AUDIZIONE DEL 27 LUGLIO 2004 della Fp Cgil Medici al Parlamento sulla medicina generica
Con questa audizione si manifesta la sensibilità del Parlamento e la preoccupata attenzione con la quale si guarda alla medicina generale, e al mancato rinnovo della convenzione nazionale, scaduta ormai da quattro anni.
Apprezziamo questa sensibilità e la riteniamo molto preziosa in un momento nel quale è difficile trovare interlocutori istituzionali, in grado prima di comprendere e poi di affrontare, nei limiti e nelle possibilità del proprio ruolo, il profondo malessere espresso dalla categoria.
Un malessere espresso si per proprio conto, ma anche per conto di quei cittadini ai quali ogni giorno si devono dare adeguate risposte assistenziali.
Il mancato rinnovo della convenzione nazionale non è né un fatto episodico né casuale, è parte della politica del Governo in sanità ed è parte della politica del Governo verso i medici.
Forse perché il medico rappresenta un fondamentale elemento di snodo del SSN, sembra essere d’impaccio alla politica sanitaria del Governo.
Non corre buon sangue oggi fra i medici ed il Governo. Non si era mai vista una sordità così totale, una assenza di interlocuzione, una ostilità neanche camuffata verso i medici.
I medici sono indispensabili al sistema. Un sistema sanitario di qualità richiede un forte impegno di capitale umano: è l’uomo che cura l’uomo! Non esiste il distributore automatico di salute, c’è bisogno di ascolto, di partecipazione, di fiducia , di competenza, di esperienza, di professionalità.
E tutto questo costa, e le condizioni ed il contesto necessari per esprimere la propria professionalità e dare qualità ai servizi non sono meno importanti e necessari del giusto riconoscimento economico.
Si tende invece in ogni modo a marginalizzare, demotivare, frustrare i medici. Si tende a togliere quella fiducia che i cittadini devono avere in lui creando condizioni che rendono impossibile l’espressione del proprio ruolo.
Il prestigio del medico è costretto nella morsa dei vincoli di spesa e della richiesta di salute dei cittadini.
Riteniamo quindi il mancato rinnovo una diretta offesa ai medici.
Ma, come dicevo, il mancato rinnovo delle convenzioni non è solo questo: è parte della politica economica in sanità ed è espressione della complessiva politica sanitaria del Governo.
Il territorio e la medicina generale sono un punto delicato e cruciale del SSN.
Con questa politica del rinvio si tende a compromettere definitivamente il sistema sanitario territoriale e la medicina generale.
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Se passasse questo indebolimento del territorio e della medicina generale, si indebolirebbe tutto il SSN. E’ infatti nella coscienza comune che non esiste SSN senza medicina generale come non esiste medicina generale senza SSN.
E noi, “come il Ministro della salute”, abbiamo molto a cuore il SSN ed il suo rafforzamento perché lo consideriamo un patrimonio dei cittadini e degli operatori. E noi la nostra parte la facciamo per difenderlo, non solo con le manifestazioni della “Vertenza per la salute” ma soprattutto nella nostra attività quotidiana.
Ci troviamo di fronte una netta sottostima dei costi del rinnovo con un sottofinanziamento del settore, in verità coerente con il complessivo sottofinanziamento del SSN.
Ora, che i conti pubblici non siano oggi in una condizione florida è “nelle tasche di tutti”
Che in sanità si stia formando un BUCO che qualcuno (i cittadini) prima o poi dovrà pagare è anch’esso di senso comune ed è certificato da varie fonti.
Che la formazione e l’ingrandirsi di questo debito sia legato alla riduzione dei trasferimenti da parte del Governo alle Regioni che le Regioni non riescono a compensare con l’aumento della loro contribuzione, è anche noto e certificato dall’ISTAT.
Pur volendo tralasciare ogni considerazione su questo, quello che sotto il nostro profilo risulta inaccettabile è che il contenimento della spesa sanitaria, comunque insufficiente, avvenga anche attraverso il mancato rinnovo dei contratti e, nella fattispecie, delle convenzioni dei medici di medicina generale.
Ecco perchè il mancato rinnovo rappresenta una misura di politica economica di questo Governo.
Ma che politica economica è quella di non pagare i debiti? E che idea di sanità c’è dietro una politica di questo genere?
Da questo elemento di fondo derivano le proposte che ci sono state avanzate.
A fronte di proclami sul potenziamento del territorio, sulla valorizzazione del medico di famiglia, sulla evoluzione organizzativa del settore, finalizzata a garantire la continuità dell’assistenza nelle 24 ore, la presa in carico del paziente, l’assistenza domiciliare integrata,
manca qualunque indizio di investimento nel territorio e non viene neanche riconosciuto il recupero dell’inflazione reale per gli anni passati: in sostanza si riduce lo stipendio ai medici.
“in compenso “ gli vengono scaricati tout-court compiti, funzioni ed obiettivi del sistema, come quelli della presa in carico e della continuità dell’assistenza o dell’ADI.
Ma senza investimenti adeguati e senza definizione dei compiti dei ruoli e delle responsabilità rimangono solo degli slogan. Non si può nascondere dietro l’organizzazione regionale la mancanza dei finanziamenti: con quali risorse le regioni dovrebbero far fronte all’aggravio di spesa?
