Rapporto Ceis Sanità: 1 mln e 200 mila famiglie nella morsa della spesa sanitaria

 

(www.ilbisturi.it) 07 DIC – La spesa sanitaria nel 2007 potrebbe diminuire, ma allo stato attuale dell’arte esiste ancora oltre un milione di famiglie che si trovano in difficoltà economiche per far fronte alle spese sanitarie. E la presenza di un anziano aumenta del 50% la probabilità di un impoverimento causato dalle spese “out of pocket”. È quanto emerge dal IV° Rapporto del Ceis Sanità – Università “Tor Vergata”, presentato stamani a Roma.

Le previsioni di spesa per il 2007, infatti, si attestano tra i 102,7 e i 105 miliardi di euro con un disavanzo effettivo compreso tra 2 e 4,3 miliardi di euro. Un “buco” non irrilevante, ma inferiore a quello dell’anno precedente: le stime per il 2006 prevedevano infatti un deficit variabile tra i 3 e i 10 mld di euro. Decisivi nel frenare il trend in crescita dei disavanzi, il rilevante incremento previsto dalla legge Finanziaria, complessivamente 100,7 miliardi di euro, e l’efficacia dei piani di rientro delle Regioni in “rosso”.

Il Rapporto quest’anno, spiegano Luigi Paganetto, Presidente del Ceis, e Giovanni Tria, Direttore del Ceis, si concentra sul controllo della spesa, l’incentivo all’efficienza, le garanzie di equità, lo sviluppo del management pubblico e privato e, non ultima per importanza, l’efficacia delle cure e dei servizi.

Non solo, il Rapporto punta anche i riflettori sul Federalismo, uno dei temi al centro del dibattito delle politiche sanitarie. Un Federalismo considerato però dai ricercatori del Ceis ancora “immaturo”.

La sanità italiana è stata analizzata anche alla luce delle differenze di genere. Dai dati è emerso come esista un gap sfavorevole di mortalità per le donne del Sud e delle Isole. In sostanza, le donne del Meridione, sia per i tumori alla mammella che per quelli al collo dell’utero e del colon retto, muoiono prima di quelle del Nord, mentre tra gli uomini non è osservabile una differenziazione di esiti tanto marcata.

Ecco una sintesi del volume:

Spesa e deficit

Lo scenario

Nonostante il livello di criticità nei conti della sanità induca a non abbassare la guardia, la crescita della spesa sanitaria sembra essere sostanzialmente “sotto controllo” nel medio lungo periodo. Secondo l’ultimo dato Oecd Health Data, la spesa sanitaria italiana nel 2004 ammontava all’8,4% del Pil, quindi al di sotto del 9,0% della media europea. Infatti, malgrado la spesa sanitaria sia cresciuta più velocemente del Pil in tutti i Paesi, in Italia ciò è avvenuto in modo più contenuto, facendo del nostro Paese uno di quelli maggiormente virtuosi.

Inoltre occorre considerare che l’aumento della spesa sanitaria, misurabile in 0,7 punti percentuali di Pil tra il 1999 e il 2004, pur se rilevante in assoluto, deve essere letto in relazione ad un livello di spesa iniziale basso, ad una crescita del Pil molto modesta e ad un rapido invecchiamento della popolazione.

In questo scenario, le previsioni del IV Rapporto Ceis Sanità per il 2007 stimano un ulteriore aumento della spesa sanitaria totale, ancora una volta più veloce dell’incremento del Pil, e che la porterebbe dunque a un valore complessivo dell’8,5% del Pil, rimanendo però sempre al di sotto della media europea.

La cause dell’aumento? Pressioni economiche e demografiche. Ma non solo. L’aumento è anche il frutto dell’effetto espansivo che gli annunciati incrementi di spesa sanitaria pubblica hanno sulla spesa totale: secondo i ricercatori del Ceis, questo effetto potrebbe essere attribuito tanto ad una inefficiente duplicazione di funzioni, quanto ad una tendenza inerziale della spesa pubblica a adeguarsi al finanziamento. Inoltre la tendenza a contenere attraverso i vincoli al finanziamento la spesa pubblica ha creato un disavanzo strutturale che non sembra peraltro essere un’anomalia italiana. Ma a complicare il quadro ci sono da una parte le spese prodotte dai deficit pregressi e dall’altra il peso del debito pubblico italiano, che ha pochi paragoni in Europa e che impone vincoli stringenti alla crescita della spesa.

