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Relazione di Antonio Santomassimo
Gentili ospiti, care compagne e compagni, probabilmente alcuni di voi è la prima volta che partecipano ad un congresso unitario della CGIL considerato che l’ultimo si è svolto nel 1986. Un congresso che intende avviare un’approfondita riflessione su di un documento unitario, a tesi e non su mozioni contrapposte così come eravamo abituati a fare nel passato. Tutto questo è il frutto del lavoro e della passione che l’insieme della CGIL ha messo in campo in questi anni per contrastare con grande risolutezza politiche sbagliate e per difendere i diritti di tutti. Ma ciò è anche il risultato di una scelta operata dall’insieme dei pluralismi culturali e delle sensibilità politiche presenti nella nostra organizzazione che nel documento congressuale, in questo documento congressuale unitario si sono ritrovati ed hanno voluto ritrovarsi, allo scopo di offrire un segnale di grande rilievo sia al nostro interno, ma principalmente al Paese. E’ una novità questa che ha ricevuto grande consenso non solo nelle assemblee svoltesi nei luoghi di lavoro ma che ha anche determinato una maggiore partecipazione al dibattito fra le lavoratrici ed i lavoratori. Un dibattito che, oltre ad aver assunto in pieno la proposta formulata dal documento congressuale, ha voluto rimarcare il grande valore dell’unità, consentendo, a mio avviso, di mettere in campo grandi iniziative capaci sia di offrire risposte ferme ai profondi guasti prodotti dall’attuale compagine governativa sia di sostenere un efficace progetto di riscatto per l’Italia. Lo stato di grave malessere del Paese è sotto gli occhi di tutti e ha le sue radici in 5 anni di assoluto malgoverno. Un malgoverno che si rese subito evidente già dai primi provvedimenti che Berlusconi mise in atto all’atto del suo insediamento e che poi si è caratterizzato in più filoni. Eclatante è stato quello delle leggi “ad personam” esclusivamente finalizzato alla salvaguardia dei propri interessi come: la depenalizzazione del falso in bilancio, quella sulle rogatorie internazionali, la cosiddetta legge “salva Previti” e la norma sulla immunità per le alte cariche dello stato. Ultima in ordine di tempo, è notizia di questi giorni, i 1.800 euro con i quali il nostro “disinteressato” premier ha sanato le decine di milioni di euro eluse alla Agenzia delle Entrate in virtù del condono fiscale approvato dalla sua compiacente maggioranza. Tutti provvedimenti gli hanno consentito finora di sottrarsi ai tanti processi nei quali si è trovato coinvolto. Abbiamo assistito ad un durissimo attacco ad uno dei principi cardini della nostra democrazia rappresentato dall’autonomia della magistratura. Una magistratura che si vorrebbe servilmente piegata ai voleri del Presidente del consiglio. Anche in questo il Berlusconismo si è caratterizzato e si caratterizza per le grandi disuguaglianze che produce, rendendo non punibili i potenti e aumentando le prescrizioni dei reati grazie a questa sorta di strisciante amnistia. Dall’altra parte della barricata vi è poi il popolo dell’esclusione sociale, le “pietre scartate” della società, il popolo dei “senza avvocati” dei “senza difesa”, dei poveracci che vedranno aumentare le pene. Pene da espiare in condizioni sempre più inumane di detenzione. Nel frattempo si tagliano i fondi per la sicurezza e le carceri scoppiano consegnando condizioni di invivibilità anche agli stessi operatori. Che dire poi della totale soppressione della tassa di successione, che cancellò circa tremila miliardi di lire di entrate annue dalle casse dello stato, dei condoni fiscali e del taglio dei fondi proprio a quei settori pubblici preposti a contrastare l’evasione fiscale, determinando cosi l’instaurarsi di un sistema perverso che ha messo in crisi il reperimento stesso delle risorse economiche. Mentre con le varie leggi Tremonti si sperperavano risorse che non hanno prodotto alcun beneficio per lo sviluppo del paese. Provvedimenti dunque che da un lato hanno ridotto le entrate e dall’altro hanno rappresentato un evidente spreco del danaro pubblico senza alcuna finalità e che hanno caratterizzato costantemente questi anni di malgoverno con la conseguente erosione dell’avanzo primario della stato. Solo in questa logica malsana può trovare coerenza la sottrazione delle risorse destinate agli enti locali operata dal governo per elargire demagogicamente il premio ai nuovi nati nel 2005. Un’operazione iniqua che, come tutti sappiamo, ha elargito soldi indiscriminatamente sia al figlio di Totti così come al figlio di un operaio che vive con meno di mille euro al mese. Con quale risultato? Con il solo risultato di sperperare risorse. Sì perchè a Totti non serviva certo una somma superflua di danaro, così come non sarebbe servita all’operaio per garantire un sostegno dignitoso al suo magro bilancio familiare. Ma tutto questo è avvenuto per rispondere alla “ricetta Berlusconi”, in base alla quale sarebbe bastato semplicemente eliminare le tutele ed i diritti del lavoro con l’attacco all’art. 18 della legge 300 per ridare slancio al mercato, ai consumi, allo sviluppo. Ricordiamo tutti quando decantava il “miracolo italiano”, una locomotiva lanciata nella sua corsa, e lo faceva in compagnia del governatore Fazio mentre la CGIL lucidamente evidenziava il manifestarsi dei segnali della crisi proponendo interventi mirati ed urgenti. Invece, invece è accaduto che il Paese è rimasto indifeso nei confronti di un inesorabile declino industriale che ha portato a grandi crisi aziendali con mobilitazioni e lotte a difesa del posto di lavoro e per lo sviluppo. La CGIL, possiamo e dirlo con orgoglio, ha rappresentato in questi anni un baluardo nella difesa dei diritti. La CGIL ha dato corpo e forza ai bisogni, alle speranze di milioni di lavoratori, di giovani, di pensionati. E’ giusto ricordare con emozione la grande manifestazione del 23 marzo 2002 in difesa dell’art. 18, la più grande nella storia del movimento sindacale, che ha rappresentato un grande argine all’azione di attacco del governo al sistema dei diritti e, al contempo, il punto più alto di una strategia tesa a coniugare diritti sociali e diritti di cittadinanza. In quel periodo si consolidava, anche con la partecipazione della CGIL, il movimento per la pace, per i diritti e contro la globalizzazione selvaggia dei mercati. Una globalizzazione che se da un lato può rappresentare un progresso per l’avanzamento della ricerca scientifica, per il miglioramento di tecnologie in grado di migliorare la nostra vita, dall’altro, per i suoi aspetti puramente mercantili, ha prodotto enormi disuguaglianze in termini di rapporti sociali, di sistemi economici, di diritti civili, di diritti sociali e del lavoro. Aumentano le differenze tra il nord e il sud del mondo e quest’ultimo rimane sempre più povero ed escluso dallo sviluppo. Così come le risorse naturali del pianeta vengono utilizzate in modo indiscriminato accrescendo l’inquinamento atmosferico del pianeta ed alimentando i grandi mutamenti climatici forieri di un grave peggioramento delle condizioni di vita. Per questo siamo contro un’ idea di sviluppo basata sulla merce, dove l’uomo e l’ambiente sono subalterni alle leggi del mercato e del profitto. Sono temi forti e complessi che richiamano grandi volontà e impegni concreti. Con il documento congressuale