coinvolgere energie, attori sociali, nuovi investimenti. In questo quadro, considera negativamente ogni ipotesi di scorporo degli ospedali e di loro trasformazione in Fondazioni come meccanismo per privatizzare il Servizio sanitario nazionale.

Pensiamo ad un processo di razionalizzazione accompagnato da una intensa azione di potenziamento delle cure domiciliari e quindi delle strutture territoriali e dei distretti, in grado di garantire, ad ogni cittadino, la necessaria continuità tra la cura dell’episodio acuto e  la riabilitazione. Questo tema, peraltro, deve rientrare formalmente nei protocolli diagnostico-terapeutici e nel percorso assistenziale di ogni paziente.

I reparti di lungo-degenza per la stabilizzazione dei quadri clinici, i reparti di riabilitazione estensiva, i centri di cure territoriali e gestiti in collaborazione con i medici di medicina generale, rappresentano strutture importanti su cui investire in termini di risorse, nuovi modelli organizzativi e professionalità elevate. Solo in questo modo è possibile dare una risposta adeguata e credibile ai bisogni di certezze e sicurezza espresse dai cittadini, che altrimenti rischiano di veder sparire gli ospedali  cui essi hanno storicamente fatto riferimento, in assenza di risposte alternative adeguate.

* La Cgil ritiene necessario ottimizzare l’utilizzo delle risorse integrandone capacità operative per obiettivi funzionali. Propone, quindi, di realizzare veri e propri “contenitori polifunzionali” dove si riconoscano gli spazi per le attività di promozione della salute (che significa intercettare il disagio anche sociale e prevenirne gli effetti negativi o, comunque, marginalizzanti,  a partire dalla funzione dei distretti) e di partecipazione dei cittadini; luoghi ove ospitare gli studi medici dell’area, i servizi per la continuità assistenziale, gli ambulatori specialistici, la struttura amministrativa di supporto e il centro unificato di prenotazione, le attività diagnostiche strumentali previste e standardizzate, le attività sociali e riabilitative; una sede comune che renda contigui i servizi e gli operatori e consenta di realizzare, senza dispersione di tempo e di risorse, l’integrazione professionale richiesta dal piano sanitario nazionale e quella prefigurata per il distretto stesso e per le forme del Segretariato sociale dalla legge 328.

* Nell’organizzazione distrettuale va rilanciata la funzione dei Consultori e ridisegnata quella del medico di medicina generale prevedendone l’ integrazione con la altre figure professionali anche ai fini di un suo coinvolgimento diretto nella  gestione sanitaria del servizio.

* In funzione di questo obiettivo, è indispensabile che gli accordi nazionali e regionali fra servizio sanitario e medici di medicina generale assumano quali priorità l’associazionismo medico e lo sviluppo dell’assistenza domiciliare integrata. Una nuova impostazione del rapporto fra medici di base e servizio sanitario, fondata su una integrazione reale, è condizione indispensabile per garantire ai cittadini del distretto l’accesso alle cure non procrastinabili almeno per tutto l’arco delle fasce diurne e le condizioni organizzative per evitare i ricoveri inappropriati in ospedale.

* La stessa assistenza domiciliare integrata costituisce una risposta efficace che la medicina del territorio può offrire alle persone bisognose di trattamenti integrati che non possano essere risolti nelle strutture ambulatoriali ma che, al contempo, non richiedano l’intensità di cure proprie dell’ospedale. Si tratta, in sostanza, di sviluppare il sistema territoriale per consolidare l’ assistenza per le post-acuzie, sia territoriale che domiciliare. Allo stesso modo l’ospedalizzazione a domicilio rappresenta una efficace risposta del territorio a quelle persone che, una volta dimesse dall’ospedale dopo la risoluzione della fase acuta, necessitino ancora di una continuità terapeutica erogabile a domicilio dagli stessi operatori della struttura ospedaliera. Per rilanciare l’assistenza domiciliare è necessario pensare alla contestuale definizione di interventi di carattere sociale – disponibilità di sostegno parentale e di prossimità, condizione abitativa, reddito, ecc. – che rendano possibile il mantenimento dell’assistito nel suo ambiente abituale di vita.

* Sul versante della salute mentale occorre ribadire che il dipartimento forte, a struttura, che il sindacato ha sempre rivendicato, deve essere inteso come strumento di prevenzione, cura e riabilitazione, ma anche di integrazione sociale e sanitaria. In questo modo si contrasta una nuova stagione di istituzionalizzazione strisciante, già in atto, dove i posti letto nelle strutture residenziali psichiatriche crescono ben oltre gli standard previsti, sia dal Progetto obiettivo “Tutela della salute mentale”, che dagli stessi livelli essenziali di assistenza, e dove il disagio psico-sociale viene rinchiuso in istituzioni variamente denominate, da “case di riposo” a Rsa, da” istituti di riabilitazione”  a “case di cura”. Occorre, altresì, che si sviluppino nuove forme di intervento alternative alla contenzione, che sempre di più sta riaffermandosi come unica pratica, in particolare in direzione dei Centri di salute mentale aperti 24 ore.

Le strutture residenziali sono senz’altro necessarie in un'ottica dipartimentale, ma come fase, temporalmente limitata, di un progetto individuale proiettato verso il migliore possibile reinserimento sociale. Il dipartimento di salute mentale,  infatti, non può diventare esso stesso una istituzione ipertrofica alla quale la società delega la gestione della “diversità”, anche attraverso l’inclusione nel suo ambito di altri servizi considerati “collaterali” nel progetto sanitario e sociale di questo governo,  da quelli per la tossicodipendenza a quelli per la psicogeriatria. Deve essere, perciò, una struttura aperta ed integrata in primo luogo con il distretto sanitario, deputato alla “lettura” del bisogno di assistenza e, quindi, all’organizzazione della risposta sociale e sanitaria in tutte le sue forme e integrazioni.

* Bisogna inoltre rilanciare un’iniziativa diffusa per facilitare l’accesso ai servizi diagnostici e ridurre le liste d’attesa.

Anche a questo proposito si tratta in primo luogo di capovolgere gli indirizzi centralistici, burocratici e inefficaci del ministero della salute, riaffermando, viceversa, il ruolo delle regioni e delle Asl nel governo della domanda.

La riduzione, il controllo e la gestione, in forma partecipata, delle liste d’attesa costituiscono condizioni essenziali per garantire l’esigibilità del diritto alla salute da parte dei cittadini. Le azioni per il contenimento delle liste d’attesa consentono di far emergere il legame fra appropriatezza clinica e organizzativa e di dare risposte adeguate ai bisogni di assistenza dei cittadini secondo criteri di equità e di priorità. Si tratta dunque di applicare tutte le disposizioni in essere atte e svuotare le liste di attesa,  dando, così, trasparenza al sistema e impedendo un uso distorto della libera professione intramoenia e, a maggior ragione, della libera professione extramuraria; semplificare i percorsi diagnostici e terapeutici, evitando alle persone inutili file o passaggi burocratici ingiustificati; garantire subito le urgenze; regolare, con altrettanta trasparenza, il sistema delle visite di controllo.

