Ieri
mattina in Via Salaria abbiamo commemorato Massimo D’Antona nel secondo
anniversario del suo assassinio.
Oggi lo
ricordiamo, qui al Palacisalfa, in un’iniziativa politica di massa.
Molti di
voi non sarebbero diventati probabilmente delegati sindacali dirigenti di
posto di lavoro, se le idee ed il lavoro di Massimo non avessero prodotto
l’architrave su cui si basa la legge sulla rappresentanza.
L’innovazione
che c’è stata, sia sul terreno del diritto, sia sul terreno sociale,
nel lavoro pubblico, non si sarebbe dispiegata senza i provvedimenti che
videro la luce grazie alla capacità di ascolto e di mediazione di D’Antona,
senza il suo lavoro paziente ed al tempo stesso in grado di trovare
soluzioni creative.
La
contrattualizzazione del rapporto di lavoro per i pubblici dipendenti, la
legge 59 del 1997, che cambiò il decreto legislativo 29 vide il
contributo determinante di D’Antona nell’affermare la valorizzazione
del lavoro pubblico come elemento centrale su cui puntare per accompagnare
il processo di cambiamento nella Pubblica Amministrazione.
La
contrattualizzazione del rapporto di lavoro è stata un tassello
fondamentale per stabilire "un nesso esplicito tra il definitivo
superamento della specialità del P.I. e l’organica riforma
amministrativa".
C’era un
solido impianto riformista ed una grande lucidità politica che faceva da
filo conduttore nei provvedimenti che hanno affrontato questioni come: il
federalismo amministrativo, la delegificazione, le relazioni sindacali nel
P.I., la nascita della contrattazione integrativa, la nuova
classificazione del personale e le regole sulla rappresentanza.
Le riforme
frutto del lavoro di D’Antona, non devono tornare indietro e noi ci
batteremo per difenderle, consolidarle ed attuarle pienamente: i nemici,
purtroppo, sono ancora tanti!
Lui manca
ovviamente prima di tutto ai suoi cari e a tutti noi.
Ciò che
non possiamo permettere di farci mancare sono i valori che stanno alla
base della sua elaborazione e del suo lavoro, quelli contro i quali hanno
sparato quando è stato assassinato.
Voglio
ringraziare Olga D’Antona che oggi è qui con noi, la sua forza e la sua
intelligenza le permettono, pur nel rinnovarsi continuo del dolore che
forse anche queste occasioni le provocano, di tenere vivo il ricordo di
Massimo attraverso l’iniziativa politica e l’impegno e noi per questo
le siamo grati.
A distanza
di due anni, gli assassini sono ancora liberi e ancora in grado di colpire
persone che hanno come unica difesa le loro idee e come unica colpa quella
di esprimerle.
Colpire in
questo modo persone inermi ed indifese è prima di tutto un atto di totale
vigliaccheria.
Confidiamo
nel fatto che le indagini portino finalmente all’arresto di questi
delinquenti.
Siamo però
stupiti e preoccupati delle continue e puntuali fughe di notizie, che si
manifestano ogni qual volta le indagini sembrano essere ad una svolta e di
cui non si individua mai il responsabile o i responsabili.
In queste
settimane sono state inviate, anche in alcuni posti di lavoro dei nostri
settori, documenti deliranti inneggianti alla lotta armata in cui il
sindacato viene indicato come nemico da abbattere.
Siamo
riusciti già nel passato ad allontanare il terrorismo dai posti di
lavoro.
Gli anni di
piombo non torneranno.
Il
sindacato ed i lavoratori ancora una volta sconfiggeranno questi rigurgiti
di follia eversiva.
Non
passeranno!
Non hanno
né presente né futuro!
Proponiamo
a CISL e UIL di tenere assemblee sui posti di lavoro contro il terrorismo,
a cominciare da quelli in cui sono arrivati i documenti intimidatori,
perché l’isolamento in cui vivono deve essere visibile e totale e
perché crediamo, come sempre, che la partecipazione di massa, la
democrazia, sia la via maestra da percorrere.
Ed è
proprio perché crediamo profondamente nella partecipazione democratica
che noi vogliamo in autunno rieleggere le RSU e questa volta anche i
rappresentanti per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Esiste nel
nostro Paese una grande questione che attiene alla sicurezza sul lavoro,
troppi continuano ad essere gli incidenti mortali, troppi sono gli
infortuni anche, contrariamente a ciò che comunemente si ritiene, nei
nostri settori, basta pensare ai VVF.
