Prot.n. CS 205/2006 del  6.10.2006

 

 

 

Lettera aperta al Ministro della Giustizia

Sen.  Clemente Mastella

 

Signor Ministro,

 

   

            v’è una convinzione ormai radicata sul valore democratico di un sistema penitenziario che abbia a fondamento del proprio mandato istituzionale le persone, i loro diritti inalienabili, la protezione della loro salute, il sostegno e lo sviluppo della loro partecipazione sociale, le opportunità e le tutele del lavoro.

             A questa radicata certezza tuttavia si accompagna  la domanda su come sia finalmente possibile cambiare la realtà di esclusione e di separatezza del sistema penitenziario, su come orientare le scelte sulle politiche penali e sociali in una fase in cui proprio le architetture del welfare hanno rischiato e rischiano tuttora di essere ridimensionate e destrutturate.

             Domanda, davvero problematica, soprattutto, se posta dopo la recente esperienza di  governo delle destre che hanno alimentato intolleranza verso l’emarginazione sociale e verso la devianza in genere; intolleranza che della esclusione e della separatezza fa assoluto  fattore  di sicurezza e di normalizzazione dei comportamenti sociali.

             Abbiamo sempre sostenuto che un processo di evoluzione e di avanzamento delle condizioni materiali del sistema penitenziario passa attraverso la realizzazione di un progetto di integrazione nel sistema del welfare delle persone sottoposte ad esecuzione penale e che è nodale  la capacità delle istituzioni di sostenere questo progetto attraverso il dispiegamento di servizi, risorse, opportunità e con la valorizzazione di professionalità consapevoli del delicato mandato istituzionali affidato.

             Come parte rappresentativa del mondo del lavoro siamo, infatti,  convinti della straordinaria ricchezza delle professioni che possono essere attivate e agire in un sistema integrato di servizi e per l’offerta di effettività dei diritti di cittadinanza.

             Ed è sulla base di questa nostra impostazione che abbiamo avvertito in alcuni tratti del discorso da Lei rivolto al Corpo della Polizia penitenziaria affinità e vicinanza.

             Abbiamo condiviso l’esigenza di un “articolato e rilevante processo riformatore” del sistema delle pene e della loro esecuzione e sosteniamo con convinzione  l’impostazione di fondo che vede il ricorso alla detenzione “come misura estrema”, contraltare di una nuova  politica per le sanzioni alternative al carcere.

             E ci è anche piaciuto l’obiettivo da Lei evocato per la realizzazione di una rete di strutture e di servizi  capaci di offrire opportunità di integrazione delle persone momentaneamente private della libertà personale; rete, aggiungiamo noi, che deve vedere la primaria ed inequivoca responsabilità di tutti gli attori sociali ed istituzionali, come nel caso dell’auspicato trasferimento al Servizio sanitario Nazionale delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere.

             Ed è convinto, infine, l’apprezzamento sulla dichiarata volontà di  riconoscere ruolo e valore alle funzioni affidate alla Polizia penitenziaria ed a quelle donne e quegli uomini che, come lei afferma , giocano, “rispetto alle altre Forze di Polizia in un ruolo diverso, in un’area, per così dire, mediana”.

                        Le sono note ormai le rivendicazioni dei lavoratori del Corpo della Polizia penitenziaria: Lei ha assunto, in quel discorso, precisi e concreti impegni circa una nuova determinazione delle piante organiche e  sulle insostenibili sperequazioni ordinamentali ed economiche esistenti rispetto alle altre Forze di Polizia.

             Ciò sul quale vorremmo soffermarci è l’impostazione di fondo che traspare dalle sue indicazioni circa il futuro assetto organizzativo ed istituzionale del Corpo della Polizia penitenziaria.

             Lei ha offerto alla Polizia penitenziaria un’idea ambiziosa  di riforma che, se la interpretiamo bene, intenderebbe svilupparsi su due livelli: una ridefinizione delle attività istituzionali classiche, quelle cioè che si muovono all’interno del mandato istituzionale e quella afferente ad  una diversa interpretazione del ruolo della Polizia penitenziaria sul versante della sicurezza e del controllo, anche e soprattutto nel rapporto con le altre Forze di Polizia.

             Non ci sottraiamo sicuramente a questa che giudichiamo una sfida stimolante; anzi ne apprezziamo la lungimiranza.

             Ma è proprio perché sentiamo fortemente la necessità di un serio processo di  riflessione e di percepibili progetti di intervento e di innovazione sull’intero sistema penitenziario, che ci permettiamo di evidenziarLe quanto opportuna sia una verifica complessiva ed organica sui programmi  del Governo per rendere effettive le riforme già deliberate, quelle che sono state annunciate ed, infine,  quelle che anche Lei ha prefigurato con suo discorso rivolto al Corpo della Polizia penitenziaria .