Intervenire sulle liste d’attesa significa mettere a disposizione delle regioni e delle Asl  risorse certe e adeguate per realizzare, in forma partecipata, le riorganizzazioni necessarie.

* La Cgil, inoltre, si batte per difendere la legge 328  dagli attacchi del governo. Chiediamo la sua applicazione su tutto il territorio nazionale, rivendichiamo un suo adeguato finanziamento e l’attuazione di tutti gli strumenti applicativi, a partire dalla definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale.

* Allo stesso modo la Cgil chiede che si determini, stabilmente, per via legislativa, così come previsto dalla Costituzione, la definizione dei livelli essenziali di assistenza che devono fondarsi su criteri di efficacia, appropriatezza ed equità e devono essere resi concretamente esigibili in tutto il territorio nazionale (livelli essenziali uniformi). Sarà questa l’occasione per definire in maniera più compiuta i criteri di base della formulazione dei livelli stessi; colmare le lacune; superare l’indeterminatezza delle formulazioni che rendono scarsamente esigibili i diritti; garantire quel confronto democratico con le organizzazioni sindacali che il Governo ha reiteratamente escluso.

* La programmazione, nonché la valorizzazione delle risorse umane e delle risorse professionali,  è la strada maestra ineludibile per rendere virtuoso e democratico un sistema sanitario pubblico e per garantire in concreto i diritti dei cittadini e la loro libertà di scelta.

* Per questa ragione, c’è bisogno di un vero Piano sanitario nazionale. Quello elaborato dall’attuale ministro della salute abbandona la strada del confronto e della concertazione e anche per questo risulta un progetto arretrato, per di più generico, di nessuna utilità politica, ininfluente sulla struttura materiale del Servizio sanitario nazionale.

La Cgil rivendica un Piano sanitario nazionale, concertato con le parti sociali, che metta in essere e faccia funzionare, a tutti i livelli, gli strumenti di conoscenza epidemiologica e di monitoraggio necessari per una programmazione mirata; contenga obiettivi di salute in corrispondenza ai dati di conoscenza; stabilisca gli standard fondamentali per garantire in quantità e qualità i livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio nazionale; preveda,  tenendo conto del nuovo assetto istituzionale, intese nella Conferenza Unificata con le Regioni italiane, e con ciascuna di esse; favorisca la partecipazione democratica a tutti i livelli della programmazione sanitaria; individui le sedi, i tempi e gli strumenti per la verifica dei risultati ottenuti dalla programmazione. 

6 Le risorse umane, un investimento per il sistema

6.1 In un sistema orientato alla qualità il capitale umano, nel settore sanitario e in quello assistenziale, rappresenta una investimento su cui fare convergere risorse e progetti orientati alla crescita professionale. Per l’attuale Esecutivo in carica invece il personale rappresenta un costo da comprimere, un capitolo di spesa su cui realizzare economie; sono queste le vere ragioni che spingono il governo a impedire il rinnovo dei contratti  non mettendo a disposizione  le risorse necessarie per l’avvio della trattativa.

Lo stesso ricorso sempre più consistente a rapporti di lavoro precario e per ciò stesso a qualificazione discutibile, oltre a rappresentare un problema per la persona, contribuisce alla strategia generale della maggioranza di centro-destra di dequalificare, prima, le strutture pubbliche per determinare, poi, l’avanzamento di processi di privatizzazione del sistema. 

* Le risorse umane rappresentano un fattore primario per obiettivi di qualità. Un servizio socio-sanitario che assuma la qualità come asse centrale del suo essere e del suo operare, si deve porre strutturalmente il tema del coinvolgimento di tutti gli operatori, del riconoscimento delle professionalità, della loro partecipazione alla vita aziendale e alla definizione delle  scelte strategiche; il rapporto di lavoro deve rappresentare uno  strumento  di valorizzazione delle professionalità, un elemento di discontinuità rispetto al precedente formalismo gerarchico burocratico che ha caratterizzato finora la pubblica amministrazione. Il rapporto di lavoro esclusivo per tutti i dirigenti del ruolo sanitario è il fondamento indispensabile per una piena condivisione della missione aziendale da parte dei propri dirigenti ed un elemento di trasparenza nei confronti degli utenti e di quanti si affidano alla struttura pubblica.

* Lo stesso esercizio, nella sanità e nel sociale, della contrattazione determina un fattore di qualità. Infatti, il contratto nazionale - anche nel quadro di una prospettiva di costruzione di un unico contratto di settore per gli operatori del privato sociale - rappresenta non solo un insostituibile strumento di difesa universale dei diritti dei lavoratori, ma anche un elemento di garanzia per i cittadini di accesso ad omogenei livelli di assistenza e di fruizione di prestazioni con caratteristiche uniformi su tutto il territorio nazionale; il secondo livello di contrattazione, poi, intervenendo sull’organizzazione dei servizi e sull’organizzazione del lavoro, rappresenta uno strumento  decisivo per la realizzazione di un modello diverso di organizzazione del sistema di erogazione dei servizi, di uno snellimento della burocrazia, dell’abbattimento delle liste di attesa, del miglioramento e potenziamento delle prestazioni erogate, il tutto finalizzato agli obiettivi di qualità che ci prefiggiamo.

* La formazione permanente e l’aggiornamento continuo sono gli  strumenti indispensabili per la piena valorizzazione della professionalità del personale del servizio sanitario nazionale; essi sono finalizzati al completamento della preparazione professionale, al miglioramento della qualità del servizio e alla progressione delle capacità professionali.

La formazione e l’aggiornamento professionale devono essere assunti dalle aziende come parte integrante di un rapporto di lavoro  che veda i propri dipendenti nel ruolo di lavoratori della conoscenza, di risorse di cui dispone l’azienda, di investimenti e non più di  semplici costi. 

Le aziende sanitarie devono conseguentemente definire i programmi  di aggiornamento e di formazione continua attraverso la costituzione di appositi organismi e la messa a disposizione di adeguate risorse ed investimenti. 

7 Diritto alla salute e lotta all’esclusione, più risorse e più investimenti

7.1 Le risorse che il nostro paese destina al Servizio sanitario nazionale e all'assistenza sono inferiori rispetto a quelle di altri paesi europei. Nonostante ciò, il governo riduce ulteriormente le risorse per la sanità e le politiche sociali, fino a decidere, sciaguratamente, l’applicabilità, anche nella sanità, del decreto di dicembre “taglia spese”. In questo modo, tra l’altro, si crea una situazione di difficoltà anche per quelle regioni che hanno gestito con rigore e senza deficit i propri bilanci e quelli delle strutture di riferimento. L'abolizione del vincolo di destinazione del Fondo sanitario, a partire dal 2004, è un altro elemento che rende labile il finanziamento reale del sistema regionale e priva di certezze le singole articolazioni che lo  costituiscono. L’idea del governo, di trasformare le aziende ospedaliere e gli IRCCS in Fondazioni, modificando radicalmente il decreto legislativo 229, non ha nulla a che vedere con l'implementazione della qualità, ma mira soltanto alla loro privatizzazione. Anche in questo campo come in quello fiscale, l'idea è sempre quella dell’iniquità: del colpire, cioè, chi si comporta correttamente. 

