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Al Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Pres. Giovanni Tinebra Alle Segreterie territoriali FP
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Prot.n. CS69/2004 del 29.03.2004 |
(con preghiera di consegnare copia ai Direttori ed al personale tutto) |
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Oggetto : Minacce ai direttori di Istituto penitenziario - |
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Purtroppo da sempre i direttori penitenziari pagano una sorta di rischio professionale che li sovraespone nei confronti della delinquenza organizzata e di quella a matrice ideologica. I nomi di Giuseppe Salvia e di Sergio Cosmai stanno drammaticamente a testimoniare con il loro sacrificio la rilevanza di un ruolo che il crimine non sottovalutava, neanche in passato, nei significati di legalità, equilibrio e imparzialità di cui è costituzionalmente portatore. La FP CGIL conferma quindi nei confronti dei direttori degli istituti penitenziari della Toscana e del Lazio, destinatari delle recenti azioni criminose, la propria solidarietà, auspicando che gli organi inquirenti facciano luce al più presto sulla loro origine. Nel frattempo l’Amministrazione ed i Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica devono assicurare tutte quelle iniziative di tutela soggettiva e generale utili a fronteggiare i rischi di una recrudescenza criminale nei confronti dell’istituzione carceraria. Su questo terreno, ovviamente, il ruolo più delicato lo assume il DAP che da un lato deve rompere l’isolamento culturale e politico dentro il quale le politiche del Ministro Castelli lo hanno ricacciato e dall’altro deve assumere una diversa politica gestionale sui temi del personale. Emblematica a riguardo è la situazione della regione Toscana che negli ultimi due anni ha visto depauperato il suo patrimonio professionale a causa di una scellerata politica del personale; circa 300 lavoratori sia del Comparto Sicurezza sia del Comparto dello Stato, sono stati distaccati da quella regione verso altri istituti e servizi penitenziari. Ed altrettanto emblematico è il fatto che questo ritorno del crimine dentro ed intorno al carcere abbia come obiettivo i direttori di istituto penitenziario nei cui confronti la stessa Amministrazione ha mostrato una sensibilità, ci si perdoni il paradosso, meno avvertita della stessa criminalità. I Direttori penitenziari, oggi, incarnano più di altri proprio quell’isolamento, quella separazione frutto di una politica carceraria senza prospettive. Il decreto legislativo 146 del 2000, specificazione penitenziaria del disegno riformatore complessivo della Pubblica Amministrazione ( leggi 59/97 e successive, decreto legislativo 300/99) ha finito per trovare applicazione, sebbene in taluni casi in maniera faticosa ed ancora incompleta, per alcune delle componenti penitenziarie, ma non per i direttori. Attualmente la classe dirigente penitenziaria assomiglia ad un mostruoso organismo megacefalico, con una testa cioè (la dirigenza generale) di dimensioni spropositate rispetto al corpo il cui sviluppo non ha seguito l’evoluzione prevista, rimanendo sottodimensionato ed incapace di articolare con pienezza le funzioni cui è chiamato. Da qui tutta una evidentissima serie di disfunzioni di carenze e di contraddizioni che ricadono sulla gestione quotidiana della cosa penitenziaria oltre che, naturalmente, un’accresciuta sensazione di separatezza di questi lavoratori da resto delle professionalità penitenziarie. Si può essere favorevoli o contrari alla proposta di legge 1184 (cd. Meduri), salutata frettolosamente da alcuni come la panacea miracolosa delle sofferenze dell’intero settore, (la Cgil conferma il suo giudizio negativo), ma non si può contestare, comunque, che da circa tre anni, dall’insediamento cioè dell’attuale governo, il percorso riformatore avviato per i direttori ha subito uno stallo completo. Ciò ha fatto vivere, agli stessi direttori penitenziari, l’integrazione stipendiale, a termine, contenuta nella finanziaria del 2003, peraltro fino ad oggi ancora non percepita, come una sorta di signorile ricompensa, in attesa di tempi migliori. E allora, responsabilità e senso delle istituzioni dovrebbero far maturare nel DAP l’esigenza di un confronto di natura politico-sindacale che a partire da questi episodi infami e criminali, tenti di affrontare da un lato le questioni legate alle politiche del personale e della sua sicurezza e dall’altro si ponga come obiettivo l’immediato ripristino di un processo riformatore che avrebbe già bisogno di una sua ulteriore evoluzione, e non certamente della sua negazione.
Fraterni saluti.
p. la Fp Cgil Nazionale Settore penitenziario Fabrizio Rossetti
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