intendiamo indicare proposte in grado di realizzare uno sviluppo sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e della salute e che affermi con forza, su tutto il pianeta, la universalità dei diritti, la promozione del valore della democrazia e della pace. Per questo siamo stati e continueremo ad essere in campo. Per questo ci siamo impegnati e continueremo ad impegnarci contro ogni guerra e contro ogni forma di terrorismo. Senza sé e senza ma!!! Come abbiamo fatto per il conflitto in IRAQ condannando l’idea della guerra preventiva disgiunta dalla forza dell’etica e del diritto internazionale e sostenendo i movimenti e le associazioni che con noi condividono il valore della pace come bene supremo dell’umanità. Allo stesso modo siamo impegnati in modo costante a sostegno della democrazia, nel ripudiare la violenza e la guerra come strumento di regolazione dei conflitti tra i popoli e le nazioni, condannando senza ambiguità ogni forma di terrorismo. E, in tutto ciò, l’Europa può svolgere un ruolo importante. L’esito negativo che ha accompagnato importanti referendum sul trattato europeo testimonia difficoltà e insicurezza verso il futuro da parte dei cittadini in un contesto che vede peggiorare le condizioni di vita e del lavoro. Per questo occorre che le forze politiche e sociali facciano proprio questo disagio e forniscano adeguate risposte ai bisogni dei cittadini europei, rivedendo il funzionamento delle Istituzioni ed i processi di comunicazione. Occorre riavvicinare le istituzioni ai cittadini rendendoli partecipi delle scelte politiche e sociali che si operano, recuperando le distanze tra essi ed i luoghi delle decisioni. Solo così l’Europa può diventare la risposta ai problemi che ci consegna la globalizzazione in campo economico e sociale, per lo sviluppo, per la pace e contro ogni forma di violenza, di guerra e terrorismo. Noi pensiamo ad un Europa sociale in grado di coniugare la crescita economica e la qualità dello sviluppo e dell’occupazione e la coesione sociale, tramite politiche pubbliche finanziate da un prelievo fiscale equo e progressivo e che veda nel Sindacato elemento centrale, soggetto della contrattazione collettiva. Pensiamo cioè ad uno stato sociale europeo inteso come modello di sviluppo e di opportunità per tutti. Uno Stato sociale inclusivo e redistributivo in grado di creare benessere ed occupazione. E’ in questa ottica che contrastiamo fortemente la direttiva bolkestein che punta a liberalizzare i servizi pubblici diminuendo i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Perché essa tende ad affermare la supremazia del mercato e tratta i servizi pubblici di interesse generale e di pubblica utilità come qualsiasi altro servizio. La nostra è una preoccupazione fondata, perché poggia sul presupposto che questa liberalizzazione rischia di avvenire senza definire preliminarmente quali siano i servizi di interesse generale e quali quelli di mero interesse economico, aprendo la possibilità di inserire, nella fase attuativa, sia i beni comuni come l’acqua, sia i servizi pubblici come la sanità ed i servizi sociali. Per questi motivi la nostra categoria sosterrà con la partecipazione la mobilitazione ogni iniziativa che il sindacato europeo metterà in campo per il ritiro della direttiva. Nel 2001 quando si svolse il passato congresso della CGIL la situazione economica, occupazionale e produttiva del paese risentiva di alcune criticità ma presentava anche molte opportunità di sviluppo e di benessere che andavano colte. Guardando con attenzione agli anni della legislatura che sta per compiersi emergono in pieno tutte le responsabilità e gli errori di questo governo. In questi cinque anni di governo del centrodestra non si è creata alcuna ricchezza, non è cresciuto il paese, sono aumentate le diseguaglianze e si è speso di più. Il nostro Paese vive una grave crisi economica e finanziaria, calano i consumi, gli investimenti pubblici e privati e non sono state messe in campo adeguate politiche di riforma e di rilancio dell’economia. Inoltre è fortemente peggiorato lo Stato Sociale. L’aumento indiscriminato dei prezzi dei prodotti di prima necessità e delle tariffe energetiche fanno pensare ad un’ incidenza ben più consistente dell’inflazione percepita e, la conseguente perdita del potere d’acquisto di salari e pensioni, non aiuta il rilancio dei consumi. L’assenza di una politica pubblica in questo campo ha danneggiato ancora di più il nostro apparato produttivo e favorito le speculazioni. La crescita è praticamente ferma. La più bassa rispetto agli altri paesi europei e mancano politiche industriali all’altezza delle sfide imposte dal mercato. Non esistono investimenti per le infrastrutture, per la ricerca e l’innovazione, né per la formazione tanto necessaria per rilanciare la competitività del nostro sistema produttivo attraverso la qualità. Per non parlare del Mezzogiorno, abbandonato a se stesso e privato di politiche mirate a rilanciarne le opportunità di ripresa, cancellando anche le precedenti politiche di sostegno allo sviluppo. La conseguenza è stata che si sono accentuate le divisioni tra il nord e il sud del Paese, tra le sue aree forti e le sue aree deboli. Le politiche fiscali messe in campo hanno favorito una minoranza già ricca a danno di una maggioranza costituita di ceti medi, di lavoratori salariati e di pensionati che si è ulterirmente impoverita. Così l’Italia oggi è un paese ancora più diviso dove aumentano la povertà e si fa sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese. Un Italia nella quale crescono le disuguaglianze e si riduce la mobilità sociale verso l’alto. La tutela dei redditi da lavoro rappresentata dai rinnovi contrattuali è stata messa pesantemente in discussione. Quando passano anni prima di stipulare un rinnovo contrattuale non si è più in grado di adeguare i livelli retributivi al costo della vita. Si ha meno reddito, si spende meno e si è meno protetti rispetto agli aumenti delle tariffe puntualmente coincidenti con ogni inizio d’anno. Un Paese in crisi, ulteriormente frantumato dalla legge di modifica della Costituzione varata dal governo Berlusconi e che amplificherà le disuguaglianze territoriali e sociali. Dove il ruolo e i compiti della Pubblica Amministrazione risulteranno indeboliti e ridotti per dimensioni. Asserviti agli interessi di una parte politica del Paese, e che metterà in discussione principi fondanti dello stato di diritto e della democrazia quali: l’imparzialità e la garanzia dei diritti dei cittadini. La CGIL è in campo nei comitati Salviamo la Costituzione nella battaglia referendaria per abrogare e spazzare via questa legge. La campagna è già avviata ed entro la metà di febbraio si devono raccogliere oltre 500.000 firme. Ancora una volta ci mobiliteremo a difesa della democrazia e dei diritti del mondo del lavoro con la nostra collaudata passione e la nostra tenacia di sempre, nella ferma convinzione che anche qui da Napoli verrà un grande contributo per vincere il referendum. Ma siamo anche consapevoli dei rischi che corre in nostro Paese anche rispetto ad una legge finanziaria sbagliata come quella varata per il 2006 e che può davvero vanificare ogni speranza di ripresa a breve termine. Né qualcuno pensi che basti apportare qualche piccolo aggiustamento senza affrontare i nodi di una buona politica economica che affronti i