Assemblea Nazionale CGIL La Sanità che vogliamo Dalla teoria alla pratica ( Profili professionali, L 42/99 e L 251/00) : la proposta della CGIL per valorizzare il lavoro degli operatori sanitari
FORMAZIONE (gruppo : Paola Caruso, Tanino Todaro )
La formazione di base:Laurea di 1° livello. Quale futuro per le Professioni: la Docenza, il Coordinamento del C.d.L, il Tutoraggio Laurea Specialistica: regolamentazione degli accessi e se è sufficiente solo una specialistica di Area e non Disciplinare delle singole Professioni Master: come sono attivati e se a livello contrattuale possono essere riconosciuti Formazione continua ed ECM
Autoformazione L’evoluzione professionale di questi anni, che è approdata con i Decreti sui nuovi profili delle professioni sanitarie, alla legge 42/99 ed al D.Lgvo 251/2000, ha seguito l’evoluzione organizzativa del Sistema Sanitario Nazionale che, con il passaggio all’aziendalizzazione, ha concretamente avviato una organizzazione del lavoro per modelli professionali con una repentina ridefinizione del ruolo di ogni operatore all’interno delle organizzazioni sanitarie. Tale evoluzione è stata dettata per dare risposte adeguate a domande di salute rivolte ad una medicina sempre più complessa ed articolata in quanto non identificabile solo con la “cura” ma anche con il benessere, la prevenzione, l’assistenza, la riabilitazione, l’educazione alla salute. Appare evidente che la società ha mutato le proprie esigenze di salute e ciò implica approfondimenti sistematici della ricerca, delle conoscenze e delle conseguenti competenze cliniche, anche attraverso un rinnovamento della metodologia formativa.. Si consideri, inoltre, che nella società civile continua a svilupparsi una cultura che valorizza la “persona” in quanto portatrice di valori, diritti e risorse. Il Cittadino chiede oggi una maggiore qualità nell’erogazione dei servizi pubblici e privati, così come chiede di partecipare più attivamente alle scelte che lo riguardano. La Sanità va intesa, quindi, come risorsa della collettività, attenta alla centralità della persona e del malato. La Medicina non è quindi più un’entità identificabile solo con l’ospedale e quindi con la medicina clinica e ospedaliera ma anche con quella preventiva, ospedaliera, di comunità, riabilitativa, clinica, di famiglia, dei servizi territoriali, ecc., ed ognuna di esse ha un suo ben preciso mandato ed un suo riconoscimento scientifico, professionale e sociale, un proprio campo di azione. . Nei fatti operativi e legislativi si sta affermando una condizione, che rispecchia un sistema di relazione fra le varie professioni che interagiscono, ciascuna per le proprie competenze e ruoli, per consentire una risposta adeguata ai bisogni dell’utente, “centro” dell’attenzione e dell’organizzazione. I vantaggi di questo modello sono la possibilità di costruire un sistema flessibile, che consente di utilizzare le diverse competenze, in relazione ai bisogni del cittadino, nei momenti in cui esse sono necessarie e quindi con un utilizzo appropriato ed efficiente delle risorse, e la possibilità di individuare le responsabilità del caso in relazione ai bisogni prevalenti con evidente vantaggio in termini di valorizzazione delle competenze e di coinvolgimento. Ciò impone, conseguentemente, un approccio sia organizzativo che gestionale prevalentemente orientato alla complessità, e quindi all’interdisciplinarietà, in quanto non solo gli attori del sistema sono tanti quante sono le competenze richieste per ogni prestazione sanitaria erogata ma i “prodotti” delle attività sanitarie, che sono sempre più la risultante delle prestazioni di diverse tipologie di operatori (ad esempio un esame radiologico integra più processi indipendenti quali quello medico, infermieristico, tecnico, ecc), derivano da una notevole complessità tecnico-scientifica che richiede elevate competenze professionali del personale. Ma come gestire questa complessità al fine di porre al centro dell’assistenza la “persona” mediante un ottimale utilizzo del bagaglio di conoscenze ed esperienze di ogni singolo operatore? E se è vero come è vero che la conoscenza e i soggetti che la generano sono il capitale fondamentale di un ospedale o di un distretto cosa si sta facendo per attivare organizzazioni che implementino e valorizzino questa risorsa al fine di migliorare la qualità dei risultati delle prestazioni erogate al cittadino?
