Convegno
CGIL per il diritto alla salute
"Un sistema di qualità"
29-30-31 gennaio 2004
“Il
contratto unico per i servizi alla persona. Il ruolo del Terzo Settore”
Comunicazione di Dario CANALI
alla
1^ Conferenza Nazionale CGIL per il diritto alla salute
Premessa
È con l’inizio degli anni novanta che la Funzione Pubblica CGIL individua, al proprio interno, una specifica area contrattuale, che viene denominata “Comparto socio sanitario assistenziale educativo privato”, allo scopo di affrontare in maniera omogenea l’area dei servizi alla persona gestita da enti erogatori di natura privata. Si trattava (e si tratta) di un’area in forte espansione, meritevole, quindi, di una attenzione maggiore della categoria.
Questi
servizi nascono da una parte direttamente dagli enti e associazioni con cui
sottoscriviamo i contratti e
dal terzo settore; rispondono a una esigenza del territorio non ancora
soddisfatta; si affermano, entrano a far parte a tutti gli effetti della rete
dei servizi alla persona di quella realtà territoriale; ricevono (in forma di
convenzione, per lo più) contributi dalle strutture pubbliche.
D’altra parte (quella per certi versi più visibile nel nostro lavoro quotidiano) si tratta di servizi (case di riposo, asili-nido) storicamente gestiti dal “pubblico” che vengono affidati (con le motivazioni che vedremo più avanti) a soggetti gestori diversi. La natura di questi soggetti è molto variegata, spaziando da associazioni di volontariato, a società di natura privata vera e propria (“profit”), ad associazioni di derivazione religiosa (associazioni di tendenza), fino alle Cooperative Sociali (il cui riconoscimento legale arriva con una Legge nel 1991, dopo alcuni anni di attività “spontanea”).
Si tratta, com’è facile comprendere, di soggetti che fanno parte del complesso mondo definito “terzo settore”, termine, e corrispondente realtà organizzativa, che sempre più spesso viene inserito nelle varie leggi (regionali e nazionali) di programmazione dei servizi. La forte presenza del terzo settore giustifica il titolo della comunicazione a questo convegno, anche se sarà necessario, nel corso della relazione stessa, definire più esattamente gli ambiti, sia del contratto di settore che il sindacato è impegnato a realizzare, sia del terzo settore stesso, i campi di intervento del quale, non si riducono ai servizi di assistenza alla persona.
In
conclusione sottolineiamo la necessità di avere sempre presente la natura
complessa di queste associazioni, enti ecc. e ricordiamo che i servizi (alla
persona) svolti
dal “Terzo Settore” (ma anche dalle associazioni “profit”) non sono
soltanto servizi “ceduti” dal Pubblico, ma anche Servizi “nuovi”, con un
proprio mercato, strettamente intrecciato alle politiche della famiglia.[1]
La
strategia della categoria per arrivare al contratto di settore
La Funzione Pubblica CGIL nel corso di tutti gli anni novanta, è arrivata a firmare dieci contratti nazionali, che riguardano circa trecentomila lavoratrici e lavoratori.
Si tratta di contratti nazionali rinnovati varie volte, oppure sottoscritti per la prima volta nell’anno 2000, che riguardano platee di lavoratrici e lavoratori che vanno dalle poche centinaia di alcune alle varie decine di migliaia dell’Uneba e delle Cooperative sociali.
Si
può certamente dire che è stato un lavoro di grande impegno e di grande
importanza, i cui risultati principali sono:
- aver
offerto copertura contrattuale di carattere “nazionale” a realtà lavorative
spesso regolate da accordi aziendali e/o da
regolamenti interni di varia natura;
- aver
creato di trattamenti normativi sostanzialmente omogenei tra i vari contratti,
con il consolidamento, specie negli ultimi anni, di contrattazione di secondo
livello (a livello territoriale e aziendale);
- aver
posto al centro dell’attenzione sindacale il tema della valorizzazione del
lavoro, in funzione della qualità dei servizi;
-
aver ridotto, attraverso l’azione sindacale, i rischi di “dumping”
contrattuale.
