|
Relazione di
Guglielmo Di Lembo
Graditi ospiti, care compagne e cari compagni, eccoci di nuovo qui, presenti a questo importante appuntamento della nostra categoria che ha ed avrà un tono e, mi auguro, un taglio diverso rispetto all’appuntamento di quattro anni fa. A Sepino, infatti, affrontammo l’appuntamento congressuale, comunque in maniera legittima, ma come dire, a scartamento ridotto, per l’assenza di gran parte della Segreteria e di una parte dei delegati. Da allora ne abbiamo fatta di strada; siamo passati dalla gestione “romana”, ma con il tempo molisana di adozione, del compagno Franco, oggi presente tra noi e che saluto affettuosamente e fraternamente, alla gestione del gruppo dirigente molisano che, senza presunzione, credo abbia lavorato sodo, con tenacia e, complessivamente bene, come vedremo oltre. Dicevo, eccoci qui. Un saluto caldo e affettuoso al compagno Corrado Oddi (della Funzione Pubblica nazionale, già segretario generale di una federazione importante come quella di Bologna) che concluderà i nostri lavori apportando il contributo di idee, di indicazioni e di capacità politica che da tempo gli è riconosciuta, e a Michele, il Segretario generale della Cgil Molise, che interverrà nel pomeriggio e come suo stile, con la, a noi ben nota, passione, grinta e incisività del suo ragionamento politico-sindacale. Un saluto cordiale, infine, a tutti gli ospiti, gli invitati e delegati presenti, che ringrazio fin da ora della loro presenza, che danno la giusta importanza al nostro Congresso e ai quali rivolgo l’invito, fin da adesso, per un loro fattivo contributo. Un ringraziamento, di vero cuore, alle compagne e compagni che hanno collaborato, con grosso sacrificio, e contribuito fattivamente alla riuscita del nostro Congresso. Un ringraziamento particolare va ad Antonio De Socio, compagno e amico prezioso, che con grande senso di responsabilità e di disponibilità ha messo la sua passione e senso di appartenenza a disposizione della nostra categoria. Prima di iniziare permettetemi di rivolgere ancora una volta, un doveroso pensiero, un ricordo commosso, al quale credo voi tutti vorrete associarvi, alla memoria del compagno Eduardo Di Paola, già Presidente del nostro Comitato Direttivo regionale, tolto all’affetto dei suoi cari e nostro circa due anni fa. Un compagno di cui sento e sentiamo la mancanza, sempre disponibile, affabile, pronto all’aiuto, al consiglio e di una serenità impressionante. Ci manca. Abbiamo fatto, con enormi sforzi, ma con passione, il nostro percorso congressuale che, per quanto riguarda la nostra categoria regionale, concludiamo qui. E’ stato uno straordinario esercizio democratico. E quando dico questo intendo dire effettivamente che è stato così. Non nascondo che è stato faticoso, a volte anche troppo e, per dirla tutta, anche con diversi e vari equivoci. Ma, alla fine, ci premia tutti. 35 le assemblee congressuali di base svolte. Centinaia e centinaia di lavoratrici e lavoratori coinvolti, come mai era successo. Circa il 30% degli iscritti interessati. Abbiamo fatto il nostro percorso secondo le più consolidate regole e prassi dell’organizzazione, esaltando al massimo l’essenza democratica che ci contraddistingue, non a caso qualcuno ha definito la Cgil l’organizzazione più democratica, e, a volte, enfatizzando, forse troppo, differenze che, nella sostanza, tra di noi non ci sono, ma sono riconducibili a valutazioni di opportunità rispetto ad un comune sentire sulle impostazioni di fondo. Per questo, sono certo che nessuno potrà togliere valore allo sforzo fatto dalla categoria di coinvolgere quanti più compagni e compagne fosse possibile. L’unico rimpianto è quello che riguarda luoghi di lavoro in cui l’orario è articolato su più turni. Il regolamento congressuale, che prevedeva la votazione palese, non ha consentito l’allestimento del seggio elettorale, né abbiamo avuto il tempo materiale per organizzare più assemblee congressuali coincidenti con i turni. Ci scusiamo e mi scuso con quelle lavoratrici e quei lavoratori che, pur volendo, non hanno avuto la possibilità oggettiva di partecipare. Di certo posso dire che ci perfezioneremo per il futuro Congresso: in un modo o in un altro garantiremo la possibilità di far partecipare ancora più compagne e più compagni a questo nostro grande evento democratico. Questo, poi, unitamente all’obiettivo futuro di raggiungere il 50% della rappresentanza di genere, oggi siamo di poco superiori al 41% ma dentro la norma statutaria, rappresenta anche un obiettivo di valore e, dunque, qualificante per il gruppo dirigente, in una società, lo abbiamo rimarcato e sottolineato in tutte le assemblee di base, dove ogni giorno vengono ridotti gli spazi democratici, nei diversi e vari luoghi di discussione, dove l’idea di democrazia plebiscitaria, che tutto riduce ad un esclusivo rapporto tra eletto ed elettore, tende ad escludere o esclude ogni forma organizzata di partecipazione. Consentitemi di fare ora, all’inizio di questa mia relazione, l’unico richiamo alla più stringente attualità. Voglio farlo però, ricordando quanto in pochi, in verità veramente troppo pochi, dicevamo sarebbe stato il risultato più tragico di cinque anni di governo Berlusconi:
-non lo sfascio
dell’economia che pure, dopo questi cinque anni, è in condizioni
drammatiche; ma il forte, fortissimo, messaggio di rottura della coesione sociale, di superamento di un’etica, di una morale della cosa pubblica, a tutto vantaggio di una logica individualistica di affermazione e di ricchezza personale che, almeno così a me pare, ha coinvolto anche soggetti che si muovono nell’ambito di un mondo della sinistra, politica e sociale. Non voglio sembrare, credetemi, un moralista d’accatto ma, quanto abbiamo potuto scoprire essere avvenuto nei mesi scorsi, mi turba e mi preoccupa. So bene che la CGIL, la CGIL che conosco, non è neanche lontanamente affine a simili logiche e men che meno a simili pratiche, nessuno però, può considerarsi immune da questa “peste”. Spetta allora a noi, che ci riconosciamo nella definizione di “popolo della sinistra”, rendere attuali e fare nostre le ragioni della “questione morale” che il compagno Berlinguer, negli anni ’80, pose al suo partito e al paese. La classe dirigente, la “nostra” classe dirigente, deve passare a pieni voti questo esame! Ne và: della nostra prospettiva di compagne e compagni, dei nostri diritti di lavoratrici e lavoratori, del nostro futuro di cittadine e cittadini nel nostro paese e in Europa, senza con ciò voler nascondere, anzi denunciare con forza, l’infame aggressione e l’invasione barbarica della televisione, portata avanti da Berlusconi per coprire i suoi conflitti di interesse e le sue enormi responsabilità.
