APPELLO: AMNISTIA PER NATALE 2005
Il tema dell’amnistia è certo tra i più
scomodi e difficili; non è un caso che in Italia l’ultimo provvedimento di
questo genere risalga a 15 anni fa. Sono passati 5 anni dall’anno del
Giubileo, quando un ampio “Cartello sociale” promosse la campagna per
l’amnistia, l’indulto e un “piano Marshall” per le carceri e per il
reinserimento sociale, vera e unica premessa per contrastare la recidiva e
garantire maggior sicurezza ai cittadini.
Sono passati 3 anni da quando il Parlamento tutto applaudì ripetutamente e
calorosamente Giovanni Paolo II mentre invocava una riduzione delle pene.
Ora, a partire dalle sollecitazioni di Marco Pannella, si torna a parlarne
e noi sosteniamo l’iniziativa "AMNISTIA PER NATALE 2005" da lui proposta,
volta a ottenere con la massima urgenza un provvedimento di
amnistia-indulto, un atto di buon governo ormai necessario e, dati alla
mano, assolutamente improcrastinabile.
In assenza di risposte, in questi anni, il problema da grave si è fatto
gravissimo, tanto che a denunciare l’insopportabilità della situazione, e
spesso a chiedere l’amnistia e l’indulto, sono ormai non solo i detenuti e
le associazioni ma tutti gli operatori, la polizia penitenziaria, i medici
e gli infermieri, gli educatori e gli assistenti sociali, i direttori, gli
avvocati, i magistrati.
Sollevare il problema dell’amnistia comporta silenzi imbarazzati o
considerazioni di inopportunità da parte di quasi tutte le forze politiche
e comprensibili obiezioni da parte dei tecnici e della stessa opinione
pubblica. Amnistiare alcuni reati e condonare una parte delle pene già
comminate attraverso l’indulto, infatti, è sempre una forma di rinuncia,
di lesione del diritto dei cittadini e delle vittime dei reati a vedere
riconosciute e risarcite le proprie ragioni.
I NUMERI CHE MOTIVANO L’AMNISTIA
Ma non tutto ciò che è giusto in astratto lo risulta anche in concreto. Ci
pare debba essere conosciuto e riconosciuto un dato di fatto: l’attuale
sistema delle pene e dei luoghi preposti alla loro esecuzione non
risarcisce nessuno ma costituisce invece una gigantesca farsa, una
drammatica messa in scena, una simbolica e ridondante punizione che serve
a nascondere il vuoto della giustizia.
Come definire diversamente il fatto che – per limitarsi solo agli ultimi 5
anni, dal 2000 al 2004 – ben 865.073 persone hanno beneficiato della
prescrizione dei reati per i quali erano state inquisite?
A fronte, vanno invece valutate le cifre della detenzione: 60.000 persone
sono in carcere (un record nella storia della Repubblica), altre 50.000
sono in misura alternativa alla detenzione, ulteriori 70-80.000, già
condannate a pene inferiori ai 3 anni (4 nei casi di tossicodipendenza),
sono in attesa delle decisioni del giudice circa la possibilità di
scontare la condanna in misura alternativa: totale 180-190.000 persone,
che significa una crescita esponenziale di 6 volte nel breve volgere di 15
anni. Crescono le carcerazioni ma crescono ancora di più le prescrizioni:
da 66.556 nel 1996 a 94.181 nel 2000 a 221.880 nel 2004.
Non è dunque vero che aumentando le carcerazioni si riducono i reati: è
vero esattamente il contrario.
Questi opposti numeri, queste linee che crescono all’infinito e in
parallelo senza mai incrociarsi, indicano le due facce incomunicanti
dell’amministrazione della giustizia: da una parte, l’amnistia
strisciante, crescente e nascosta delle prescrizioni; dall’altra parte, il
popolo e le cifre dell’esclusione sociale, dei senza avvocati e senza
difesa, degli immigrati e dei tossicodipendenti, iperpenalizzati e verso i
quali si scarica per intero e inesorabilmente la mano pesante della
macchina della giustizia.
Una macchina cieca e ingolfata, stante la mole dei processi pendenti:
8.942.932, di cui 5.580.000 penali. Tra la data del delitto e quella della
sentenza la durata media è di 35 mesi per il primo grado del processo e di
65 mesi per il grado di appello.
Ma se molti sono i reati che vengono prescritti (1.066.069 dal 2000 al
2004), assai di più sono quelli neppure perseguiti: nel 2003 le persone
denunciate sono state 536.287 e i delitti denunciati per i quali è
iniziata l’azione penale sono stati 2.890.629 (erano 2.842.224 nell’anno
precedente), ma nell’80,8% (2.334.883) l’autore del reato era ignoto.
CENTRALITÀ DELLA LEGALITÀ
Coloro che finiscono in carcere sono insomma una piccolissima parte degli
autori di reato. Il problema della sicurezza e della legalità è questione
che riguarda la società libera, ben più che il carcere, ed è lì che va
affrontata. Evidenziando altresì quanto le vittime del reato abbiano
interessi non dissimili da quelli delle vittime di un sistema della
giustizia forte coi deboli e debole con i forti: una giustizia che sia
efficace ed efficiente e soprattutto equa è necessità comune, e
comunemente dovremmo essere capaci di porla.
Va poi considerato quanto il carcere stesso sia illegale, luogo e sistema
dove le leggi spesso sono non applicate, come ad esempio lo stesso
Regolamento penitenziario, varato nel 2000 e rimasto in buona parte
lettera morta.
O come, viceversa, siano leggi sbagliate e inique a indurre criminalità:
basti osservare come sia risibile il numero degli immigrati regolari in
carcere, mentre è crescente quello degli immigrati privi di permesso di
soggiorno. L’impossibilità di ingresso legale produce illegalità e reati,
mentre chi ha possibilità di regolarizzazione dimostra di essere del tutto
esente da pratiche illegali e criminali.