Il risultato non ancora raggiunto è quello della parificazione dei trattamenti salariali.
Si tratta, come evidente, di un tema di grande rilievo, da affrontare almeno secondo due prospettive.
La prima riguarda le politiche delle pubbliche amministrazioni e la scelta, che abbiamo contestato in questi anni ma che dobbiamo continuare a contrastare con tutte le nostre energie, della riduzione del costo dei servizi.
Abbiamo parlato spesso “delle regole di mercato”, definendo il Contratto nazionale come una di queste regole. Non possiamo quindi accettare l’idea che il mondo del terzo settore e quello del volontariato siano strumenti per risparmiare sui costi.
Noi non la pensiamo così, e con le associazioni di terzo settore dobbiamo rafforzare le iniziative comuni di contrasto.
Nella nostre battaglie per la difesa e il rafforzamento di un sistema di welfare locale dobbiamo porre all’attenzione e far diventare centrale l’opposizione alla scelta di assegnare i servizi secondo procedure di appalto al massimo ribasso.
La politica di riduzione delle spese passa innanzitutto, per le pubbliche amministrazioni, attraverso questo strumento. Contro le “gare al massimo ribasso”si sono realizzate importanti intese, che in alcune regioni sono diventate Leggi regionali o regolamenti. Non sempre questo si dimostra sufficiente. Bisogna continuamente controllarne gli esiti, tenere aperto il confronto con sindaci e assessori affinché prevalga la volontà di affidamento dei servizi secondo criteri di qualità e non solo nella prospettiva di contenimento dei costi.
Questa strategia, che dobbiamo confermare, potrebbe trovare nuovi e gravi ostacoli nelle scelte dell’attuale governo e nella continua riduzione nei trasferimenti ai comuni. Dobbiamo costruire con l’ANCI e l’associazione delle province una strategia comune perché non si riducano le disponibilità economiche per la gestione dei servizi.
La seconda difficoltà che abbiamo trovato nell’affrontare il problema delle differenze salariali è collegato alla gestione dell’accordo del 23 luglio ‘93.
Diventa difficile, a fronte della possibilità di ottenere aumenti salariali collegati solo ai tassi di inflazione, ridurre i differenziali salariali tra i vari contratti. Diverso può diventare lo scenario per i prossimi anni, a fronte dell’emergere di una questione salariale che riguarda tutto il mondo del lavoro e l’inadeguatezza di una politica salariale legata a livelli di inflazione determinati in termini del tutto inattendibili.
Il
nostro obiettivo è che si riducano (fino alla loro eliminazione) le differenze
salariali, oggi ancora significative, presenti tra lavoratori che svolgono le
stesse identiche mansioni. Soprattutto se queste derivano solo dal differente
contratto applicato e neanche più dalla diversità dei contesti organizzativi,
dato che sempre più spesso, per fare solo un esempio, lavoratori /soci di
cooperative lavorano insieme a colleghi cui viene applicato il contratto dell’Uneba
o un altro dei contratti di cui si parlava.
L’attuale
stagione contrattuale
Insieme
ai sindacati di categoria di CISL e UIL abbiamo definito, dopo una proficua
discussione interna e una estesa consultazione tra le lavoratrici e i lavoratori
interessati (abbiamo già ricordato che si tratta di circa 300.000), dieci
piattaforme per il rinnovo dei rispettivi contratti nazionali. Piattaforme che
sono costituite sostanzialmente di due parti. La prima, diversa per ognuna,
finalizzata a rendere omogenei i trattamenti normativi (diritti di informazione,
livelli di contrattazione, indennità, diritto allo studio) tra i contratti
stessi. La seconda, ben più significativa, composta da una premessa e da una
proposta di inquadramento con relativi livelli economici, assolutamente identica
nelle dieci piattaforme.