La risposta a tali quesiti è generatrice di altre domande quali: a) Come si governa la complessità? b) Quale è l’organizzazione più idonea ad affrontare la complessità? c) Quali sono le caratteristiche formative di base che ogni professione sanitaria deve avere per affrontare la complessità e dare prestazioni efficienti ed efficaci al paziente? d) La normativa attuale, che regola il lavoro delle professioni sanitarie, riesce a dare risposte concrete ai quesiti sopra detti?
Sorge quindi la necessità di chiarire il ruolo, che l’Università, le Aziende Sanitarie, il Sindacato e le Associazioni professionali hanno, ognuno per la sua parte, nella formazione dell’Operatore Sanitario, al fine di adeguarla alle esigenze della società moderna con gli strumenti metodologici della Pedagogia più recente
Lauree di 1° Livello. Le Lauree di 1° Livello delle Professioni Sanitarie fanno esplicitamente riferimento al profilo professionale, soprattutto in termini di competenze. Il numero degli operatori da formare deve rispondere alle esigenze del mondo del lavoro. La riforma universitaria ed il confronto con il panorama europeo pongono agli operatori sanitari, che si occupano di formazione, una grande sfida che è quella di diventare in prima persona protagonisti dello sviluppo, progettazione ed implementazione del processo della formazione di base per la professione. Particolare attenzione deve essere data, quindi, alle tre figure direttamente interessate al processo formativo quali il Docente, il Coordinatore “degli Insegnamenti Tecnico-pratici e del Tirocinio” ed il Tutor.
Per la figura del Docente è necessario, come accade nelle Università del Nord Europa, che esso diventi una figura stabile del corpo docente, capace, grazie anche alla laurea specialistica e/o master, di interessarsi anche della ricerca allo scopo di favorire lo sviluppo dei relativi corsi di laurea ed, in genere, delle scienze sanitarie.
Figura di fondamentale importanza è il Coordinatore “degli Insegnamenti Tecnico-pratici e del Tirocinio” che svolge un’azione di orientamento ed integrazione della didattica delle sedi formative universitarie e cliniche verso gli obiettivi “core” della professione, di ricerca e sviluppo delle metodologie della didattica. Dà un contributo, inoltre, agli aspetti più strettamente gestionali/organizzativi per le docenze ed i tirocini. Va segnalato che le funzioni attribuite a questa figura non sono attualmente omogenee sul territorio nazionale e sono oggetto di dibattito. E’ necessario che le responsabilità di questa figura vengano definite in maniera più puntuale e che vengano riconosciute anche a livello contrattuale (riconoscimento di funzioni organizzative a tutti gli effetti)
Inoltre sottolineamo l’importanza della figura del tutor/guida di tirocinio ed il suo sviluppo, inteso come il professionista che non è “distaccato” alla formazione, ma come colui che segue lo studente durante le sue normali attività cliniche. E’ evidente come il ruolo dei tutor di tirocinio sia al tempo stesso cruciale e “delicato”, anche per il forte ruolo di “modello” per lo studente , e come questo ruolo incontri spesso forti criticità dovute a: - non adeguata preparazione nelle metodologie del tutoring - ritmi di lavoro incalzanti, con poco o nessun tempo a disposizione per sedute tutoriali - scarso riconoscimento e valorizzazione del suo ruolo da parte dei responsabili dei Servizi, i quali a volte già “tollerano” la presenza dello studente - non completa conoscenza, da parte del Coordinatore “degli insegnamenti Tecnico-pratici e del Tirocinio” delle capacità e potenzialità del singolo tutor - difficoltà di comunicazione tra Coordinatori e tutor di tirocinio (strumenti non sempre adeguati, difficoltà ad ottenere i tempi necessari). E’ dunque necessario proseguire e potenziare l’attività di formazione dei tutor di tirocinio(con appositi corsi o Master) ma soprattutto concertare perché la figura del tutor venga formalmente riconosciuta dalle Università e dalle Aziende Sanitarie con Protocolli condivisi. Quindi per il Tutor dovrebbe essere assolutamente prevista sia una specifica formazione che una puntuale regolamentazione del tempo da dedicare ai tirocinanti.