LA CRISI DELLA GIUSTIZIA PONE
UN’EMERGENZA SOCIALE
Sono questi i numeri che trasformano la questione dell’amnistia e indulto
da semplice provvedimento umanitario e razionalizzante in una risposta
necessaria a quella che è divenuta una vera e propria EMERGENZA SOCIALE.
Una questione che, direttamente o indirettamente, riguarda la vita e le
condizioni di milioni di cittadini e di famiglie italiane.
È questo enorme “tappo” che va rimosso, se si vogliono per davvero
costruire le condizioni di una nuova giustizia, di una nuova garanzia per
tutti i cittadini di vedere tutelati i propri diritti e interessi.
Non c’è altro modo per farlo se non quello di un provvedimento di
amnistia.
Così come non c’è altro strumento per affrontare i guasti strutturali del
sistema penitenziario che quello dell’indulto, di un provvedimento che
consenta di riportare il numero delle presenze a quello delle capienze,
vale a dire di ridurre di almeno 15.000 il numero degli attuali detenuti.
Perchè chi in carcere dovrà restare possa vivere con dignità la propria
detenzione e chi in carcere continuerà a lavorarci, agenti di custodia in
testa, non sia condannato a farlo nel degrado e nell’abbandono.
Questi due intrecciati provvedimenti legislativi sono la precondizione, la
porta stretta nella quale occorre passare se si vuole riformare la
giustizia, ridare cioè concretezza e senso, e soprattutto equità,
all’amministrazione della giustizia nel nostro Paese.
Per questo, nonostante tutte le difficoltà e l’impopolarità (spesso
presunta, sempre fondata sulla non conoscenza dei termini e dei numeri
della questione da parte dell’opinione pubblica, regolarmente usata come
schermo e scudo dalle forze politiche per declinare responsabilità e
decisioni che a esse competono), ci sembra necessario e doveroso farci
carico di rinnovare la proposta dell’amnistia e dell’indulto e di
sollecitare le forze politiche tutte a un atto di responsabilità, di
coraggio e di lungimiranza.
L’amnistia e l’indulto non sono contradditori con un’attenzione ai temi
della sicurezza. È questo carcere che produce recidiva, commissione di
nuovi reati. Lo dicono i dati e le ricerche: se la percentuale della
recidiva è del 75% nei casi di detenuti che scontano per intero la
condanna in carcere, si abbassa drasticamente al 27% nel caso di
tossicodipendenti condannati che scontano la condanna o una parte di essa
in affidamento ai servizi sociali e al 12% nel caso di non
tossicodipendenti affidati ai servizi sociali.
Investire sul recupero e sulla prevenzione è la vera politica per la
sicurezza, una politica meno costosa socialmente, umanamente ed
economicamente: tenere una persona in carcere, peraltro nelle attuali
condizioni miserevoli, costa 63.875 euro l`anno, naturalmente in gran
parte per la struttura, mentre per il vitto di ogni recluso si spendono
mediamente soli 1,58 euro al giorno. Tenere un tossicodipendente in
carcere (e sono almeno 18.000) costa il quadruplo che assisterlo in una
comunità o affidarlo a un servizio pubblico. E lo stesso vale per tutte le
altre “vite a perdere” che sono lì concentrate, immigrati, malati,
emarginati.
LE DIFFICOLTÀ E LE NECESSITÀ
Nonostante tutto razionalmente deponga per la necessità e anzi per
l’impellenza di un tale provvedimento, non ci nascondiamo le difficoltà –
e non le dobbiamo nascondere ai detenuti, al cui senso di responsabilità
egualmente ci appelliamo, perché partecipino a questa campagna in modo
nonviolento e perché rifuggano dagli opposti rischi dell’illusione e della
rassegnazione.
Per essere condiviso e varato (poiché è indispensabile il voto positivo di
2/3 del Parlamento) tale provvedimento va sgravato da strumentalizzazioni,
da polemiche pretestuose e sterili, da logiche di scambio.
L’iniziativa AMNISTIA PER NATALE 2005, che sosteniamo – siamo persone
assai diverse quanto a collocazioni politiche e riferimenti culturali, il
che ci pare significativo -, esprime innanzitutto l’urgenza ma anche la
forza chiarificatrice che possono avere le idee e le passioni quando
riescono a intrecciarsi con la società e a scuotere la capacità di ascolto
della politica.
Noi questo ci aspettiamo: che venga data risposta all’emergenza sociale,
che le forze politiche si pronuncino subito, senza ambiguità o rimandi. A
coloro che sostengono che tale misura potrà essere presa nella prossima
legislatura noi diciamo che l’amnistia è premessa delle riforme e non
conseguenza, e in ogni caso invitiamo a un dibattito franco e aperto, a
impegni pubblici e trasparenti.
Anche per questo pensiamo necessario organizzare per il 25 dicembre a Roma
una grande Marcia di Natale per l'Amnistia, la Giustizia, la Libertà alla
quale ci auguriamo possa partecipare anche Adriano Sofri, non solo “in
spirito” come prima del suo malore aveva preannunciato, ma anche “in
corpo”, forte e libero di camminare.
Una marcia per sostenere questa proposta e questo percorso e per rendere
visibile il disagio degli operatori della giustizia e di quelli del
carcere, dei detenuti e delle loro famiglie, delle organizzazioni sociali
e del volontariato chiamati a supplire al vuoto di politiche e di luoghi
capaci di coesione sociale, dei cittadini tutti che non ottengono
giustizia e delle fasce sociali più deboli che non vedono egualmente
garantiti i loro diritti.
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