Nella
premessa ai contratti abbiamo scritto:
“ periodo di forte crescita del settore, che ha visto nascere e svilupparsi nuove realtà nell’erogazione dei servizi e coincide con la prima grande riforma resa possibile dall’applicazione delle leggi 328/2000 e 142/2001…
Questo progressivo sviluppo, soprattutto nell’aera dell’assistenza e della cura alla persona vede protagonisti soggetti gestori diversi che tuttavia assumono una forte centralità nella gestione delle politiche assistenziali, in un processo di sussidiarietà con il servizio pubblico…
Risulta evidente il ruolo centrale delle Regioni cui spetta le definizione delle politiche tariffarie, e dei Comuni che, dopo la prima fase di autorizzazioni provvisorie, dovranno accreditare le strutture abilitate ad erogare i servizi…
Il Contratto nazionale può offrire uno strumento omogeneo alle pubbliche amministrazioni per definire le tariffe e gli accreditamenti…
La realizzazione di questo risultato implica un continuo confronto con i rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni, la costituzioni di osservatori nazionale e regionali del settore che coinvolgano tutte le associazioni imprenditoriali e sindacali per realizzare gli obiettivi di una normativa omogenea per tutti i servizi alla persona.
Con questo indirizzo abbiamo deciso di aprire il confronto con tutte le controparti, valorizzando le specificità che esse rappresentano e salvaguardando il patrimonio storico di relazioni e confronti contrattuali.”
Si parte da un giudizio positivo sulla legge 328/2000 e sulla necessità che si vada alla sua applicazione perché diventi lo strumento certo di programmazione degli interventi di assistenza alla persona. Anche dopo la modifica del titolo V della Costituzione, costruendo a questo scopo un rapporto continuo tra stato e regioni e tra le regioni tra loro perché gli indirizzi programmatori mantengano le loro caratteristiche di unitarietà e di omogeneità.
(La stessa strada che abbiamo seguito per la definizione, con CISL e UIL, dei livelli essenziali di assistenza).
Per rispondere alla esigenza di omogeneità nell’erogazione dei servizi noi parliamo di contratto nazionale di lavoro come strumento esso stesso omogeneo e utile, e quindi alla definizione di un sistema di accreditamento e tariffario innovativo. Su questa linea si muovono anche le richieste presentate relative all’inquadramento contrattuale delle lavoratrici e dei lavoratori. Una proposta basata su sei categorie professionali, all’interno delle quali sono previste posizioni economiche diverse che permettano la valorizzazione professionale degli addetti. Le lavoratrici e i lavoratori di questo settore sono la risorsa principale, che determina in gran parte la qualità del servizio erogato e dobbiamo quindi pensare a un riconoscimento, sia professionale che economico, di questo apporto. Senza dimenticare la forte incidenza (dall’80 al 90%) che in questi servizi ha il costo del lavoro e la conseguente necessità che non si favoriscano fenomeni di “dumping” economico tra i vari contratti, sulla base dei differenti livelli minimi contrattuali.
Qualcuna delle associazioni con cui abbiamo cominciato a discutere ha espresso “paure” sulla prospettiva che queste piattaforme “nascondano” l’idea di un contratto unico. Non è così dato che le piattaforme sono dieci e a tutti stiamo proponendo un rinnovo del loro contratto nazionale. Comunque il tema del contratto unico, che non è nell’agenda dell’oggi, non ci deve spaventare. Importante è capire di cosa stiamo parlando, del contesto in cui si inseriscono le proposte del sindacato.
Anche il titolo della presente comunicazione (che non abbiamo voluto modificare per garantire la necessaria “compattezza tematica” alla presente sessione di lavoro) può contenere qualche ambiguità, facendo intendere che si pensi a un contratto per il terzo settore, mentre fino ad ora noi abbiamo parlato di un settore/comparto definito socio sanitario assistenziale educativo privato.
A
noi non sfugge quanto siano più vaste le “filiere produttive” in cui è
impegnato il Terzo Settore.
C’è il socio – sanitario
– assistenziale - educativo, ma anche: la tutela dei beni ambientali e
culturali; la tutela ambientale (raccolta differenziata, verde pubblico); la
gestione del tempo libero e delle attività sportive; per non parlare dei temi
della cooperazione internazionale, del consumo consapevole….