7.2 La legge finanziaria va proprio in questa direzione: vengono rafforzati i vincoli temporali di rientro dal deficit da parte delle regioni, peggiorando la condizione di accesso all’adeguamento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004, 2005. Con la precedente finanziaria esso ammontava, infatti, a 12.027 miliardi di lire per il 2003 e a 13.214 per il 2004, fondi già insufficienti, in quanto le risorse messe a disposizione per il 2003 equivalgono alla spesa registrata nel 2002. Per accedere dunque al riparto di quel finanziamento - 12.027 miliardi di lire per il 2003 che, evidentemente, costituiscono uno scaglione necessario a colmare la sottostima del fondo nazionale, non fosse altro che per l’incremento dell’inflazione reale - si decide oggi che le regioni debbono prioritariamente sanare il disavanzo del 2002 (pari a circa 4000 miliardi di lire) con manovre di razionalizzazione organizzativa.

Ciò significa, anche, subordinare i Livelli essenziali di assistenza alle risorse disponibili. Tutto questo, nonostante il titolo V abbia riconosciuto materia esclusiva dello Stato la definizione dei Lea ed abbia previsto, in caso di inadempienza delle regioni, l’intervento sostitutivo dello Stato.   

7.3 Gli scenari futuri, poi,  minacciano   la  stessa sopravvivenza del SSN; il Governo ha infatti intenzione, nell’ambito dell’approvazione della delega fiscale, di abolire l’IRAP e con essa una delle fonti primarie di finanziamento del SSN;  è un fatto di gravità inaudita  che l’Esecutivo abbia messo in cantiere tale progetto senza avere  indicato prima quale sarà il tributo sostitutivo, come saranno  garantite le risorse finanziarie necessarie.  

7.4 La vistosa retromarcia del governo, a proposito della progressiva cancellazione dei ticket anche sugli esami e sulle visite specialistiche, prevista dalle finanziarie precedenti, ripropone, inoltre, seri problemi di equità nell’accesso ai servizi, oltre a evidenti effetti negativi proprio sui redditi dei lavoratori e dei pensionati più deboli. La prima fase di applicazione del nuovo regime ci consegna una situazione in cui al danno per i singoli cittadini, si aggiunge la beffa di una babele di trattamenti diversi, contrari ai più semplici principi di equità e di uguaglianza fra i cittadini stessi. 

7.5 Allo stesso modo il governo non mette in campo un’adeguata politica industriale, senza la quale l’industria farmaceutica del nostro paese non inverte la tendenza di questi ultimi anni ad un progressivo ridimensionamento che di fatto ha assunto - per quanto riguarda la capacità di sintetizzare molecole innovative e quindi di competere sul terreno della ricerca nel mercato globale - le dimensioni di un vero declino.

La spesa farmaceutica - con l’acuirsi delle difficoltà economiche delle regioni insieme alla stretta sui vincoli di bilancio imposti dal patto di stabilità interno -  viene  rappresentata esclusivamente in termini di costi da sottoporre a controllo e quindi a contrazione con l’adozione di manovre correttive a senso unico o quasi, le cui conseguenze sono state fatte ricadere prevalentemente sugli utenti.

Totalmente assente nell’azione del governo è stata una politica seriamente e coerentemente orientata a sviluppare i percorsi di appropriatezza nell’ uso di questa risorsa, il farmaco, in molti casi assolutamente insostituibile.

Tutto questo rende più odiosa l’imposizione dei ticket da parte di alcune regioni, in quanto la mancanza di idonee politiche e di capacità progettuali  e di governo della spesa viene di fatto scaricata sulla parte più debole e meno garantita della popolazione, quella degli utenti; nessun tentativo o quasi viene fatto per sviluppare negli operatori la cultura dell' appropriatezza e della corretta gestione delle risorse.

Carente è stato  dunque in questa partita il ruolo giocato dalle regioni che, con pochissime eccezioni tra cui la Toscana e L’Emilia Romagna, non hanno voluto utilizzare gli spazi, limitati,  ma esistenti. 

7.6. Da molti anni l'attacco alla legge 194 si accompagna a una lenta ma costante marginalizzazione e dequalificazione dei consultori istituiti per promuovere la salute sessuale e riproduttiva delle donne, degli adolescenti, delle coppie. In molte regioni i tagli che hanno investito l'insieme dei servizi territoriali si sono abbattuti anche sui consultori, privandoli di specifico personale e relegandoli ad ambulatori con poche ore settimanali di apertura e procedendo a una progressiva riorganizzazione tendente più a "seguire la maternità" piuttosto che a rientrare nelle funzioni primarie del consultorio, che vanno dalla prevenzione, alla educazione sessuale, al rispetto del principio all'autodeterminazione delle donne. La dequalificazione del consultorio porta, ovviamente, con sé, un suo progressivo abbandono, cosa questa che viene presa a pretesto per un suo ulteriore ridimensionamento, alimentando così il mercato privato. 

7.7 La volontà di intervenire nuovamente per via legislativa sul disagio psichico e i contenuti delle proposte che sono state avanzate, denunciano un ritorno all’istituzionalizzazione della malattia mentale, considerata una forma che necessita l’esclusione dalla rete dei rapporti sociali.

Così, la diversità di chi soffre di disturbi psichici viene sempre più accomunata a quella di chi ha problemi di tossicodipendenza, alcoolismo, demenza. La “pericolosità” diventa l’altro elemento decisivo per l’istituzionalizzazione e coinvolge, quindi, le forze di pubblica sicurezza e la riattivazione degli ex padiglioni manicomiali, fino a prevedere la legittimità dell’omissione di soccorso per quegli operatori che abbandonassero l’intervento durante il Trattamento sanitario obbligatorio (Tso). 

7.8 La linea di assoluto disimpegno del governo verso i disabili porterà ad un  effetto devastante sul percorso dell’integrazione sociale di questi cittadini. Non si possono con una legge diminuire le necessità di questa fascia debole della popolazione e delle loro famiglie, che sono gravate oltre misura da impegni e da sofferenze per la risoluzione e l’affermazione di diritti fondamentali. Infatti, la riduzione dei trasferimenti agli enti locali, la diminuzione della spesa per i servizi e il mancato rifinanziamento di leggi specifiche - in particolare a favore dei disabili gravi, quali la legge 162/98, o la destinazione dei fondi al problema del “dopo di noi” (come aveva stabilito la legge 388/2000) – metterà in forse servizi essenziali, creando i presupposti per una “guerra tra poveri”, in quanto gli insufficienti fondi trasferiti agli enti locali vengono accorpati in un  unico capitolo, senza che siano vincolati ad un utilizzo preciso.