Gli
infortuni ed anche le morti sul lavoro continuano ad essere una sciagurata
ma ordinaria eventualità della normale organizzazione del lavoro.
Noi non
possiamo rassegnarci a questo sistema, l’infortunio non può diventare
una sorta di abitudine.
Se si vuole
dare concretezza alla scelta fatta dalla CGIL di fare per quest’anno una
specifica campagna con lo slogan " al lavoro sicuri" bisogna
iniziare con il dare certezza ed esigibilità alle normative esistenti.
L’elezione
degli R.L.S. dovrà essere per ciò un momento centrale del nostro impegno
nella prossima campagna elettorale in tutti i posti di lavoro.
Chiediamo
alla CISL e alla UIL di definire insieme il percorso che porta al voto per
le RSU e RLS e sono sicuro che non sarà necessario ricorrere a quella
parte della legge che consente l’indizione delle elezioni da parte di
una singola organizzazione.
I rapporti
unitari nei nostri settori, non sono idilliaci, pur tuttavia hanno tenuto,
ed io penso che questo sia stato possibile proprio perché le RSU sono
state elette in base alla legge sulla rappresentanza.
Il
misurarsi quotidianamente con i contenuti, l’affrontare e cercare di
risolvere problemi, la costruzione delle piattaforme negoziali e l’esercizio
della contrattazione in migliaia di posti di lavoro, ha costituito un
valore aggiunto, per tutti i lavoratori e le lavoratrici, e per la tenuta
di un rapporto unitario, perché ha permesso di mettere in secondo piano
le logiche interne delle singole organizzazioni.
Anche per
questo noi vogliamo rivotare, è questa a mio modo di vedere, la via per
costruire un argine alla divisione tra le organizzazioni sindacali.
Credo che
la questione della rappresentanza nei luoghi di lavoro attenga ad un
valore in sé: la democrazia nel nostro Paese e non ad un fatto privato di
questa o quella organizzazione, per quanto grande quell’organizzazione
possa essere.
Noi ci
batteremo perché il prezioso lavoro di Massimo D’Antona che ha reso
possibile ed attuabile, a più di 50 anni dall’approvazione della
Costituzione, il più alto punto di democrazia sindacale nel nostro Paese,
diventi una legge dello Stato per tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Il
Segretario Generale della CISL, Savino Pezzotta, nel suo intervento all’assemblea
dei quadri e delegati della CGIL, ha affermato che noi siamo un’anomalia
perché la legge sulla rappresentanza nel P.I. obbliga tutti a misurarsi
con il consenso elettorale dei lavoratori.
Vorrei far
notare che, laddove questa anomalia non agisce, e cioè nella parte
prevalente del lavoro dipendente – quello privato – è sufficiente il
veto di un gruppo dirigente per negare ai lavoratori il diritto di voto.
Noi
pensiamo che questo diritto debba essere considerato un diritto
individuale indisponibile.
Penso che
al Parlamento, appena eletto, dovremo riproporre l’esigenza di estendere
a tutto il mondo del lavoro il diritto al voto.
So che
sarà dura, ma non per questo si può mollare!
Il 5 maggio
dell’anno scorso eravamo in questo stesso luogo per dire forte il nostro
NO alla libertà di licenziamento che veniva proposta attraverso un
quesito referendario.
Quella
sciagurata ipotesi fu battuta dal voto di milioni di persone.
Ritengo
chiusa e vinta quella battaglia in difesa dei diritti dei più deboli.
So bene
però che sono in troppi ancora coloro che non si sono rassegnati al
giudizio delle urne, e che i tentativi di rimettere mano allo Statuto dei
diritti dei lavoratori sono possibili.
Credo che
su questa questione si debba tenere alta la guardia: sulla difesa dei
diritti delle persone più deboli non ci sono spazi per mediazioni!
Gli altri
obiettivi dell’assemblea dello scorso anno erano: completamento della
riforma della P.A., i contratti e la previdenza complementare.