Crediamo sia giusto porsi l’obiettivo di un contratto per il comparto socio sanitario assistenziale educativo. Si tratta, a ben guardare, di quanto ipotizzato nell’articolo di Bruno Nogler sul n. 2/2002 della rivista Terzo Settore del Sole 24 ore, dal titolo: “Il contratto collettivo unico per il settore dei servizi alla persona: una proposta per il 2002”.[2] La previsione temporale non si è realizzata, visto che siamo già al 2003 e l’obiettivo non è ancora raggiunto (per certi versi neanche posto ufficialmente…).
Sicuramente condivisibile, però, è l’individuazione di un settore dei servizi alla persona, lo stesso di cui abbiamo parlato fin qui, e che oggi è regolato da diversi e numerosi contratti nazionali.
Il
nostro lavoro di oggi punta a rendere questi contratti ancora più
“omogenei” di quanto già non siano. Raggiunti i risultati che ci
prefiggiamo, la tappa successiva sarà quella di aprire un confronto con tutte
le Associazioni interessate per verificare se è possibile, in occasione del
prossimo rinnovo, fare un ulteriore passo avanti, verso la sottoscrizione di un
unico contratto nazionale per il settore dei servizi alla persona, gestiti da
privati.
Il
terzo settore
A questo punto vorremmo collocare la nostra riflessione sul terzo settore.
Con questo termine si intendono il complesso di realtà generalmente ricondotte a: fondazioni, enti morali, associazionismo, cooperazione sociale e internazionale, organizzazioni di volontariato.
Se queste sono le caratteristiche del terzo settore, il ragionamento che noi vogliamo sviluppare rischia di diventare dispersivo, complesso e non pertinente agli obiettivi del nostro convegno.
Poiché abbiamo deciso di parlare del rapporto tra terzo settore e sindacato, in particolare la Funzione Pubblica CGIL impegnato nella discussione dei contratti nazionali di lavoro, la nostra scelta è quella di concentrare l’analisi su alcuni documenti predisposti dal “Forum Permanente”, ben consapevoli che si tratta di una forma organizzativa che il terzo settore si è data.
Innanzitutto vogliamo ragionare sui contratti nazionali di lavoro.
Partiamo dal documento che il Forum Permanente ha predisposto lo scorso 12 dicembre per la discussione con CGIL, CISL e UIL.
In esso possiamo leggere:
“In
un settore che ha come propria “missione” il benessere delle persone e la
promozione sociale, assume invece centralità la questione della tutela e della
valorizzazione delle persone che vi lavorano…
L'ispirarsi
a valori come la partecipazione, la democrazia, l'assenza di finalità di lucro,
la solidarietà, dà al Terzo Settore una particolare responsabilità riguardo a
tale tema; responsabilità che deve trovare una traduzione concreta nel rispetto
dei contratti nazionali di lavoro e in relazioni tra sindacati e organizzazioni
del Terzo Settore basate sul riconoscimento delle loro specificità rispetto ad
altri soggetti di mercato…
In
questo ridisegno del welfare, le OO.SS. rappresentano le istanze di tutela, di
affermazione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori impegnati nel Terzo
Settore.”
Alcune affermazioni sono di grande rilievo e meritano di essere approfondite.
Il settore di cui si parla è il settore del welfare e della pubblica utilità. Viene definita come centrale la tutela e la valorizzazione delle persone che vi lavorano. Per finire si parla di rispetto dei contratti di lavoro e di riconoscimento del sindacato come soggetto di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori impegnati nel Terzo Settore.
Possono sembrare affermazioni per certi versi scontate e su cui non serve soffermarsi troppo. Invece non è così. Si tratta del primo documento nazionale sottoscritto dal Forum Permanente che affronta con così grande chiarezza questi temi e li traduce in affermazioni di carattere generale.
Tutto ciò all’interno di uno scenario, che non possiamo che condividere, sulle nuove regole da assumere nelle politiche di welfare.
Questa
attenzione alle problematiche del lavoro è presente anche nel documento (sempre
del Forum Permanente) consegnato al Ministero del Welfare il 19 luglio del 2002
“Sulla definizione dei profili
professionali per i servizi sociali” dove
si legge, al paragrafo f.