Il quadriennio trascorso è stato un periodo nel quale abbiamo affrontato appuntamenti e sfide difficili per non dire impossibili. Penso al dopo Congresso di Sepino del 2001, dove abbiamo portato a compimento una svolta, voluta da un grande numero di compagne e compagni, ma che ha registrato anche la dolorosa rottura con alcuni compagni, che pure della nostra categoria erano stati gruppo dirigente. Svolta che ha avuto il sostegno e la condivisione sia della Fp Nazionale, che della Cgil Molise. Cambio di direzione che ha portato, il 29 gennaio 2002, come spartiacque con il passato, ad eleggere quale Segretario generale della categoria, il compagno Franco Manunta. Devo anche dire che alcuni dei compagni sono stati, come dire, recuperati e oggi qualcuno è presente in questa sala. Penso alle tantissime assemblee nei luoghi di lavoro per portare a Roma, il 23 marzo 2002, nella più grande manifestazione, 3 milioni di persone, e noi della categoria molisana orgogliosi di aver contribuito con centinaia di lavoratori. Oggi, credo, siamo in tanti in questa sala a poter dire con fierezza: IO C’ERO. Penso alle partecipazioni alle manifestazioni per la pace, a Milano, a Roma, ai diversi e vari scioperi generali di categoria e della confederazione, alle diverse Assemblee nazionali di Quadri e delegati di categoria e della Cgil, ma penso anche all’attività politico-sindacale che abbiamo saputo organizzare e sviluppare nel territorio: l’Assemblea Quadri e delegati del 16 luglio 2002, tenuta nella prestigiosa Aula Magna del Convitto “Mario Pagano” con la presenza dell’ex Segretario generale nazionale Laimer Armuzzi; il Seminario regionale di tutta la Sanità, pubblica, privata e SSAE, del 19 maggio 2002, alla presenza della compagna Rossana Dettori, che ha aperto la discussione in seno alla Cgil, sulla riforma sanitaria regionale con la produzione di un documento, di cui parlerò oltre; l’Assemblea regionale della Polizia Locale il 16 giugno 2002, con conclusioni da parte del compagno Gianni Pagliarini, che vede in Rodolfo Santoro, al quale vanno gli auguri di tutti noi per una pronta guarigione, il responsabile per un lavoro che ritengo incalzante e serrato, ma che ha portato i suoi frutti con l’avvio della laurea breve per il settore. Penso ai diversi e vari Seminari formativi organizzati in Molise, per le Autonomie Locali, alla presenza di Gianguido Santucci, per la Sanità pubblica, con la partecipazione di Rossana Dettori, per la Sanità privata, con l’intervento di Donatella Bruno, oppure alla partecipazione a convegni e seminari a livello nazionale da parte di diversi compagni dei Ministeri, delle Agenzie Fiscali, dei Vigili del Fuoco, della Polizia Penitenziaria. Penso a quando la categoria, il 27 aprile 2004, è tornata, con la mia elezione a Segretario generale, a noi molisani. Penso al Convegno “Mezzogiorno: lavoro pubblico e sviluppo. Protagonismo delle Rsu”, da noi organizzato presso la Sala Consiliare del Comune di Campobasso con l’intervento del compagno Antonio Crispi, segretario nazionale Fp, e le conclusioni del compagno Paolo Nerozzi, segretario nazionale della Cgil, che ha aperto ufficialmente la campagna per il rinnovo delle RSU nel Molise. Penso alla 1^ Assemblea degli Eletti RSU nelle liste della Fp Cgil Molise, organizzato presso l’Hotel Le Cupolette di Vinchiaturo il 5 luglio 2005, con gli interventi di molti delegati eletti, del Segretario generale della Cgil Molise, Michele Petraroia, e conclusa dal nostro Segretario generale nazionale, Carlo Podda. L’Assemblea ha segnato un momento qualificante per tutti noi perché aveva luogo all’indomani della 2^ Conferenza Programmatica della categoria dove Carlo, e il gruppo dirigente, ha inteso tenere ben salda la barra del timone della Federazione fornendo un chiaro indirizzo: essere protagonisti che dovranno costruire e, nel nostro Paese, ricostruire, il futuro non a garanzia di un gruppo dirigente, ma per dare risposte alle centinaia di migliaia, ai milioni di lavoratrici e di lavoratori che rappresentiamo. Non a caso la nostra foto simbolo è quella che vedete alle nostre spalle o che avete visto sui manifesti o locandine oppure sugli inviti, in quanto il Congresso ci ha visti impegnati come categoria nella discussione di emendamenti alle tesi tendenti a ribadire, come vedremo, il nostro ruolo. Noi rappresentiamo e siamo, come ha detto felicemente Carlo Podda, lavoratori di una fabbrica che produce diritti, e noi abbiamo voluto rappresentare questa idea attraverso questa foto con persone, lavoratori, che, mattone dopo mattone, diritto dopo diritto, ci hanno consegnato un modello di società che deve necessariamente essere difeso. Ringraziamo e ringrazio di vero cuore il compagno Nicola Farina, nostro iscritto dell’Archivio di Stato, per quanto ha fatto sia nella scelta della fotografia, sia nel lavoro conseguente di progettazione grafica che è stato prezioso e apprezzato. Penso, infine, al risultato raggiunto nelle elezioni delle RSU, alla “esaltante” e “inebriante” vittoria della Funzione Pubblica che, a livello nazionale, non solo ha confermato il primato assoluto, ma lo ha visto incrementare e raggiungerlo anche in altri comparti oltre alle ormai consolidate Autonomie Locali e Sanità. Ma penso anche al risultato che, nel nostro piccolo, noi del Molise, siamo stati in grado di raggiungere in particolare e soprattutto se prendiamo a riferimento le condizioni di partenza con cui abbiamo affrontato l’appuntamento: un gruppo dirigente totalmente rinnovato e, quindi, per certi versi con una buona dose di inesperienza; un quadro generale dei referenti nei luoghi di lavoro insufficente; una preoccupazione che il voto a noi rivolto venisse intercettato da parte della Uil considerato il fatto che, precedentemente, avevamo avuto, come accennato, la fuoriuscita di alcuni compagni dirigenti, tra cui l’ex Segretario generale, insieme con un centinaio di iscritti. Ebbene, insieme abbiamo fatto un grande lavoro che di fatto, pur con un notevole dispendio di energie, ha annullato tutte le nostre preoccupazioni, portandoci ad avere il miglior risultato di sempre: 1.734 voti, 340 in più rispetto al 2001, pari al 21,5%, 4 punti percentuali in più rispetto al 2001. Gli eletti sono passati da 115 circa del 2001 a 144 del 2004. Nel conteggio non sono stati calcolati, tra l’altro, i voti ottenuti dal compagno Filippo D’Aloiso, dell’Agenzia delle Dogane, in quanto conteggiati nella regione Abruzzo. Con questo risultato, fatto di passione, di sacrificio, di appartenenza, abbiamo dimostrato che se si lavora, e si lavora insieme, i risultati arrivano. E noi tutti, lo dico di vero cuore, abbiamo lavorato perché consapevoli della posta in gioco. Ma i veri artefici siete stati voi e a voi va il più caloroso ringraziamento. Non venga poi recepito come presunzione se, a questo elenco di fatti, di appuntamenti, di impegni di lavoro assunti e realizzati (anzi credo di averne dimenticato più di qualcuno e vi chiedo scusa), aggiungo una miriade di trattative svolte in tanti luoghi di lavoro dei diversi comparti e settori che hanno prodotto contratti integrativi sottoscritti e, a volte, non sottoscritti per valide ragioni e motivazioni. In sintesi, un’attività politico-sindacale della categoria, oggettivamente, di qualità e di crescita per tutti noi, che dovrà incrementarsi nel futuro. Possiamo dire, altresì, che i contenuti del documento politico dello scorso Congresso: unità, solidarietà, crescita, informazione (ne abbiamo fatta tanta e ne faremo anche di più) e formazione, sono stati, quindi, assunti e realizzati, insieme con un sano e rinnovato spirito politico-sindacale. Credo che questo rappresenti una nota di merito per tutto il gruppo dirigente. Sul versante contrattuale il periodo in questione ha