Lauree Specialistiche L’istituzione delle Lauree Specialistiche delle Professioni Sanitarie ha subito ritardi ed ostacoli e il suo percorso non è stato certamente lineare. L’iter dell’istituzione della laurea Specialistica è partito dal D.M. 3/11/99 n. 509, dal D.M. 2/04/2001 con il quale sono state determinate le classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, alla Legge 1 dell’8/01/2002, recante le disposizione urgenti in materia di personale sanitario, fino ad arrivare finalmente alla loro istituzione da parte del CUN il 4/12/03 Le Lauree istituite hanno le seguenti caratteristiche: - lauree non per tipologia di professione, ma per classi (infatti non sono state attivate lauree per le singole professioni, ma è stata attivata una sola laurea specialistica per ogni singola classe) Le Lauree specialistiche attivate sono: 1. Scienze infermieristiche e ostetriche 2. Scienze delle Professioni sanitarie della riabilitazione 3. Scienze delle Professioni sanitarie Tecniche assistenziali 4. Scienze delle Professioni sanitarie Tecniche diagnostiche 5. Scienze delle Professioni sanitarie della prevenzione - mantenere obiettivi formativi e sbocchi professionali omogenei sul territorio nazionale per configurare un professionista adeguato all’organizzazione, programmazione e gestione delle figure professionali dell’intera classe
Il MIUR con D.M. 9/07/04 ha emanato le modalità e i contenuti per le prove di ammissione alle Lauree specialistiche e le Università che avevano precedentemente presentato gli Ordinamenti hanno emanato i bandi. Punti critici delle Lauree Specialistiche: Ø Numero limitato di accesso (Programmazione del numero di posti , forte tensione tra offerta e domanda). Riteniamo ingiustificato il numero chiuso per le lauree specialistiche in quanto è una forte limitazione del bisogno di formazione degli operatori. Ø La mancata formalizzazione a livello contrattuale di precisi sbocchi lavorativi (la Dirigenza? la Docenza? la Ricerca? ecc… ) Ø Lauree per classi e non per professioni e ciò limita la crescita scientifica di ogni singola disciplina
Deve essere inoltre affrontato il problema di chi ha svolto un percorso formativo biennale all’interno delle università, come ad esempio chi ha conseguito il titolo di Dirigente della Assistenza Infermieristica, prevedendo per essi il riconoscimento dei relativi CFU acquisiti all’interno delle lauree specialistiche.
Nell’accesso alla laurea specialistica emerge anche l’assurda ed ingiustificata sperequazione valutativa tra chi ha conseguito il titolo con la laurea triennale, chi con il diploma universitario e chi, invece, con i corsi equipollenti al D.U., sperequazione che, di fatto, snatura e contraddice il senso stesso della Legge 42/99. Come va sottolineato, inoltre, nel concorso per accedere alla Laurea Specialistica, il poco peso dato ai curricula rispetto alla prova scritta, elemento questo che ha concretamente penalizzato chi è in possesso di corposi iter formativi a favore di chi, invece, ha appena conseguito la laurea triennale.
I Master Universitari Il DM n.509 del 3-11-99 prevede l’istituzione da parte delle Università di corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente alla conclusione dei quali sono rilasciati i titoli di Master Universitari di 1° o 2° Livello, rispettivamente per la Laurea di 1° Livello o la Laurea Specialistica. Alcune Università si sono attivate e hanno istituito Master di 1° Livello per le Professioni Sanitarie, a cui si può accedere anche con i Diplomi del precedente Ordinamento degli studi. I corsi per Master Universitario sono corsi a numero programmato e sono stabiliti da singoli bandi. Possono essere annuali o biennali, prevedendo 60 CFU per annualità. La frequenza è obbligatoria e i regolamenti di ogni singolo Master ne definisce le modalità. L’attivazione del Master può essere realizzata anche in collaborazione di enti pubblici e/o privati a cui può essere affidata sia attività didattica, sia di tirocinio, sia di stage. E’ necessario che si crei un raccordo tra le Università, il Ministero della Salute e la Conferenza Stato-Regioni per l’istituzione di Master “standard” che abbiano cioè contenuti formativi che possano soddisfare esigenze organizzative comuni a tutte le aziende quali ad esempio: - Area gestionale (coordinamento, controllo di gestione, ecc) - Area della Ricerca - Area della Qualità (Verifica e Gestione della Qualità dei processi sanitari, Accreditamento, ecc) - Area della Formazione (Formatore, Progettista corsi on line, tutor, tutor on line, ecc ) - Area Sicurezza e Prevenzione Rischi sul Lavoro - Area specifica Professionale.