“Va
tenuto nella dovuta considerazione … anche tutto quanto emerge dalla
contrattazione in ambito pubblico, privato e privato sociale. In quelle sedi
sono state, in effetti, individuate figure e profili professionali, con relativa
collocazione di livello professionale e quindi retributivo - e con relativo
percorso formativo e di carriera – legate alla complessa realtà del settore,
così come si è andato evolvendo. In esso sono in vigore ben dieci contratti:
Enti locali (Ipab), Privati (Anaste, Uneba), Privato sociale (Cooperazione
sociale, Aias, Anpas, Avis, Misericordie, Valdesi, Anffas).”
Si
tratta dei contratti[3]
sottoscritti dalla FP CGIL (insieme alle relative categorie di CISL e UIL). E’
inserito anche un contratto dell’aera “pubblica” (Ipab), manca il
contratto dell’AGIDAE, ma il quadro si può definire completo.[4]
Questi due brani di documenti ci indicano un percorso di lavoro comune che noi intendiamo percorrere rafforzando i rapporti con il Forum Permanente e più in generale, con tutte le associazioni facenti parte del terzo settore.
Si potrebbe cominciare, per esempio, da una valutazione condivisa sull’applicazione della 328, e sulle conseguenti politiche regionali.
Proseguire con l’analisi, il confronto e l’eventuale intervento comune sulle legislazioni regionali sull’accreditamento delle strutture che forniscono servizi alla persona.
Affrontare, poi, i problemi delle politiche formative e del loro sviluppo.
Su
questi temi, un dibattito tra le associazioni, firmatarie dei contratti
componenti il Forum permanente[5] e le organizzazioni
sindacali di categoria, potrebbe rilevarsi molto fruttuoso, non solo
nell’immediato, ma anche nella prospettiva di definire quale strumento
contrattuale sia il più adatto nelle prossime stagioni, e per rispondere alle
modifiche nel sistema di welfare.
Proviamo a chiederci se un risultato positivo lungo questa strada, la strada del contratto per il settore dei servizi alla persona, possa diventare positivo per tutto il terzo settore. Anche per quelle associazioni il cui ambito prevalente di attività è un altro e in cui, comunque, va ancora definito quale contratto sia il più adatto a valorizzare il lavoro e utile per evitare forme mascherate di precariato e lavoro nero.
Quello
che noi pensiamo, in sostanza, è che il Terzo settore possa, e debba, svolgere
un ruolo propositivo lungo il percorso, che abbiamo intrapreso verso il
contratto di settore.
Alcuni
elementi che possono contrastare la
nostra strategia.
Il percorso che abbiamo fin qui delineato, si basa sui contratti già firmati, sulle condizioni oggettive del lavoro nel settore, sulle dinamiche di medio/lungo periodo che vedono in crescita (numerica, ma anche di attenzione) i servizi di cura alla persona. Tuttavia non è scevro da ostacoli che dobbiamo avere ben presenti.
-
Il primo è
determinato dalle politiche dell’attuale Governo. In particolare i tagli alla
spesa sociale, e ai trasferimenti verso i comuni. Siamo di fronte a una
riduzione delle politiche di welfare, che mira alla privatizzazione pura dei
servizi. Si tratta di un vero e proprio indebolimento dello stato a favore delle
politiche di mercato.[6]
- Il secondo, se possibile ancora più pericoloso, deriva dalle modifiche introdotte nel mercato del lavoro, e nei rapporti di lavoro dal Decreto Legislativo 30/2003 e dai successivi decreti attuativi. In queste norme c’è l’idea che il Contratto nazionale di lavoro non serva più e che possa essere sostituito dalla contrattazione individuale. Un’opzione, inaccettabile in assoluto, e, se possibile, ancora più distruttiva (di qualunque idea di qualità e di costruzione della rete dei servivi) nel settore di cura alla persona.