visto anche momenti di durezza e di asprezza del confronto con questo governo per il rinnovo dei contratti che, ricordiamocelo tutti, sono scaduti il 31 dicembre 2003. Un governo, infatti, che fa spesso ricorso alla delegittimazione e al non riconoscimento del ruolo del sindacato, emulato anche a livello regionale, fa capire la forte insofferenza per la democrazia. La democrazia, per Berlusconi, è un’esercizio di perdita di tempo. Lo sciopero generale è uno strumento trito e ritrito e inutile, “tanto faccio come dico io”. Io penso che ogni forma di delegittimazione e di non riconoscimento messa in atto da chiunque, al posto del confronto e della discussione, rappresenti intolleranza per la democrazia. Momenti di lotta ci hanno visti protagonisti di svariati scioperi generali e diverse manifestazioni che abbiamo effettuato, per arrivare a sottoscrivere, nel mese di maggio 2005, dopo uno scontro vero, una battaglia dura con il governo, e dove si è registrata l’assenza totale dell’Aran, e il cui risultato non era scontato per l’alta posta politica in gioco, l’accordo quadro, pari a 100 euro lordi mensili, con il quale è stata aperta la stagione dei rinnovi contrattuali per tutti i comparti del Pubblico Impiego. Il percorso dopo la sottoscrizione di tale accordo è stato ed è difficile. Solo 3 sono i contratti nazionali sottoscritti: quello della scuola, quello dei Ministeri e quello degli Enti Pubblici non Economici. Per quanto riguarda il contratto delle AA.LL., dopo l’incontro dello scorso 18 gennaio il sindacato giudica inaccettabile la proposta che presenta aspetti di criticità tali da prefigurare tempi non brevi per una soluzione positiva del negoziato. Nel frattempo è stato proclamato lo stato di agitazione del personale; per quanto concerne il contratto nazionale della Sanità pubblica dopo la manifestazione nazionale dello scorso 22 dicembre, svolta a livello regionale con presidio davanti alla sede della Giunta, il negoziato è stato aggiornato al prossimo 26 gennaio con l’obiettivo di chiudere il contratto nella stessa giornata. Il contratto delle Agenzie Fiscali, poi, ha avuto un brusco inasprimento della lotta; dopo la riuscitissima manifestazione dello scorso 16 gennaio ’06, davanti alla Prefettura di Campobasso, l’Aran ha convocato la parte sindacale per il prossimo 26 gennaio. I sindacati avevano già manifestato l’intenzione di proclamare una giornata di sciopero, ma tale decisione sarà presa dopo l’incontro programmato. Dopo aver sottoscritto, lo scorso autunno, il contratto nazionale dopo cinque anni di attesa, la dirigenza medica e veterinaria e la dirigenza laureata non medica, ha confermato gli scioperi programmati unitariamente per il prossimo 13 febbraio (intera giornata) e per il 27 e 28 febbraio, di 48 ore. Nel frattempo si aspetta l’esito dell’incontro fissato per il prossimo 25 gennaio. Nella Sanità privata si registra un momento di fermo. I punti centrali rimangono la quantificazione degli incrementi, la loro distribuzione sulla struttura del salario e gli arretrati e la riparametrazione per la categoria E, oltre al tema degli accreditamenti con la chiamata in causa dei livelli istituzionali. Il tavolo di negoziazione è stato convocato per il prossimo 6 febbraio, si spera a rinnovo del biennio economico nel comparto pubblico già sottoscritto. In questo ambito, noi saremo sempre vigili e pronti a riprendere la lotta, se necessario, perché il rinnovo del contratto nazionale è un diritto fondamentale e indisponibile per chiunque, anche alla luce dei recenti dati della Banca d’Italia che certificano un aumento del reddito da lavoro autonomo del 12% e una riduzione di quello subordinato del 2%. Esprimiamo soddisfazione, poi, per la sottoscrizione del contratto nazionale dei metalmeccanici che sono stati impegnati in una dura lotta, senza cedere di un centesimo e di un millimetro, contro “l’arroganza” di Federmeccanica e dei vari Sacconi e Brunetta. Alla fine di giugno 2005, lo ricordavo già in precedenza, la nostra categoria ha tenuto la 2^ Conferenza programmatica, ponendo al centro dell’attenzione una proposta tanto semplice, quanto complessa e articolata. La proposta non viene dal nulla, ma da una lunga e attenta discussione che ha prodotto, tra l’altro, l’elaborazione di alcuni emendamenti alle tesi congressuali, che cerco di riassumere in estrema sintesi. Noi affermiamo, senza mezzi termini, il fallimento delle politiche liberiste poste in essere dal governo Berlusconi, secondo le quali perseguendo il proprio interesse si raggiunge il benessere generale, in cui le dinamiche finanziarie prevalgono su quelle sociali. Assistiamo ad un sistematico, quanto feroce, attacco al lavoro pubblico senza precedenti. Se si pensa ai provvedimenti adottati dalla maggioranza di centro destra con le diverse Finanziarie, la riforma fiscale, quella previdenziale, quella della scuola, la “devolution” che qualcuno, con un efficace giro di parole, ha ribattezzato “dissolution”, cioè la distribuzione dei poteri dal centro alle regioni, con potestà legislativa esclusiva, su due temi chiave come la scuola e la sanità, che presuppone la fine di uno dei principi su cui il nostro ordinamento finora si è fondato, ossia l’universalità dei diritti, emerge l’idea e la volontà di ridimensionare fortemente, se non cancellare, il ruolo del pubblico e il sistema del welfare. Noi questa idea dobbiamo combatterla e sconfiggerla attraverso il referendum. L’opera di demolizione del lavoro pubblico passa anche attraverso la sua dequalificazione, e per dirla come il nostro Segretario nazionale, arriva al disprezzo per esso e all’invettiva nei confronti dei lavoratori, per mettere in discussione il settore pubblico e quello che rappresenta come portatore di diritti, di ricchezza, di legalità e di coesione sociale. La proposta è quella di invertire questa tendenza disastrosa, per costruire una società che abbia come concetto fondamentale l’eguaglianza, in un mondo che diventa ogni giorno di più diseguale, insieme all’Europa, che approva, tra l’altro, una direttiva, la direttiva Bolkstein, socialmente dannosa, alla quale, nonostante Prodi l’abbia definita “accettabile”, noi ci opporremo senza “se” e senza “ma”. Questa Direttiva tende a sottoporre alle regole del mercato servizi pubblici come la salute, l’istruzione, la cultura, l’acqua, con gli operatori di questo settore legati alle norme contrattuali e legislative del paese di origine della ditta erogatrice del servizio. Noi, invece pensiamo che questi beni comuni sono beni indisponibili e devono rimanere pubblici ed erogati a livello universale. Diciamo, quindi, NO a questa Direttiva neo-liberista per fondare un nuovo spazio pubblico per superare la logica di regolazione e controllo dello Stato per una nuova azione del pubblico in economia. Il centro della proposta della categoria, dunque, è quello di risolvere il rapporto tra Stato e mercato attraverso la definizione di un nuovo spazio pubblico che abbia il fine di costruire una società che abbia al suo centro il valore dell’eguaglianza. E su questo nuovo spazio pubblico costruire un nuovo blocco sociale che abbia come progetto quello di trasformare la società italiana passando necessariamente dal lavoro pubblico e da quello che esso rappresenta. Rivendichiamo, così, con forza, che gli asili nido vengano gestiti dal sistema delle autonomie locali e della scuola statale, contrastando l’impostazione dei nidi aziendali nei quali l’aspetto essenziale è soltanto la custodia del bambino e non la sua crescita e il suo sviluppo che, invece, solo la qualità e l’efficienza del servizio pubblico possono garantire. A tal proposito proponiamo all’Amministrazione Provinciale di Campobasso, e a tutte le Amministrazioni comunali che vogliono partecipare, unitamente