Ebbene, se
pur con difficoltà e problemi, ci pare di poter dire che il processo di
riforma della Pubblica Amministrazione, sia avanzato ed abbia incominciato
e produrre effetti positivi. Il governo di questo processo, dal nostro
punto di vista, non è cosa semplice, ma ritengo di poter fare
complessivamente un bilancio positivo di questo anno di lavoro: il
decentramento prosegue, le Agenzie fiscali sono state strutturate e sono
oramai una realtà e l’Agenzia della protezione civile ha infine visto
la luce con l’approvazione di un regolamento nel quale i vigili del
fuoco cominciano ad avere una più adeguata collocazione.
Non va
però dimenticato che il processo di riorganizzazione delle Autonomie
locali è ancora agli inizi e che la realizzazione della cosiddetta
sussidiarietà orizzontale procede a sussulti secondo percorsi il cui
disegno sfugge spesso al confronto con le OOSS e provoca una segmentazione
del lavoro e dei contratti che finiscono col realizzare una riduzione dei
diritti dei lavoratori.
Infine per
ciò che riguarda la nuova forma di governo, l’esecutivo che si formerà
a giorni, è atteso alla prova dei fatti.
La stagione
contrattuale per i rinnovi del 2° biennio dei nostri comparti pubblici è
stata portata a termine positivamente.
Manca
invece ancora all’appello il contratto della sanità privata, dove
raggiungere l’accordo sulle nostre proposte e sui nostri contenuti sarà
cosa complicata e difficile, anche perché la principale controparte
potrebbe subire pesanti condizionamenti da Confindustria.
Con la
stessa determinazione e fermezza dimostrata per la sanità pubblica
andremo al tavolo della privata per conquistare il contratto di questo
importante settore che conta circa 100.000 addetti.
I contratti
conclusi recitano in altrettante singole interpretazioni, la medesima
impostazione di fondo.
Abbiamo
concluso accordi che hanno garantito la salvaguardia del potere d’acquisto
dei salari.
Quella che
definimmo un’interpretazione dinamica del 23 luglio ci ha permesso di
ottenere risultati apprezzabili sul terreno economico, ed al tempo stesso
di difendere l’impianto contrattuale che proprio nell’accordo del 23
luglio era previsto.
Lo scontro
più duro per i rinnovi l’abbiamo condotto nel comparto della sanità,
dove il problema era di natura squisitamente politica in quanto in questo
comparto hanno fatto le prove per tentare di scardinare il CCNL e il SSN.
Loro hanno
perso e noi abbiamo vinto, per ora.
Se ci
riproveranno ci troveranno di nuovo pronti!
A
Confindustria che si straccia le vesti per le quantità economiche messe
sul contratto della sanità, ricordiamo – ricordiamo solo, perché lo
sanno benissimo- che le regioni del Nord governate dal Polo, che sono
tanto amate da D’Amato, spesso proponevano, nei convegni e nei seminari,
aumenti solo per una parte del personale, da loro individuato, più
sostanziosi di quelli da noi richiesti.
Ci
proponevano, in sostanza uno scambio tra soldi virtuali e destrutturazione
del contratto nazionale insieme alla rinuncia a difendere il servizio
sanitario nazionale.
Ora si apre
una nuova tornata di contrattazione integrativa.
Negli
accordi nazionali è stato dato grande spazio alla contrattazione di 2°
livello.
Credo che
la stagione che si apre debba essere caratterizzata dalla qualità e che
la priorità delle priorità stia nel mettere davvero mano all’organizzazione
del lavoro, alla ricomposizione dei cicli produttivi e all’organizzazione
dei servizi.
Penso che
sia questa un’esigenza politica che davvero risponde ai bisogni dei
lavoratori e delle lavoratrici.
Mettere al
centro il lavoro, il suo senso, il suo valore ed il suo contenuto e da
questo partire per costruire le piattaforme di posto di lavoro, è la
sfida che dobbiamo lanciare.
Da qui
passa la possibilità di ricostruire un progetto ambizioso, culturale e
politico, che rende protagonisti i lavoratori e le lavoratrici,
collettivamente.
Mettere in
campo l’obiettivo della ricomposizione dei cicli produttivi, vuol anche
dire occuparsi delle ormai migliaia di persone che anche nei nostri
comparti hanno un rapporto di lavoro cosiddetto atipico o flessibile.
Abbiamo il
dovere di tutelare questi lavoratori certo, ma abbiamo anche la necessità
di rimettere in un unico circuito di lavoro, conoscenza e rappresentanza
questi lavoratori.