-
Il terzo lo possiamo ravvisare nelle modifiche (introdotte
dal Governo all’interno del Decreto 30) alla legge 142/2001 sul socio
lavoratore. Questa legge era stata un importante successo conseguito dalla
nostra iniziativa per garantire ai soci lavoratori di Cooperative la validità
della legge 300/70 e la piena applicazione dei contratti collettivi nazionali.
Le modifiche sono un passo indietro, in primo luogo perché tornano ad assegnare
un ruolo decisivo ai regolamenti interni a scapito del Contratto. E’
necessario svolgere un grande lavoro di informazione tra le socie e i soci delle
cooperative sulle modifiche alla legge, rilanciare i contenuti della 142, porre
grande attenzione ai regolamenti, pretendere l’applicazione integrale dei
contratti di lavoro, vista la grande importanza che le cooperative sociali hanno
all’interno del nostro settore.
Quale
ruolo per la Confederazione
La politica della categoria per il contratto di settore incontra spesso temi generali su cui agisce sia la Confederazione (con la struttura nazionale, quelle regionali e le camere del lavoro), sia lo SPI.
Alla
Confederazione dobbiamo chiedere di costruire vere e proprie vertenze regionali
e territoriali. Bisogna che i piani
di zona, che saremo chiamati a discutere abbiano i finanziamenti necessari al
buon funzionamento dei servizi. E’ necessario porre grande attenzione alla
regolarizzazione dei rapporti di lavoro all’interno di questo settore.
In questo scenario bisogna svolgere un ruolo attivo nella discussione delle modifiche alla legge sul Volontariato evitando che all’interno di queste organizzazioni si possano nascondere sacche di lavoro nero.
AI pensionati, spesso protagonisti principali (se non unici) del confronto con le amministrazioni comunali, spetta il compito di richiedere con forza interventi, servizi che puntino alla qualità, scoraggiando qualunque tentazione di scelte tese al solo contenimento dei costi.
Confederazione,
SPI, e Funzione Pubblica devono rendere una norma il lavoro comune sulle
problematiche dei servizi alla persona.
Quadro
delle Associazioni cui fa riferimento il Comparto Socio Sanitario Assistenziale
Educativo Privato.
Denominazione
|
Addetti. Dipendenti
diretti di strutture associate o cui, si applica il contratto. |
Campo
d’intervento
|
AGIDAE
Associazione Gestori
Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica |
|
|
AIAS
Associazione
Italiana Assistenza Spastici |
6.000 circa |
Educativo riabilitativo
assistenziale |
ANASTE
Associazione Nazionale
Strutture Terza Età |
Oltre 20.000
|
Gestione case di riposo |
ANFFAS
Associazione Nazionale
Famiglie Disabili Intellettivi e Relazionali |
2.500 circa |
Assistenza a disabili;
gestione servizi per disabili. |
ANPAS
Associazione Nazionale
Pubbliche Assistenze |
3.000 circa per 800
pubbliche assistenze aderenti. 100.000 volontari impegnati. |
Trasporto e soccorso
sanitario; assistenza sanitaria; accoglienza; servizi sociali; formazione. |
AVIS
Associazione Volontari
Italiani Sangue |
500 circa |
Raccolta del sangue;
attività di promozione |
|
Circa 2.000, per 710
Associazioni. 150/200.000 volontari. Forte presenza in Toscana, e una
tendenza all’allargamento specie nelle regioni meridionali. |
Servizi d’emergenza
(118). Gestione cimiteri (in Toscana). Protezione civile. Strutture di
assistenza per anziani. Servizi domiciliari. |
COOPERATIVE
SOCIALI
ANSCT-Legacoop Federsolidarietà-CCI AGCI |
160.000 circa per 7.700
cooperative. Di queste il 60% è di
tipo A, le altre sono di tipo B (inserimento lavorativo) Di questi almeno 23.000
sono soggetti svantaggiati |
Servizi assistenziali
alle persone anziane (domiciliari e nelle strutture); gestione servizi
educativi (asili nido); gestione di servizi in ambito assistenziale,
domiciliare. Servizi direttamente sanitari in strutture ospedaliere.
Servizi per l’infanzia. Servizi per le tossicodipendenze e per il
disagio psichico (dimessi ex.OP). |
C.
