Marco Bersani 4. Per una campagna in Italia Solo sei mesi fa sarebbe stato impossibile ipotizzare l’attuale scenario a proposito della mobilitazione contro la Direttiva Bolkestein. La proposta di Direttiva, approvata dalla Commissione Europea in data 13 gennaio 2004, aveva tranquillamente veleggiato nel più assoluto silenzio per un intero semestre, nonostante i tentativi di alcune reti sindacali – la Funzione pubblica Cgil in primo luogo – e reti associative, fra cui Attac Italia, di porla all’attenzione generale. Si scontava, allora, la totale mancanza di una dimensione europea – nonostante le buone intenzioni – nella costruzione delle campagne e delle mobilitazioni dei movimenti. Il salto di qualità è avvenuto con il Fse di Londra, dove, ancora quasi in sordina, la mobilitazione contro la Direttiva Bolkestein è entrata fra le priorità di iniziativa nell’appello finale dei movimenti sociali. Favorita in questo dal fatto che in alcuni paesi europei la Direttiva era già al centro dell’attenzione di sindacati e movimenti (Belgio, Danimarca, Francia). Oggi la campagna europea contro la Direttiva Bolkestein comincia ad assumere la dimensione che merita, coadiuvata da campagne nazionali ormai presenti in ciascun paese europeo. E i primi risultati si vedono.
Un’opposizione diffusa Va sicuramente riconosciuto un merito a questa proposta di Direttiva: quello di aver suscitato un’opposizione diffusa e trasversale come in poche occasioni in precedenza. A tutti gli effetti, la Bolkestein comporta un tale mutamento di paradigma, che chiama in causa l’idea fondativa dell’Unione europea stessa. L’attacco alla percezione del Welfare come un mondo di diritti eguali; il tentativo di costruire un mercato interno dei servizi completamente liberalizzato; lo smantellamento, attraverso il principio del ‘paese d’origine’, dei diritti acquisiti del lavoro; infine, il progetto generale di un’Europa a due velocità, in cui i paesi dell’Est rappresentano sostanzialmente l’esercito industriale di riserva per le corporations dei paesi dell’Ovest, tutto quello, che è implicitamente ed esplicitamente contenuto nella Direttiva non poteva non poteva che suscitare la reazione delle realtà, sindacali e associative, che da sempre si oppongono alle politiche neoliberiste e pensano che un’altra Europa sia possibile solo a partire dal riconoscimento dei diritti sociali e del lavoro. Così è stato: oggi sono in campo contro la Direttiva la gran parte delle organizzazioni sindacali, confederali e non, e l’insieme dei movimenti con le proprie reti europee. Mentre piovono critiche anche da parte del mondo imprenditoriale, da diverse forze politiche delle sinistre europee e nazionali e da diversi governi nazionali. L’iter della Direttiva, la cui conclusione era inizialmente ipotizzata per la fine del 2004, è oggi stato di conseguenza posticipato a settembre 2005: un primo importante risultato, che consente nel tempo l’approfondimento della lotta per il suo ritiro.
Il nuovo pericolo A fronte di questo scenario, inizia a serpeggiare un’idea, che, se non contrastata, potrebbe inficiare i prossimi passi della mobilitazione sociale. Da più parti, infatti, si continua a sottolineare come, a questo punto, la Direttiva – per la quantità e la qualità di contestazioni accumulate nel tempo sia ormai depotenziata e non costituisca più un pericolo reale. Niente di più falso, a mio avviso. Quello che è senz’altro vero, è il fatto che ormai più nessuno, compresi i suoi promotori, pensa a un’approvazione della Direttiva Bolkestein nella versione attuale. Tutti ormai parlano di modifiche sostanziali da apportarvi, di processi emendativi anche profondi. Fino al presidente francese Chirac che, consapevole dell’effetto negativo che un’identificazione troppo passiva tra Europa e ‘Bolkestein’ potrebbe avere sugli esiti del referendum nazionale sul Trattato costituzionale, arriva a chiederne l’azzeramento. Non è tempo di cantar vittoria, io credo, perché ritengo che il vero pericolo si annidi proprio in questa fase. Se è vero, infatti, che la Direttiva Bolkestein è pericolosa perché, attraverso il principio del ‘paese d’origine’, tende a mutare il carattere fondativo dell’Unione europea – sinora basato sul principio dell’armonizzazione fra le normative dei paesi membri –, è altrettanto evidente che è sufficiente che il suddetto principio passi – anche per un solo settore di servizi, in ipotesi il meno importante – perché lo scenario strategico muti definitivamente. Intendo dire che in un tempo successivo sarebbe gioco facile estendere progressivamente e nel tempo il principio del ‘paese d’origine’ a tutti i settori di servizi attualmente previsti dalla Direttiva.