Nel definire la percentuale di aumento viene poi fatto un parallelo con la dirigenza che riteniamo improprio:
intanto le risorse destinate al contratto sono superiori, ma anche se si riuscisse a raggiungere l’equiparazione delle risorse ( e non ci siamo ancora riusciti) rimarrebbero fuori i differenti costi, e la diversa evoluzione degli stessi, legati all’esercizio della professione di medico di famiglia: i costi di gestione degli ambulatori, del personale di studio, ecc. risentono della dinamica del mercato. E oggi possiamo dire che risentono molto negativamente.
Ma le proposte di parte pubblica non sono soddisfacenti neanche sotto il profilo organizzativo e del rispetto di tutte le figure professionali della medicina generale.
Intanto la proposta che ci è stata fatta indebolisce il livello nazionale di contrattazione. Viene delegato molto alle Regioni, in modo indefinito, senza mantenere i necessari riferimenti alla cornice nazionale che deve garantire l’unitarietà del sistema.
Crediamo che la convenzione debba essere in grado di coniugare le modifiche al Titolo V con il rafforzamento del SSN.
Ma quando ad esempio le graduatorie, gli accessi, i punteggi, i titoli sono stabiliti autonomamente dalle Regioni, si perde l’unitarietà del sistema ed il valore della convenzione nazionale. Noi crediamo invece che la convenzione nazionale debba essere a garanzia del SSN.
.Dal punto di vista organizzativo, riteniamo che una medicina generale efficiente necessita di essere integrata nel territorio, deve essere parte di un sistema capace di coordinare le varie parti: non si può superare l’isolamento dei singoli con l’isolamento di piccoli gruppi.
La proposta su questo è indefinita e generica, tranne che nell’obbligo (nazionale) per i medici a partecipare, ma senza specificare come, quando, perché e per fare cosa.
Riteniamo che il potenziamento del territorio e della medicina generale non possa prescindere da una solida organizzazione distrettuale, come previsto dalla 229/99. Il distretto sanitario deve essere il primo luogo che viene in mente al cittadino quando emerge una domanda di salute.
Con la Riforma avrebbe dovuto essere il livello organizzativo per l’erogazione di tutte le attività di medicina del territorio, nonché il luogo per l’integrazione delle attività sanitarie e sociali.
Il distretto, a nostro avviso, deve garantire l’organizzazione e la gestione di tutta la medicina generale e solo così potranno concretizzarsi i famosi obiettivi di presa in carico del paziente e di continuità dell’assistenza per l’intero arco delle 24 ore.
Solo questo livello di integrazione può garantire il dialogo, anche attraverso l’informatizzazione, delle varie parti del sistema e con il sistema ospedaliero in modo da garantire l’adeguata risposta nei tempi utili.
Presa in carico significa seguire l’iter del paziente e concluderlo con lui, non fargli fare una serie di esami spesso inutili che appesantiscono il sistema e rallentano il processo diagnostico. Ma ciò è possibile solo se dietro al MMG c’è un sistema organizzato che lo supporta.
Bisogna quindi creare dei centri distrettuali per la medicina generale che si differenziano dalle UTAP proposte dal Ministro, in sostanza perché hanno il distretto come riferimento, cioè la sanità pubblica.
Le UTAP invece sarebbero dei centri sostanzialmente privati ai quali viene appaltata la medicina generale con tutti i suoi operatori.
Naturalmente non si tratta di una questione terminologica: siamo contrari ad ogni forma di privatizzazione dell’assistenza territoriale perché compromette tutto il sistema e la sua funzionalità e perché la riteniamo in sostanza, a parte le considerazioni di principio e sull’efficienza dei servizi, un sotterfugio per sottrarsi alla responsabilità dei costi dell’assistenza territoriale.
Anche su questo la proposta risulta carente. L’integrazione territoriale della medicina generale deve avvenire con pari dignità e deve interessare tutte le figure professionali del settore.
A fare le spese dell’integrazione non possono essere i medici meno tutelati della categoria: i medici di guardia medica.
Per un verso viene proposta una riduzione dell’organico, e questo guarda caso è una delle poche norme a valore nazionale, per altro si obbligano i medici ad avere come riferimento ed a lavorare nelle indefinite unità di cura primarie. Questo naturalmente al di fuori di ogni riferimento sulle modalità organizzative, sui compiti e sulle responsabilità specifiche di questa figura professionale. Di adeguamento dei compensi neanche l’ombra: insomma meno organico, meno garanzie e più compiti.
Si dimentica che la guardia medica è un servizio del sistema, non una specializzazione medica, e si dimentica che oggi si diventa titolari di guardia medica a circa 45 anni.
Conclusioni
Non sono in discussione quindi rivendicazioni meramente salariali.
Si vuole portare alla coscienza di tutti che in queste condizioni la MG non può essere esercitata in modo adeguato alle esigenze dei cittadini.
E stante il processo di deospedalizzazione, se ad esso non corrisponde un adeguato sviluppo del territorio, significa lasciare i cittadini senza cure, senza assistenza.
Insomma il cerchio non si chiude con il medico ma le carenze assistenziali rilevate dal cittadino saranno immancabilmente ricondotte alla responsabilità politica di chi le ha determinate.
Roma, 27/07/2004
Nicola Preiti
coordinatore nazionale FP CGIL Medici medicina generale