"il Lavoro –
la Repubblica", 15 aprile 1998
Titolo:
Occupazione: l’inchiesta (7). Lavorare nella ricerca? Basta essere
"flessibili". Mercato in espansione, ma la parola d’ordine è:
mobilità
di Monica Neri
Mobili, ragazzi,
mobili. L’industria pesante si smembra, la disoccupazione galoppa, mobilità e flessibilità
sono le nuove parole d’ordine per chi vuole lavorare: anche nella ricerca
scientifica e dintorni.
E’ un coro
unanime: "contratti a tempo, legati a specifici progetti",
"formazione (infinita?) attraverso la ricerca", "acquisizione di
esperienza spendibile fuori". Ma fuori dove? "Se non c’è niente,
rimboccatevi le maniche e inventatevi qualcosa; proveremo ad aiutarvi".
Nei santuari
genovesi della ricerca non ci sono dubbi: "La strada è quella dei
contratti a termine, le indicazioni in questo senso vengono dal ministero -
dice Alberto Bertolini, direttore scientifico del Gaslini -; andiamo verso
nuove modalità di assunzione del personale, che sarà sempre più
fluttuante." Potrebbero essere le parole di qualunque altro direttore di
centro di ricerca. Per esempio di Santi, direttore scientifico dell’Ist e
consigliere delegato del Cba - il quale ricorda che "quella dei contratti
è una scelta obbligata, l’assunzione stabile non è più in linea coi tempi. In
questo quadro è importante la creazione di un sistema di attività che produce
occupazione, come il Cba".
All’Università
potrebbero essere banditi entro l’estate i primi 40 assegni di ricerca (una
forma di collaborazione nuova, che dura quattro anni e può essere rinnovata una
sola volta); si comincia anche a rivedere qualche decina di concorsi per
ricercatore, dopo il blocco delle assunzioni degli ultimi anni. "Ritengo
che questi numeri potrebbero raddoppiare presto" aggiunge il prorettore
Alessandro Chiabrera. Che però non si stanca di ripetere che "su 10
giovani interessati alla ricerca, solo uno riesce a rimanere nell’ambiente
scientifico. La scommessa è stimolare gli altri nove a diventare
imprenditori."
La mentalità in
effetti sta cambiando, anche fra i diretti interessati. Un esempio: la nuova
associazione nazionale dei dottori di ricerca (Adi; il dottorato è un corso
post-lauream) chiede una preparazione meglio orientata e una maggiore
visibilità per affrontare il "mondo di fuori"; la vecchia, il
"Condor" ormai in via di estinzione, non disdegnava l’idea di un
bell’"ope legis", un trucchetto-sanatoria per entrare tutti o quasi,
come ai bei tempi.
Non a caso i
cinque miliardi della legge Treu per l’assunzione temporanea in piccole e medie
imprese di personale con esperienze di ricerca "precarie" sono andati
a ruba. Pochissime sono invece le richieste per i 30 miliardi che
permetterebbero alle stesse imprese di avere in distacco ricercatori e tecnici
"di ruolo" quasi gratis, e all’ente pubblico di sostituirli con
giovani supplenti. "Non è solo snobismo - spiega Chiabrera -, il problema
è che per la carriera accademica gli articoli scientifici pubblicati contano,
le esperienze esterne no."
Al Cnr, per sua
natura rivolto alla ricerca applicativa, qualcuno ha già preso contatti per
essere distaccato. "Si sono promossi da soli - puntualizza Avanzini,
direttore dell’Area Cnr di San Benigno -, è molto difficile far muovere gli
imprenditori."
Secondo coro
unanime: nelle piccole e medie imprese, sempre più sole e determinanti nel
panorama genovese del lavoro, c’è molto bisogno di innovazione ma poco
interesse, e il livello culturale è generalmente basso. D’altra parte, la
cultura che spesso manca a chi s’intende di scienza è quella del rischio, in
una città impigrita da una presenza pubblica forte. Il risultato è che può
essere più disposta a tirare fuori qualche quattrino un’azienda americana che
non una locale.
A fare da tramite
tra imprese e ricercatori dovrebbe provvedere il Parco Scientifico e
Tecnologico della Liguria. Ma qui il coro si sbriciola. C’è chi dice che è
troppo "virtuale" per funzionare davvero, chi dice che è propio così
che deve essere, nell’era telematica; c’è chi lamenta il disinteresse del
Comune, e non mancano voci di corridoio impietose e maligne.
I fatti: il Parco
è un Consorzio tra Regione, Università e Camera di Commercio, è nato
ufficialmente a metà del ‘96 e dispone di 16 miliardi e rotti provenienti dai
fondi "Obiettivo due" (sostegni per le aree depresse; il denaro viene
da Ce, Stato e Regione), con cui affida a strutture esterne incarichi di
consulenza che devono concludersi entro quest’anno. Finora è stato prodotto un
censimento delle offerte tecnologiche trasferibili alle piccole e medie imprese
su carta, cd-rom e Internet (http://www.pst.liguria.it); sono ancora in corso
il censimento delle Pmi, il loro coinvolgimento "porta a porta" e
l’analisi dettagliata della situazione attuale e dei possibili sviluppi in una
decina di raggruppamenti (ad esempio "elettronica",
"biomedicale", "cantieristica"). In questi giorni esce
l’avviso per l’affidamento di incarichi per dodici studi di fattibilità su
specifici progetti per l’applicazione di ricerca presso le imprese (in tutto se
ne faranno 20-25). Staremo a vedere.
