A proposito di... Gennaio
2003 PER
IL DIRITTO ALLA SALUTE, Piattaforma
programmatica 1 Le politiche
neoliberiste del governo 1.1
Il governo
sta perseguendo il suo disegno neoliberista in economia e nel sociale: i
diritti del lavoro e di cittadinanza sono messi costantemente in
discussione; non si promuovono politiche capaci di arrestare il declino
economico del paese; la qualità complessiva del vivere civile si
impoverisce. 1.2
Ciò
risulta evidente dal complesso dei provvedimenti fin qui assunti o
annunciati: la legge finanziaria 2003, che taglia le risorse agli enti
locali e agisce, così, pesantemente sulla qualità della vita delle
persone; la delega sul fisco, che, oltre a determinare una profonda
iniquità del sistema, riduce le risorse a disposizione per lo stato
sociale; le normative sul mercato del lavoro, che considerano il lavoro
alla stregua di una merce; la delega sulla prevenzione nei luoghi di
lavoro; la delega previdenziale, che determina una vera e propria crisi
del sistema pubblico; la
delega sulla scuola, che prefigura un futuro assai povero di saperi per le
generazioni che verranno; la
delega ambientale, che smantella le tutele in tema di acqua, suolo,
rifiuti, parchi. 1.3
Altrettanto
evidente è l’obiettivo di impoverire e dequalificare il sistema di
stato sociale fino a renderlo residuale, rivolto ai soli poveri,
svuotandolo, così, di ogni ambizione di rappresentare uno strumento
universalistico di tutela e affermazione di diritti; di determinare le
condizioni nelle quali il privato aumenti progressivamente i propri spazi,
fino a condizionare anche ciò che resterà di pubblico. Si mette in
discussione il processo di costruzione, prima e di costante adeguamento,
poi, che ha contraddistinto, per tutto il secolo passato, l’iniziativa
del sindacato e delle forze progressiste in tema di stato sociale e che ha
comportato un grande impegno democratico e civile per la redistribuzione
del reddito, per l’affermazione di diritti e di pari opportunità. 1.4 L’attacco al sistema delle tutele e dei diritti viene ulteriormente rafforzato dal disegno di legge sulla devoluzione già votato al Senato. Esso, oltre a produrre una rottura dell'unità del paese, contrapponendosi all'idea di federalismo solidale dentro un quadro forte di unità e di coesione del paese, assesta un colpo pesantissimo al sistema socio-sanitario, innanzitutto, attraverso la costituzione di ventuno diversi sistemi che producono, tra l’altro, la rottura del carattere universalistico delle prestazioni. 1.5
In tema di assetto sanitario ed assistenziale il
governo persegue l’obiettivo di de-strutturare entrambi i sistemi,
facendo leva, contemporaneamente, sia sulla riduzione delle risorse
pubbliche per le politiche sociali, sia sull’incentivazione del mercato
privato, peraltro in gran parte pagato dal pubblico. Tenta di introdurre,
così, un sistema “binario” per cui ai servizi di "qualità"
gestiti dal privato, accede chi ha le possibilità economiche; gli altri,
devono accontentarsi dell’assistenza “caritatevole” dello Stato.
In
generale, ciò che lega le scelte del governo sulla sanità e
sull’assistenza, alle deleghe sul mercato del lavoro, sulla previdenza,
sulla prevenzione, sul fisco, sulla scuola, è
il tentativo di colpire un modello economico e sociale fondato
sulla solidarietà, l’eguaglianza, la coesione sociale: cioè, di
affermare una cultura secondo la quale c’è incompatibilità fra
politiche di welfare e politiche di sviluppo.
1.6
Questa
strategia si accompagna a scelte che il governo non compie in tema di
politiche di sostegno e di inclusione che rendono sempre più evidente
ideologicamente e culturalmente la connotazione di destra della
maggioranza. Ciò è accaduto nel caso della legge sull’immigrazione,
che non solo lascia aperte tutte le contraddizioni sulle regolarizzazioni,
ma non attiva, sul terreno sociale, alcun meccanismo di accoglienza e
sostegno per coloro che sono autorizzati a rimanere, rimarcando, così, la
volontà di impedire, alla radice, il formarsi di una società multietnica.