Allo stesso modo, con i tagli alla sanità sul versante della riabilitazione comportano una progressiva regressione delle condizioni generali del disabile. Il progetto di vita di ogni persona, a maggior ragione di un disabile,  è quello di acquisire autonomia; se si limitano servizi, risorse e progetti individualizzati, si cancella la speranza per il futuro e si assicura un presente fatto di discriminazione ed emarginazione. Ciò comporta, processi riabilitativi discontinui, perché legati alla scarsità di risorse e il  determinarsi di situazioni davvero irrecuperabili. 

7.9 La riduzione delle risorse destinate alla giustizia, a fronte del mancato completamento del riordino della sanità penitenziaria, trascina con sé gravi conseguenze, a partire da una netta diminuzione delle ore di lavoro del personale, in larga maggioranza a contratto di collaborazione, mentre cresce il disagio fisico e  psichico delle persone, detenute e internate, ma anche del personale addetto alla sicurezza delle carceri, che sempre più frequentemente si trova a contatto con stati patologici per i quali non è preparato a intervenire.  

Oltre a ciò, il governo sembra intenzionato a smantellare i presupposti normativi e culturali che hanno caratterizzato il processo di riforma della sanità penitenziaria,  aperto con il decreto delegato in base all’articolo 5 della legge 419/98 sul “riordino della medicina penitenziaria”, che definiva le condizioni per il trasferimento al servizio sanitario nazionale della competenza sulla tutela della salute dei detenuti. In particolare, il coordinamento effettivo tra due sistemi che derivano la loro legittimazione e autorevolezza da fonti ordinamentali diverse; il trasferimento del personale da un’amministrazione a un’altra e la conseguente modifica di trattamento normativo; l’individuazione delle figure professionali necessarie allo svolgimento delle attività sanitarie; il riconoscimento della quota-parte di funzioni legate alle procedure di sicurezza e la loro riarticolazione compatibile con la tutela della salute, rischiano di venire cancellati in nome di una istituzione totale. 

7.10 Sul versante della lotta alle tossicodipendenze, in questi anni, non si sono stanziate risorse adeguate per la creazione di dipartimenti, la valorizzazione del privato sociale attraverso l’accreditamento e l’integrazione con la struttura pubblica (Sert). In più, con la finanziaria 2003, cancellando dal Fondo nazionale per le politiche sociali ogni vincolo di destinazione, si rischia di colpire quelle fasce di popolazione con meno capacità di rappresentanza e di “contrattazione”, come appunto i tossicodipendenti. Inoltre, poiché anche le risorse del sistema sanitario nazionale, che alimentano buona parte delle attività dei Sert, vengono ridotte, c’è il rischio che la legge 45/99 non sia applicata.  E’ in atto, quindi, un duro attacco al tentativo compiuto negli anni passati di affrontare il “problema droga” sulla base del paradigma della cittadinanza. La legge 45/99 prevedeva, infatti, l’integrazione fra servizi pubblici (Sert) e privato sociale, oltreché il coordinamento fra Stato, Regioni e Comuni.  I dipartimenti e l’accreditamento ne costituivano i principali  strumenti attuativi. A tre anni dall’approvazione della legge sono assai gravi, in molte regioni, le difficoltà per l'applicazione degli atti d'intesa ad essa collegati: si fa così sempre più vicino il rischio che il sistema integrato previsto dall’attuale legislazione non potrà reggere e diventerà facile bersaglio di chi contrappone ai Sert le Associazioni di Comunità, spostando il baricentro del sistema sempre più verso le strutture private,  al di fuori di qualsiasi regolamentazione e integrazione con i Sert. 

7.11 Altrettanto, se non più, preoccupante è la situazione sul fronte della spesa direttamente sociale, anche perché siamo in presenza di un sistema non assestato sul “vecchio” modello di intervento, né tantomeno avviato ad assumere veramente il “nuovo” modello di welfare locale. I Piani di Zona, strumento per attuare la programmazione degli interventi basati sulla lettura dei bisogni reali, sono quasi dovunque costruiti sull’esistente, piuttosto che su un progetto di politica sociale integrata in tutte le sue funzioni.

L’intero impianto della legge finanziaria per il 2003 riduce le opportunità e la capacità di spesa di regioni e comuni, sia intervenendo sulla possibilità, negata, di imposizione fiscale attraverso strumenti progressivi (l’Irpef), sia scegliendo una formulazione distorta e fuorviante del Fondo sociale senza vincolo di destinazione. Una formula in apparenza coerente con la riforma, viene inserita in un contesto di norme che ne stravolgono di fatto gli effetti. Basti rilevare, a questo proposito, la riserva di fondi vincolata con provvedimenti centralizzati, o il rinvio della riforma dei trattamenti di invalidità, che attualmente assorbono in forma rigida e precostituita la parte prevalente della spesa sociale.

Si pratica dunque un indirizzo che, aumentando la quota rigida e centralizzata della spesa sociale e riducendo quella flessibile e decentrata, paralizza i tentativi locali di riforma e innovazione, riducendo gli enti locali a un ruolo residuale e asservito alle necessità di controllo centralizzato della spesa.

Per questa via, si intende adottare, nei fatti,  la strada della non trasparenza nella destinazione delle risorse del Fondo e ciò è congeniale ad un’idea di assistenza non vincolata alla programmazione degli strumenti e delle modalità di intervento. Si sostiene, inoltre, un meccanismo di intervento sociale a sostegno solo delle fasce debolissime o di bisogni particolari, lasciando all’offerta l’iniziativa di orientare le proprie scelte indipendentemente dalla domanda. 

7.12 La legge-quadro di riforma dell’assistenza istituisce due “titoli per l’acquisto di servizi”: gli assegni di cura e i buoni-servizio. Con essi, si dà l’avvio alla sperimentazione di nuove forme organizzative che comportano rischi di ulteriori esternalizzazioni dei servizi e di una affermazione di forme improprie di libero mercato delle prestazioni assistenziali.

Il buono-servizio è un titolo spendibile presso soggetti accreditati, affinché si possano acquistare prestazioni assistenziali. L’assegno di cura è, invece, una somma spendibile dal cittadino, riconoscendogli l’attività di cura svolta dalla famiglia e può essere utilizzato come supporto diretto al reddito ed impiegato per acquistare prestazioni di singole persone.

In tutti i casi, questi strumenti il centro-destra li sta utilizzando come grimaldello per processi di privatizzazione dei servizi, con effetti negativi sulla ripartizione del lavoro di cura e con rischi di crescita dell'area del lavoro sommerso. 

7.13 Per il finanziamento del Fondo per le politiche sociali, l’impegno a non ridurre la quota prevista nel 2001 è stato immediatamente vanificato. Si passa infatti dai 1.662 milioni di euro nel 2002 a 1522,766 milioni di euro nella finanziaria di quest’anno, in presenza di un’inflazione programmata totalmente irrealistica, che porterà ad una decurtazione in valore reale del Fondo di circa 67 milioni di euro.