S. D. (Commissione Sinodale Diaconia) – Tavola Valdese
|
600 circa Provincia di Torino,
Sicilia, Firenze. |
Gestione case di riposo,
centri per giovani (in Sicilia); centri per vacanze; Ostelli, |
UNEBA
Unione Nazionale
Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale |
80.000 addetti Tutta Italia. Forte
presenza In Veneto, Lombardia e Piemonte. |
Gestione case di riposo;
servizi educativi. |
La Confederazione delle Misericordie e l’Anpas rappresentano due delle più grandi associazioni di volontariato impegnate nei servizi di assistenza. Anche l’AVIS è una organizzazione di volontariato. È da rilevare il grande divario, numerico, tra dipendenti (per cui si sottoscrive il contratto) e il numero complessivo dei volontari attivi.
L’ANFFAS e l’AIAS sono due associazioni “storiche”, anch’essi gestite da volontari, di assistenza ai disabili(?)…
L’AGIDAE e la C.S.D. rappresentano due tipiche associazioni “di tendenza”.
L’UNEBA e l’ANASTE gestiscono numerose strutture di assistenza agli anziani.
Le Cooperative sociali sono la realtà più numerosa, maggiormente diffusa nel territorio nazionale, presente in tutte le forme di servizi.
Altro
elemento significativo: bel otto associazioni (le tre della Cooperazione
sociale, l’Anpas, la Confederazione
delle Misericordie, l’Avis, l’Aias e l’Anfas) fanno parte del Forum
permanente del Terzo Settore.
L’articolo
12 della legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”, ha per titolo “Figure
professionali sociali”
Viene prevista l’emanazione di Decreti Ministeriali per la definizione dei relativi profili professionali.
Con successivi atti regolamentari veniva prevista la soluzione per diverse fattispecie:
- figure professionali da formare con corsi di laurea
- figure professionali da formare in corsi di formazione organizzati dalle regioni
- criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili professionali esistenti alla data di entrata in vigore della legge.
E’ anche prevista (Comma 5) l’istituzione di figure dirigenziali delle professioni sociali.
Il complesso di questi atti legislativi e normativi, doveva essere assunto oltre che dal Ministero (allora denominato “per la solidarietà sociale”, ora unificato, con altre funzioni, nel Ministero del Welfare), in accordo con il Ministero della Salute, Dell’Istruzione, del Tesoro e “sulla base di criteri e parametri definiti dalla…” (comma 1), o “D’intesa con la…”(comma2) Conferenza Unificata (Stato – Regioni).
Questa ultima previsione è “saltata” in seguito alle modifiche (LC. 3/2001)al titolo V della parte seconda della Costituzione, che assegna competenza esclusiva alle Regioni in materia di formazione professionale (ad esclusione, ovviamente, delle lauree).
Senza tornare in questa sede ai dubbi che questa modifica sollevò in occasione della sua approvazione, quello che abbiamo oggi di fronte è un compito più complesso, certo, ma con le stesse finalità che avremmo dovuto porci a Costituzione invariata.
In estrema sintesi:
Queste due domande devono trovare risposta anche alla luce dei vari decreti (del Ministero della Sanità) che hanno regolamentato, in modo pressoché definitivo, le figure sanitarie, che svolgono un ruolo importante, e non sostituibile, all’interno della rete dei servizi assistenziali.
Le linee guisa delle nostre iniziative sono due:
In questo quadro:
-
Va reso centrale, così come molte regioni stanno già facendo con
specifici corsi di qualificazione, il profilo dell’Operatore Socio
Sanitario (O.S.S.), così come determinato dalla Conferenza Stato Regioni e
di cui va valorizzata la caratteristica di integrazione socio-sanitaria.