Oppure, quando si annuncia una svolta in senso punitivo sulle
tossicodipendenze, attraverso una sostanziale imposizione di trattamenti
non sostitutivi e l’annullamento, di fatto, del principio della
riduzione del danno. Oppure ancora, quando si mettono in campo interventi
fondati sulla retorica “familistica” per “normalizzare” i rapporti
fra le persone, esaltando la famiglia esclusivamente fondata sul
matrimonio, come nel caso delle agevolazioni per il mutuo per l’acquisto
della casa alle giovani “coppie sposate”. Si produce, cioè, una
rottura del rapporto fra diritti della persona e diritti del cittadino
quando compie delle scelte non confacenti a un’etica di parte. 1.7
Tutto
questo si somma a una situazione nella quale il cittadino è costretto a
lunghe attese per le prestazioni; a migrare, sostenendone i relativi
costi, per farsi curare
adeguatamente; a restare solo, a fronteggiare il disagio, in particolare,
dopo una fase acuta della malattia. * La Cgil intende battersi per una prospettiva radicalmente
diversa: quella che fa della qualità, nelle tutele e nell’esigibilità
dei diritti, il suo connotato fondamentale e considera lo stato sociale
universalistico un fattore attivo dello sviluppo dell’economia. Come per
le politiche industriali e di sviluppo, la Cgil sceglie, quindi,
la qualità e si batte, conseguentemente, contro una politica di
spesa pubblica finalizzata esclusivamente al contenimento dei costi. * Strategiche, quindi, per la Cgil, sono l’affermazione delle
politiche di prevenzione, l’integrazione socio-sanitaria e la centralità
del territorio, la valorizzazione e il pieno utilizzo delle risorse umane. * La Cgil intende operare per affermare il diritto alla salute
come parte fondamentale della battaglia più generale sulla qualità dello
sviluppo e del vivere civile del nostro paese; per realizzare coesione e
inclusione, contro ogni logica di divisione del paese; per determinare uno
sviluppo equilibrato e socialmente sostenibile; per offrire opportunità
di nuova occupazione, in grado di soddisfare bisogni sociali che la
moderna società produce e che rimangono largamente inevasi, a partire dai servizi alla persona. * La Cgil sostiene, decisamente, il ruolo del sistema pubblico ed
il suo operare attraverso i criteri di efficacia, di efficienza e di
economicità e l’ esercizio di una funzione esplicita e riconosciuta
nella razionalizzazione dell’offerta di prestazioni, sulla base di una
lettura della domanda che ne evidenzi l’appropriatezza e l’essenzialità.
Per questo è ineliminabile la funzione programmatoria
dello Stato, che deve essere declinata a livello regionale in
termini di scelte sui servizi e sulla allocazione delle risorse
finanziarie ed umane. In questo quadro, la Cgil considera importante e da
valorizzare l’esperienza fin qui realizzata da alcune regioni, in
particolare quelle storicamente governate dalla sinistra. Esse hanno,
infatti, dimostrato che un sistema pubblico socio-sanitario improntato
alla qualità è possibile; che la programmazione democratica e
partecipata determina condizioni di cambiamento governate con il consenso
dei cittadini; che risparmi ed investimenti non sono termini fra loro
incompatibili, bensì fattori essenziali, contemporaneamente, di buon
governo e di sviluppo. * La Cgil, con questa piattaforma programmatica, intende aprire
un confronto con tutte le forze politiche e sociali - innanzitutto con
Cisl e Uil - i movimenti, le associazioni del volontariato e del terzo
settore e degli utenti e consumatori, che condividono con noi un’idea di
stato sociale universalistico. Allo stesso modo, la Confederazione intende
ricercare, sui contenuti della piattaforma, il consenso delle lavoratrici,
dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati. La Cgil, su questi
obiettivi, impegna l'intera Confederazione, a tutti i livelli, a
determinare le condizioni per una vertenzialità, in grado di conquistare
gli obiettivi qui prefissati. 2
La salute in Europa 2.1
L’Unione europea si trova nella fase costituente della cittadinanza
sociale e si misura con l’offensiva del liberismo che ha prodotto
contraccolpi nelle politiche di welfare e nei sistemi sanitari, perfino in
quelli a base universale e solidaristica. Le politiche di riduzione della
spesa sociale hanno determinato, quasi ovunque, una contrazione del
diritto alla salute e alla cura, con variazioni anche significative da
paese a paese. C’è il rischio concreto che le politiche monetaristiche
e la prevalenza di indirizzi economicistici nella costituzione
dell’Unione europea portino a uniformare le tutele al livello più basso
o comunque a determinare una subordinazione del welfare e dei diritti alla
crescita economica. Allo
stesso modo, vi è il rischio che l’allargamento a nuovi paesi possa
essere inteso come un’occasione per un allineamento agli standard più
bassi delle tutele e delle prestazioni, e non, invece, una occasione di
crescita complessiva per tutte le popolazioni della nuova Europa. 2.2 La
Carta di Nizza, varata nell’anno 2001, anche con il contributo delle
Organizzazioni sindacali europee, è certamente un punto di riferimento
essenziale per affrontare e risolvere positivamente il problema della
cittadinanza sociale europea. Essa impegna gli Stati membri dell’Unione
