Dal mezzogiorno problema… al Mezzogiorno per lo sviluppo del Paese

Un nuovo ruolo del pubblico: occupazione, coesione sociale e legalità

Napoli, 22 settembre 2005


Conclusioni di Carlo PODDA – Segretario Generale
Funzione Pubblica Cgil Nazionale


    Nell’ultima parte della discussione, e durante l’intervento di Antonio Santomassimo -e ciò mi dispiace- sono stato fuori dalla sala, perché questa mattina mi hanno già intervistato un paio di giornalisti - l’ultimo è del “Il Sole 24 Ore” - che mi hanno chiesto  cosa pensiamo della crisi  in corso e di questa ennesima convulsione del Governo, quale è la nostra opinione sulla legge finanziaria e sulle cose che si sentono dire.

    Debbo dire che, col passare del tempo, ho una difficoltà crescente a trovare nuovi aggettivi con i quali dire le cose che sosteniamo da quattro anni, perché le linee portanti della politica economica di questo Governo sono sempre le stesse e, per noi, sono state sempre chiare negli esiti che proponevano, nel danno che creavano verso le persone che rappresentiamo,  che sono come diceva Nerozzi: “la parte più debole della popolazione”. Nel nostro caso, queste scelte hanno creato un doppio danno: verso le persone che direttamente rappresentiamo, i lavoratori pubblici; ma  anche nei confronti di  milioni di persone per le quali -come sappiamo- il nostro lavoro è l’unica forma possibile di accesso a diritti fondamentali.

    Da questo punto di vista dobbiamo prepararci ed attrezzarci ad affrontare una discussione sulla ricostruzione del Paese – come pure nel documento congressuale della CGIL viene chiamata –  che sarà impegnativa, perché dobbiamo essere  partecipi a questo processo di ricostruzione del Paese con un’accentuazione che mi sono permesso di suggerire scherzando, ma non troppo, al Segretario Generale della CGIL, per cui dobbiamo ricostruire il Paese non come era prima, anche prima delle nefandezze del Governo Berlusconi. Perché è vero che sono stati compiuti i disastri inenarrabili ricordati stamattina; ma  molte distorsioni erano già in corso da prima, dal secondo dopoguerra, da alcune scelte di politica economica e di funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni, lontane dal nostro modo di pensare. Quindi scelte che sono precedenti al Governo Berlusconi e su cui questo Governo è intervenuto con particolare solerzia accentuando, ovviamente, i precedenti aspetti negativi.

    Per questo ci siamo  soffermati nella nostra Conferenza di Programma  e lo faremo in occasione del dibattito congressuale della CGIL. Abbiamo lavorato molto su alcune tesi del documento congressuale e proporremo alla Confederazione, a partire dai Congressi di base, una serie di emendamenti ai documenti predisposti, ad iniziare dalla questione del rapporto tra pubblico e privato, tra le Pubbliche Amministrazioni e il complesso del sistema economico.

    Per queste ragioni, in relazione ed anche alla luce di questa nostra intenzione, trovo assolutamente fondamentale ciò che i compagni della Campania, ma non solo, intervenendo alla Conferenza di Programma, hanno posto. Qualche settimana fa, Crispi, in Segreteria in modo molto operativo, ha  sottolineato il fatto che  dobbiamo dare seguito alle nostre discussioni. Questa scelta va compiuta nella costruzione del percorso congressuale,  nel lavoro di definizione dei contenuti e nella costruzione di piattaforme vertenziali; insomma: dobbiamo provare a declinare, concretamente, ciò che conosciamo ed abbiamo verificato, tenendo conto delle esigenze di sviluppo economico e sociale che sono presenti nel Mezzogiorno del Paese. In rapporto a queste valutazioni, credo, che l’iniziativa di oggi, possa essere definita come una scadenza nazionale.

    Per dirla tutta: sono convinto che, nella nostra discussione tra pubblico e privato, sia necessaria la ricostruzione di un diverso sistema delle Pubbliche Amministrazioni e  non, semplicemente, della Pubblica Amministrazione. In questo ambito, il rinnovamento sarà operativo se investirà, fondamentalmente, il Mezzogiorno.

    E’ da qui che bisogna cominciare, perché altrimenti anche nel resto del Paese non si riuscirà, e  saranno più scarse le possibilità di successo della nostra azione.

    Ritengo opportuno sottolineare alcuni elementi presenti nella discussione generale. Prima questione: si discute molto del rapporto tra Stato e mercato e, onestamente trovo stucchevole questo, spesso inutile, chiacchiericcio. In realtà, avanzo queste considerazioni, perché ho iniziato la mia attività a tempo pieno nel sindacato, quando era forte la discussione attorno al rapporto tra Stato e mercato.