problemi alla loro radice. Se si vuole risollevare le sorti dell’Italia c’è bisogno di un progetto alto. E’ questa è e, deve essere, la parola d’ordine del nostro XV congresso. Da una crisi di queste caratteristiche, per qualità e dimensioni, alimentata da cause strutturali ma aggravata drammaticamente dalle scelte di questo governo e di questa maggioranza, si esce solo con una riprogettazione fondata su quattro priorità: lavoro, saperi, diritti, libertà. Questo è il cuore della proposta politica sulla quale abbiamo chiamato i nostri iscritti al confronto democratico e a una grande partecipazione. Vogliamo farlo in piena autonomia, dentro un quadro necessario di nuove relazioni sindacali che devono essere certe ed esigibili con le nostre controparti. Ci rivolgiamo al Paese, alle forze politiche, alle forze sociali, al mondo delle imprese, ai lavoratori ed ai cittadini, offrendo un ampio ventaglio di opzioni e di proposte. Per questo abbiamo perseguito l’idea di un congresso che parli all’insieme dei nostri cittadini, alle forze politiche del centrosinistra, rappresentando questa nostra idea destinata a costruire il cambiamento. Ciò nella piena consapevolezza che riprogettare implica un cambiamento della maggioranza legislativa e della maggioranza di governo, proprio in considerazione delle grandi responsabilità del centrodestra che gravano sulla attuale crisi del Paese. L’eredità lasciata dal governo Berlusconi in questo scorcio di legislatura è pesantissima. Non solo sul terreno economico ma anche sul fronte della scuola, della cultura, del mercato del lavoro, dell’immigrazione, della giustizia e, infine, sul piano Costituzionale. Per questo occorre che oltre al cambio della maggioranza vi sia anche un cambiamento forte di valori, di contenuti e di programmi. Il fondamento del progetto di un nuovo esecutivo non può che essere, infatti, la messa in discussione delle scelte più radicalmente sbagliate fatte da questo governo sia da un punto di vista simbolico che di contenuto strettamente sociale. Cosa voglio dire. Voglio dire che provedimenti legislativi , quali La legge 30, la legge Moratti, la Bossi-Fini, da questo punto di vista rappresentano capisaldi di iniquità, che vanno radicalmente modificati o totalmente cambiati. E sarebbe di grande rilievo politico se, all’inizio della legislatura di un nuovo governo, con impeto riformatore si affrontasse proprio la loro sostituzione. Il progetto per la ricostruzione del Paese, la sua rinascita civile e morale, parte dai problemi del lavoro, dalla centralità del valore del lavoro, in alternativa alla centralità del mercato, da uno sviluppo di qualità, dei saperi e dei diritti.
Bisogna cambiare il modello sviluppo economico e produttivo mettendo in campo un progetto politico che indirizzi il nostro sistema di specializzazione verso una via “alta” ed “altra” allo sviluppo. Una via che punti alla qualità dei processi e dei prodotti, al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, alla salute, alla sicurezza ed al rispetto dei diritti dei lavoratori. Per questo occorrono adeguate politiche industriali, politiche a sostegno della ricerca e dell’innovazione, politiche di ammodernamento ed adeguamento delle nostre infrastrutture. In definitiva, politiche atte a favorire la crescita dimensionale delle nostre imprese, per incrementare la produttività e la competitività del sistema. Ma un nuovo modello di sviluppo necessita anche di una nuova politica economica e dei redditi che abbia tra i suoi obiettivi centrali il rafforzamento dello stato sociale come volano dello sviluppo, inclusivo e redistribuivo, che contrasti la miseria e la povertà, che aumenti le possibilità di partecipazione dei diversi soggetti della rappresentanza politica, istituzionale e sociale. Di politiche tese a rafforzare e non ad indebolire la coesione sociale. Sono necessarie, cioè, scelte coraggiose e coerenti che indirizzino la redistribuzione della ricchezza prodotta verso i redditi medio bassi, che favoriscano i redditi da lavoro e le pensioni. Vogliamo vedere, dopo il 9 aprile, un chiaro cambiamento di rotta rispetto alle scelte politiche operate in questi anni di governo di centrodestra e che sono state intrise di svuotamento e dequalificazione dello stato sociale, ridimensionato nel suo significato e nel suo ruolo di strumento universale di tutela ed affermazione dei diritti, dell’uguaglianza e della solidarietà. La politica deve restituire alla Pubblica Amministrazione il ruolo che gli compete: di erogatore e garante dei diritti di cittadinanza. Un ruolo pesantemente messo in discussione, in questi anni bui, dai processi di esternalizzazione e privatizzazione dei servizi. La cessione all’esterno dei servizi e le privatizzazioni hanno causato perdite di professionalità e conoscenze. Si è dequalificato l’intervento pubblico, si è dato seguito ad accentuati processi di esternalizzazione e di privatizzazione dei servizi senza che da ciò sia derivato alcun oggettivo beneficio per i cittadini. Questo attacco alle funzioni pubbliche ha messo in discussione i luoghi dove il cittadino può usufruire di un servizio, dove farsi curare, potersi istruire, avere erogata una pensione, accedere ad adeguati sistemi di protezione sociale. Diritti cioè che vanno assicurati alle persone. Diritti che sono tali proprio perché esiste una sede dove è possibile esigerli. Per questo noi pensiamo che la difesa dei diritti dei cittadini è insieme la difesa del lavoro pubblico, delle sue peculiarità e del suo valore. Il lavoro pubblico ha in sé quattro opportunità: garantisce i diritti fondamentali alle persone, produce sviluppo, favorisce l’insediamento produttivo è frontiera e presidio di legalità. E per questo noi guardiamo ad un moderno sistema di welfare, chiedendo l’affermazione di una nuova cultura politica che non veda contraddizioni ed incompatibilità tra le politiche di Stato Sociale e le politiche di sviluppo così come in questi anni è accaduto. Il modello di Stato Sociale che vogliamo deve saper adeguare i propri modelli di servizio ed organizzativi per essere in grado di rispondere alle diverse esigenze del territorio. Sì perché è nel territorio che si manifestano i bisogni delle persone ai quali dare risposta. In questa ottica particolare attenzione merita il tema dell’acqua, risorsa limitata in natura ed indispensabile alla vita, per la quale va garantita l’accessibilità in termini universali, va considerata bene comune primario, per cui siamo contro la sua privatizzazione e ne rivendichiamo la proprietà pubblica al pari della Salute, dell’Istruzione, della sicurezza. Siamo altresì consapevoli che quando parliamo di beni comuni e del mantenimento su di essi di un ruolo forte del pubblico nella proprietà e nella gestione dobbiamo favorire la crescita ed il miglioramento di forme di controllo e di partecipazione dei cittadini e degli utenti che ne garantiscano l’efficienza e la qualità dei servizi. In questo ambito occorre dunque operare un’azione di riorganizzazione dei servizi pubblici, garantire una loro accresciuta efficacia ed efficienza anche attraverso il rafforzamento della responsabilità del sindacato e la finalizzazione a questi obiettivi delle sue politiche contrattuali. Dobbiamo sapere che quando parliamo di beni comuni la prima cosa da fare per renderli accessibili a tutti i cittadini è di rimuovere quegli ostacoli che