a CISL e UIL di confederali e di categoria, un patto territoriale per la difesa e il rilancio delle politiche locali per l’infanzia, teso a ribadire la rilevanza pubblica dei servizi educativi 0/6 anni. Confidiamo in una disponibilità degli Enti in modo tale da poter ampliare tale patto territoriale anche nella provincia di Isernia. Anche la normale forma di lavoro e di assunzione deve tornare ad essere il contratto subordinato a tempo indeterminato, riducendo le tipologie non a tempo indeterminato. Per il settore pubblico, chiediamo l’eliminazione del blocco del turn-over che il governo di centrodestra ha esteso in tutte le pubbliche amministrazioni, determinando, contemporaneamente, dequalificazione, riduzione dei servizi e un forte aumento del lavoro precario. Questo provvedimento costituisce la premessa per recuperare una vera e coerente politica occupazionale nelle Pubbliche Amministrazioni, imperniata sulla qualità dei servizi pubblici e sulla loro efficacia, rideterminando contrattualmente le dotazioni organiche in funzione della “missione” delle singole Amministrazioni, anche prendendo in esame le attività esternalizzate. Tale politica deve assumere come primo obiettivo l’iniziativa generale contro il precariato, per la stabilità del lavoro a tempo indeterminato, la qualità sociale e i diritti. Questa battaglia per la qualità del pubblico e del lavoro deve prevedere atti normativi finalizzati a trasformare in rapporti di lavoro a tempo indeterminato il lavoro precario e atipico che rientra nell’organizzazione stabile e strutturata dei servizi erogati dalle Pubbliche Amministrazioni. Questa proposta rappresenterà il metro e il merito con il quale la categoria si confronterà con l’azione del prossimo governo. Su questo noi siamo impegnati. Così come siamo, all’interno, impegnati in concreto nell’attuazione dello slogan “più Cgil nelle Rsu, più Rsu nella Cgil”, nel tentativo di far vivere all’eletto-iscritto una esperienza non solo come soggetto contrattuale, ma anche e soprattutto come soggetto politico e di organizzazione, in prospettiva, anche come ricambio generazionale nella e della categoria. Siamo impegnati a perseguire un altro obiettivo a cui diamo molta importanza e nel quale crediamo fortemente: quello di costituire forme di coordinamento territoriale, in analogia con quello confederale. Questo è un impegno di massima priorità perché i coordinamenti territoriali, da un lato, rappresentano una forma di riscatto rispetto alla percezione, sicuramente erronea, di isolamento e di abbandono dopo la scelta del solo livello regionale della categoria, e dall’altro, dovranno rappresentare la forma di un coordinamento operativo di carattere politico organizzativo come modello di direzione non di istanza congressuale. Ad esso dovrà essere assegnato il compito di elaborare e attuare politiche di intervento categoriale nel territorio, su problematiche politico sindacali e contrattuali in coerenza con le politiche generali e delle prerogative della categoria. Dovrà operare per un più razionale utilizzo delle risorse economiche e umane, e promuovere percorsi di formazione e una contestuale valorizzazione dei delegati e delle Rsu disponibili, facendo vivere e praticare una democrazia di organizzazione che consenta la piena valorizzazione delle esperienze politiche e di gestione attraverso la creazione di una struttura a rete come punto di riferimento di un nuovo modo di vivere la categoria. Ulteriore obiettivo è quello di riattivare o attivare ex novo coordinamenti di comparto, di settore o di profili professionali specifici, che dovranno servire da pungolo, da supporto, sia alla categoria, sia agli Rsu, nell’esercizio del potere contrattuale. Quindi non solo coordinamenti territoriali, ma anche, a titolo esemplificativo, coordinamento delle professioni sanitarie, della Polizia Locale, della Polizia Penitenziaria, delle Agenzie Fiscali, dei Ministeri, degli Enti Pubblici non economici. Intendiamo, inoltre, concretizzare la costituzione dei Dipartimenti o Aree contrattuali, non portati a termine nello scorso mandato per diverse e varie ragioni, con definizione, da parte del futuro Direttivo, delle modalità di funzionamento e di interfaccia con i Coordinamenti e con la Segreteria. Sembra chiaro, da quanto detto, che la categoria è chiaramente e fortemente dentro il ragionamento del cosiddetto “Laboratorio Molise, un sindacato per il III° millennio”, di cui condividiamo l’impostazione, l’organizzazione e i contenuti, partendo anche dalla consapevolezza che, del precedente progetto, la nostra categoria distingue due cose: da un lato, registriamo i risultati positivi raggiunti in questi anni che hanno fatto e fanno della CGIL Molise il “luogo” per eccellenza del dibattito politico-sindacale. Questo dato di fatto non possiamo nascondercelo e sarebbe scorretto non segnalarlo e non sottolinearlo. In questo quadro, noi riteniamo debba essere salvaguardato e valorizzato l’impianto delle risorse utilizzate; dall’altro, dobbiamo dire che all’interno dell’organizzazione qualcosa non ha funzionato così come avrebbe dovuto. Le difficoltà registrate “nelle” e “tra” le categorie non sono cose da poco. Noi crediamo che occorre partire da ciò che abbiamo prodotto, più bene che male, in questi anni e dalle risorse, in particolare umane, di cui abbiamo disponibilità, per sostenere un progetto politico e un programma condiviso ritrovando, anzitutto, armonia, sinergia e come ha detto bene il segretario generale dello Spi Molise nella sua relazione al Congresso regionale, il compagno Sandro Taverniti, voglia di collaborazione. Anche noi siamo a disposizione dell’organizzazione “nel” e “per” trovare le soluzioni migliori nello spirito, ripeto, non a garanzia di un gruppo dirigente, ma per dare risposte ai nostri iscritti e ai lavoratori che rappresentiamo. Il progetto dei coordinamenti della nostra categoria, proprio per questo, siano essi territoriali, che specifici, dovrà essere concluso entro il primo semestre 2007, e non oltre la fine di quell’anno, anche se non escludiamo una costituzione anticipata, anche nel corso di quest’anno, così come mi auguro. Abbiamo una priorità, come categoria, sul territorio di Isernia: dobbiamo riorganizzare nel più breve tempo possibile la nostra azione politico-sindacale. Non è cosa semplice ma non ci arrendiamo. Vogliamo investire, sia dal punto di vista strategico-progettuale, sia da quello delle risorse umane da impegnare. Nelle more di questa assunzione di responsabilità, l’impegno della Segreteria è quello, nell’ambito del progetto “Laboratorio Molise”, di implementare il progetto Isernia e, quindi, di tenere aperto uno sportello, sia di mattina, sia di pomeriggio, con una compagna del luogo, in grado di poter intercettare la domanda di categoria che proviene da quel territorio, nonché garantire la presenza, in almeno tre giorni alla settimana di compagni della Segreteria, al fine di individuare una compagna o un compagno cui affidare successivamente delle responsabilità sul territorio. Valuteremo e verificheremo, inoltre, modalità e forme per garantire, tutelare e marcare adeguatamente il territorio di Termoli, posso dire che siamo a buon punto, e se possibile, anche il territorio dell’Alto Molise. Da tutto ciò nasce una corretta pratica democratica basata anche sulla omogeneizzazione e uniformità delle responsabilità, non può non prevedere un momento di verifica del progetto e del programma che ci diamo. Questo momento trova la sua sede naturale nell’Assemblea dei Quadri e Delegati, che organizzeremo entro il 1° semestre del 2008, come appuntamento di metà mandato per essere chiari. Questo lavoro, di programmazione e di organizzazione, rappresenta, altresì, il presupposto per un ragionamento