al
Comitato
direttivo Nazionale CGIL
Comitato direttivo Nazionale FP Cgil del 20 luglio 2001
Da
tempo sono convinto che questo congresso avrebbe potuto e dovuto porsi
l’obiettivo di qualificare l’autonomia della CGIL attraverso la capacità di
fornire un contributo originale, vivo e non ossificato in rigide
contrapposizioni interne, alla rielaborazione di un progetto e di un nuovo
radicamento per le sinistre sia politiche che sociali.
Il
voto del 13 maggio – non imprevisto - ha enormemente accentuato
quest’esigenza e i primi atti del Governo di centro-destra, specie quanto al
rapporto col sindacato e con gli interessi che rappresenta,
rendono drammaticamente evidente ed attuale sia quell’esigenza che la
caducità di posizioni congressuali irrigidite sin dall’inizio del percorso
congressuale stesso. Valga, per tutti, l’esempio del modo ripetitivo e poco
attuale col quale – seppur da punti di vista opposti - viene affrontata, nei
due documenti, la questione della “concertazione” fra Governo e parti
sociali.
Sarebbero
state necessarie, al fine di dar vita ad un congresso vivo ed efficace, almeno
tre condizioni:
Un
confronto con queste caratteristiche, in grado di far pronunciare e di far
contare
liberamente e creativamente le
opinioni delle iscritte e degli iscritti, avrebbe potuto dunque
coinvolgere
unitariamente – ma non unanimisticamente - tutte le esperienze e le culture
che,
nella CGIL, vivono ormai nell’unico luogo politico-sociale comune
all’insieme delle
sinistre,
sia nella pratica sindacale e contrattuale che – non va dimenticato – nel
governo
unitario
della Confederazione e dei sindacati di categoria.
Un
tentativo di questa qualità avrebbe avuto davvero un impatto straordinariamente
forte, originale ed efficace anche sulla crisi e sulle divisioni della sinistra
politica;
La proposta – elusa e respinta sia nella maggioranza che nella minoranza della CGIL – di tentare l’elaborazione di un unico documento articolato per Tesi fra loro alternative, aveva esattamente lo scopo di rompere lo schema consueto ed aprire una strada finalmente nuova, consentendo alle posizioni innovative presenti non solo nella minoranza ma anche nella maggioranza, di liberarsi dalle rigidità degli attuali schieramenti “globalmente contrapposti” e di convergere su alcuni punti fondamentali determinando davvero, così, la concreta possibilità di affermare le correzioni e gli adeguamenti considerati importanti e necessari.
Il
regolamento congressuale approvato, rendendo ancora più ardue – rispetto allo
scorso congresso - le condizioni per presentare persino emendamenti, ha
confermato, infine, la chiusura dinanzi all’esigenza della ricerca di una
svolta vera e l’intento “continuista” sia della maggioranza che della
minoranza.
Io
penso si sia trattato di un’occasione colpevolmente mancata, e questo giudizio
lo sento confermato anche dal rischio di una sovraesposizione politico-partitica
della CGIL e delle sue componenti interne. Una sovraesposizione che comprendo
(e, nel merito, condivido) in ragione della crisi e del confronto che in questa
fase impegna i Partiti della sinistra, ma che sento incongrua se formulata in
termini di impianto di un documento congressuale della CGIL – che è in sè
“soggetto politico” autonomo - e insidiosa, in prospettiva, anche perché,
non puntando ad una nuova regolazione trasparentemente unitaria e protesa alla
ricerca delle “sintesi”possibili fra le componenti interne, preluderebbe, di
fatto, all’ossificazione, nella CGIL - per linee partitiche esplicite ma non
dichiarate - delle divisioni che travagliano la sinistra politica e ne
attraversano anche le singole formazioni.
Non mi sento affatto estraneo a tale confronto né, tanto meno, intendo sottrarmi alla responsabilità di partecipare pienamente all’esperienza della CGIL, specie in questa fase difficile.