derivano anche dala maniera in cui i servizi ad essi connessi sono strutturati. Occorre da parte nostra sollecitare una scelta precisa per orientare la Contrattazione Decentrata Integrativa verso il miglioramento della qualità dell’organizzazione del lavoro e dei servizi, superando la fase in cui è stato necessario gestire principalmente le risorse economiche disponibili. La qual cosa non sempre ha garantito anche l’avanzamento dell’offerta resa ai cittadini. Il riferimento alle conclusioni che Carlo Podda fece al dibattito che tenemmo nell’iniziativa pubblica sulle liste di attesa rappresenta un esempio emblematico quanto efficace e ci consente di viaggiare verso quella “fabbrica dei diritti” alla quale tutti noi pensiamo. Ma per farlo abbiamo bisogno di accrescere la qualità del nostro lavoro e della contrattazione renendola molto diversa, appunto, da quella che facciamo e che chiama alla responsabilità ciascuno di noi. Per realizzare questi obiettivi e dare corpo al nostro progetto occorre mettere in campo una politica fiscale nuova e diversa dall’attuale che con il varo delle ultime leggi di riforma fiscale ha tolto ai più poveri, che già avevano poco, per dare ai più privilegiati che già disponevano della maggiore ricchezza prodotta dal paese. Cosi’ come occorre mettere sotto controllo la finanza pubblica per conseguire il risanamento e lo sviluppo del Paese. Quindi un nuovo patto fiscale che assuma la crescita dei redditi da lavoro e da pensione e al contempo concrete politiche di investimenti e trasferimenti alle imprese, senza attenersi alla logica dei due tempi: prima il risanamento poi la redistribuzione. I due tempi devono stare assieme. Risanamento e sviluppo si devono alimentare contemporaneamente. Il fisco che intendiamo noi dovrà essere equo e progressivo, dovrà alleggerire il carico fiscale che grava sui redditi da lavoro e da pensioni ed aumentare l’imposta sui grandi patrimoni, sulle rendite finanziarie e sulle grandi aziende petrolifere che tanto hanno tratto profitto in questa fase. Così come va potenziata la lotta all’elusione ed all’evasione fiscale ed al lavoro nero, potenziando la macchina amministrativa ad essa preposta depotenziata, in questi anni, delle competenze, delle professionalità e delle risorse umane che l’avevano contraddistinta con l’avvio di una grande riforma della Pubblica Amministrazione. Le scelte del governo hanno prodotto una drammatica precarietà del lavoro. Nelle nostre tesi abbiamo sottolineato il nesso esistente tra il progetto di sviluppo e una diversa politica occupazionale e del mercato del lavoro. Quanto è accaduto con l’approvazione legge 30 non ha nulla a che vedere con l’esigenza sviluppare l’occupazione. Quanto è accaduto è la consacrazione della precarietà a vita, della subalternità della persona al lavoro ed alle esigenze dell’impresa e del profitto. Con questa legge il governo ha inteso colpire il Sindacato, limitandone la forza contrattuale, destabilizzando il mercato del lavoro attraverso una forza lavoro sempre più debole e sottoposta ai ricatti. Un idea funzionale ad un modello di sviluppo che non valorizza la qualità ma compete abbassando il costo del lavoro e riducendo i diritti delle persone. Per le giovani generazioni questa precarietà si è trasformata in precarietà sociale, cresce l’insicurezza, l’ansia e la preoccupazione per l’assenza di certezze per il futuro che si trasforma nel disagio di famiglie che non si riescono a formare, di famiglie che si indeboliscono. Per questo chiediamo di cancellare la legge 30 che ha reso precario il lavoro e sostituirla con un sistema di norme e diritti a tutela del mondo lavoro che individui nel contratto di lavoro a tempo indeterminato la forma di costituzione del rapporto di lavoro. Nella Pubblica Amministrazione la crescita di queste forme di rapporto di lavoro ha ulteriori motivazioni. La politica di riduzione delle risorse pubbliche, il blocco del turn-over, hanno favorito, infatti, la pratica delle esternalizzazioni dei servizi pubblici, la diffusione dei contratti di lavoro a tempo determinato, a progetto, il ricorso alle consulenze. Quest’ultime, in particolare, ha riproposto, sotto altre forme, l’antica pratica della clientela. Come funzione Pubblica abbiamo posto con forza, questo problema ponendo un emendamento alle tesi, la richiesta cioè di un adeguato intervento legislativo che affronti il problema del precariato nella Pubblica Amministrazione. Secondo i dati ufficiali sono circa 300.000 questi lavoratori per i quali riteniamo necessario che, tenendo conto delle specificità delle norme che regolamentano il rapporto di lavoro pubblico, devono trovare percorsi di stabilizzazione. Noi riteniamo che solo una diversa politica occupazionale, finalizzata alla stabilizzazione, determinerà un più efficiente livello qualitativo dei servizi pubblici. La contrattazione e la democrazia sono i punti più dibattuti del documento congressuale. In questi anni abbiamo registrato un duro attacco alla contrattazione che accomuna il settore pubblico e quello privato proprio nella messa in discussione dei due livelli di contrattazione. Il sistematico ritardo nei rinnovi contrattuali, la dinamica delle retribuzioni nette inferiore al dato inflazionistico, la mancata revisione del meccanismo di calcolo dell’inflazione hanno senz’altro indebolito il potere d’acquisto dei salari. Mentre lo spostamento della ricchezza verso profitti e rendite finanziarie ed una contrattazione di secondo livello diversificata tra nord e sud del paese ha influito sull’impoverimento delle retribuzioni. Il nostro progetto, nel ribadire la centralità del lavoro, rivendica una campagna di rilancio della politica contrattuale che per noi va attuata rafforzando la contrattazione confederale per affermare regole e diritti comuni per il pubblico e per il privato. Una contrattazione confederale che deve misurarsi sui temi fondamentali del mondo del lavoro e dei pensionati sulle materie che concorrono a formare il reddito quali l’inflazione, le tariffe, la spesa sociale e le tutele del lavoro e lo sviluppo dell’occupazione. In questo ambito il CCNL rimane lo strumento universale ed indispensabile che difende il potere d’acquisto delle retribuzioni, incrementa i salari e stabilisce diritti uguali in tutto il paese. Così come la contrattazione decentrata e integrativa va rafforzata e incrementata nelle risorse. Essa rappresenta il luogo dove si affronta l’organizzazione del lavoro, la tutela della salute e la sicurezza degli operatori e dove si eroga il salario accessorio e la produttività. Tutto ciò rende dunque essenziale la partecipazione democratica dei lavoratori alle scelte che si compiono. Sulla democrazia nei luoghi di lavoro è quindi giusto ribadire la posizione espressa con il nostro emendamento alla tesi. Essa parte dall’esperienza in atto nel pubblico impiego condivisa con la CISL e la UIL dove vengono votate le Rappresentanze Sindacali Unitarie e che ha visto in questi anni sempre più grande e crescente partecipazione. I lavoratori esercitano il diritto di eleggere direttamente sul proprio posto di lavoro chi li rappresenta e inoltre concorrono a stabilire a livello nazionale la reale rappresentanza sindacale di ciascuna organizzazione. Per questo pensiamo di estendere a tutto il mondo del lavoro il modello della legge sulla rappresentanza e rappresentatività