Erano gli anni in cui si dichiarava: “più mercato, meno Stato”. Va sottolineato il fatto che  gli anni hanno dimostrato, l’inutilità di questo assioma e gli orfani di queste categorie concettuali,  non vogliono rassegnarsi a capire che lo Stato e il mercato, da soli, non sono in grado di spiegare e comprendere la società  e la complessità in cui viviamo. Nonostante tutto, ci sono alcuni come da ultimo, Rutelli, che pensano di risolvere il conflitto tra “Stato e mercato”, in un colpo solo, affermando che è necessario avere più stato e più mercato.

    Modestamente, considero sbagliata questa posizione. Non abbiamo bisogno di definizioni semplicistiche o generiche in questo campo; dobbiamo assumere un diverso punto di vista nel considerare queste questioni e dobbiamo sviluppare una diversa categoria di analisi.

    Abbiamo bisogno, a cominciare dal Sud del Paese, di una ridefinizione dello spazio pubblico.

    Vorrei tranquillizzare quelli che si allarmano quando si adopera questa categoria di analisi, e ricordare che questo modo di ragionare è parte organica del pensiero liberal-democratico ed è diventato eretico e pericoloso solo perché è stato utilizzato dai Movimenti che ci sono stati negli ultimi anni.

    Vorrei dire che la sfera pubblica e la sua importanza  in una società, è definita nel pensiero classico liberal-democratico ed è a quella a cui ci si deve richiamare quando si discute di queste cose.

    Penso in particolare che, nel Sud, dove la sovrapposizione tra interessi privati di natura prevalentemente illegale, le attività economiche e la contrazione degli spazi pubblici è così evidente, che  abbiamo bisogno di ricominciare da qui, dal ridefinire quale è lo spazio pubblico. Per quanto mi riguarda, nel Sud del Paese, lo spazio pubblico è quel luogo nel quale si definisce la capacità di intervento del pubblico nell’economia. Nessuno di noi è orfano del sistema delle Partecipazioni Statali, ma tutti  abbiamo capito che senza un intervento di guida da parte del pubblico nell’indirizzo delle politiche economiche, il mercato e le imprese, da sole non si autoregolano.

    C’è, quindi, bisogno di una nuova politica economica del pubblico che non sia statalista-centralista. Abbiamo bisogno  di uno Stato, inteso come complessità delle Istituzioni, che attribuisca un grande ruolo ai sistemi territoriali. Le Autonomie locali e le Regioni debbono riprendere la propria capacità di indirizzo dell’attività economica nei territori e  per questo è utile un sistema di Pubbliche Amministrazioni e non della Pubblica Amministrazione, che non è un Moloch indistinto.

    Tutti quelli che parlano di Pubblica Amministrazione sono nostri nemici, perché, in realtà, hanno in testa semplicemente la Pubblica Amministrazione  come la intende la Ragioneria Generale dello Stato e cioè: un macro-aggregato del bilancio dello Stato, che contiene la spesa e la percentuale di questa nel prodotto interno lordo.

    Dobbiamo cambiare e affermare che, le Pubbliche Amministrazioni, sono le strutture  di una nuova ridefinizione dello spazio pubblico nell’economia e nella società, e da quì discendono alcune scelte conseguenti.

     In questo ambito, la politica occupazionale  deve essere contrattualizzata. Ciò vale anche per il programma del Centrosinistra che auspichiamo verrà.

     Dovremo ridefinire le missioni delle Amministrazioni e, sulla base di ciò, stabilire quali sono i fabbisogni occupazionali, quelli formativi e anche gli eventuali processi di mobilità professionale tra le diverse Amministrazioni, e così definire una politica occupazionale che superi il precariato. Quando pongo questo obiettivo, ragiono su  di un sistema che abbiamo conosciuto, per cui,  ogni 15-20 anni viene fatta una legge che stabilizza il precariato.

     Essendo tra coloro che hanno proposto una legge per la stabilizzazione del precariato, desidero indicarne i contenuti. Dobbiamo avviare un’operazione che liquidi il precariato e quindi un meccanismo anomalo di accesso stabile al lavoro pubblico.

    Infatti, ogni tanto si crea un polmone di elevata precarizzazione del lavoro che successivamente si stabilizza. Dopo un pò si ricomincia daccapo e così viene definita la politica occupazionale.