La campagna in corso È sulla base di questa analisi che la Campagna nazionale Stop Bolkestein! Stop Gats! Un’altra Europa è necessaria chiama a un approfondimento della mobilitazione. La Campagna nazionale è stata lanciata nel gennaio 2005 e, ad oggi, coinvolge reti di movimento come Attac, Arci, Rete Lilliput, Legambiente, Forum ambientalista, Unione inquilini, Libera, Medicina democratica, Abruzzo Social forum e Tavolo marchigiano ‘Fermiamo il Wto’; organizzazioni sindacali come la Funzione pubblica Cgil, la Fiom Cgil, la Flc Cgil, e sindacati di base come S.in.Cobas, Confederazione Cobas, Cub, Sult; oltre a forze politiche come Sinistra Ds, Verdi, Pdci e Prc. La campagna si articola nei territori attraverso la costruzione di decine di dibattiti informativi e di sensibilizzazione; in una petizione popolare su cui raccogliere le firme da inviare al Parlamento italiano ed europeo; in mozioni e appelli da presentare alle istituzioni locali e regionali e nella costruzione di forti momenti di mobilitazione, in collegamento con la rete europea costituitasi, nell’ottobre del 2004, all’interno del Forum sociale europeo di Londra. Momenti qualificanti di questa mobilitazione sono la manifestazione europea del 19 marzo a Bruxelles, Contro la guerra e la Direttiva Bolkestein, per un’Europa della pace e dei diritti sociali e la settimana di mobilitazione internazionale sui temi del commercio mondiale del 10-16 aprile 2005, lanciata dal Forum sociale mondiale di Mumbay nel gennaio del 2004. La Campagna nazionale pone il ritiro della Bolkestein come proprio obiettivo prioritario e come condizione necessaria per poter tornare a riflettere per un’altra Europa. Le difficoltà registrate dalla Direttiva nel proseguire nel proprio iter, le contestazioni e le prese di posizione innescate da più parti, sono certamente un primo importante risultato. Ma, proprio per evitare i pericoli di una Direttiva ‘addomesticata’ occorre continuare a premere perché soggetti come la Confederazione europea dei sindacati approdino dalla posizione di critica profonda alla richiesta di ritiro, come già fanno importanti categorie al loro interno: la Funzione pubblica, i metalmeccanici, gli edili, i trasporti, la scuola. Analogo discorso vale per le istanze politiche: se è sicuramente da registrare come un importante passo in avanti la presa di posizione contro la Direttiva di tutti i parlamentari europei che fanno riferimento all’Unione italiana, occorre chiedere loro un passo ulteriore: la richiesta del ritiro senza se e senza ma.
Ritirare la Bolkestein per cambiare l’Europa La Direttiva Bolkestein non è una degenerazione del disegno di Europa. Essa è coerente con l’idea di un’Europa ademocratica, mercantile e neoliberista disegnata dai Trattati di Cardiff, Amsterdam, Maastricht fino al recente Trattato costituzionale di Roma. A mio avviso, occorre su questo avviare un profondo dibattito politico e culturale. La Direttiva Bolkestein non rappresenta solo una distorsione degli Accordi di Lisbona 2000-2010, e quindi un provvedimento da rimettere nel giusto binario di quegli accordi. Essa rappresenta piuttosto l’uscita verso destra dal fallimento di quegli accordi. Mettere mano alla Bolkestein implica quindi un’analisi profonda del senso di quegli accordi e una loro critica radicale. Come la guerra globale permanente ha costituito la risposta di destra alla crisi strutturale del modello neoliberista provocata dalla stagnazione economica dovuta a sovrapproduzione e mancata allocazione di beni, analogamente la Direttiva Bolkestein costituisce la verifica dell’impossibilità oggettiva di quanto previsto dagli Accordi di Lisbona: la pretesa di dar vita a un’Europa tutta orientata alla competitività sui mercati e sull’esportazione internazionale e, nello stesso tempo, a un’ Europa che mantenga una qualche forma di tutela sociale e di Welfare. Si tratta ancora una volta dell’illusione di un modello temperato di neoliberismo, che non può reggere alla realtà dei fatti: divenuta impossibile la coniugazione di competitività e solidarietà, di mercato e Welfare, ecco che arriva la Direttiva Bolkestein a sancire, con la competizione selvaggia del mercato del lavoro, con la messa sul mercato dei beni comuni e dei servizi, le vere priorità – direi perfino le necessità – del modello neoliberista in crisi. Questa è la vera ragione della necessità di ritirare la Direttiva Bolkestein. Ma per questo stesso motivo occorre avere chiaro che è illusorio un ritorno ai blocchi di partenza degli Accordi di Lisbona. È un’altra l’Europa quella che vogliamo: un’Europa che parta dal riconoscimento dello spazio pubblico e dei diritti sociali e del lavoro come principi fondativi della sua organizzazione economica, politica e sociale. E sostanzi questo riconoscimento attraverso le lotte per un contratto e per normative europee sul lavoro; attraverso Direttive-quadro che stabiliscano la non negoziabilità di beni comuni e servizi nel diritto d’accesso universale e nella gestione pubblica e partecipata degli stessi; attraverso una politica fiscale europea che ponga la progressività e la redistribuzione come propri principi fondamentali; attraverso il riconoscimento di una cittadinanza europea non fondata sulla residenza. Di fronte alla pervasività di un liberismo senza confini, occorre in definitiva sottrarre ampie porzioni di vita e di società alle logiche del mercato: quelle porzioni che, sole, possono garantire che l’Europa sia un luogo di democrazia reale.
NOTE BERSANI
* Attac Italia.
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