vigente nel pubblico impiego. Le piattaforme e le ipotesi di accordo relative ai CCNL saranno validate con il voto della maggioranza degli eletti nelle RSU oltre alla sottoscrizione delle OO.SS. Infine proponiamo un meccanismo che regolamenti il ricorso al referendum abrogativo che va attivato, in caso di dissenso sugli accordi, da una percentuale congrua di lavoratori, di RSU o OO.SS.. In questo III congresso della Funzione Pubblica di Napoli intendiamo anche affrontare alcune delle problematiche presenti sul nostro territorio a partire dalla finanziaria regionale con le sue ricadute sulla sanità. Così come riteniamo utile offrire alcuni spunti di riflessione sulla realtà metropolitana. Lo facciamo toccando in questa relazione alcuni aspetti che riteniamo di grande rilievo politico ma anche fornendo a voi tutti, nella documentazione che vi è stata consegnata, un ampio contributo di schede di merito sulle varie tematiche che abbiamo pensato possano essere di utilità al dibattito che auspichiamo possa emergere in questi due giorni. In Campania esiste un problema di risorse di bilancio. Non c’è dubbio che le risorse siano insufficienti. Le quattro finanziarie che si sono succedute in questi anni hanno di fatto ridimensionato fortemente le risorse per la sanità e per le politiche sociali, con un aumento forte delle diminuzioni per quanto riguarda le regioni del sud. La finanziaria regionale adottata presenta un’evidente sproporzione tra la quota individuata per le politiche sanitarie, pari a circa il 60% della spesa, e quella per le politiche sociali inferiore all’1%. E’ stato previsto l’aumento dell’addizionale regionale dell’irpef e dell’irap e confermato l’aumento del bollo auto e l’accisa sulla benzina. Non crediamo che in una regione con così basso indice di reddito le questioni delle risorse possono essere risolte aumentando la pressione fiscale. Questo peserà sui redditi dei lavoratori e dei pensionati già provati da anni di vessazioni da parte del governo Berlusconi. Conseguentemente l’Assessore Regionale alla Sanità ha previsto un intervento di puro contenimento della spesa sanitaria esclusivamente incentrato sul taglio di 3.000 mld di vecchie lire nel triennio 2006-2008. Circa i 2/3 dei tagli intervengono a carico delle strutture presenti nell’area metropolitana di Napoli. E’ un’operazione che comporterà la messa in discussione dei livelli essenziali di assistenza e degli attuali livelli occupazionali e delle applicazioni contrattuali con l’assurdo che saranno pagate a rate. La consistente riduzione dei trasferimenti alle aziende sanitarie ed ospedaliere comporterà necessariamente riduzione delle prestazioni con evidente ricaduta sui cittadini. Anche per la sanità privata e la riabilitazione il taglio dei finanziamenti si scaricherà sui servizi e sul lavoro. Questa delibera, a nostro avviso, va ritirata e riscritta in modo tale garantire interventi certi sugli sprechi e sulle inefficienze. Così come riteniamo che nel confronto che i manager dovranno aprire sulla gestione dei tagli sia indispensabile far pesare il nostro fermo dissenso anche aprendo il conflitto ed attuando le conseguenti forme di lotta, azienda per azienda. A tal proposito ricercheremo ogni forma di coinvolgimento anche dell’associazionismo e della cittadinanza a sostegno della nostra vertenza. Noi crediamo che sulla sanità si possono dare segnali forti di cambiamento. Così come pensiamo che una migliore assistenza sia possibile anche all’interno delle risorse attualmente disponibili e questo può renderci più forti anche in un confronto nazionale rispetto alla richiesta di un maggiore stanziamento che è sacrosanto ma che si scontra con la non sostenibilità del sistema. In Campania, insieme al problema delle risorse, c’è un sistema infatti che produce diseconomia, un sistema fortemente squilibrato e che non ha grandi indici di gradimento da parte dei circa sei milioni di persone che ogni giorno utilizzano le nostre strutture. Questo è il grande problema politico che abbiamo davanti. A questo va aggiunto anche il problema dell’integrazione socio sanitaria. Se noi non invertiamo la tendenza in base alla quale oltre il 50% del bilancio della regione viene utilizzato in un’ assistenza ospedaliera pubblica o privata che sia e che produce una mobilità extraregionale di oltre 700 miliardi di vecchie lire annue, non avremo mai le risorse necessarie per investire nei territori e per avere un integrazione socio sanitaria all’altezza della domanda. Per questo non è più possibile ragionare in modo che tutta la posta di bilancio sia in mano all’assessore alla sanità e gestita nel rapporto con le singole realtà aziendali.
Occorre, inoltre, un’ impostazione per obiettivi programmatici, investendo ad esempio una quota del fondo sanitario regionale dal 2006 finalizzata ad operazioni di innovazione su due grandi versanti: uno quello delle alte tecnologie, per cercare di avviare un meccanismo virtuoso di recupero di quella mobilità fuori regione che ci costa tanto, l’altro quello delle questioni territoriali relative all’integrazione socio sanitaria. Così come abbiamo bisogno di mettere in sinergia la struttura, l’assessorato alla sanità e l’assessorato alle politiche sociali per cercare di creare una cabina di regia che sia nelle condizioni, non solo di dettare linee programmatiche, ma anche di verificare passo dopo passo quali sono i risultati raggiunti sul territorio. Fino ad oggi non riusciamo a dare concrete risposte ai problemi degli anziani, dell’immigrazione e delle tossicodipendenze, dell’abbandono. Non riusciamo a fare veicolare l’idea che bisogna creare forti strumenti di coordinamento centrali e periferici che mettano insieme le risorse, evitando che si gridi poi allo scandalo se, ad esempio, qualche soggetto disadattato o abbandonato a sé stesso ha bisogno di aiuto. Spesso, in questi casi, non si riesce a capire se deve intervenire il 118, se deve intervenire l’assessorato alle politiche sociali, o se deve intervenire il dipartimento di salute mentale. Quindi esiste il problema delle risorse ma esiste anche un grande problema della qualità dell’intervento e del coordinamento dell’intervento. Se non affrontiamo questi nodi non vale a nulla l’imposizione fiscale. Senza sciogliere questi nodi avremo solo rinviato la risoluzione dei problemi, avremo solo creato “la posta” per dichiarare debiti e mutui ventennali ma il sistema rimarrà quello che è, con tutti i limiti di un servizio inefficace ed inefficiente. Creare le condizioni affinché il pubblico abbia un ruolo centrale in questi ambiti significa anche discutere del lavoro e del lavoro che si fa in queste realtà. Qui vi è un grave questione che riguarda il volontariato e sappiamo bene che dietro questa parola qui a Napoli molte volte si nasconde un lavoro sottopagato, svolto in nero e sostitutivo di funzioni importanti. Da questo punto di vista dobbiamo guardare alla costruzione di un’iniziativa forte che al di là della valorizzazione del lavoro pubblico si collochi nell’ottica di superare questi elementi distanti del mercato che riducono la qualità del servizio e la riverberano ancora più negativamente nei confronti degli utenti. Quindi, il problema dell’acqisizione di nuove risorse professionali ma anche dell’emersione di una quota di lavoro nero che in questa realtà diventa sempre più forte. Riteniamo che questo sia