complessivo per fare un ulteriore passo avanti in termini di democrazia, di partecipazione, di coinvolgimento, di unità della categoria e di valutazione del gruppo dirigente. Armonia, sinergia e voglia di collaborazione, dunque, all’interno della categoria, come, anche, nella Cgil. E questa armonia e sinergia e collaborazione si devono accompagnare anche ad una rinnovata ricerca di unità d’azione con Cisl e Uil. Questo lo dico sia a livello confederale che di categoria. Lo dico ai compagni e agli amici, qui presenti, della Fps Cisl e della Pa e Fpl Uil: è necessario lasciarci alle spalle il passato, anche se il compito è difficile in quanto noi non possiamo tacere, né rimanere immobili, sulla questione dell’approvazione della così detta “legge quadri” presso la Regione Molise che riconosce, al di fuori delle regole contrattuali, una rendita cospicua, oltre allo stipendio, ai dipendenti della categoria “D”, e che ha visto il coinvolgimento della Cisl Fps o almeno di un segretario regionale. Questo rimane un punto “critico” nei rapporti, ma sono convinto che bisogna lavorare, facendo tutti gli sforzi possibili, per superarlo, perché noi abbiamo l’obbligo morale e, quindi, la responsabilità, di guardare avanti e di avere un dialogo costruttivo, leale e corretto, per aprire un nuovo capitolo nelle relazioni tra di noi. Un nuovo capitolo per lavorare insieme a beneficio dei lavoratori che rappresentiamo pur nella diversità di culture e di posizioni che devono essere sempre intese come ricchezza, e non come alibi per divergere e, dunque, rompere l’unità d’azione. Insieme dobbiamo discutere e decidere il miglior modo possibile, coinvolgendo soprattutto gli eletti nelle Rsu, per promuovere momenti comuni di discussione, trovare regole condivise, per lavorare insieme. Se ciò diventasse possibile, come credo tutti ci auguriamo, occorre pensare ad un passaggio di ratifica a Direttivi unitari. La nostra categoria sceglie, comunque, fin da ora, la ratifica da parte del proprio Direttivo. L’unità d’azione è importante, se non necessaria anche per sconfiggere, soprattutto in sanità, dove il condizionamento politico in alcuni territori si fa fortemente sentire, un preoccupante ritorno del sindacalismo autonomo e corporativo, a partire da subito con le elezioni della Rsu presso il Centro della Cattolica di Campobasso che si terranno i prossimi 14 e 15 febbraio. Ce lo chiedono le iscritte e gli iscritti, le lavoratrici e i lavoratori, per affermare principi e valori del sindacalismo confederale, oltre che per avere più forza e più rappresentatività. E il coinvolgimento dei nostri delegati e delle nostre delegate eletti/e nelle Rsu, a livello unitario, diventa un passaggio obbligato ora che la legge regionale di riforma sanitaria è operativa con la formale costituzione dell’unica Asl, con relativa nomina del direttore generale unico. E’ necessario capire quale deve essere il nostro atteggiamento e comportamento consequenziale rispetto a questa novità, anzitutto rispetto ad una riorganizzazione degli uffici e i conseguenti riflessi sul personale dipendente che non possono avvenire senza l’obbligatoria consultazione della parte sindacale. Un comportamento diverso, anche alla luce di una recente delibera del Direttore generale dell’Asl unica, non può essere condiviso, né tollerato. Inoltre, è necessario capire come dovranno svolgersi le relazioni sindacali, atteso il fatto che le Rsu elette nelle diverse e varie Asl molisane non decadono, se non dimissionarie. La riforma sanitaria fatta a colpi di maggioranza non ci è piaciuta e non ci piace, non perché siamo contrari all’unica Asl, ma perché inizia, pensata come panacea di tutti i mali, laddove noi pensiamo doveva finire. E il nostro ragionamento trova conforto nei fatti dell’ultimo periodo dove è in atto una crisi regionale. Noi volevamo e vogliamo risorse finalizzate a finanziare servizi da rendere ai cittadini partendo dai loro bisogni, e risorse per la maggiore produttività degli operatori. Noi vogliamo l’universalismo del diritto, messo a rischio dalla devoluzione bossiana, che non potrà e non dovrà essere in discussione, anche se non dimentico, tra l’altro, le parole dette dal presidente della Giunta regionale, on. Michele Iorio, in occasione delle sue dichiarazioni programmatiche: “non bisogna rincorrere un insostenibile universalismo del diritto”. E le azioni del governo regionale sono tutte misure tendenti a ridurre il diritto alla salute. Vogliamo un servizio sanitario gratuito, universale e equo, come lo disegna la legge 833/78 e da ultimo come riveduto e rilanciato dal decreto legislativo 229/99 /riforma Bindi). Vogliamo che si riconduca, nel breve periodo, la dotazione di posti letto allo standard previsto in modo tale che effettivamente si superi il concetto di politica sanitaria intesa unicamente come produzione ospedaliera e di posti letto e la Cattolica ritorni al ruolo integrativo del sistema e non a quello di duplicare specialità già attivate in altre strutture, mettendo in pericolo l’Ospedale campobassano, anche modificando il protocollo d’intesa tra Regione e la struttura privata. La riconduzione dell’Ospedale a luogo per acuti permetterà di liberare risorse per il territorio, ponendo quest’ultimo e il distretto al centro della sanità. Solo in questo modo noi porremo al centro realmente, e non solo a parole, il cittadino e non ci fermeremo ad enunciati sterili che servono solo politicamente. Solo in questo modo realizzeremo quello che noi consideriamo fondamentale: la vera integrazione socio-sanitaria. La nostra indicazione è quella di un processo di razionalizzazione della rete ospedaliera, con mantenimento di tutti gli ospedali pubblici, senza sperimentazioni gestionali. Riorganizzazione, dunque, dei posti letto per acuti, che liberi risorse per le cure domiciliari e, quindi, per le strutture territoriali e dei distretti in modo tale da garantire, ad ogni cittadino, la necessaria continuità tra la cura ospedaliera in fase acuta e la riabilitazione. Le strutture di lungodegenza, di RSA, di riabilitazione rappresentano strutture importanti sulle quali investire in misura completa. In particolare per quest’ultima noi pensiamo alla istituzione di un centro extra-ospedaliero ad alta intensità riabilitativa che guardi in particolare ai tetraplegici di terzo grado e ai pazienti comatosi. In questo modo si potrà rispondere più appropriatamente e più adeguatamente ai bisogni dei cittadini. Al fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse crediamo sia utile pensare alla realizzazione di veri e propri “contenitori Polifunzionali” dove si riconoscano gli spazi per le attività di promozione della salute (che significa intercettare il disagio anche sociale e prevenirne gli effetti negativi o, comunque, marginalizzanti, a partire dalla funzione dei distretti) e di partecipazione dei cittadini. In questi contenitori ospitare gli studi medici, i servizi per la continuità assistenziale, gli ambulatori specialistici, la struttura amministrativa di supporto, il centro unico di prenotazione, le attività diagnostiche strumentali previste, le attività sociali e riabilitative. Rivendichiamo, nell’organizzazione distrettuale, il rilancio della funzione dei Consultori con il ridisegno dell’azione del medico di medicina generale con la previsione di una sua integrazione con le altre figure professionali, nonché un coinvolgimento diretto nella gestione sanitaria del servizio. Un accordo a livello regionale tra servizio sanitario e medici di medicina generale, fondata su una integrazione reale, è condizione necessaria per garantire ai cittadini del distretto l’accesso alle cure non procrastinabili almeno per dodici ore e le condizioni organizzative per evitare i ricoveri inappropriati.