Inoltre, rispetto a normative che hanno un forte valore di sostegno alle opportunità offerte dalle politiche sociali, non si prevede, per esempio,  il rifinanziamento della legge 285 per l’infanzia e l’adolescenza e si porta a esaurimento il reddito minimo di inserimento. 

* La Cgil considera realizzabile l’incremento del finanziamento pubblico alla sanità, rendendo il rapporto tra la spesa e il Pil in linea con quello dei paesi come la Germania e la Francia e un adeguato finanziamento  del Fondo per le politiche sociali, nonchè il reperimento di risorse aggiuntive per l'insieme delle politiche dell'assistenza.

* Nell’immediato, la Cgil innanzitutto conferma la propria netta contrarietà ai contenuti della finanziaria 2003, esprime la propria solidarietà alle regioni che hanno intrapreso un ricorso al TAR contro il decreto “ taglia spesa”, si impegna a che  su tutto il territorio nazionale non si proceda a tagli delle prestazioni e ad aumento delle rette.

* Nell’ambito delle modifiche da apportare al decreto legislativo 56 sul federalismo fiscale, devono essere rivisti i  meccanismi di finanziamento delle regioni. Il fondo perequativo, in accordo con il nuovo dettato costituzionale previsto dalla riforma del titolo V, per potere svolgere appieno le proprie funzioni deve superare l’attuale meccanismo di perequazione orizzontale, a favore di un meccanismo solidaristico di tipo verticale.

* In questo quadro, occorre garantire la ripartizione delle risorse sulla base della quota capitaria ponderata, respingendo la proposta del ministro Sirchia di ripartizione del fondo, a partire dall'anno 2003, con un meccanismo che prevede un progressivo ridimensionamento della quota capitaria a partire dal 70% dell'attuale valore.

Occorre inoltre finalizzare risorse aggiuntive alle regioni meridionali – le cui drammatiche condizioni di partenza non possono ulteriormente essere tollerate - per piani pluriennali, concordati bilateralmente tra il governo e le regioni interessate, di risanamento e rilancio del sistema sanitario di quelle realtà. Questa è la condizione per garantire concretamente l’universalità e l’equità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale.

* L'esperienza di questi mesi, inoltre, conferma la necessità di rivendicare con determinazione la cancellazione del sistema di ticket regionale sui farmaci. La Cgil ritiene che una  politica  adeguata  del farmaco richieda, tra gli altri interventi, un pieno coinvolgimento degli ordinatori di spesa (in particolare ma non solo i medici di medicina generale) con la messa a punto di specifici protocolli diagnostico-terapeutici per le patologie di più frequente riscontro, finalizzati a sviluppare una corretta pratica prescrittiva, come già realizzato in alcune regioni.

La Cgil  continua a ritenere, anche alla luce del mutato quadro legislativo venutosi a determinare con la legge 178/2002 - in cui forti risparmi vengono ipotizzati, sia con  la nuova classificazione dei farmaci e il relativo prontuario, sia con il nuovo meccanismo di determinazione del prezzo - che la razionalizzazione della spesa farmaceutica non possa essere attuata con l'introduzione di regimi di compartecipazione alla spesa. I ticket rimangono iniqui e intollerabili perché sono posti a carico della parte più debole e meno tutelata della popolazione e non riescono a risolvere un problema che pure va affrontato con impegno; devono invece essere percorse le strade alternative, che pure esistono e che riguardano: da un lato  la corretta pratica prescrittiva da parte dei medici e l’uso nella valutazione dell’efficacia clinica e terapeutica della medicina basata sulle evidenze; dall’altro,  tramite il ricorso a misure organizzative capaci di determinare risparmi, come la distribuzione diretta dei farmaci da parte degli ospedali, la stipula di appositi accordi regionali finalizzati alla riduzione di costi (tra produttori, farmacie e regioni e organizzazioni di rappresentanza) e l’impiego estensivo dei farmaci generici non più coperti da brevetto.

La Cgil ritiene necessaria una nuova politica industriale del settore farmaceutico, fondata su processi di innovazione e ricerca, in grado di mantenere una produzione di qualità nel nostro paese.

* La Cgil conferma la messa al centro della propria iniziativa il rilancio e la promozione delle salute sessuale e riproduttiva delle donne, la difesa della legge 194 e della libertà e autodeterminazione delle donne contro chi vuole imporre con una serie di provvedimenti (anche sulla fecondazione medicalmente assistita) uno stato etico e anche contro tutti quelli che intendono speculare sul desiderio di maternità e sulla salute delle donne per arricchire il mercato privato.

Per questa ragione, la Cgil intende avviare una campagna di iniziative culturali e negoziali per mettere sotto osservazione i servizi preposti, a partire dal rilancio e dalla riqualificazione dei consultori. Essi devono essere dotati di risorse finanziarie e professionali adeguate, per avviare un processo educativo e di promozione della salute nel territorio, rivolto all'utenza più a rischio di maternità indesiderate o di malattie sessualmente trasmissibili. Questo significa comporre delle equipe mediche e sociali, che agiscano con modelli organizzativi integrati e con nuova progettualità. Questa iniziativa della Cgil non può che essere pensata e agita rilanciando le reti di rapporto con tutti i movimenti femminili e femministi che lavorano nel territorio.

* Per quanto riguarda i buoni servizio e gli assegni di cura, la Cgil ritiene che essi rappresentino un rischio per la tenuta del servizio pubblico. Alla luce di tutto ciò, i buoni-servizio previsti dalla 328, di fronte all'aumento della domanda, devono essere utilizzati solo in forme integrative e a condizione che si inseriscano entro il quadro della programmazione pubblica degli interventi. Gli stessi vanno, inoltre, subordinati alla valutazione di appropriatezza ed efficacia da parte delle unità di valutazione multidimensionale previste dalla 328. Ciò è indispensabile  per evitare il prevalere di logiche di mercato improprie nell’area delle prestazioni di cura, fenomeni di deresponsabilizzazione degli enti locali, il potenziamento di una rete informale non professionale dell’offerta. Ancora più rischioso è l'utilizzo dell'assegno di cura, trattandosi di uno strumento puramente monetario, che incentiva una risposta privata, fuori dalla rete dei servizi, a scapito di un'assunzione di responsabilità collettiva e solidale.

* La Cgil si attiverà, a tutti i livelli, nazionale e territoriale, affinchè vengano previste adeguate risorse finanziarie per l'applicazione concreta delle leggi che, da diversi anni, permettono l'integrazione attiva della persona con disabilità.