uno dei temi che dobbiamo affrontare non solo nel nostro dibattito ma anche nella contrattazione che quotidianamente facciamo negli enti che sono interessanti da queste questioni. Perciò siamo impegnati a portare questo nostro dibattito nel confronto con l’insieme della CGIL nel congresso confederale. Significherà anche dare un nostro contributo al lavoro che la confederazione sta mettendo in campo per lo sviluppo della città e dell’area Metropolitana e intendiamo farlo con i temi del nostro congresso: più pubblico uguale più legalità, più qualità e più diritti per guardare ad un futuro che possa accrescere i diritti e lo stato sociale. Coniugando così le politiche di sviluppo e di crescita economica con le politiche dell’accoglienza, dei migranti, dell’inserimento dei soggetti deboli e svantaggiati, della salute e dell’ambiente, della mobilità del lavoro e della casa. Un Welfare locale inclusivo e di qualità rappresenta una infrastruttura fondamentale dello sviluppo. E’ con questo spirito che aderimmo, con visibile partecipazione, alla manifestazione del primo Maggio a Scampia convinti che sviluppo, lavoro e legalità sono la rivendicazione di tanti, lavoratori, pensionati, ma soprattutto giovani che hanno diritto a guardare al proprio futuro con speranza e non con cupa rassegnazione. CGIL CISL UIL si fecero carico, in quell’occasione, di scuotere per un giorno la Napoli, capitale del mezzogiorno, dalla barbarie della criminalità, scegliendo un quartiere simbolo. A distanza di mesi registriamo solo gli spot propagandistici del governo e del ministro Pisanu. Lo stato della sicurezza e della vivibilità a Napoli e nell’area Metropolitana ci fa affermare che questo governo è colpevolmente assente. Lo è per i tagli di risorse operati in questo campo e per le evidenti condizioni in cui versano gli organici delle forze dell’ordine e la carenza di mezzi ed attrezzature. La questione della legalità non va sottovalutata !!! E’ presente una strumentalizzazione che il centro destra sta portando avanti verso alcuni comuni e aziende sanitarie con commissioni di accesso perennemente e diffusamente in campo. Tutto questo crea un clima di criminalizzazione dell’insieme della pubblica amministrazione e dei lavoratori che operano nei servizi, andando ad incrinare proprio il punto cruciale del sistema dove si incontra domanda e offerta dei servizi. Inoltre, si determina una paralisi nel funzionamento delle strutture che blocca la sviluppo dei servizi e torna a ricadere negativamente proprio sui cittadini. Prima di tutto occorre che le istituzioni preposte e la magistratura accertino rapidamente se sussistono responsabilità e collusioni in modo da liberare la pubblica amministrazione da anni di sospetti che producono anche’essi gravi guasti. Poi dovrebbe prevalere una sana riflessione sul fatto che se vengono sciolti tanti enti per infliltrazioni camorristiche è un segnale che non si può abbassare la guardia e che, dunque, occorre riproporre con forza l’attenzione democratica e civile a sostegno della legalità. Proviamo a rilanciare il ruolo dei comuni partendo dallo sviluppo e dal Welfare locale. Proviamo sapendo che i Comuni sono stati abbandonati dal governo e falcidiati da anni di tagli ai trasferimenti che ne limitano indubbiamente le capacità d’intervento. Minori risorse in bilancio condizionano anche gli assetti del rapporto che vogliamo costruire con gli enti locali. Il Welfare locale da fattore di sviluppo è diventato oramai terreno di incursione, in questi anni di governo di centro destra che, finanziaria dopo finanziaria, ha ridotto drasticamente risorse agli enti locali, creando una vera emergenza economica. Dopo i tagli di quest’ultima finanziaria esiste un evidente rischio di riduzione delle prestazioni di circa il 30% che si sommano ai tagli al fondo sociale nazionale decurtato, in corso d’opera, quando già si erano definiti gli interventi di spesa. Con il taglio dei trasferimenti, il blocco delle assunzioni, il mancato finanziamento dei tempi determinati, dei Co.CoCo. si è portata avanti una chiara politica di dequalificazione del pubblico, favorendo la esternalizzazione e la privatizzazione di questi servizi. Spetta a noi contrastare questa cultura perversa dove, se riesci ad arrangiarti bene, altrimenti sei alla disperazione, senza sostegno, senza alcuna opportunità. Ciò ormai in Italia vale per l’istruzione, vale per le protezioni sociali, vale per la sanità, vale per la sicurezza, vale per tutto ! Perciò diventa prioritario tornare ad investire nel sociale dove in questi anni di tagli si è perso quantitativamente e qualitativamente e si è creato un processo di indiscriminata e insana privatizzazione. Per questo riteniamo fondamentale che in città e in provincia il bilancio dei servizi sociali sia messo in primo piano, tra le priorità politiche delle amministrazioni. In particolare a Napoli dove l’occasione rappresentata dalla costituzione delle dieci municipalità va colta allo scopo proprio di riformare i servizi sociali, procedendo alla loro riorganizzazione in ambiti territoriali con autonomia decisionale e funzionale. Si possono individuare sedi per ognuna delle dieci municipalità idonee dal punto di vista della salute e sicurezza degli operatori e dei cittadini. Si deve procedere ad una nuova dotazione organica che recuperi le storiche carenze di assistenti sociali, garantendo anche il recupero psicofisico per una attività professionale ricca di difficoltà in una realtà come la nostra. Insomma, lo ribadiamo, occorre fare dell’investimento sociale una delle priorità della Amministrazione con conseguente investimento di adeguate risorse finanziarie. Così come è necessario investire nelle politiche della scuola dell’infanzia in una realtà come la nostra fortemente segnata da una diffusa marginalità sociale, dove sempre più famiglie si affacciano alla soglia della povertà, dove interi quartieri sono vittima delle organizzazioni criminali e dove proliferano le attività illecite. Territori nei quali i bambini crescono nella cultura del rifiuto dello Stato, delle sue regole, i suoi valori civili e democratici. Per questo l’idea maturata alcuni anni or sono di lavorare per una grande città dei bambini rappresentava una vera scommessa sul futuro, sulla speranza di un nuovo e diverso sviluppo. Con essa si intendeva partire proprio dalla fascia che va dai 0 ai 6 anni. Una campagna tesa a garantire ai bambini accesso agli asili nido ed alle scuole materne, favorendo soprattutto i più esposti al disagio familiare, alle condizioni di illegalità dalle quali scaturisce anche l’evasione scolastica. Si trattava di un progetto politico di enorme respiro. Si trattava di favorire una crescita civile ed uno sviluppo tesi a garantire una piena inclusione sociale ed educativa. Le uniche in grado di formare le nuove generazioni, cioè i cittadini del domani. Un progetto politico che ha, purtroppo, segnato il passo e che ha perso di consistenza negli anni. Le conseguenze della perdita di un’idea che guardava al futuro sono sotto gli occhi di tutti: la crescita della microcriminalità, l’aumento della violenza giovanile, il dilagare dell’odioso fenomeno del bullismo, rappresentano il segnale inequivocabile della progressiva sconfitta dei valori propri della convivenza civile. La domanda legittima è: è ancora attuabile una politica della scuola dell’infanzia che dia impulso ad un sostanziale miglioramento della qualità della vita a Napoli ed insieme dia sostegno al futuro sviluppo della città. Noi crediamo di SI.