La stessa assistenza domiciliare integrata (governata dalla mano pubblica, avvalendosi della risorsa costituita dalla parte sana e innovativa del Terzo Settore!) costituisce una risposta efficace che la medicina del territorio può offrire alle persone bisognose di trattamenti integrati che non possono essere risolti nelle strutture ambulatoriali ma che, contemporaneamente, non richiedono cure ospedaliere. Si tratta in sostanza di pensare ad un sistema territoriale di assistenza post-acuzie, sia territoriale che domiciliare. Anche l’ospedalizzazione a domicilio rappresenta una risposta efficace del territorio a quelle persone, che una volta dimesse dall’ospedale, necessitano di continuare la terapia a domicilio eseguita dagli stessi operatori della struttura ospedaliera. Per perseguire l’assistenza domiciliare è necessario pensare alla contestuale definizione di interventi di carattere sociale che rendano possibile il mantenimento dell’assistito nel suo ambiente naturale di vita. Anche sul versante della salute mentale occorre che si facciano cose reali. Il dipartimento deve essere inteso come strumento di prevenzione, cura e riabilitazione, ma anche di integrazione sociale e sanitaria. Solo in questo modo si contrasta la nuova stagione di istituzionalizzazione strisciante. Pensiamo a un Dipartimento aperto ed integrato in primo luogo con il distretto sanitario (lettura del bisogno di assistenza), e in secondo luogo, come organizzazione della risposta sociale e sanitaria in tutte le sue forme ed integrazioni. Occorre rilanciare l’accesso ai servizi diagnostici e ridurre le liste di attesa. La riduzione, il controllo e la gestione, in forma partecipata, delle liste d’attesa costituiscono condizioni essenziali per garantire l’esigibilità del diritto alla salute da parte dei cittadini. Occorre, tra l’altro, dare trasparenza al sistema impedendo un uso distorto della libera professione intramoenia e, a maggior ragione, di quella extramoenia. Intervenire efficacemente anche sulle liste di attesa significa risorse certe e adeguate per realizzare, in forma partecipata, le riorganizzazioni necessarie. Questo volevamo si facesse prima della revisione dell’assetto istituzionale dell’unica Asl, non il caos di questi giorni dove sembra ci sia anche un conflitto sulla programmazione sanitaria che, in assenza della stessa e nelle more dell’approvazione da parte del Consiglio regionale, sarebbe in capo al Direttore generale dell’unica Asl, cosa, se vera, che esproprierebbe di ruolo, funzioni e compiti il parlamentino regionale. Infine, la Asl unica ha dei pregi, ma anche dei difetti. Tra i pregi ha quello, importante, di garantire e assicurare uniformemente su tutto il territorio regionale i LEA, nonché il trattamento economico del personale, di riportare omogeneità e coerenza al sistema. Tra i difetti vi è certamente il forte potere gestionale ed economico messo nelle mani di una persona, nonché il problema di attutire il potere monocratico assoluto che risiede in capo al Direttore generale. Una opzione potrebbe essere quella di attivare il Comitato di Direzione previsto dal decreto legislativo 229 del 1999.
Siamo seriamente preoccupati, inoltre, degli effetti dei tagli da parte dello Stato dei trasferimenti ai Comuni. Noi, insieme con altri, siamo impegnati e ci batteremo, per difendere la legge 328, meglio conosciuta come riforma dell’assistenza, aspettata dai cittadini per più di cento anni, denunciandone i ritardi nell’attuazione. Chiediamo un adeguato finanziamento e l’attuazione di tutti gli strumenti applicativi, a partire dalla definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale, per non creare disomogeneità territoriali. Notiamo un inadeguato approccio alle tematiche della non autosufficienza, della condizione degli anziani, dei disabili, della tutela della salute mentale, della protezione socio sanitaria degli immigrati confermando il deficit storico della politica sociale. Se la politica sociale continuerà ad essere solo enunciata ma mai adeguatamente finanziata le prospettive dell’integrazione socio-sanitaria non potranno affermarsi con ripercussioni nel sistema sanitario costretto a farsi carico di ulteriori bisogni e di azioni di supplenza. Riteniamo centrale garantire livelli più alti di partecipazione dell’utenza, del terzo settore, del volontariato e degli operatori del sistema così come rivendichiamo una programmazione sanitaria territoriale partecipata che consenta un protagonismo più forte degli Enti Locali, riduce la conflittualità istituzionale e risponde razionalmente ai bisogni dei cittadini. Intendiamo, quindi, ragionare con gli organi competenti con molta precisione del ruolo che soggetti non pubblici (dal terzo settore al mondo no-profit) possono ricoprire nell’idea di rilancio del welfare. In questo senso vogliamo pensare e parlare di “buona” sussidiarietà orizzontale. Ciò significa osservare due punti di discrimine: il primo, è che si deve pensare ad un intervento e ad un ruolo dei soggetti non pubblici in termini aggiuntivi che garantisca diritti universalistici; il secondo che tali soggetti non pubblici si collochino esplicitamente sul terreno della qualità del servizio, intendendo con ciò non solo il fatto di rispettare e garantire standard e parametri quali-quantitativi uniformi con l’intervento pubblico, ma anche di sconfiggere ogni idea di “dumping sociale e contrattuale” nel trattamento dei lavoratori, anzi prefiggendosi di attivare un percorso di omogeneizzazione dei trattamenti economici e normativi. Quindi, intendiamo mettere mano, insieme ad altri soggetti, al settore della Cooperazione Sociale al fine di garantire il rispetto delle normative vigenti e la salvaguardia dei diritti degli utenti e degli operatori per contrastare quelle imprese che acquisiscono posizioni di mercato sulla base di una concorrenza esclusivamente sui costi, realizzata abbassando gli standards quanti-qualitativi ed il mancato rispetto dei diritti e del CCNL sottoscritto il 26 maggio 2004 da Cgil, Cisl e Uil di categoria in coerenza con le tabelle di cui alla legge 327 del 2000. Contrasteremo con forza e decisione ogni applicazione del contratto “pirata” denominato UNCI CISAL che attua dumping contrattuale (-40% della retribuzione) e dumping sociale (meno diritti sindacali, meno diritto alle ferie e altro). E ci dispiace che il Comune di Campobasso, forse inconsapevolmente, incorra nell’errore di promuoverli così come l’ex Asl 3. Noi faremo la nostre azioni per contrastare questa riduzione dei diritti dei lavoratori. E ancora, far inserire la clausola che per convenzioni e/o appalti pari o superiori a 12 mesi le Cooperative Sociali sono obbligate ad assumere gli operatori a tempo indeterminato e non a tempo determinato che diversi e vari problemi pongono nei frequenti cambi di gestione che avvengono nel settore. Infine, proponiamo la riunificazione dell’Assessorato Regionale alla sanità con quello delle Politiche sociali.