* La Cgil rivendica l'estensione del Reddito minimo di inserimento, come misura concreta e non puramente assistenziale di lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

* La Cgil rivendica, infine, la costituzione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza, quale integrazione ulteriore del Fondo per le politiche sociali. Il Fondo nazionale rappresenta una necessità assoluta per far fronte a un fenomeno le cui caratteristiche e quantità rappresentano già oggi e sempre più in avvenire, una vera e propria emergenza per milioni di persone, soprattutto anziani, e per milioni di famiglie. Il carattere nazionale del Fondo ne garantisce la fruibilità su tutto il territorio e non impedisce che nelle regioni si prevedano forme e modi di implementazione dello stesso, utilizzando, innanzitutto, al meglio, le risorse delle regioni e dei comuni oltreché i patrimoni delle Ipab e delle Fondazioni. Il Fondo deve essere alimentato sulla base di principi di universalità e solidarietà e, di conseguenza, non può che riferirsi alla fiscalità generale. 

8 L'accreditamento, regole e qualità

8.1 In tema di accreditamento, in questi anni, si è proceduto, nella maggioranza dei casi, nella totale inosservanza della legge. L’accreditamento, infatti, rappresenta il processo fondamentale in  base al quale i soggetti che vogliono erogare prestazioni sanitarie ottengono da parte delle regioni l’ autorizzazione  all’esercizio delle loro attività,  potendo così operare per conto, o a carico, del servizio sanitario. La concessione dell’accreditamento istituzionale è subordinato, da un lato alla programmazione regionale, dall’altro al possesso di requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale ed  alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti. L’accreditamento, quindi, non si esaurisce nell’atto del suo accoglimento, ma rappresenta un processo dinamico nel corso del tempo; esso, infatti, è  sottoposto a costante verifica e non può certo costituire, come spesso accade, vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere, in eterno, remunerazione delle prestazioni erogate.

In più, abbiamo assistito a come la definizione dei requisiti indispensabili per l’acquisizione del titolo di soggetto accreditato, demandata dal Decreto legislativo 229  ad uno specifico atto di indirizzo e coordinamento, sia stata irresponsabilmente omessa dal governo.

Oltre all’inosservanza della legge, molte regioni hanno proceduto all’accreditamento, seguendo l’unico interesse a che strutture private, indipendentemente da ogni accertamento sui requisiti di legge, entrassero nel “mercato” del socio-sanitario, con l’obiettivo di spostare risorse dal pubblico al privato. Nessun rapporto, quindi, neppure, con la programmazione regionale. Infine, un costo elevatissimo per la collettività, come dimostrano i casi, in primis del Lazio e della Lombardia.    

8.2 La definizione dei Leas e il principio della universalità dei servizi e delle prestazioni devono accompagnarsi al raggiungimento di una nuova qualità dei servizi.

Le istituzioni locali nel corso degli ultimi anni, a fronte di minori trasferimenti di risorse e di una crescente domanda di servizi, hanno fatto uno sforzo per mantenere e in alcuni casi sviluppare i servizi sociali contenendo la spesa. 

L’affidamento di  parte dei servizi attraverso gare al massimo ribasso e senza criteri di misurazione della qualità dei servizi stessi ha comportato spesso l’erogazione di prestazioni non rispondenti ai reali bisogni della persona.

La mancanza da parte degli operatori di professionalità e di esperienza, di qualità organizzative, compromette i risultati con conseguente spreco di risorse umane ed economiche.

Mancano la volontà e la capacità amministrativa ai diversi livelli istituzionali di definire e far rispettare requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi.

Altrettanto trascurato è l’impegno verso la valutazione dei risultati, e ciò non consente di  intervenire tempestivamente a migliorare la qualità delle prestazioni e dei servizi che non raggiungono i risultati previsti. 

* La Cgil ritiene che l’emanazione dell’atto di indirizzo e coordinamento sia un atto non più procrastinabile se si vuole dare certezza e qualità al nostro servizio sanitario. Del pari, vanno incrementati i fondi per gli investimenti in conto capitale, in mancanza dei quali diventa impossibile adeguare le strutture pubbliche agli standard richiesti.

* Nell’atto dell'accreditamento devono trovare ampia definizione le dotazioni strumentali e tecnologiche che sono la garanzia della qualità delle prestazioni rese richieste; queste  devono essere rispondenti a criteri  di appropriatezza per quantità, qualità e funzionalità in relazione alla tipologia delle prestazioni erogabili e alla loro diversa complessità; il modello di organizzazione interna  adottato dai soggetti erogatori dovrà necessariamente essere conforme a quello dipartimentale ed essere basato sulla interdisciplinarietà degli interventi. Le strutture accreditate devono dunque garantire uniformemente e senza distinzione, basata sulla loro natura giuridica, standard ottimali di organizzazione interna, con specifico riferimento alla dotazione quantitativa  e alla qualificazione professionale del personale effettivamente impiegato e garanzia di applicazione del ccnl di settore. Momento centrale del processo è poi la partecipazione degli operatori a processi di valutazione sistematica e continuativa dell'appropriatezza delle prestazioni erogate e della loro qualità.

* Nelle strutture accreditate  grande rilievo deve essere riservato alle forme di partecipazione democratica dei cittadini e degli utilizzatori dei servizi e delle loro associazioni alla verifica dell'attività svolta e alla formulazione di proposte rispetto all'accessibilità dei servizi offerti.
* Nelle strutture accreditate dovrà essere obbligatoria l'adozione e l'utilizzazione sistematica della carta dei servizi per la comunicazione con i cittadini, inclusa la diffusione degli esiti dei programmi di valutazione periodica; a questo si dovrà accompagnare la massima trasparenza nella gestione delle liste di attesa e delle prestazioni rese in libera professione.
* Nell’accreditamento del settore assistenziale, bisogna, innanzitutto,  fissare regole e farle rispettare.

Per affermare la qualità sociale del servizio occorre definire i criteri distintivi della qualità stessa, attrezzare le strutture pubbliche ad effettuare monitoraggio e valutazione dei risultati. Ma soprattutto è indispensabile richiedere ai soggetti erogatori di servizi una serie di obblighi previsti dalla legge 328/2000 quali: la presenza di figure professionali adeguate al servizio da svolgere e di un coordinatore responsabile del servizio; l’adozione di una Carta dei servizi sociali e di un registro degli utenti del servizio con l’indicazione dei piani individuali di assistenza, sulla base dei quali  definire norme per l’accreditamento sociale.

A questo fine è necessario che ogni livello istituzionale svolga i compiti di indirizzo e legislativi che la stessa legge 328/2000 ha affidato. Lo Stato deve emanare linee guida, le regioni debbono disciplinare le modalità per l’istituzione dell’elenco dei fornitori di servizi autorizzati che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche qualitative concordate, i comuni devono stipulare convenzioni con i fornitori iscritti nell’elenco definito a livello regionale. 

9 Terzo Settore, un fattore di qualità

9.1 A seguito della definizione del Piano di intervento sui servizi sociali, nella fase di progettazione e di gestione della rete di servizi sociali e sanitari, una funzione importante va riconosciuta al Terzo Settore che ha registrato negli anni scorsi, e ancora più in tempi recenti, uno sviluppo organizzativo e occupazionale considerevole, anche se non privo di contraddizioni. Queste ultime, dovute principalmente alla diffusione di una cultura e di una pratica di riduzione della spesa pubblica che ha utilizzato il Terzo settore come strumento di compressione dei costi e prodotto in vari casi, di conseguenza, una scarsa qualità dei servizi e il mancato rispetto dei contratti nazionali di lavoro.