-
Si può prevedere l’istituzione di una figura (con le stesse
caratteristiche formative, quindi con un percorso di 1000-1200 ore tra teoria e
tirocinio pratico) che in precedenti documenti abbiamo denominato come Mediatore
Culturale (o Operatore della Mediazione Culturale), per rispondere alle
caratteristiche che le politiche di assistenza assumono in alcune aree. A fronte
delle scelte che alcune regioni hanno già realizzato intorno a figure
professionali con questo nome, forse dovremo pensare a una denominazione diversa
affinché il profilo che verrà costituito abbia le caratteristiche di
“competenze a largo spettro” cui abbiamo già fatto riferimento.
Affinché
prevalga la scelta di definizione di figure professionali omogenee a livello
nazionale, dotate di alta competenza professionale è necessario che:
-
Si eviti la nascita di una
nuova figura di O. S. E. (Operatore Socio Educativo), in alternativa
all’O.S.S., da impegnare solo nei servizi sociali, perché riprodurrebbe una
separazione, anche professionale, nelle auspicate politiche di integrazione
socio-sanitaria, facendo fare un passo indietro al lavoro svolto in questi anni.
-
Si vada al superamento dei corsi (di prima formazione) per ASA, AdB,
Addetti all’Assistenza, OSA, o altre simili denominazioni, caratterizzati da
un numero di ore di formazione (400-600) inadeguata alla complessità del lavoro
“sociale” e alle esigenze di qualità e di valorizzazione del lavoro che ci
prefiggiamo. Rispetto a queste ultime figure professionali, ancora presenti in
maniera numerosa nella rete dei servizi, auspichiamo, un atto di indirizzo della
Conferenza Stato-Regioni, che ne acceleri i percorsi di riqualificazione verso
le competenza previste dall’O.S.S., e che indichi anche criteri omogenei per
il riconoscimento dei crediti formativi e lavorativi maturati.
Per
favorire ulteriormente l’unificazione delle competenze professionale (e la
conseguente possibilità che le lavoratrici e i lavoratori possano svolgere la
loro attività in ambiti professionali, e contrattuali, diversi), crediamo si
debbano riprendere un confronto con le Università interessate per realizzare
l’unificazione in una delle attuali due
Lauree di Educatore.
Non
ci sembra, per ora, opportuno prevedere nuove figure laureate, oltre quelle
previste.
Una attenzione particolare merita, invece, un fenomeno ancora poco presente al momento della promulgazione della Legge 328/2000: quello delle “Badanti” A questo scopo ci sembra opportuno un percorso di formazione omogeneo anche per la figura dell’assistente familiare, termine con cui potremmo superare quello di badante. Visto il grande rilievo, anche numerico, che questa figura professionale ha assunto in seguito alla Legge di Regolarizzazione degli immigrati ci sembra utile definire un percorso formativo (teorico e pratico) che permetta una formazione omogenea, sia allo scopo di offrire certezze alle famiglie, sia allo scopo di rafforzare l’inserimento, le tutele e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.
La formazione omogenea a livello nazionale e definita dalla Conferenza Stato – Regioni, deve sviluppare competenza linguistiche, relazionali, in particolar modo riferite alle relazioni con anziani ovvero persone disabili, principi generali di sicurezza e sanificazione ambientale, igiene.
[1]
Per fornire ulteriori elementi, anche quantitativi, rimandiamo alla
scheda allegata n.1
[2] Numero 2. Febbraio 2002. Una breve citazione: “ non fosse più opportuno sostenere (da parte del legislatore nazionale n.d.r.) – attraverso la promessa di agevolazioni contributive senz’altro giustificate in relazione a uno dei pochi sicuri settori di possibile espansione dell’occupazione - la conclusione di un “contratto collettivo unico del settore dei servizi alla persona”. …D’altra parte è noto che una larga parte del settore dei servizi è attualmente caratterizzato da trattative… per concludere intese nazionali che stabilizzino … i fattori della concorrenza.” In questo scenario vengano fatti gli esempi delle telecomunicazioni e dell’elettricità
[3] vedi allegato 1
[4] Per completezza di informazione, abbiamo anche inserito la riflessione svolta dalla CGIl sul tema dei profili sociali. Vedi allegato 2
[5] vedi l’elenco nell’Allegato 1
[6] Su questo non serve dilungarsi vista la relazione di Stefano Daneri.