Non voglio quì dimenticare, dopo la partecipazione, a dicembre, agli “Stati generali del Mezzogiorno” a Reggio Calabria, di affrontare le problematiche del mezzogiorno e, quindi, della nostra Regione. La devoluzione, da poco approvata alla quale, ripeto, dobbiamo opporci fortemente attraverso il referendum e il voto contrario alla conferma, pone in capo a noi una domanda drammatica: c’è un futuro per la regione Molise? La risposta è: a queste condizioni, NO! Parlare del e sul Mezzogiorno, per noi molisani, significa assumere la consapevolezza che è in discussione il nostro destino, in termini vitali. Con le diverse Finanziarie elaborate, il Mezzogiorno viene definitivamente: affossato, colpito, “devastato”. Il contesto più ampio, “globale”, di riferimento e le nuove regole e i nuovi metodi di relazione tra gli Stati membri cambieranno i sistemi di accesso ai finanziamenti europei. La sfida della competitività impone, in modo inderogabile, la definizione di nuove politiche industriali, realizzando una riorganizzazione del settore produttivo oggi estremamente parcellizzato in una miriade di piccole imprese che rendono il settore manifatturiero debole sui mercati, nazionali, europei e internazionali. Quindi, sollecitare processi aggregativi per recuperare in competitività, trovando collegamenti e relazioni con la ricerca, per migliorare la qualità. E riqualificare e adeguare le specializzazioni produttive attraverso un percorso di ricerca-innovazione-sviluppo, sin troppo facile da predicare, quanto difficile da praticare. Sono pochi, infatti, i settori sui quali puntare: l’energia (in termini di produzione e di ricerca), l’ambiente (sia nelle sue forme di tutela e risanamento, sia in quelle produttive collegate ai consumi turistici), le vie del mare (in particolare con riferimento alla liberalizzazione del bacino mediterraneo). Le infrastrutture vanno riprogettate per il raggiungimento di questi obiettivi. Quindi, va ridisegnato un sistema logistico che tenga conto della centralità del sistema Mezzogiorno nell’area mediterranea. Ruolo preminente in questo processo è assunto dalle reti immateriali costituite dai cosiddetti Centri di Competenza, fondati su attività di ricerca e studio che trovano nelle sedi universitarie, principalmente, il loro fondamento. Queste rappresentano il nucleo attorno al quale costruire “firm-farm” territoriali, ovvero una fertilizzazione territoriale, connettendo le fasi della ricerca con le attività produttive ed organizzative in genere. La gestione dei saperi e la ricerca applicata devono essere intese come attività economico-produttive di primaria importanza e dunque giustifica la necessità di investire in modo cospicuo su di esse. Investire nelle attività di ricerca, anche se sembra un controsenso rispetto alla politica governativa, diviene una esigenza primaria. Questa necessità, infine, diviene imprescindibile per il sistema Mezzogiorno se l’obiettivo è quello di rappresentare una “cerniera” continentale nell’area mediterranea. Altresì importanti risultano le politiche attive per il lavoro, per recuperare i gravi deficit occupazionali, e le politiche della formazione professionale che divengono essenziali per realizzare queste trasformazioni. I processi di riorganizzazione delle “macchine ammininistrative” regionali e la diffusione sul territorio delle attività di ricerca e studio applicato, necessitano di una rete di infrastrutturazione delle comunicazioni che passi da una riorganizzazione informatizzata dei processi, ad un uso delle reti esistenti e delle telecomunicazioni proiettate allo sviluppo. L’immigrazione, poi, è una risorsa. E come “risorsa” deve essere affrontata. La legge Bossi-Fini va abrogata. Ciò che avviene nel Mediterraneo è frutto di ipocrisia e di impreparazione nostra ad affrontare una fase nuova della storia: accogliere, integrare (nel rispetto!) l’altro, lo straniero, l’extracomunitario. L’immigrato è una opportunità che una diversa politica di accoglienza dovrebbe saper cogliere. Una politica attenta ai “bisogni sociali” del “cittadino” immigrato: lavoro, casa, sanità, scuola; porrebbe un serio freno al fenomeno del lavoro nero e darebbe un colpo mortale alla rinnovata pratica del capolarato, diffusa ormai ben oltre lo storico riferimento dell’agricoltura, all’edilizia, all’industria. Con la devoluzione è innegabile che le regioni del mezzogiorno sono le regioni in difficoltà. L’unica possibilità è quella di entrare in un meccanismo perverso di rinuncia della propria identità, offrendosi alle regioni forti in una logica “coloniale” di subalternità politica e sociale, facendosi imporre il modello di sviluppo e prelevare le risorse umane e “naturali” necessarie per alimentare la condizione di benessere da loro raggiunta. E’, quindi, a partire dalla iniziativa nei confronti delle Istituzioni sul territorio che si può e deve, contrastare e battere, il tentativo di “rottura” del paese in tante piccole Italie di serie A, di serie B eccetera. E questo è un nostro dovere. La caratteristica “orografica” del territorio e la storia millenaria dei mille campanili ci consegnano un quadro di paesi in spopolamento, con poco più di qualche centinaio di abitanti, per lo più anziani. Sono i cosiddetti comuni “polvere” che nel Mezzogiorno e nel nostro Molise sono, ironicamente, in crescita. In un contesto simile la prospettiva di inserimento dentro un piano di sviluppo o di rilancio dell’economia, diviene una discussione accademica. L’aspettativa concreta è infatti: avere la certezza dell’assistenza… il venir meno delle risorse deve farci porre l’attenzione al dibattito sulla legislazione da adottare o da riformare per favorire l’aggregazione organica di realtà territoriali (Comunità Montane/Unione dei Comuni). Immagino che solo pochi addetti ai lavori, sappiano dell’esistenza, presso la regione Molise, di una responsabilità di livello assessorile per le Autonomie Locali. Non deve sorprenderci questa “ignoranza” dell’esistenza di un tale assessorato, perché i primi a considerarlo di serie B (forse anche di “non-serie”!) sono gli stessi componenti la giunta regionale. La provocazione che voglio fare consiste in una sorta di “dichiarazione di esistenza in vita” dell’assessorato, mi spiego meglio, vorrei proporre agli amici della Cisl e ai compagni della Uil di richiedere all’assessore un incontro per la definizione di un “programma di lavoro” (anche se è un controsenso considerata la crisi politica in atto, ma vale anche per la prossima amministrazione regionale). Intendo formulare la richiesta che l’assessorato alle Autonomie Locali della nostra regione, a seguito di una ricognizione dei livelli di servizi resi ai cittadini ed alle imprese, tenuto conto del sempre più ridotto numero di addetti impegnati a garantire nei nostri “comuni polvere” quelli che oramai sono veri e propri “servizi minimi essenziali” e a fronte di una sempre più drastica diminuzione della popolazione attiva a tutto vantaggio di anziani, pensionati e spesso non-autosufficienti, assuma l’obiettivo di promuovere, favorire, contribuire con risorse ad hoc, alla creazione di vere e funzionanti Unioni di Comuni, costituendo organismi di gestione pubblica di tutti quei “beni collettivi” che, nel nostro territorio rischiano di venir meno o di essere riservati a pochi che se li possono