La politica finanziaria del governo che ha ridotto le risorse per i servizi, i ripetuti tentativi del governo stesso di dividere la rappresentanza del Terzo Settore, le spinte interne ed esterne al Settore tese ad accentuare più il carattere privatistico che quello sociale delle diverse organizzazioni, la legge delega sull’impresa sociale, la modifica della legge sul socio-lavoratore di cooperative, mettono continuamente alla prova l’identità riformatrice e progressista dei protagonisti dello sviluppo dell’economia sociale. Il complesso e variegato mondo costituito dal volontariato, dall’associazionismo, dalla cooperazione nazionale e internazionale, al proprio interno ha forti motivazioni partecipative, solidaristiche, etiche, nonchè religiose.  

* La Cgil considera la rappresentanza unitaria e l’autonomia del Terzo Settore valori da difendere. Ritiene dannosa la pratica  di chi cerca di dividere il mondo dell’economia sociale tra chi deve operare con la logica imprenditoriale e chi ha il compito di occuparsi in modo caritatevole degli ultimi. In tutti i casi la Cgil considera una  garanzia per le istituzioni e per i cittadini il fatto di contare su un soggetto che opera per lo sviluppo dell’economia e della coesione sociale.

* La Cgil condivide con il Terzo Settore alcuni principi che sono alla base della costruzione di una nuova rete di servizi sociali. In particolare: lo sviluppo economico compatibile con l’universalità delle prestazioni; la partecipazione attiva dei cittadini alla definizione e alla gestione dei servizi di un rinnovato welfare.

* La riorganizzazione territoriale dei servizi e delle prestazioni sociali deve superare vecchie logiche e riconoscere al Terzo settore un ruolo importante nella progettazione e nell’innovazione delle pratiche di gestione dei servizi, nella promozione di nuove relazioni sociali. Allo stesso modo, il terzo settore deve riconoscere nel valore del contratto collettivo nazionale di lavoro un elemento di valorizzazione e di tutela dei lavoratori e di promozione della qualità dell’intervento. E ancora, occorre che il terzo settore abbandoni negli appalti la pratica del massimo ribasso. Occorre potenziare e coordinare meglio tutte le risorse finanziarie, culturali, professionali, presenti nel territorio attraverso un processo di partecipazione attiva dei cittadini e delle organizzazioni interessate alla conquista di nuovi diritti e allo sviluppo economico e sociale del territorio.

* Il Terzo Settore deve essere sempre più un soggetto politico e sociale impegnato da un lato a sostenere i processi e le iniziative contro il disagio, la povertà, l’esclusione sociale, e dall’altro a lavorare per il rinnovamento della rete dei servizi sociali e sanitari. 

10 La sanità integrativa, un'opportunità per ampliare l'offerta di prestazioni

10.1 La politica del governo punta all’estensione del mercato privato e, per questa via, induce al consumo sanitario, anche in eccesso e – per le dinamiche messe in atto con la gestione dei Lea e le modalità della loro applicazione – rende di fatto diversificato l’accesso alle prestazioni, da regione a regione, ingenerando nella popolazione la sensazione di precarietà e difficoltà nell’ottenere ciò che ritiene suo diritto.

Per questa ragione, le continue “incursioni” dei soggetti istituzionali sulla mutualità trovano ancor più facile presa. 

10.2 La centralità dei livelli essenziali di assistenza, della loro caratteristica di universalità sul territorio nazionale, della loro preesistenza all’allocazione di risorse necessarie e sufficienti da parte delle regioni per garantirle proprio in quanto uniformi ed appropriate è messa in discussione dalla gestione che il governo e alcune regioni ne stanno facendo. 

* I principi di fondo che guidano la Cgil nel campo della mutualità integrativa riguardano, innanzitutto, il fatto che la stessa sia intesa effettivamente come opportunità per accedere a prestazioni sanitarie non offerte dal Servizio sanitario nazionale (ossia, quelle non previste dai Lea); che le opportunità della sanità integrativa non si traducano in elementi di disuguaglianza nell’accesso alle prestazioni per fasce di popolazione; che, in tal senso, si realizzi effettivamente una massa critica finanziaria capace di “reggerel’impegno finanziario della domanda di prestazioni previste dal D.Lgs.229 (ivi comprese quelle di integrazione sociosanitaria); che i sistemi di sanità integrativa (mutue o assicurazioni) non operino distinzioni sulla base del rischio individuale.

* La Cgil giudica essenziale che le forme di Sanità integrativa non implementino una domanda sanitaria eccessiva e non appropriata e, attraverso questa via, anche il livello della spesa. Il rischio di una domanda impropria – cui si risponde con un eccesso di prestazioni – trova d’altro canto ragion d’essere nell’insicurezza generata anche dalla difficoltà di avere certezze circa i tempi e le opportunità di accesso alle diagnosi – prima ancora che alle terapie – attraverso il sistema delle liste di attesa non qualificate e non costruite su criteri di separazione delle priorità.

* La Cgil considera i Livelli essenziali di assistenza, la loro uniformità sul territorio nazionale e la loro appropriatezza il discrimine sul quale costruire forme di Sanità integrativa che comprendano prestazioni in grado di ampliare l’offerta dei Livelli essenziali di assistenza e non di sostituirsi ad essa. Solo a questa condizione le opportunità “aggiuntive” offerte dalla Sanità integrativa non si traducono in elementi di disuguaglianza nell’accesso alle prestazioni per fasce di popolazione.

* La natura sindacale e contrattuale di molti Fondi sanitari ci obbliga ad una riflessione di merito, circa i loro contenuti, il loro utilizzo, la loro necessità e la coerenza con gli obiettivi proposti a riferimento di un loro sviluppo, non controproducente rispetto al sistema che vogliamo ed alle dinamiche della spesa.

Inoltre, la consapevolezza di diverse capacità negoziali ci deve rendere chiaro che il sistema contrattuale attuale introduce comunque all’interno del mondo del lavoro disuguaglianze nelle opportunità derivanti dal diverso grado possibile di copertura negoziale.

*  Obiettivo della Cgil deve essere quello, in ogni caso, di sostenere a livello territoriale forme utili  ad evitare, anche attraverso l’applicazione di quanto previsto dal decreto 229 sulle gestioni miste di fondi integrativi sanitari,  discriminazioni rispetto a fasce di popolazione non tutelata da strumenti negoziali, che finirebbero per costituire fasce “residuali” nell’accesso all’assistenza sanitaria, in presenza di un sistema che non erogasse correttamente i  Livelli essenziali di assistenza. 