Nel contempo, parallelamente all’istituzione dei master cosiddetti “standard”, si può pensare all’istituzione di master derivanti da accordi tra università ed aziende associate o direttamente con la Regione per soddisfare peculiarità organizzative e gestionali derivanti, ad esempio, dai diversi P.S.R. sul territorio nazionale. Questo permetterebbe la fattibilità economica altrimenti insostenibile. Il riconoscimento contrattuale dei master deve passare proprio dal riconoscimento della loro importanza per l’organizzazione sanitaria e per i professionisti che vi lavorano. In sintesi, per ricoprire determinati ruoli professionali bisogna avere la formazione adeguata in modo che il “chi fa che cosa e come” abbia la giusta valorizzazione. Da qui anche la necessità dello stretto raccordo, nell’istituzione delle diverse tipologie di master, tra Università, Ministero della Salute e Regioni.
La Formazione Continua La Formazione Continua, ai sensi dell’art. 16 bis del D.Lvo 502/92, comprende l’aggiornamento professionale, che è la formazione diretta ad adeguare per tutto l’arco professionale le conoscenze professionali, e la formazione permanente intesa, quest’ultima, come attività finalizzata a migliorare le competenze e le abilità cliniche, tecniche e manageriali ed è quindi legata strettamente ad approfondire aspetti connessi ai processi operativi cui fa parte ogni singolo operatore. Il legislatore, inoltre, all’art. 16 quater dello stesso del D.Lvo 502/92 ha chiaramente espresso la volontà, a maggiore garanzia per la salute del cittadino, che non solo le strutture sanitarie dovevano essere accreditate (cioè possedere requisiti minimi di tipo strutturale, organizzativo e gestionale per poter erogare prestazioni per il Servizio Sanitario Nazionale) ma anche i professionisti sanitari che vi operano. L’accreditamento del professionista, che si ha mediante l’acquisizione annuale di “crediti” all’interno di ben precisi obiettivi formativi stabiliti dalla Commissione Nazione per l’E.C.M. (Educazione Continua in Medicina), comporta, per ogni operatore sanitario, un continuo aggiornamento ed approfondimento delle sue conoscenze che lo coinvolgerà per tutto l’arco della sua vita professionale. I Crediti formativi E.C.M. sono quindi una misura dell'impegno e del tempo che ogni operatore della Sanità deve dedicare annualmente alla propria formazione in funzione del miglioramento del livello qualitativo delle prestazioni che eroga.
Il sistema ECM è nato quindi come un processo continuo, atto a contribuire “governare” i problemi che i professionisti sanitari incontrano nell’espletamento delle loro attività. In considerazione di ciò, l’ambiente formativo deve diventare un momento di riflessione e di costruzione attiva di una conoscenza il più delle volte, nella prassi formativa, astratta, decontestualizzata, priva cioè di punti concreti di intermediazione riscontrabili nelle singole realtà lavorative e con obiettivi non verificabili, poi, nella pratica quotidiana dell’operatore sanitario. L’andragogia, cioè la scienza che studia la formazione degli adulti, insegna invece che le migliori condizioni per l’apprendimento gli adulti si verificano quando: - la formazione si basa su casi concreti da risolvere - vi è la possibilità di utilizzare metodi e tecniche didattiche che permettano un elevato grado di interattività e di diretto coinvolgimento; - riesce a socializzare con altri la propria conoscenza, - può autonomamente scegliere il suo personale percorso formativo - vi è un contesto organizzativo favorevole, interessato alla formazione in quanto fattore positivo di evoluzione. L’approccio alla formazione, quindi, si deve sviluppare, sinteticamente, su due piani solo apparentemente distinti sul piano concettuale ma intimamente connessi all’interno dei processi organizzativi aziendali. Il primo è quello prettamente metodologico/didattico e riguarda il modo con cui viene strutturato un progetto formativo, il secondo riguarda la strategia aziendale nella quale la formazione deve essere vista come importante fattore competitivo, strettamente collegata agli obiettivi aziendali e quindi strettamente interfacciata con i relativi processi produttivi.