Le previsioni per il 2007

Le previsioni per l’anno che verrà lasciano però intravedere uno spiraglio di luce. La legge Finanziaria ha messo sul piatto del Ssn 96 mld di euro, più 1 mld. a destinazione vincolata per le Regioni in condizioni finanziarie peggiori, a cui si aggiungerebbero anche 3,7 mld. di risorse regionali, per una cifra complessiva di 100,7 miliardi di euro, ovvero il 6,7% del Pil (ove quest’ultimo cresca come previsto nei documenti di programmazione economica).

Le stime del Ceis indicano che la crescita economica e demografica, oltre che lo stesso aumento del finanziamento, spingeranno il tendenziale di spesa pubblica a 104,8/106,1 mld. di euro (a seconda dello scenario), pur in presenza degli incrementi nelle compartecipazioni (specialistica e pronto soccorso) previsti in Finanziaria.

Lo scenario di spesa pubblica finale potrebbe quindi attestarsi fra 102,7 e 105,0 mld. di euro, con un disavanzo effettivo compreso fra 2,0 e 4,3 mld di euro, a seconda del grado di ottimismo sull’efficacia dei piani di rientro delle Regioni in disavanzo, nonché dei tagli sui prezzi, ma anche delle misure che verranno introdotte con la Finanziaria in corso di approvazione.

Sintetizzando, nella “peggiore“ delle ipotesi si confermerebbe un gap fra finanziamento e spesa di 0,4 punti percentuali di Pil, in linea con lo storico; mentre nella “migliore” lo scarto si ridurrebbe a 0,15 punti.

Anche questa non sembra essere un’anomalia italiana, ed è anzi una caratteristica comune a molti Paesi. La differenza con gli altri Stati sta nella minore conflittualità, o quanto meno sensibilità, nell’individuare la responsabilità dei disavanzi. Questo produce, all’estero, una maggiore rapidità nel ripiano, evitando così i costi prodotti dall’accumulo dei debiti, ovvero dal ritardo dei pagamenti del settore pubblico.

Per il 2007, anche l’impatto finale sulle famiglie, dovrebbe essere limitato: si assisterebbe ad un decremento della spesa sanitaria sostenuta direttamente, dell’ordine del 6-12%. Ma le misure di responsabilizzazione degli utenti inserite in Finanziaria, rendono più complesso lo scenario: l’adozione di ticket in cifra fissa sulle ricette della specialistica, ad esempio, lascia supporre un impatto equitativo discutibile, in particolare sulle fasce di popolazione più a rischio.

Recuperare l’efficienza

Per “governare” il sistema occorre dipanare l’intreccio tra interventi puramente finanziari e recuperi di efficienza. Ed anche alleggerire le Regioni dalla pressione a cui sono sottoposte sul versante dell’equilibrio di bilancio. Una pressione che le costringe, per ottenere risparmi a breve termine, a mettere in atto meccanismi “centralistici”, ossia meccanismi che agiscono solo sul versante del costo senza tenere conto dei benefici a medio-lungo termine.

Il Rapporto evidenzia quindi le criticità responsabili dell’inefficienza del sistema.

Innanzitutto, il Rapporto indica la necessità di una effettiva separazione dei ruoli e dell’assetto proprietario fra acquirenti e erogatori.

E ancora, sono necessarie azioni in campo farmaceutico. Le valutazioni del Ceis Sanità sottolineano che se il numero di prescrizioni per medico fosse uguale nel Centro-Sud a quello mediamente registrato al Nord, si avrebbe una diminuzione della spesa farmaceutica totale pari al 4,41%.

Inoltre, le rilevanti differenze regionali sul versante prescrittivo, come anche l’assenza di considerazione per gli aspetti demografici e sociali che confluiscono nella domanda sanitaria, suggeriscono che, per incentivare l’efficienza, le politiche farmaceutiche debbono essere calate nei contesti locali, abbandonando la pretesa di governare il sistema con regole “troppo semplici”, come il tetto del 13%.

Un analogo discorso può essere applicato alle politiche di razionalizzazione ospedaliera basate sul taglio dei posti letto (4 posti letto per 1000 abitanti). Una “cura dimagrante” che non implica necessariamente una riduzione dei costi, né quelli relativi al personale, né quelli fissi relativi alle strutture.

Il Ceis segnala poi la disomogeneità:

• dei tassi di ospedalizzazione (standardizzati per età), che variano regionalmente anche nell’ordine del 300% ed anche più per il regime diurno, la riabilitazione e la lungodegenza;

• dei livelli tariffari, che presentano differenze medie massime (rispetto alle classi di età) del 60%;

• dei costi per unità omogenea di ricovero, che variano di oltre il 300%, da un minimo di circa 2.000 euro per punto Drg a oltre 6.000; un dato quest’ultimo che non solo si conferma di anno in anno, ma presenta un progressivo incremento della sua variabilità.