E vedremo se
decolla lo "spin off", parola buffa che significa "creazione di
entità produttive finalizzate allo sfruttamento dei risultati della
ricerca". Se ne parla al Cnr (ci sarà un convegno a giugno); ha una sua
tradizione in campi tecnico-scientifici come l’elettronica e l’informatica,
dove una rete di collegamenti con l’industria esiste già; l’Infm ne sta già
facendo una bandiera.
L’Istituto
nazionale di Fisica della materia (Infm, appunto) ha stabilito la sede
nazionale a Campi, in piena zona di riconversione siderurgica, proprio per dare
un segnale forte sul tema del lavoro. Per consolidare la propria presenza punta
su un progetto articolato: un laboratorio di ricerca nel campo dei materiali
innovativi artificiali a fianco della sede di villa Brignole, un centro di
servizi all’infanzia, e la promozione di due spin-off liguri, nell’ambito di un
programma nazionale che prevede sostegno e tutoraggio per nuove imprese ad alto
contenuto tecnologico; "Imparagiocando" potrebbe essere il terzo.
Mauela Arata, il direttore generale, lamenta però "la carenza di mentalità
imprenditoriale: in proporzione, arrivano più progetti dal Sud che da Genova.
Sarà perchè là il fondo del barile l’hanno già toccato."
Riquadro dal
titolo: Alla ricerca del ruolo dimenticato. I numeri/ Chi sono, quanti sono,
quanto guadagnano i ricercatori.
E’ difficile dare
i numeri della ricerca a Genova.
Ci sono le figure
tradizionali: i ricercatori, i professori, i primari, la cui età media si va
alzando sempre di più. E poi c’è la nebulosa variegata di quelli che una volta
si chiamavano "precari", per i quali l’unica cosa "a tempo
indeterminato" sembra essere il continuo barcamenarsi tra un contratto a
termine (da qualche mese a qualche anno), una borsa di studio, una "notula
per prestazione occasionale" e una "frequentazione volontaria"
(cioè gratis); sempre che non vogliano emigrare. Anche la loro età media è in
rialzo, i curricula sono sempre più ricchi e il loro numero complessivo si va
avvicinando a quello degli addetti "di ruolo". L’unica cosa che
stenta a crescere è l’entità delle retribuzioni: al Gaslini, per esempio, è
difficilissimo dare borse o contratti per importi superiori ai 20 milioni
l’anno, anche se i soldi ci sono: il regolamento lo vieta.
Come dar torto ai
sostenitori del "nuovo corso"? Borsisti e contrattisti lavorano sodo,
costano molto meno della metà di un dipendente fisso e non dimenticano che
potrebbero essere mandati a casa il giorno dopo. Il problema, dicono in molti,
è che siamo in una fase di transizione: non è più tempo di posti fissi, con
tutele e garanzie; ma non è ancora tempo di contratti lunghi (tre-cinque anni)
e dignitosi. Lo sanno bene i tanti fra i 30 e i 40 anni, con una decina d’anni
d’esperienza e un curriculum lungo così, rimasti fuori per un pelo dalle ultime
grandi ondate di concorsi per posti di ruolo, nel lontano 1992.
I numeri sono
grandi all’Università; bisogna tener presente però che personale accademico
svolge la sua attività ed è conteggiato anche in centri di ricerca come l’Ist o
il Gaslini. I professori e i ricercatori delle facoltà scientifiche sono 1.140,
con un’età media di 50 anni circa; personale tecnico-amministrativo: più o meno
altrettanti; 305 i dottorandi di ricerca (borsa di poco più di un milione al
mese), e 758 gli specializzandi (che non necessariamente lavorano nella
ricerca; la borsa vale un milione e otto mensili per i medici, zero per tutti
gli altri). I notulisti sono, grosso modo, tanti quanti i borsisti.
Al Cnr lavorano
circa 200 persone a tempo indeterminato (per lo più oltre i 45 anni di età),
mentre i "precari" fluttuano intorno ai 150.
Il Cba, consorzio
privato tra Università, Ist, Camera di Commercio e Cinro, ha soltanto una
decina di dipendenti propri, prevalentemente amministrativi, con contratti
legati a specifici progetti. Si arriva nei pressi dei "300 subito - fino a
500 in 5 anni" che riportano vecchi giornali, dalle pagine ormai
ingiallite, aggiungendo 209 dipendenti di enti consorziati e 66 borsisti e
contrattisti (restano fuori dal conto "volontari" e notulisti). Ci
sono poi quanti lavorano nelle sette piccole imprese presenti al Cba, mentre 24
persone rappresentano l’indotto conseguente alla scelta di appaltare a società
esterne tutti i servizi.
All’Ist timbrano
il cartellino 168 addetti alla ricerca (e una quarantina di amministrativi);
non lo fanno, anche se vorrebbero, in 137, mentre le notule sono state poco più
di ottanta in tutto il ‘97.
La sede nazionale
dell’Infm ha soltanto personale tecnico-amministrativo: una quarantina di
persone, prevalentemente con accordi per qualche anno; 15 assunzioni sono state
fatte nel ‘97 con contratti di formazione-lavoro.
Al Gaslini 96
persone dipendono a tempo indeterminato dalla direzione scientifica, mentre in
114 collaborano come borsisti e contrattisti; senza contare i frequentatori e i
collaboratori pagati a notula.