Il sistema ECM, fino ad oggi, non è andato in questa direzione. Ciò è dovuto anche al fatto che la Commissione Nazionale ECM non ha definito criteri affidabili e verificabili che potessero permettere di filtrare ed eliminare le numerose attività formative esistenti sul mercato che non avessero un grado accettabile di qualità.
I punti di debolezza dell’ECM derivano inoltre: a) le aziende che erogano servizi sanitari sono caratterizzate da una rapida obsolescenza del loro know how (tecnologico, competenze, performance) che richiede aggiornamenti continui ed immediati all’interno di budget invece estremamente limitati. Ciò impone necessariamente “nuove modalità di accesso alla conoscenza, - flessibili, cioè in grado di ottimizzare il tempo dedicato alla formazione, e mirate, ovvero finalizzate a rendere disponibili in maniera puntuale i contenuti necessari per svolgere al meglio il proprio lavoro”, contesto questo che sicuramente la formazione classica non è in grado di realizzare. b) l’impossibilità oggettiva di soddisfare, in tempi e costi, l’enorme richiesta di formazione permanente (circa 800.000 di operatori sanitari) con la didattica tradizionale; c) necessità urgente di una dinamica integrazione con i sistemi di gestione del personale e più precisamente con il sistema delle competenze del personale dipendente in relazione al loro gap prestazionale; d) assenza di incentivi e deduzioni fiscali per i liberi professionisti.
Con le innovazioni sul sistema ECM apportate nel maggio 2003 con le nuove linee guida predisposte dalla Commissione Nazionale ECM, che sono numerose e per certi versi impongono una completa rivisitazione metodologica, culturale ed organizzativa rispetto alle precedenti indicazioni, vengono solo in parte risolte alcune delle deficienze strutturali rispetto al precedentemente sistema che regolava l’ECM. Vi era, difatti, la necessità di definire regole nazionali condivise che potessero orientare l’azione formativa in ambito ECM verso maggiori certezze sui requisiti qualitativi mentre, dall’altra, c’era la necessità di ricondurre l’accreditamento professionale verso la finalità per cui era stato destinato cioè il miglioramento della qualità dei servizi sanitari offerti al cittadino. Con le nuove linee guida, ancora in fase sperimentale, si è fatto un passo in avanti regolamentando ulteriormente la figura del provider formativo e prevedendo finalmente l’accreditamento della formazione a distanza (FAD). Importante elemento da sottolineare è l’aver previsto, per l’accreditamento del provider, il possesso della relativa certificazione di qualità ISO 9000 e certificate competenze clinico assistenziali nel settore specifico del corso. Questo è un fattore non di poco conto se si pensa che, nella formazione in ambito ECM, si sono “catapultati”, cavalcando il bisogno di migliaia di operatori di acquisire i crediti formativi annuali, centinaia di soggetti che, in cerca di facili guadagni, hanno inondato il mercato di prodotti formativi a volte di scarsissima qualità. Le linee guida prevedono, inoltre, che l’ammontare del debito formativo di ogni sanitario, che nel triennio 2006-2009 sarà di 150 crediti (1 ora di apprendimento = 1 credito), potrà essere soddisfatto all’80% del suo ammontare complessivo attraverso la formazione a distanza (FAD).
L’entrata della FAD nel sistema formativo sanitario può essere sicuramente una grande opportunità per la formazione continua degli operatori sanitari ma va saputa gestire con molta attenzione. Non sempre, difatti, la FAD può avere un valore percentualmente maggiore rispetto alla formazione tradizionale, tutto deve dipendere dai contesti formativi di riferimento e dai contenuti che si vogliono erogare. Bisogna quindi capire in quali contesti la FAD può essere al meglio utilizzata e quali sono le modalità didattiche e gli strumenti più opportuni per far si che questa diventi veramente uno strumento di crescita professionale degli operatori sanitari. Come non è da sottovalutare che l'istruzione a distanza, comporta inevitabilmente la formazione di “formatori” tra il personale sanitario che abbiano quelle specifiche competenze indispensabili alla preparazione del materiale di studio a distanza, di tutor didattici e tecnici, ecc. Ovviamente ciò vorrà dire riconoscere a questi dipendenti un ruolo contrattualmente definito.
