Ho rischiato di schiattare E ho cambiato idea sull'ospedale pubblico...

 

(Libero del 20 agosto 2006) Di VITTORIO FELTRI.Non ero mai stato ricoverato in ospedale se non per controlli periodici, esami del sangue, delle urine, radiografie, elettrocardiogramma eccetera. Da malato vero, fino a qualche settimana fa, no. Poi è successo, e ho scoperto un mondo migliore di come me lo immaginassi. Stavo da cani da un paio di settimane eppure non mi risolvevo a farmi visitare. Rimandavo. Pensavo: passerà. Invece peggioravo. Febbre alta, debolezza progressiva, inappetenza, bruciori da tutte le parti. Basta. Adesso vado. Camminavo a fatica, malfermo sulle gambe; difficoltà respiratorie;a momenti vedevo doppio e a momenti non vedevo un accidenti. Il medico mi lancia un'occhiata e capisce: questo non dura. E io capisco che lui ha capito. Micava un bel po' di sangue da un braccio e lo rimpiazza con un liquido verde, antibiotico ad ampio spettro. Gli accertamenti ematologici confermano i sospetti del dottorone. Praticamente sono settico. Da questo istante entro nel pigiama del degente. Tremo a causa della temperatura corporea e per tante altre cose che vi lascio immaginare. La morte in sé non mi fa paura, però mi scoccia il modo in cui di norma arriva, preceduta da giorni e giorni di incertezza: mi salvo, non mi salvo? Nel dubbio l'équipe sanitaria si scatena. Ti vuole vivo a ogni costo. Se intuiscono che hai mollato un po', medici e infermieri si incazzano. Ti fissano: "Reagisca perdio". Giuro, reagisco. Non la faccio tanto lunga. Non ci crederete, ma ho l'impressione di essere guarito per non deluderli. Dovevate osservarli all'opera. Mai domi. Non un attimo di arrendevolezza. Sempre lì a palparmi. Qui le fa male? E qui? Mi raccomando beva, beva litri di acqua. Era dall'infanzia che mi figuravo così, come in un film, gli ultimi giorni terreni. Pallore, braccia distese e trafitte da aghi, canna dell'ossigeno, brusio indistinguibile in corridoio, alcune parole sinistre rubate ai conversari tra primario e aiuti, fronti corrugate, espressioni preoccupate. Scenografia e sceneggiatura erano perfette per il mio trapasso; mancava solo un elemento indispensabile onde crepare secondo schemi correnti: un prete o almeno un frate. Zero. In camera mia non è entrata una tonaca. E questo mi ha persuaso: non è la mia ora. Scusate il bisticcio; l'assenza di qualsiasi conforto religioso mi è stata di grandissimo conforto. Non intendo dire che i sacerdoti menino gramo, anzi; però non averli al capezzale contribuisce a rinfrancare il morale. Nel mio caso sono stato fortunato. Spesso la sanità viene diffamata, accusata di ogni nefandezza, malasanità di qua e malasanità di là, uffa 'sti dottori non sono mai contenti, se ti occorre una tac te la fanno subito ma in clinica privata, se viceversa ti affidi alla mutua campa cavallo; arrivederci a ottobre. Qui è tutto da rifare. A me hanno salvato la pelle e sarà che non considero la gratitudine un sentimento esclusivo della vigilia, mi piace dirlo. Non è stato un miracolo, bensì un lavoro della madonna svolto da camici bianchi e da infermieri. Un amico, cui ho raccontato la mia storia, sostiene: ti hanno trattato come un principe perché hai installato le tende in tivù, insomma sei un volto noto e questo ti ha agevolato.

D'accordo. Però non mi è sfuggito (in una settimana e più) come funziona il reparto; ho parlato con tanti pazienti. È un classico: fra chi è afflitto dalla stessa malattia si allacciano rapporti di colleganza, quasi di complicità. Comunque accadono fatti strani anche negli ospedali più rinomati. Suppongo sia l'effetto di una maledizione che colpisce tutto quanto è italiano. Dove ho ritrovato la salute e il desiderio di conservarla, oltre a essermi imbattuto in gente eccezionale a prescindere dal suo ruolo, sono inciampato in un paio di situazioni degne del teatro dell'assurdo, quello della Cantatrice calva (Ionesco). Avevo la flebo ventiquattr'ore. Come si fa ad andare in bagno con la flebo? Semplice: la piantana ha le rotelle, con la mano la spingi e piano piano giungi a destinazione. Passeggiate così dovevo compiere sei o sette volte al dì, anche di più, perché mi iniettavano tre litri di liquido al potassio, poi ferro, poi antibiotici, roba varia; senza contare le bevute di minerale. D'altronde la pipì andava conservata scopo misurarne la quantità. Ecco. La piantana aveva rotelle difettose. Di tanto in tanto si inceppavano. Ogni trasferta al cesso si trasformava in una specie di Parigi- Dakar. Modesta proposta: e se sostituissimo la piantana guasta con una "sana"? Non c'è. Sono tutte scassate. Ed è agosto, i fornitori sono chiusi per ferie. Giusto. L'oasi di efficienza sanitaria si scontra con due paia di rotelle rugginose, con le vacanze agostane e i fornitori. Ma l'amministratore, che sarà il cugino della Cantatrice calva, non poteva comprare una dozzina di piantane entro il 31 luglio? Mistero. Una notte, nel silenzio ospedaliero più agghiacciante, proprio nella mia stanza, uno schianto. Da infarto. Accendo la luce; la sacca con tre litri di liquido al potassio si era staccata dalla scassatissima piantana spiaccicandosi sul pavimento, a venti centimetri dalla mia trascurabile personcina. Pigio il campanello. Le infermiere si precipitano; caspita che sollecitudine. Mostro loro il disastro. Purtroppo le piantane a disposizione sono tutte uguali, vecchie e fuori uso. Si procede alla riparazione. Autentico bricolage. Un chilometro di cerotto per riappendere la bustona del potassio. Sta su. Il dramma è la marcia verso la toilette. Le rotelle non rotolano. In un braccio ho l'ago. Mi rimane una mano sola per reggere la piantana col terrore che il cerotto si stacchi. E sempre con una mano devo reggere il pappagallo, sperando di fare centro. Stupidaggini di fronte al rischio corso di chiudere la partita. Ma è stravagante. Tutto funziona a meraviglia come in un orologio svizzero; peccato per quella lancetta spezzata. È un vizio nazionale. Abbiamo ospedali perfetti (medici perfetti, infermieri

perfetti) e li facciamo guidare a qualche coglione amministrativo raccomandato dai partiti.