    Per introdurre le novità che vogliamo affermare, è necessario tornare a separare, l’Amministrazione dalla politica, restituire neutralità all’azione pubblica che non vuol dire indipendenza. Penso -per quanto mi riguarda- a quando nell’esperienza della primavera di Palermo; il Sindaco, l’allora giovane Leoluca Orlando, mi convocò e mi disse: “Tu parli di indipendenza dell’azione amministrativa rispetto a quella politica, però mettiti nei miei panni: ho ancora tutti i capi-ripartizione di Ciancimino, come faccio a governare questa città?”. Quella era l’indipendenza dell’Amministrazione rispetto alla politica, ma la neutralità dell’azione deve essere assicurata. A proposito di legalità, voglio ribadire ciò che ho sentito dire da Giancarlo Caselli in un Convegno di Magistratura Democratica a Palermo: ”nel Sud del Paese la Pubblica Amministrazione – l’affermazione che sto per fare è di qualche forza ed è un po’ paradossale – svolge il compito di rendere formalmente legale ciò che è sostanzialmente illegale”.

    Come si dice a Napoli? “Carte sistemate, affari imbrogliati”.

    Nel rapporto col sistema delle imprese, questo è quello che succede. La “Clinica Provenzano” in Sicilia, a Palermo, era in possesso di tutte le autorizzazioni di legge e il meccanismo, formalmente corretto, non corrispondeva ad un funzionamento legale.

    Pubbliche Amministrazioni con missioni ridefinite, occupazione stabile, separazione dalla politica. La capacità e la generosità sono scelte che il Centrosinistra dovrà fare collocando persone e dirigenti sulla base delle loro qualità e anche del loro orientamento politico.

    Ricordo che da giovane responsabile dell’organizzazione, andai a parlare con un importante dirigente dell’Olivetti e gli dissi: “Sono molto affascinato dai sistemi di formazione e selezione dei gruppi dirigenti delle aziende, vorrei capire come fate, perché da noi prevale il sistema dell’appartenenza”. Lui mi guardò in faccia e mi disse: “Tutto sbagliato, quello che lei dice è tutto sbagliato, perché se lei è proprietario di uno stabilimento balneare e deve scegliere un bagnino, probabilmente lo sceglierà tra le persone che conosce e di cui si fida, non affiderà ad un bagnino di un suo avversario il suo stabilimento balneare! Non c’è dubbio, quindi non si lasci prendere in giro, esiste sempre la componente dall’affidabilità, ma la patologia interviene quando l’affidabilità si sostituisce totalmente alla qualità della prestazione che viene richiesta.”

    Dobbiamo modificare i  meccanismi di questa specie di “spoil system all’amatriciana” che  produce solo disastri. Occorre che il nuovo Governo muti profondamente, lo stato di cose, oggi, esistente. Le qualità  ci sono dalle nostre parti e dobbiamo stare attenti perché stiamo facendo un’imbarcata di persone soprattutto dal centro e da altri ambienti che non ci sono utili. Comunque, al netto di questi transiti, possiamo affermare che abbiamo a disposizione persone  più capaci. Tuttavia la tentazione di far prevalere l’affidabilità sulla qualità e sulla sicurezza della prestazione professionale che viene richiesta, vive anche da noi. Quindi la scelta che vi proponevo diviene un atto fondamentale da seguire, per l’affermazione del progetto di ricostruzione del Paese.

    Sulla questione della legalità  e anche  sul rapporto tra pubblico e privato ho già precisato le mie valutazioni.

    Che cosa rimane? Non si può  parlare solo di quello che si chiede agli altri; occorre maggior coraggio, nel confronto con le controparti, perché è necessario parlare anche della qualità del nostro lavoro e della contrattazione che a questi obiettivi deve essere finalizzata.

    Facciamo molta cogestione, ancora troppa per i miei gusti. Ci sono ancora molte aziende dove il Sindacato si occupa della distribuzione dello straordinario e dei turni molto più di quanto sia normale e ben oltre il dettato contrattuale perché il nostro problema,nel caso dello straordinario, dovrebbe essere quello di governare gli orari di fatto e di ridurre il ricorso a questo tipo di prestazioni,  controllando così il governo dell’organizzazione del lavoro.

    Normalmente, ci contentiamo di discutere il modo in cui si dividono le ore.

    Questo non va. Non è utile e ci mette chiaramente in difficoltà quando  nei confronti negoziali avanziamo le richieste che ho tentato di specificare, perché, alla fine, ci dicono: “Quello che volete è mantenere questo potere; parlate del pubblico perché siete corporativi, perché siete pubblici e perciò  volete la salvaguardia del pubblico”.