Appare inadeguato l’attuale sistema tariffario basato sui Drg, in particolare sul versante della corretta rappresentazione della complessità assistenziale. Sicuramente i Drg, segnalano i ricercatori del Ceis, hanno incentivato una maggiore produttività, e le stime indicano che questa si è, almeno parzialmente, trasformata in maggiore efficienza. Tuttavia, sarebbe auspicabile che le tariffe fossero definite per singola tipologia di struttura, tenendo conto di fattori aggiuntivi, quali ad esempio la complessità clinica.

Si evidenziano, inoltre, seri problemi nella struttura dell’assetto produttivo: ad esempio, le piante organiche squilibrate sono indicate come fattori di criticità per l’efficienza delle strutture.

Tirando le somme, per il Ceis Sanità occorre trovare nuovi strumenti di Governo che premino le Aziende virtuose e/o penalizzino quelle con performance peggiori, tenendo conto che l’analisi della spesa ha significato solo se associata all’analisi della qualità di quello che si ottiene, in primo luogo degli “outcome” clinici.

Un milione e 200 mila famiglie strette nella morsa della spesa “Out of pocket”

Anche questa quarta edizione del Rapporto scatta una fotografia della distribuzione degli oneri sanitari tra la popolazione, mettendo in evidenza l’incidenza sui bilanci familiari delle spese effettuate al di fuori della copertura del Ssn.

Il Rapporto segnala la presenza nel nostro Paese di uno “zoccolo duro” di iniquità sociale, numericamente rappresentato dalle famiglie che impoveriscono e da quelle che sostengono spese “catastrofiche”. In termini assoluti si tratta di un fenomeno ragguardevole, che coinvolge complessivamente oltre 1 milione e 200 mila nuclei familiari. E l’età avanzata è un catalizzatore potente della fragilità socio-economica: sopra i 65 anni aumenta infatti del 50% la probabilità di un impoverimento causato da spese sanitarie out of pocket.

In base agli ultimi dati 2004 dell’Istat, risulta che 295.572 famiglie (pari a circa l’1,3% della popolazione) sono scese al di sotto della soglia di povertà a causa delle spese sanitarie sostenute. Mentre le famiglie soggette a spese catastrofiche, sempre per ragioni sanitarie, sono 967.619 (pari al 4,2% della popolazione).

Una notevole quota (45,6%) delle famiglie impoverite è composta da anziani soli o coppie di anziani senza figli. E comunque, la grande maggioranza delle famiglie soggette ad impoverimento (circa il 65,3%) conta almeno un membro anziano.

Secondo le stime del Ceis, la presenza di un over 65 in famiglia aumenta di circa il 42% la probabilità di impoverimento; la presenza di due o più anziani raddoppia tale rischio.

Le aree assistenziali nelle quali i nuclei familiari più poveri sostengono le maggiori spese out of pocket sono la farmaceutica e la specialistica, ma anche l’odontoiatria e la long term care, almeno per le famiglie che “possono permettersela”.

Dai risultati ottenuti, in particolar modo relativamente alla farmaceutica e alla specialistica, si può peraltro immaginare che l’attuale regime di compartecipazioni/esenzioni non sia ben tarato: è infatti presumibile che il meccanismo della quota fissa per ricetta (non soggetto a esenzione), pesi ulteriormente sull’impoverimento nelle fasce più povere. Si aggiunga che l’attuale sistema di esenzione prevede una unica soglia di reddito familiare (intorno a 36mila euro annui), creando disparità fra chi è di poco sopra o sotto tale soglia.

L’impoverimento e la catastroficità delle spese non si distribuiscono uniformemente sul territorio nazionale. A livello regionale si registrano, infatti, differenze significative spiegate, solo in parte, dai differenziali endemici di livello socio-economico. La distribuzione dei poveri è perciò molto difforme: si va dal 3,4% in Emilia Romagna e dal 3,6% in Lombardia, fino al 27,6% in Basilicata e al 29, 6% in Sicilia.

La palma della Regione con la minor presenza di “impoveriti” va al Friuli Venezia Giulia con solo lo 0,3%. Fanalino di coda è la Calabria dove la percentuale è del 2,6%.

A questo proposito il Rapporto sottolinea che la Regione più virtuosa, e quella che lo è meno, non coincidono con quelle in cui si registra la minore o maggiore presenza di povertà assoluta, a dimostrazione che l’impoverimento dipende in modo rilevante dalle scelte di politica economica sanitaria. E non è casuale che anche nella classifica regionale delle famiglie che sostengono spese catastrofiche la minor incidenza si registri nuovamente in Friuli Venezia Giulia (1,9%), e la maggiore in Calabria (10,2%).