11 La ricerca, un fattore di sviluppo

11.1 La questione della ricerca biomedica si pone, nella nostra società, come un elemento essenziale per la qualità del sistema sanitario e delle cure: perciò essa va colta nella complessa molteplicità dei suoi aspetti, che riguardano le sue finalità cliniche, i luoghi e le modalità del suo sviluppo, le caratteristiche funzionali alla domanda di salute, le professionalità dei soggetti che la producono, la loro formazione e le caratteristiche di interdipendenza con il sistema sanitario, o con quello più complessivo del mercato, il suo rapporto con il mercato farmaceutico, il suo rapporto con le innovazioni più strettamente legate alle biotecnologie, le quantità di risorse dedicate. In tale partita, un ruolo di rilievo hanno svolto finora gli IRCCS, riuscendo in molti casi a coniugare ricerca biomedica e assistenza di qualità.

Inoltre, l’insieme della ricerca biomedica, collegata o meno all’assistenza sanitaria, ci pone oggi problemi inediti e acuiti dall’esistenza della società dell’informazione con  il conseguente interrogarsi anche sull’uso dei saperi e sulle possibili distorsioni, che hanno sempre effetti significativi sul tessuto sociale, spesso manipolati a fini economici o di controllo sociale. 

11.2 I problemi inediti posti dalle nuove frontiere della ricerca, nei rapporti fra uomo e natura (il senso del limite e le problematiche della bioetica), tra scienziato e società (responsabilità della scienza, comunicazione, trasparenza delle scelte nell’implementazione dei saperi), tra scienza e politica (la delega all’uso delle scoperte scientifiche e il suo utilizzo per il consenso sociale), tra politica e istituzioni (per esercitare le forme di controllo sociale), sono alcuni dei temi cui prestare grande attenzione. Essi colgono i nessi profondi tra la scienza, il suo utilizzo e le trasformazioni della società civile e dei suoi paradigmi teorici. 

11.3 Su tutto ciò, però, gravano le scelte politiche del governo. Gli interventi sull'Università e sulla ricerca, ivi compresa la riduzione dei finanziamenti, la riforma in senso privatistico nella gestione dei Policlinici e degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), nell’ambito solo delle azioni sul sistema sanitario, definiscono un quadro assai allarmante. In particolare, la finanziaria taglia il 15,59% dei fondi per la ricerca sanitaria complessivamente. 

Si cerca di far dipendere sempre di più gli Enti e le strutture istituzionali che si occupano in particolare di ricerca biomedica dalle Fondazioni e dalla case farmaceutiche. Gli effetti sono evidenti: da un lato il rischio di condizionamenti sempre più massicci sugli obiettivi della ricerca; dall’altro, la sempre minore autonomia finanziaria dei centri di produzione e di applicazione della ricerca biomedica, con ripercussioni gravi sulla loro stessa sopravvivenza e sulla formazione e promozione delle professionalità necessarie.

Rischia di determinarsi, quindi, una situazione delicatissima per le implicazioni future che tutto ciò comporta.

Per l’Università, la mancata attuazione della delega che riformava il rapporto tra il Ssn e l’Università stessa, ha facilitato le condizioni per la proposta di riforma del ministro Moratti e per il consolidamento delle posizioni di potere dei clinici universitari. Queste scelte, oltre che alle ragioni di interesse dei poteri forti, rispondono a una logica di frammentazione dei luoghi e degli indirizzi della ricerca biomedica, funzionale all’inserimento di soggetti privati. 

11.4 La vicenda degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico è emblematica. E’ stata da poco approvata la legge che ne cambia radicalmente la configurazione. Mentre la gestione degli Irccs dovrebbe caratterizzarsi sempre più per  indipendenza e autonomia, a partire  dagli indirizzi della ricerca, per ancorarla agli obiettivi della medicina basata sull’evidenza (utili alla definizione dei principi di appropriatezza ed efficacia delle cure) e nel ruolo indipendente dei medici e ricercatori, la legge imprime una svolta e pregiudica proprio questi principi, attraverso la trasformazione di questi Istituti in Fondazioni sottoposte alla vigilanza non solo del Ministero della salute, ma anche del Ministero delle finanze e dell’economia. Si prevede inoltre, nella gestione e negli assetti proprietari, la partecipazione di soggetti privati anche per le attività di cura, laddove in ragione normativa sono stati fino ad oggi esclusi dall’esercizio diretto dell’assistenza nell’ambito delle strutture pubbliche. E’ evidente quanto tutto ciò incida sugli stessi indirizzi della ricerca pubblica biomedica e sull’autonomia degli operatori. I soggetti privati, infatti, avranno un ruolo notevole proprio nel definire i piani e gli indirizzi della ricerca. E’ evidente, allo stesso tempo, l’esito che questo meccanismo produrrà: la ricerca privata e i suoi interessi, tradizionalmente fortissimi nel campo della sanità e della biomedicina, condizioneranno fortemente le scelte degli obiettivi di ricerca degli Istituti. 

11.5 Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico rappresentano, invece, punti importanti per la ricerca in sanità pubblica, fortemente collegata all’assistenza, che offre un terreno privilegiato di ricerca finalizzata, capace di cogliere la domanda biomedica e clinica e di cercare risposte con una visibilità e una trasparenza più vicine alla percezione delle persone.

Un rischio analogo a quello degli Irccs lo corrono i Policlinici universitari a gestione diretta, trasformati in Fondazioni, i cui effetti non sembrano meno dirompenti sulla qualità dell'assistenza e della ricerca.

Siamo, quindi, in presenza di una pesante e interessata intromissione dei soggetti privati nella definizione dei piani e degli obiettivi di questi istituti.  

11.6 Tutto ciò si rifletterà, com’è ovvio, anche sulla ricerca farmaceutica: nessuno ignora, infatti, che i “trials” di sperimentazione si avvalgono di nuovi preparati in campo farmacologico e che l’industria farmaceutica già da tempo, negli istituti di ricerca clinica privati, condiziona criteri e tempi della sperimentazione. 

* La Cgil intende affrontare, assumendone tutta la complessità, la questione della ricerca biomedica, considerandola una chiave di volta nella definizione di un sistema sanitario di qualità. Ciò significa sviluppare un’analisi attenta e coerente delle problematiche della ricerca biomedica, nel quadro delle bioscienze, da tutti i punti di vista: culturale, delle relazioni sociali, dell’assistenza sanitaria, fino ad investire il sistema formativo e informativo.

* La Cgil ritiene essenziale riprendere gli indirizzi definiti dalla legge 517/99 per il riordino organizzativo e funzionale dei Policlinici universitari, in direzione del loro rapporto con il sistema sanitario e la titolarità programmatoria delle regioni.

* La Cgil considera la privatizzazione degli Irccs e la loro trasformazione in Fondazioni una scelta sbagliata, tesa a cedere la ricerca biomedica pubblica, nonché i punti di eccellenza attualmente esistenti, al mercato e ai suoi interessi.

* La Cgil si impegna, quindi, insieme a tutti i soggetti professionali, sociali e istituzionali, a contrastare le scelte del governo in materia di ricerca scientifica e in ambito biomedico.