"il Lavoro – la Repubblica", 26 febbraio 1999

di Monica Neri

L’animale totem dell’aspirante scienziato per il terzo millennio potrebbe essere la patella: paziente, di miti pretese, ben aperta a raccogliere e filtrare tutto quello che porta la corrente. E saldamente ancorata al suo scoglio.

E’ questa l’impressione che rimane al termine di una lunga esplorazione nel mondo delle "giovani" promesse della ricerca genovese, dalla quale è venuto fuori un mazzetto di fotografie. Sono solo esempi, ma aiutano a raccontare la stabilizzazione del precariato scientifico, con la trasformazione di borse di studio et similia da momento di formazione a sistema efficientissimo per avere manodopera di buona volontà a prezzi di saldo e con la data di scadenza.

Questa situazione riguarda molte centinaia di persone. In diversi istituti di ricerca genovesi, infatti, il numero dei precari è molto vicino a quello del personale regolare, la cui età media si aggira in molti casi intorno ai 50 anni.

Tra le foto, c’erano lo zoologo universitario neo vincitore di un assegno di ricerca e la chimica con contratto annuale all’Ist-Cba. Al Cnr hanno raccontato la loro esperienza una matematica "articolo 23" e una pedagoga-informatica alla sua sesta borsa di studio. Un coro rabbioso di borsisti e contrattisti (soprattutto biologi) si è levato dal Gaslini, mentre, per finire, un fisico ha raccontato come è riuscito a diventare uno "scienziato ufficiale" dell’Università. Una cosa talmente rara negli ultimi 5-10 anni, che molti parlano del salto di una generazione, quella dei trenta-quarantenni. Anche perché nessuno strumento nuovo è stato introdotto fino ad ora per sostituire decorosamente il vecchio "posto fisso", ormai decisamente fuori moda.

Ma c’è stato anche chi, alla richiesta di un’intervista, ha risposto: "Che cosa c’è dietro questa serie di articoli, una manovra del direttore dell’Istituto per avere nuovi posti? No? Allora non ci sto, grazie."

Come dargli torto? Il rapporto con "the boss" è in generale strettissimo e vitale. Nel migliore dei casi è un buon rapporto apprendista-maestro, come nelle botteghe del Rinascimento (solo, un po’ più spostato verso gli "anta": si sa, la vita media si è allungata); ma in qualche caso ci si spinge indietro fino al feudalesimo medievale ("jus primae noctis" incluso). Dalla benevolenza e dal potere del capo dipende tutto, dal rinnovo dei contratti (attribuiti "ad personam"), alla possibilità di sviluppare progetti di ricerca propri, alla durata delle ferie.

Per non parlare dei concorsi: che ci sia in ballo un’umile borsa di studio o un raro esemplare di posto a tempo indeterminato, i giochi si fanno di solito ben al di sopra delle teste dei concorrenti. Lo fa capire chi siede nelle commissioni d’esame; lo confermano i vincitori del passato; lo spera chi ne sente il profumo, dopo tanta paziente attesa; mentre gli esclusi ci si possono arrabbiare o consolare. Il tutto, sia ben chiaro, a microfoni spenti: ci possono essere fatti di rilevanza penale, anche se non scandalizzano ne’ sorprendono nessuno. E chi va all’estero per perfezionarsi, sarà bene che non allenti troppo la presa dal suo scoglio di partenza. Ci vuole molto ottimismo per pensare che cambiare le regole dei concorsi, come sta avvenendo in ambito universitario, sarà sufficiente per scalfire questa mentalità.

In generale, comunque, la tenacia e, talvolta, la capacità di sopportazione dipendono anche dalle possibilità di trovare un lavoro alternativo al di fuori della ricerca. E qui la situazione può variare anche molto nelle diverse discipline.

E’ ugualmente difficile per tutti, invece, organizzare delle forme di protesta; ci sono in giro più competizione, paura e individualismo che solidarietà o voglia di rischiare. I sindacati tradizionali, del resto, per anni sono stati occupati a difendere gli interessi dei loro iscritti, in massima parte dipendenti "di serie A". Anche se alcuni di questi diritti suonano beffardi e incomprensibili alle orecchie di chi non sa se il mese prossimo avrà ancora uno stipendio. Solo di recente hanno cominciato ad accorgersi che la situazione è cambiata e i "lavoratori atipici" sono tanti, ma la tendenza rimane quella di rimandare a "soluzioni a livello nazionale".

E’ notevole, per finire, l’assenza di controlli da parte delle autorità preposte a questi compiti, in un clima di irregolarità diffusa che sembra andar bene a tutti. Un solo esempio: la gravidanza si fa spesso in Istituto fino all’ultimo. E durante l’assenza per maternità la retribuzione viene di norma sospesa (oppure no: riecco la benevolenza del capo), mentre il rientro è tutt’altro che garantito. E pensare che molte "patelle" sono femmine, perché più facilmente dei colleghi maschi possono "permettersi il lusso" di guadagnare poco e irregolarmente.