    Questo è il risultato anche della nostra debolezza sul terreno contrattuale, come accade nell’ultima direttiva che si sta discutendo per il contratto della Sanità  dove c’è una parte che non va bene per niente, perchè prevede la chiusura del fondo relativo alle posizioni orizzontali, al loro finanziamento. C’è, in questa proposta, l’idea di limitare la contrattazione integrativa, ma c’è anche l’inevitabile risposta alle 200 mila posizioni orizzontali, che sono state spostate nell’ultimo triennio, di cui abbiamo parlato nell’ultima Conferenza di Programma che sono spostate nell’ultimo triennio. Non possiamo continuare a fare contrattazione in questo modo, perché se la dobbiamo fare così, nel confronto aziendale, allora tanto vale che questa scelta, la facciamo noi nel contratto nazionale.

    Penso che tutte queste cose siano abbastanza chiare, tra di noi, anche se poi è molto più difficile, passare dall’individuazione di una terapia all’applicazione.

     Rispetto a tutto ciò abbiamo due questioni da affrontare.

    La prima: far diventare queste scelte un patrimonio della Confederazione, delle Camere del Lavoro, dei livelli regionali, e questo non è in relazione ad un problema del rapporto tra la federazione nazionale e la Cgil nazionale.

    Se così fosse stato, gli emendamenti che abbiamo predisposto, li avremmo potuti presentare al Congresso Nazionale della Funzione Pubblica e, con il meccanismo previsto dal Regolamento congressuale, li avremmo trasferiti direttamente al Congresso Nazionale e in questo modo la discussione, da questo punto di vista, sarebbe già definita.

    A noi serve che tutto ciò, non diventi  un terreno di confronto tra le Segreterie Nazionali, ma  una proposta di discussione nelle Camere del Lavoro, affinchè nella CGIL trovino cittadinanza questi ragionamenti e diventi  più difficile che nelle discussioni in CGIL  si alzi qualche compagno e dica: “Alla vecchia centralità operaia volete sostituire la centralità del lavoro pubblico, intesa come centralità corporativa.”

    Questo succede perché c’è un nostro ritardo, una  difficoltà a far diventare queste scelte patrimonio della nostra Confederazione, che non vuol dire aspettarsi di egemonizzare la Confederazione. Quando parliamo con gli altri, dobbiamo anche mettere nel conto che gli altri ci dimostrino la debolezza delle nostre argomentazioni. Questo vuol dire diventare davvero parte integrante della Confederazione, contaminare di noi la Confederazione.

    Se non facciamo così, queste cose  non diventeranno patrimonio della Confederazione e del rapporto tra la Confederazione e il sistema dei Governi.

    Ha ragione chi questa mattina ha detto che il problema non è solo il Governo nazionale, ma è anche il modo in cui ci si confronta con i Governi locali e con il Governo regionale.

    Se non succede questo, accadono le cose che ha raccontato Veraldi -diventato argomento di discussione nella sinistra calabrese- perché, insieme a CISL e UIL sulla Sanità, ha osato porre  alcune questioni come categoria, nonostante  quei temi siano  di qualità e livello più confederale. E’ così sulla Sanità, in qualche caso è così sulla questione dell’acqua.

    A molti compagni della CGIL, che hanno una  prudenza di troppo nel maneggiare questi temi, succederà di essere scavalcati a sinistra dal candidato Premier che  dirà cose,  più avanzate di quelle che  noi stessi, abbiamo detto sulla vicenda dell’acqua. Allora, sarà divertente vedere come tutti correranno a dire le cose che noi dicevamo, che erano definite  eretiche. Ciò che conta, è riuscire a fare diventare questa nostra discussione, un tema dell’iniziativa confederale.

    Crispi, che è un pubblico dipendente, non ne è rimasto particolarmente sorpreso. Comunque, sia lui che Beschi, qualche volta, discutendo in Segreteria –  per me è anche un segno di stima verso il lavoro che tutti insieme abbiamo fatto - manifestano una piacevole sorpresa per il contenuto  confederale delle cose che diciamo, perché, in realtà, cerchiamo di fare cose che hanno più volte a che fare con quel livello di intervento dell’organizzazione piuttosto che con quello della rappresentanza semplice e diretta degli interessi della categoria.

    Da alcuni compagni questo è capito ed apprezzato, non sempre lo è allo stesso modo da tutta l’organizzazione.

    Ma tutto questo fa parte della discussione, del dibattito, della battaglia politica che dovremo fare al Congresso: noi ci saremo e sono sicuro che ci sarete anche voi.