             Lei si trova a governare un sistema complesso ed articolato nel quale, come Lei doverosamente ha ricordato, la Polizia penitenziaria gioca un ruolo di primissimo piano ed è conseguente che attorno a questo attore dovranno svilupparsi i ragionamenti di riorganizzazione dell’amministrazione, sempre all’interno di un quadro normativo che affida all’amministrazione penitenziaria un mandato che deve continuare ad essere interpretato univocamente.

             Se non si perviene ad una determinazione di piante organiche degli Istituti penitenziari e dei servizi, effettive e garantite in ogni sede (e non solo sulla carta), sostenibili per distribuzione dei carichi di lavoro, per i livelli di sicurezza, per qualità e per intensità dell’impegno professionale, non è possibile pensare a destinare risorse organiche per nuovi servizi ed attività sul territorio, per scorte e servizi di tutela personale, a maggior ragione a fronte di un disegno di legge finanziaria per il 2007 che non solo fa permanere il sostanziale blocco delle assunzioni per tutte le forze di Polizia, ma che non  riesce nemmeno a garantire la stabilizzazione degli ormai famosi 500 ex ausiliari, questione per noi assolutamente prioritaria.

             Se non si investono le risorse della Cassa delle Ammende e quelle del Sistema integrato dei servizi sociali territoriali in una strategia volta al reinserimento e alla integrazione sociale,  che assuma a base della valutazione dell’efficacia degli interventi l’inclusione della persona nel tessuto delle relazioni sociali ed il suo recupero ad una prospettiva di vita affrancata dalle situazioni di disagio e di bisogno, si rischia di ridurre la prospettiva di un ampliamento dell’accesso alle misure alternative solo all’angusto meccanismo premiale/punitivo rispetto alla condotta penitenziaria o al solo controllo formale delle prescrizioni imposte.

             Si rischia, in sintesi, di  riprodurre le logiche e le dinamiche di un sistema carcerario che ha finito, negli anni,  per rendere limitate e asfittiche le opportunità di concessione delle misure alternative stesse.

                        Se non vengono valorizzate le professionalità e se non si introducono forti elementi di innovazione che consentano una gestione degli istituti penitenziaria e dei servizi meno burocratica e sclerotizzata, non è possibile immaginare risorse umane, tecniche e strumentali da destinare ad attività ulteriori, considerate le gravi sofferenze finanziarie e organiche che vengono denunciate dalla stessa Amministrazione e  fino a ieri portate a scusante del grave degrado del sistema penitenziario.

             Il rischio che noi avvertiamo è proprio quello di un veloce abbassamento del livello di attenzione sulle condizioni di sofferenza dei lavoratori della Polizia penitenziaria negli istituti del Paese e di un’inconsapevole fuga o evasione, per usare un termine congruo,  del confronto politico sindacale sul tema dei diritti del lavoro di chi nel carcere attualmente opera e continuerà ad operare nei prossimi anni.

              Crediamo si debbano proprio invertire le priorità e che questa sfida stimolante che lei sembra aver lanciato debba inevitabilmente e, oseremo dire, essere preventivamente accompagnata dal recupero di un livello di civiltà e di dignità nel lavoro sostenibile, soprattutto a cominciare da quelle donne e da quegli uomini che, in numero sempre minore, operano con abnegazione e spirito di sacrificio nel crescente degrado strutturale delle nostre carceri.

 

            Signor Ministro,

 

            se con il discorso alla Festa del Corpo di Polizia penitenziaria ha inteso gettare il cuore oltre l’ostacolo ed aprire un orizzonte alle politiche riformatrici di un sistema penitenziario che negli anni ha mancato troppe occasioni per rinunciare all’alibi dell’emergenza, la CGIL-Fp è disponibile ad offrire il proprio  contributo.

             Sosterremo con lei la costruzione di un percorso in cui la volontà politica e i valori del mondo del lavoro e della solidarietà civile e sociale contribuiscano a quel ripetuto bisogno di riscatto del mondo penitenziario.

             Ci permetta, però, di evidenziarLe quanto, per fare ciò, sia inevitabile partire da un dato: la condizione materiale in cui operano oggi le donne e gli uomini dell’amministrazione, quelli della Polizia penitenziaria, quelli dei profili professionali e dal rilancio di quelle forme di dialogo e concertazione che è di fatto indispensabile per la costruzione di progetti credibili, realizzabili.

  

            Con stima

           

                                                                                              p. la Fp Cgil Nazionale

                                                                                               Settore Penitenziario

                                                                                                 Fabrizio Rossetti