Livia attenta i ladri non sono i medici
(Mario Pirani da La
Repubblica del 12 febbraio 2007) Non credo possibile, per la motivata stima
che le porto, che Livia Turco abbia mai visto la homepage sulla malasanità
diffusa sul sito del ministero della Salute. Mi auguro che la legga e la
faccia annullare. In essa si afferma che «non ci può essere buona sanità se
non si combatte decisamente il malaffare. Noi ci abbiamo pensato con norme
precise che consentiranno di espellere dal Ssn tutti quelli che, medici,
farmacisti ed altri operatori abbiano truffato la sanità». È semplicemente
una ignominia che si getti un marchio di infamia sui medici e sui farmacisti
senza spendere una parola sul fatto che in tutti i recenti scandali che
hanno inferto gravissimi danni alle Asl, sul banco degli imputati sono
finiti politici o amministratori da loro nominati, mentre nessun medico è
stato neppure scalfito dal sospetto. È pur vero che la demagogica homepage
si richiama a due fra le migliaia di commi della Finanziaria, l´811 e l´812,
che mi sono andato a leggere e che dispongono, qualora un farmacista o un
sanitario siano stati condannati con sentenza passata in giudicato per
truffa ai danni del Ssn, la decadenza della loro licenza o del loro rapporto
di lavoro. Peccato che la manina o manona che ha redatto questi commi si sia
ben guardato dall´introdurne altre assai più urgenti e pregnanti per
tagliare la presa dei partiti sulla greppia sanitaria.
Si è così sancito anche legalmente il rovesciamento plateale di una verità
che è sotto gli occhi di tutti e che abbiamo denunciato infinite volte: la
malasanità (un termine equivoco che aborro) è in primo luogo imputabile alla
invasione dei partiti, alle nomine cui i direttori generali sono indotti,
agli appalti con ditte e cooperative indicate dai politici di turno, alle
convenzioni non sempre limpide realizzate da amministratori compiacenti con
cliniche e laboratori privati. La sunnominata homepage ha giustamente
suscitato la protesta dell´Ordine dei medici di Roma che si sono rivolti ai
colleghi di tutta Italia per «una decisa reazione ad una situazione non più
sostenibile di delegittimazione della professione». Quasi in concomitanza è
uscita a pagamento su alcuni quotidiani una lettera aperta di tutte le
associazioni dei chirurghi italiani di ogni specialità, esasperati per gli
attacchi che tendono «ad attribuire loro tutti i disservizi e le deficienze
strutturali degli ospedali». Si ricorda che «ai medici è stata tolta ogni
possibilità di gestire risorse umane e materiali negli ospedali. Tutti gli
appalti per l´edilizia, vitto, pulizie, farmaci, presidi medici, vigilanza,
assicurazioni ed i concorsi, sono di pertinenza esclusiva dagli
amministratori, nominati direttamente dal potere politico».
I miei lettori credo abbiano da sempre compreso quanto rifugga
dall´indignazione. Se questa volta mi è uscita qualche parola sopra tono è
perché temo si crei ingiustamente un fossato tra i medici e la ministra che
governa il settore e che si era impegnata a ricondurre la politica alla sua
funzione di indirizzo e di programmazione della Sanità. Molti suoi atti sono
andati in questa direzione. Di altri, come la legge sul governo sanitario,
che dovrebbe definire le nomine dei primari nell´ottica di privilegiare
esclusivamente la competenza professionale, è annunciata da tempo la
presentazione. Qualche misura appare deludente nei confronti delle attese.
In particolare la nuova procedura per le nomine dei direttori scientifici
degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.
Quando, subito dopo la sua assunzione al ministero, Livia Turco ne rimosse
alcuni per procedere a sostituzioni unilaterali (come la legge, peraltro, le
permetteva) le polemiche furono vivissime, tanto che la neo ministra si
impegnò a mutare metodo. Ora, però, ha messo la sua firma ad una procedura
per far vagliare le domande degli aspiranti all´incarico da una commissione
di 5 membri, di cui tre rappresentanti della comunità scientifica (da chi
designati? dal ministro?) , un direttore del ministero (e, quindi, sempre
dipendente dal ministro) e un rappresentante delle Regioni (e, quindi,
sempre di matrice politica). Non basta: questa commissione esamina le
domande ricevute ma non procede ad alcuna classifica, neppure per titoli,
secondo criteri oggettivi prestabiliti, come si usa in ogni concorso di
qualche serietà ma si limita ad indicare tre nomi. Tra questi il ministro è
libero di scegliere. Non era questa la filosofia cui Livia Turco diceva di
volersi ispirare per la riforma del governo sanitario.
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