E’ questa
una questione su cui è necessario riflettere per attrezzarci in modo
adeguato.
In ogni
caso non possiamo permetterci di affrontare un nuovo ciclo di
contrattazione integrativa all’insegna di uno scambio, che pure ci sarà
proposto dalla controparte, tra erogazioni salariali e diritti.
Il
contratto nazionale va difeso e salvaguardato confermandone il contenuto
solidaristico e redistributivo.
Nel 1993
abbiamo stipulato un grande patto sociale. Quel patto ci ha consentito di
entrare in Europa garantendo il rinnovo dei contratti, il mantenimento e l’introduzione
di due livelli di contrattazione, anche laddove non si praticava, una
sostanziale difesa del potere di acquisto delle retribuzioni.
Si tratta
di risultati importanti e tuttavia non sfugge a nessuno che siamo in
presenza di una nuova fase.
Penso che,
se è vero, che i profitti delle imprese sono cresciuti, che il
risanamento sia in buona parte compiuto, che l’incidenza della spesa per
il personale nella P.A. sul prodotto interno lordo è diminuita, che la
mobilità sociale nell’ultimo decennio si è bloccata, la necessità di
attuare una reale politica di tutti i redditi è se possibile ancora più
urgente.
Sarebbe in
effetti necessario affrontare una nuova fase della concertazione, ma come
recentemente ha affermato Sergio Cofferati si dovrà prima di tutto
verificare se esiste un quadro generale di obbiettivi convergenti tra noi
e il governo di centro-destra.
L’unico
obiettivo che non abbiamo ancora raggiunto è la costituzione dei fondi
per concretizzare il decollo della previdenza complementare.
Sono state
stanziate le risorse nei contratti, ma c’è bisogno di una grande
accelerazione per portare a regime la riforma del sistema pensionistico in
ogni sua parte.
Qualora
qualcuno avesse la tentazione di rimettere in discussione la riforma
previdenziale, deve sapere che si troverebbe di fronte ad un muro, perché
noi la difenderemo, ma al tempo stesso, se i tempi per la costituzione di
quella che è stata chiamata la seconda gamba del sistema, non saranno
rapidi, noi chiederemo alla CISL e alla UIL la proclamazione dello
sciopero generale delle nostre categorie.
Il danno
che si produce sulla copertura pensionistica di migliaia di lavoratori e
lavoratrici è insopportabile.
Siamo ora
alle soglie di una nuova stagione contrattuale, di un nuovo CCNL
quadriennale.
Avremo nei
prossimi mesi modo e luoghi nei quali affrontare la discussione di merito.
Ciò non di
meno penso che la nostra iniziativa sarà in gran parte orientata dalle
scelte che saranno fatte nel DPEF e che, a termini di 23/7 dovrebbero
essere oggetto di una apposita sessione di concertazione tra le parti
sociali ed il Governo.
In
particolare la definizione del tasso di inflazione effettivamente
verificatosi nel 2000 e di quelli ipotizzabili per il prossimo triennio,
si rifletterà, qualora si addivenisse ad un accordo, sulle nostre
richieste contrattuali.
Per questo
motivo ritengo indispensabile che nel DPEF, venga previsto il
riallineamento dei tassi di inflazione attesi con quelli reali.
E’ questo
un problema che peraltro non riguarda solo le nostre categorie.
Lo scontro
che i metalmeccanici stanno sostenendo con Confindustria è in gran parte
determinato dall’interpretazione che si vuole dare dell’accordo del
luglio 93’.
Su questo
punto verificheremo se i comportamenti del Governo si collocheranno in una
posizione di garante di quell’accordo o se invece, come temo, in
coerenza con le dichiarazioni fin qui fatte dalla CdL, si schiererà a
fianco delle imprese.
La lotta
dei meccanici ha sempre assunto un significato simbolico per tutto il
movimento dei lavoratori.
I simboli,
penso siano importanti a volte, soprattutto quando dietro a questi ci sono
le condizioni di vita e di lavoro di centinaia di migliaia di uomini e
donne in carne ed ossa.
Per questa
ragione voglio dichiarare qui la disponibilità della nostra categoria a
scendere in lotta a fianco dei metalmeccanici qualora la confederazione
dovesse ritenere necessario il ricorso alla mobilitazione generale a
sostegno di questa vertenza.