Perciò, sollecitiamo la regione, la provincia e il comune perché si realizzi un essenziale coordinamento tra i livelli istituzionali finalizzato alla legislazione regionale per l’unificazione dei servizi educativi 0-6 anni, prevedendo forme di finanziamento ed elevando standards di funzionamento ed accreditamento tali da valorizzare il servizio pubblico. Al livello comunale chiediamo di ribadire il ruolo pubblico dei servizi educativi per l’infanzia vera garanzia di intervento formativo del bambino alternativo alla funzione di sola custodia così diffusa nel privato. Pertanto, anche la politica della scuola dell’infanzia va individuata tra le priorità sapendo che da questo servizio dipende il futuro di tutto il sistema dei servizi sociali offerti alla persona gestiti dagli enti locali. Occorrerà, quindi, intervenire sulla costruzione di spazi scolastici idonei e decorosi che salvaguardino gli standard di qualità, mediante l’acquisizione di una una idonea dotazione organica di personale professionalizzato, la regolarizzazione della diffusa precarizzazione oggi esistente, l’attivazione di politiche formative atte a valorizzare la missione del servizio con un regime di orari funzionale alle esigenze dell’utenza. Sono questi i temi delle tre iniziative pubbliche che abbiamo tenuto recentemente sulla sanità, sull’infanzia e sui servizi sociali e che rappresentano, a nostro avviso, anche una parte della nostra azione sindacale per conseguire i risultati che tanti si aspettano. In particolare riteniamo sia necessario assumere una maggiore partecipazione nella costruzione dei piani sociali di zona per poter far avanzare le peculiarità che qui abbiamo indicato. Siamo convinti che occorre creare le condizioni di maggiore vivibilità e sicurezza a Napoli come nel resto del territorio. In questo ambito pensiamo che il lavoro messo in campo sulla riforma della polizia municipale sia da continuare e portare a compimento. Traffico, viabilità e vivibilità, in una città metropolitana, sono aspetti sui quali bisogna lavorare costantemente per migliorare le condizioni in cui vive ed opera la cittadinanza. Per questo l’attesa e la speranza che si è creata intorno al decollo della riforma del corpo di P.M. è anche l’occasione per un nuovo patto con la città per recuperare il rapporto operatori e cittadini a partire dall’efficienza del servizio e della qualità del lavoro. La riforma va fatta. Vanno eliminati privilegi e rendite di posizione e ripristinate le regole per tutti. Va introdotta una nuova organizzazione del lavoro che guardi al nuovo decentramento e va garantita piena trasparenza nella sua attuazione. Insomma dobbiamo provare a contrapporre alla forza dei furbi e dei senza regole la città della lotta alle prevaricazioni e del ritorno alla legalità. E’ un lavoro impegnativo e di cui si sente un grande bisogno e per questo assicuriamo il nostro sostegno all’Assessore e a quest’idea di riforma. L’altro aspetto critico è rappresentato dall’igiene urbana. L’emergenza è rappresentata dalla raccolta e dallo smaltimento dei rifiuti che continua a pesare pesantemente nella regione e nell’area metropolitana. Stiamo parlando di un settore dai tanti intrecci politico economici, fortemente condizionato dalla criminalità organizzata. Il 2006 segnerà la fine della gestione commissariale dell’emergenza rifiuti che dura ormai da 12 anni. In tutto questo tempo sono state spese ingenti risorse finanziarie ma molti dei problemi di allora continuano drammaticamente a penalizzare questo delicato e importante settore. Siamo ancora al di sotto della media nazionale per la percentuale di rifiuti derivanti dalla raccolta differenziata e si continua, inoltre, a smaltire nelle discariche. Segmento del ciclo storicamente inquinato da presenze criminali che aggrediscono anche le gestioni esterne al controllo pubblico. Anche per questo risulta necessaria un’apposita legislazione regionale per la regolamentazione della gestione dei rifiuti. A Napoli l’esperienza avviata con l’Azienda ASIA ha fatto registrare un esagerato aumento dei costi che non trova adeguate ricadute in termini di efficienza ed efficacia del servizio reso ai cittadini. Sono stati attivati svariati e onerosi progetti di riorganizzazione che però non hanno prodotto condizioni di rilancio dei servizi sul territorio, contribuendo solamente in quanto incomprensibili a demotivare i lavoratori che stentano a riconoscersi nella “missione” dell’Azienda. Tutto questo anche a causa del continuo ricorso alle forme di esternalizzazione dei servizi. Pensiamo che occorre riflettere seriamente su quanto finora è avvenuto, mettendo in campo iniziative che rilancino l’idea di una grande Azienda in grado di stare a pieno titolo sul mercato; un’Azienda che punti con decisione sulla raccolta differenziata riordinata mediante idonei interventi infrastrutturali sul territorio; un’Azienda che investa nella meccanizzazione e nelle nuove tecnologie al fine di soddisfare le attese della città, erogando finalmente servizi di qualità.
Gentili ospiti, care compagne e cari compagni, abbiamo fin qui toccato temi che riteniamo importanti e sui quali c’è bisogno di costruire apposite politiche negoziali. In questo ambito si impone una riflessione circa i rapporti con CISL e UIL di categoria. I rapporti unitari sono stati presenti anche nei momenti difficili dello stare insieme ed hanno bisogno di consolidarsi ancora di più ma su un corretto confronto programmatico collegato alla contrattazione, a partire da alcuni dei temi che abbiamo indicato. Ciò in quanto pensiamo che la nostra azione negoziale debba incidere sulle scelte di welfare e sul ruolo della pubblica amministrazione che sono alla base dello sviluppo socioeconomico della realtà napoletana. Possiamo e dobbiamo farlo anche perché sono migliaia i lavoratori iscritti e non iscritti che nell’ultima elezione delle RSU hanno scelto di dare il voto al sindacato confederale attribuendo a CGIL CISL UIL circa l’80% del consenso.
In conclusione, in queste riflessioni c’è anche il nostro lavoro. Tutto quanto messo in campo in questi pochi mesi vissuti insieme a voi. Ci sono le difficoltà che abbiamo incontrato, non poche se penso alla vicenda del comune di Napoli, ma tutte affrontate con spirito di militanza e di sincera passione. Con dialogo e con fermezza, con l’impegno di tanti di voi, siamo andati avanti, abbiamo rinnovato il comitato degli iscritti e siamo riusciti ad insediarlo. Ci siamo riusciti facendo sentire ognuno parte dell’organizzazione con la sua specificità, il suo valore, dialogando con questa Federazione e sentendosi parte di essa. Abbiamo provato a mettere maggiormente in sinergia, in comunicazione, la vita e il lavoro che si compie nella nostra federazione, con la vita ed il lavoro che si svolge dentro le nostre RSU, sui posti di lavoro. Dobbiamo continuare nella direzione di favorire un sempre più ampio coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori a sostegno delle nostre politiche sindacali, anche tenendo apposite assemblee di delegate e di delegati che rafforzino le nostre iniziative facendole diventare patrimonio di tutti. Politiche sindacali che determinino l’ampliamento della difesa dei diritti generali