Vi è comunque la necessità, per le aziende sanitarie ed ospedaliere, che le informazioni vengano fatte “circolare”, siano rese patrimonio comune per poter gestire le risorse umane e le sue competenze in parallelo con i processi operativi di ogni specifico professionale mentre, dall’altra, vi è la necessità di estendere la formazione ad una ampia popolazione ed in tempi rapidi. . I processi formativi dovrebbero inserirsi all’interno delle dinamiche e dei processi aziendali in un’ottica sistemica e il sistema ECM può dare un grosso contributo allo sviluppo di un sistema integrato di gestione del capitale intellettuale dell’azienda.
Sembra invece confusa e priva di regole, nella nuova regolamentazione ECM, la necessaria integrazione della formazione con i sistemi di gestione del personale di ogni azienda e più precisamente con il sistema delle competenze del personale dipendente in relazione al loro gap prestazionale e quindi alle prestazioni erogate al cittadino. Dalla lettura delle nuove linee guida, inoltre, sembrerebbe addirittura che debba essere il provaider a verificare l’efficacia della formazione da lui erogata nella pratica clinica e sulle attività sanitarie in genere. Se gli imput, per una corretta analisi del bisogno formativo del personale ed un suo coinvolgimento nel processo di revisione della propria professionalità, derivano dall’analisi comparata di più elementi chiave che possiamo così riassumere: legislazione nazionale e regionale; obiettivi aziendali; analisi degli scarti tra prestazioni richieste dal cittadino e prestazioni realmente effettuate; budget aziendale assegnato alla formazione del personale; non si comprende come il provider, che può anche essere esterno all’azienda, possa permettersi il “lusso”, per i costi e tempi elevati che ciò comporta, di elaborare una tale analisi ad una azienda sanitaria e/o ospedaliera a cui ha fornito uno o più prodotti formativi. L’analisi del Ritorno dell’Investimento Formativo (RIF) è difatti un elemento gestionale demandato tipicamente alla Direzione Strategica e fa parte integrante della gestione delle competenze del personale. Tale elemento gestionale (RIF) è comunque l’elemento critico più evidente di tutto il sistema ECM, elemento questo che deve urgentemente essere affrontato e risolto a livello organizzativo(quindi normativo). In caso contrario, l’ECM diventa solo un costo in quanto non incide, se non in minima parte, sulla qualità delle prestazioni erogate al cittadino. Come risulta evidente, diventa indispensabile che i piani di formazione, sia regionali che aziendali, proprio perché strettamente legati all’organizzazione del lavoro debbano essere prima contrattati con le Organizzazioni Sindacali le quali sono, per il ruolo che ricoprono, il collante fisiologico tra le risorse umane utilizzate, le attività espletate ed i risultati raggiunti.
Autoformazione Per quanto concerne l’autoformazione c’è la necessità di chiarire alcuni punti che noi riteniamo importanti. Se la formazione è un “investimento” che attua l’azienda per migliorare la qualità dei suoi prodotti attraverso un incremento delle competenze dei suoi operatori, se essa è collegata allo specifico professionale del dipendente ed ai suoi processi operativi, l’autoformazione diventa sicuramente un “valore aggiunto” per l’azienda che ne trae un beneficio. Basti pensare, ad esempio, alle diverse esperienze in autoformazione che molti dipendenti hanno dovuto affrontare per soddisfare peculiari esigenze organizzative come, per citarne solo alcune, la predisposizione di determinati protocolli operativi, di procedure, linee guida, ecc. Questo “valore aggiunto” che ha indubbiamente determinato, all’interno delle diverse organizzazioni, variazioni oggettive della qualità delle prestazioni erogate determinando, contestualmente, anche un innalzamento del livello culturale degli operatori, non può e non deve passare inosservato. Autoformazione quindi come elemento di non passività di fronte ai bisogni dell’utenza, professionalità che si apre all’autovalutazione, alla contestualizzazione delle proprie scelte in coerenza con il proprio sapere.
Diventa quindi necessario che
l’Autoformazione venga riconosciuta livello contrattuale. Roma, 25 ottobre 2004
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