Per tornare
ai nostri contratti e a ciò che attiene invece ai contenuti normativi
penso che la nostra opzione debba essere quella che porta alla costruzione
di contratti di settore, che , secondo l’impostazione della CGIL, sono l’unico
antidoto alla frantumazione dei cicli lavorativi e alla riduzione dei
diritti.
E’ una
strada impervia, che impegna già una parte della nostra categoria, penso
al contratto nazionale dell’igiene ambientale ed allo sforzo che si sta
compiendo nel settore socio-sanitario, a cui tutta la categoria dovrebbe
forse dare maggior supporto, ma che non ha alternative.
Come
affrontare diversamente l’esternalizzazione di buona parte dei servizi
pubblici locali? Come ricomporre il lavoro nel comparto della sanità tra
pubblico e privato? Avremo modo di rifletterci, ma non vedo una direzione
diversa rispetto alla quale orientare le nostre energie.
Anche
perché, al di là dei referendum truffaldini sulla devolution,
propagandisticamente agitati da Formigoni e al di là del federalismo
anti-solidale, corredato da una cultura che contiene in sé i germi dell’intolleranza
civile e di pulsioni regressive, propugnato dalla Lega, noi con i
cambiamenti in atto vogliamo misurarci.
Vogliamo e
dobbiamo affrontare queste questioni perché anche da qui passa la difesa
del valore dei contratti collettivi nazionali.
Per
sconfiggere qualsiasi ipotesi di contratti regionali e quindi di diritti a
geometria variabile, in particolar modo nei comparti maggiormente
coinvolti dai processi di decentramento dei poteri alle Regioni, dobbiamo
avere la capacità di mettere in campo proposte politicamente forti.
Infine
credo sia giusto esprimersi sul quadro politico che le elezioni della
scorsa settimana ci hanno consegnato.
Credo sia
inutile nascondere il fatto che io non sono contento del risultato
elettorale, ma non sono per nulla attonito o depresso, semmai molto
arrabbiato.
Il solo
pensiero che una qualsivoglia carica istituzionale della nostra
Repubblica, nata dalla lotta antifascista e dalla Resistenza, possa essere
affidata ad un rappresentante di una forza politica a cui peraltro il
popolo italiano non ha neanche dato voti sufficienti per raggiungere il
quorum, che nei suoi tratti costitutivi ha il separatismo, il razzismo e l’intolleranza,
financo religiosa, mi indigna.
Francamente
non capisco come nel nuovo Parlamento forze politiche, laiche e
cattoliche, che hanno tra i loro valori fondanti la tolleranza, la
solidarietà ed il rispetto delle diversità, possano accettare, senza
alcun imbarazzo tale prospettiva.
Così come
trovo intollerabile che siano tornati a manifestarsi, come si apprende
anche dai giornali, in alcune zone del Sud del Paese, nei pressi dei seggi
elettorali, fenomeni inquietanti di intimidazione.
Personalmente
penso che il centro-sinistra sia stato battuto, nonostante abbia governato
bene, portato il nostro paese in Europa, promosso riforme importanti,
attuato provvedimenti redistributivi in favore dei più deboli, anche
attraverso una nuova politica fiscale ed una continua lotta all’evasione
che se abbandonata penalizzerebbe innanzitutto il lavoro dipendente.
Ricordo in
proposito che il patto di Natale prevede che la riduzione del prelievo
fiscale sulle buste paga, sia finanziato proprio con i proventi derivanti
dal recupero dell’evasione.
Ma la
quotidiana buona amministrazione non è comunque sufficiente.
Il buon
governo non basta.
E’
mancata la capacità di offrire un orizzonte più vasto, di delineare un
progetto di società, di rappresentare il lavoro ed i lavori, di rimettere
al centro valori forti.
Io non ho
dimenticato le ambiguità i tentennamenti ed i ripensamenti che ci sono
stati ad esempio durante e dopo il varo della riforma Bindi sulla sanità,
nè posso dimenticare la solitudine e l’isolamento nel quale è stata a
volte condotta la battaglia per la riforma fiscale e la riduzione dell’evasione.
Questi
comportamenti politici hanno nei fatti depotenziato il valore della
riforma stessa agli occhi dei cittadini .
Inoltre
credo che siano mancati – e penso che vadano ricostruiti – luoghi di
discussione e di partecipazione dei cittadini.