permettere solo “comprandoli”. Questo significa dare un nuovo slancio alla nostra storica battaglia per la stabilizzazione degli LSU ancora presenti nella regione, sempre più a disagio, ma penso anche alle nuove forme di “precariato” che in Molise si stanno affacciando, (contratti a progetto, tempi determinati, collaborazioni e quant’altro la fervida fantasia di questo governo e dei nostri amministratori è capace di inventare), penso tra l’altro alla dichiarazione dell’Assessore al lavoro che in Molise è arrivata la legge 30, che noi vogliamo e lo ribadisco ancora una volta, abrogata, insieme alla riforma Moratti, perché toglie il futuro ai nostri giovani, ai nostri figli, tutto ciò deve muoversi dentro ad un progetto occupazionale finalizzato, non alla formazione di nuove clientele, ma alla creazione di nuovi e più efficaci servizi ai cittadini e alle imprese. Vi è poi un ulteriore aspetto, forse meno eclatante ma pur sempre in una logica di “servizio” reso al territorio, al quale vorrei che un assessorato come questo sia più attento, mi riferisco a quella cosa che và sotto il nome di “buone pratiche”, alla possibilità cioè che, sia messo in “rete”, sia portato a conoscenza di amministratori, forze sociali e cittadini, quanto nella nostra regione ma anche nel resto del paese, si và attuando per migliorare, per cambiare, per innovare, l’azione della pubblica amministrazione, anche su questo aspetto dell’iniziativa dell’assessorato ritengo debbano essere finalizzate, attraverso momenti specifici di confronto e di concertazione, risorse specifiche. E’ una “sfida” questa, nella quale la quotidianità del nostro impegno, il lavoro dei nostri delegati Rsu o dirigenti aziendali, può e deve assumere un protagonismo straordinario. E’ in situazioni come queste che diamo effettivamente corpo alle affermazioni sulla QUALITA’ e sul VALORE del LAVORO PUBBLICO quale FATTORE di SVILUPPO e di difesa del WELFARE. Quello della gestione dei rifiuti, poi, è divenuto ormai un “business” di grande rilievo. Non ci piace, nel Comune di Campobasso, ciò che sta accadendo in questo settore, come non ci piace ciò che sta accadendo anche a Boiano e Guglionesi. Occorre dare certezza e stabilità ai lavoratori. Il ruolo della nostra categoria non può limitarsi ad una “tutela” normativo-salariale dei dipendenti. Deve guardare, con mutata attenzione, alle condizioni esistenti e alle prospettive di sviluppo eco-compatibile del servizio. Anche per questa strada passa l’azione di recupero della legalità in vaste zone del mezzogiorno.
A proposito di Università, centri di ricerca pubblico-privati, azione della regione su ricerca “applicata”, va denunciata la pressoché totale assenza di indirizzo, di programmazione, di investimento, di partenariato, delle istituzioni locali (regione e province) con le attività delle Università e dei centri di ricerca presenti nel Mezzogiorno. Ci troviamo, come ho accennato poco prima, in presenza di una scellerata politica del governo che ha praticamente azzerato i finanziamenti pubblici alla ricerca, alimentando, per questa via, una rinnovata “emigrazione” di “cervelli”. Nonostante ciò nessuno sembra interessato a promuovere un confronto (forse anche duro) con il governo da un lato, con le Università dall’altro, per rilanciare il ruolo della ricerca e della ricerca applicata come “motore” di sviluppo.
Siamo tutti un po’ stanchi, ma vi chiedo pochi minuti ancora di pazienza. La nostra categoria ha vissuto il suo momento di crisi che, possiamo affermarlo tranquillamente, è stato superato, sia alla luce del brillante e strepitoso risultato elettorale nelle ultime elezioni per il rinnovo delle Rsu, sia alla luce di una ritrovata unità d’azione e d’intenti, sia alla luce di una collegialità delle responsabilità che sta caratterizzando le decisioni del suo gruppo dirigente. Tutto ciò ha il suo riscontro, in un punto considerato cardine dalla nostra organizzazione, che dà il polso e il senso dell’attività e dell’azione che la categoria ha svolto: la crescita significativa di adesioni alla categoria. Il 2 maggio del 2002 avevamo 1.134 iscritti; il 31 dicembre 2005 abbiamo chiuso il tesseramento con 1.564 iscritti. 430 iscritti in più, pari ad un incremento del 37,92%. Questi risultati, questi impegni assunti e rispettati non sono il frutto del caso, della improvvisazione. Rappresentano anche il presupposto della ricerca di selezione del gruppo dirigente a partire dai prossimi quattro anni. E’ fuori discussione l’applicazione della norma antidiscriminatoria, che la nostra categoria applica e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, ed è valido criterio nella costituzione degli organismi dirigenti. E allora il percorso di programma e organizzativo che viene fuori da questo V° Congresso regionale, tende a rendere centrale il ruolo degli organismi dirigenti nella selezione dei gruppi dirigenti. Nella tesi 10 del documento congressuale unitario si afferma che c’è uno squilibrio tra lo strumento della consultazione e la sovranità del Comitato Direttivo. Personalmente condivido la decisione presa che i Comitati Direttivi non devono costituire solo il luogo di ratifica formale, col voto segreto, di decisioni che non li hanno visti davvero protagonisti, ma devono costituire il luogo di discussione collegiale ed esplicita sulle candidature, sulle ragioni per le quali vengono avanzate, sulla loro adeguatezza e rappresentatività, anche relativamente ai nostri pluralismi. L’agenda della nostra categoria è questa. Su questa noi dobbiamo lavorare per continuare la costruzione di un sindacato più vicino ai lavoratori e di un sindacato che rispetti le regole democratiche. E tutto questo, infine, rappresenta il presupposto per far crescere ulteriormente la categoria, sia dal punto di vista numerico che del peso politico. Con questo, richiamo al ruolo, al compito e alle funzioni dei Comitati degli Iscritti che abbiamo provveduto ad eleggere nel corso del nostro percorso congressuale. Innanzitutto quello di garantire la massima partecipazione degli iscritti alla formazione delle decisioni specifiche che li riguardano anche costituendo Comitati inter-aziendali e promuovere in maniera costante e continuativa il tesseramento e il proselitismo. Se il trend a cui vorrei rapportarmi è quello prima citato, e se c’è l’impegno di tutti, tutti motrici e nessun rimorchio per intenderci, raggiungere l’obiettivo di crescita, da qui al prossimo congresso, di avere 2.000 iscritti è un obiettivo alla nostra portata, considerato anche il fatto che abbiamo luoghi di lavoro (Comuni di Termoli e Guglionesi, Enti Regione Molise e Provincia, sia di Isernia, sia di Campobasso, zone 4 e 2 nella sanità), e il comparto Stato, che hanno potenzialità notevoli se seguiti con assiduità e costanza. Questo consoliderebbe la categoria e la porterebbe ad essere sempre più un punto di riferimento importante e sicuro di tutta l’organizzazione. E noi, tutti insieme, lavoreremo ogni giorno, profonderemo ogni risorsa disponibile, perché a un simile progetto sia data risposta, senza se e senza ma, è quanto abbiamo fatto sino a ieri, è quello che stiamo cercando di realizzare oggi, è la ragione del nostro impegno di domani. A tutti NOI, permettetemi di includere anche me, voglio augurare buon lavoro oggi e per i domani che ci attendono. |