nel rispetto delle singole specificità. Quindi è nacessario rilanciare il ruolo attivo delle nostre RSU, dei nostri terminali associativi sui luoghi di lavoro, che chiedono di essere valorizzati anche con una diffusa campagna di formazione. Abbiamo l’esigenza di fornire a tutti i nostri rappresentanti nei luoghi di lavoro l’opportunità di essere sostenuti nella contrattazione decentrata integrativa e nella sua evoluzione, mediante percorsi di formazione mirati ed in modo particolare rivolti alle nuove leve sindacali che sono state elette nella recente campagna delle RSU. Si può, si deve fare in modo che accanto ai percorsi formativi consueti della contrattazione si affianchino prime esperienze che guardino alle politiche nelle quali siamo coinvolti come soggetto generale di rappresentanza sociale, così come a quelle confederali. In questo breve periodo di lavoro abbiamo avviato alcuni momenti formativi ma è necessario elaborare un nostro piano di formazione per quadri sindacali ed RSU che possa essere in sinergia con l’iniziativa formativa della confederazione e della FP regionale utilizzando anche gli spazi da questa messi a disposizione. In questi mesi è stato rivisitato il rapporto tra la federazione di Napoli e quella regionale, recuperando una preziosa sinergia ed una costante collegialità nell’elaborazione politica, pur nel rispetto dei differenti ruoli e funzioni a cui ciascuna delle strutture è preposta. Allo stesso modo siamo riusciti a rilanciare il rapporto tra la FP di Napoli e la Confederazione, entrando a pieno titolo nei temi confederali, a partire dall’iniziativa sul mezzogiorno tenuta qui a Napoli, ed attivando, anche qui, percorsi di sinergia e collegialità, pur marcando sempre l’autonomia e la specificità della nostra categoria. Tutto ciò ha sicuramente agevolato il nostro lavoro in un clima di sereno confronto. Un confronto che non potrà che essere salutare per l’insieme della nostra organizzazione e che contribuirà a perseguire ulteriori e migliori risultati. Questo ci ha consentito di interagire sulle piattaforme programmatiche della CGIL Campania e della CdL di Napoli sui temi della “legalità, dello sviluppo e del lavoro”. Temi sui quali abbiamo dato il nostro contributo rispetto al ruolo della P.A. alle politiche di sviluppo, alla sanità ed al welfare locale, solo per citarne alcuni. Così come abbiamo offerto la nostra mobilitazione e la nostra partecipazione alla grande manifestazione nazionale del primo maggio che si tenne qui a Napoli a Scampia ed allo sciopero generale del 25 novembre, partecipando visibilmente alla manifestazione cittadina. Siamo stati presenti a tutto campo nell’elaborazione politica, nella contrattazione e nella mobilitazione, ma tanto ancora bisogna fare per colmare il gap ancora presente in alcuni luoghi di lavoro sui quali registriamo un eccessivo scollamento nelle percentuali di adesione agli scioperi. Tutto questo è oggetto di riflessione e di impegno per noi tutti. Per quanto concerne i rapporti con l’esterno della nostra organizzazione riteniamo di aver utilizzato modalità e forme di veicolazione più nette. Ci sembra che una federazione importante come questa di Napoli non possa esimersi dal dialogare con tutti gli ambiti politici ed istituzionali presenti sul territorio esercitando la propria funzione di soggetto politico, sociale e negoziale. Nel contempo la nostra natura programmatica e l’interesse generale di cui siamo portatori ci impongono di ribadire la nostra piena autonomia nel confronto con la politica e con le istituzioni, rivendicando il rispetto del nostro ruolo e rifuggendo da ogni forma di consociativismo. Questi sono i punti rilevanti che hanno caratterizzato la nostra azione e sono i capisaldi sulla strada di un rinnovamento che non può essere inteso solo nelle persone ma che deve manifestarsi e realizzarsi soprattutto nel nostro comportamento, nel modo di fare politica e nel maniera di rapportarci al nostro interno ed al di fuori dell’organizzazione. Abbiamo fatto dell’ascolto e della collegialità i principi ispiratori del nostro agire. Penso, con ciò, che siamo riusciti a stimolare la voglia di partecipazione e la motivazione di tutti alla elaborazione di una azione politica generale nella quale il singolo non vive solo la propria esperienza ed il proprio livello di responsabilità ma si senta parte di un contesto che rappresenta l’insieme della funzione pubblica, costruendo, in questo modo, più confederalità. Si è data, così, la possibilità di far esprimere le tante potenzialità presenti tra di noi e si è conseguita più solidità all’interno dei singoli comparti e dei singoli settori di lavoro. Collegialità praticata nel lavoro della segreteria, nel rapporto con l’apparato, nel funzionamento dei comparti e soprattutto nel confronto con i grandi posti di lavoro e con il territorio. Nei grandi luoghi di lavoro risiede, infatti, un’importante parte della nostra iniziativa sindacale e da questi deve venire un significativo contributo alla costruzione delle nostre politiche. Tante compagne e tanti compagni delle grandi strutture della città di Napoli hanno chiaro ormai che per il gruppo dirigente della federazione essi rappresentano un riferimento importante del quale tenere conto nelle scelte politiche. Abbiamo lavorato perché tutto il territorio provinciale si sentisse parte di questa Federazione, evitando che la cosiddetta periferia percepisse un sentimento di esclusione a vantaggio del centro. Segnali concreti in questa direzione sono venuti dalla ricomposizione dello stesso gruppo dirigente con nuove presenze nella segreteria e nell’apparato. Ciò ha contribuito a dare segnali rassicuranti perché tutti si sentano a pieno titolo nella federazione con la propria specificità e partecipino alla costruzione di un rinnovato rapporto tra centro ed il resto della provincia in una moderna dimensione metropolitana del sindacato dove ognuno contribuisce con il proprio peso politico, con il proprio contributo e con la propria esperienza alla vita dell’organizzazione. Per questo dobbiamo pensare ad un modello organizzativo che rafforzi tutto il territorio provinciale portando la nostra azione sindacale a sostenere la domanda di partecipazione e di tutela che ci viene rivolta. Insomma, qualcosa abbiamo fatto, molto resta ancora da fare, ma ci conforta l’aver tracciato una strada, un percorso di lavoro nel quale tutti possano ritrovarsi. Chiudiamo il 2005 con la FP CGIL di Napoli che raggiunge i 19.411 iscritti. Un dato che consolida e conferma il già notevole successo conseguito in occasione del rinnovo delle RSU. Otteniamo una crescita rispetto al 2004 di ulteriori 203 iscritti e la quota tessera aumenta di circa 2 euro confermando la Funzione Pubblica di Napoli prima categoria nella Camera del Lavoro Metropolitana. Abbiamo svolto il nostro 3° Congresso Provinciale tenendo ben 58 assemblee di base con un incremento rispetto a quelle tenute nel precedente congresso. Hanno partecipato alle assemblee 11.793 iscritti, dei quali il 30% è rappresentato da lavoratrici. Il 99% dei partecipanti al voto ha condiviso e votato i nostri emendamenti riconoscendone il loro grande valore politico. Tutto ciò è il risultato di un grande impegno e dell’intenso lavoro da noi messo in campo. Siamo convinti che ciò è stato reso possibile grazie al contributo di tutti voi. Buon Congresso a tutti. |