I centomila
lavoratori e lavoratrici della sanità in Piazza San Giovanni, che
manifestavano per avere il loro contratto ed in difesa del SSN, dimostrano
che è possibile.
I cittadini
che ai lati del corteo applaudivano o commentavano positivamente la nostra
lotta dimostrano che è possibile e magari anche necessario.
E’ anche
in ragione di questa esigenza che penso che il prossimo Congresso della
CGIL debba essere un Congresso aperto.
Sollecitare
e favorire la partecipazione significa discutere partendo dalla propria
esperienza, dal merito dei problemi, dalle concrete soluzioni trovate, per
arrivare ad una sintesi politica più alta, frutto di un pluralismo vero.
Un
Congresso insomma che non sia vissuto e gestito in modo burocratico per
dividersi, contarsi e collocarsi su mozioni, ma che invece faccia parlare
la gran parte dei nostri iscritti.
Di questo c’è
di bisogno sempre, ma sicuramente ancor di più in questa fase.
Berlusconi
ha detto che il suo programma è uguale a quello della Confindustria, ed
in effetti sembra sia scritto dalla stessa mano.
Trovo
davvero inquietante che un programma di Governo non si faccia carico degli
interessi di tutti.
Pare di
trovarsi davanti ad una modifica, seppur non formale della Costituzione:
da repubblica fondata sul lavoro, l’Italia diventerebbe una Repubblica
fondata sull’impresa.
Non a caso
Confindustria ha già chiesto di riscuotere le promesse fatte in campagna
elettorale.
La
consonanza che si era registrata con la Casa delle Libertà nel convegno
di Parma, dove D’Amato aveva suggerito un’agenda in 7 punti, e vi li
voglio ricordare:
riduzione
della pressione fiscale per le sole imprese a partire dal Sud, riforma
delle pensioni e del mercato del lavoro riducendo i diritti, piano contro
il sommerso con ulteriori vantaggi per le imprese, realizzazione
infrastrutture, semplificazione normativa, rilancio di liberalizzazioni e
privatizzazioni, è ora all’incasso.
Dietro a
quest’idea si vede in trasparenza un progetto di società in cui i
diritti delle persone sono messi in discussione.
Precarizzazione,
destrutturazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, assenza di
solidarietà, sono in totale assonanza con la devolution, con la politica
dei bonus per la scuola e per la sanità.
E se tutto
questo non bastasse ancora, ci troveremo forse di fronte il problema della
difesa della laicità dello Stato.
Già
Storace nella Regione Lazio ha incominciato a varare provvedimenti che
mettono in discussione i consultori.
Ora,
autorevoli esponenti del Polo di centro-destra, dichiarano che bisogna
rivedere o abrogare la legge 194, una conquista delle donne, ma che
considero un diritto civile acquisito nel nostro Paese per tutti.
Noi non
mettiamo ovviamente in discussione la legittimità delle opinioni ed i
valori della Chiesa cattolica, vorremmo però continuare a vivere in uno
Stato non confessionale.
La CGIL ha
già detto che questo modello di società non è il nostro.
Il nostro
segretario generale ha già affermato che ascolteremo con attenzione la
presentazione del programma di governo alle Camere, ma che su sanità,
scuola e tutela dei diritti, non possiamo far altro che ribadire il nostro
NO GRAZIE!
La FP con
ancora maggior vigore dovrà contribuire a far sì che venga battuto
questo progetto politico.
Ovviamente
ci confronteremo nel merito, non conosciamo altro modo per fare il nostro
mestiere, ma altrettanto ovviamente, come ben si sa, sui valori non si
negozia!
Il
cavaliere pensa che il dio mercato governi il mondo, che l’impresa sia
al centro del mondo e che quindi debba essere liberata dai vincoli a cui
la sottopone la presenza e l’azione del sindacato, del lavoro
organizzato e certamente quindi la difesa dei diritti delle persone gli
sembrerà un fatto ridicolo.
La storia
però non si ricorda di quelli che costruiscono grandi ricchezze
personali, la storia si ricorda di chi difende la democrazia, la coesione
sociale, la civiltà, la storia la fanno le migliaia e migliaia di persone
che ogni giorno lavorano per costruire un Paese più giusto e migliore: la
storia siamo noi!
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