europea a portare i diritti di cittadinanza sociale al livello più alto e
dovrebbe impedire ogni regressione rispetto alle conquiste realizzate
nelle legislazioni di ogni paese che, peraltro, è ciò che il governo
italiano sta perseguendo con le sue politiche. * La Cgil ritiene necessario che nella Costituzione europea i
principi di universalità, di solidarietà, di equità, di partecipazione
e di responsabilità, trovino un posto centrale. In termini concreti, la
definizione di un quadro comune di “livelli essenziali ed uniformi”
dei diritti sociali in tutta l’Unione deve costituire il punto di
partenza della politica sociale europea. Si tratta di un obiettivo
necessario, possibile, ma non scontato. *
La Cgil non considera la Carta di Nizza un “protocollo”, ma un
atto fondativo di regole e di diritti davvero
esigibili. Da qui è possibile
partire perché l’Europa, per la sua cultura, per le scelte complessive
di politica sociale, che hanno prodotto fin qui i livelli più alti nel
mondo nella tutela sociale, possa dare, altresì, un contributo decisivo
al riconoscimento e all'applicazione dei principi fondamentali della
Dichiarazione dei diritti e all’affermazione di un ruolo decisionale
dell’ONU per un governo” super partes” della salute globale. *
In questa fase di transizione dell’Unione, la Cgil ritiene
necessaria una forte iniziativa unitaria delle organizzazioni sindacali di
tutta l’Europa, perché le politiche sociali e i diritti di cittadinanza
siano il fondamento e il volano di una nuova qualità dello sviluppo. 3 La salute nella
globalizzazione 3.1 La tutela della salute è, sempre più, un problema che si evidenzia a livello planetario. La nube di Cernobyl, la diffusione dell’aids, il surriscaldamento dell’atmosfera del pianeta, il naufragio della petroliera Prestige e altri fatti ancora, hanno reso evidente agli occhi del mondo che i rischi e i danni si trasmettono rapidamente da una parte all’altra del mondo e che la salute è un problema globale. Nel
“villaggio globale”, il collasso sociale di una parte del mondo
interessa inevitabilmente il mondo intero. Anche per questo il diritto
universale alla salute è oggi, più di sempre, un principio
irrinunciabile. 3.2 Il
percorso verso la realizzazione del diritto universale alla salute si è,
viceversa, interrotto, sostituito dal prevalere assoluto del profitto e
della globalizzazione del mercato. Il liberismo ha preso il posto della solidarietà internazionale. La salute, da valore in sé, è stata ridotta a grande business delle multinazionali. In alcuni casi si sono, perfino, condizionati “gli aiuti” ai Paesi poveri allo smantellamento dei sistemi sanitari, imponendo a molti governi programmi di politica sanitaria improntati a principi di concorrenza e di competizione sul mercato e sistemi di privatizzazione dell’erogazione dell’assistenza. Le conseguenze sono drammatiche. Centinaia di milioni di uomini e donne vivono in povertà estrema, al di sotto dei limiti della sopravvivenza; intere popolazioni sono falcidiate da malattie infettive, più di un miliardo di persone sono prive di acqua potabile; la mortalità infantile raggiunge in alcuni paesi africani il 150 per mille sui bambini nati, l’età media non supera i 40 anni nelle popolazioni sub sahariane, ci sono circa mille morti ufficiali al giorno per infortuni e malattie professionali. La
verità drammatica di questi risultati è così evidente che nell’anno
2000 perfino il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e
l’ONU, in un documento congiunto, hanno riconosciuto il sostanziale
“fallimento nell’affrontare le iniquità di reddito, educazione e
accesso alle cure sanitarie e le disuguaglianze tra uomini e donne…” Il
ruolo delle multinazionali raggiunge, poi, l'apice della brutalità nella
vicenda dei farmaci per i malati di aids dei paesi poveri, particolarmente
africani, con la difesa assoluta dei diritti di brevetto. * La Cgil è impegnata, al pari di altri movimenti, nello sviluppo di
una critica serrata all’ordine delle cose esistenti, al modello di un
mercato senza regole, che non si cura dei diritti, che consuma e distrugge
l’ambiente e cancella il futuro delle giovani generazioni. *
Essa, quindi, opera per coniugare le lotte per la piena
occupazione, per la qualità del lavoro, per i diritti sociali e per la
salute dentro e fuori i luoghi di lavoro, con le iniziative necessarie a
garantire la qualità ambientale. E’ impegnata per liberare la sanità
dalle scelte esclusive delle multinazionali; per azzerare il debito dei
Paesi poveri; per garantire un flusso di risorse e di programmi adeguati a
far decollare le economie locali; per modificare le inique ragioni di
scambio che penalizzano i paesi del Terzo mondo; per rispettare e rendere
cogenti gli accordi internazionali di protezione ambientale, che devono
essere coordinati dall’ONU, che rimane l’unico luogo moralmente
legittimato a rappresentare tutti i paesi del mondo; per governare i
processi di globalizzazione nell’interesse della intera umanità; per
superare l'attuale sistema di brevettazione internazionale sui farmaci; ad
assumere la salute quale obiettivo fondamentale e cartina al tornasole
della qualità dello sviluppo; ad affermare il primato del sistema
sanitario pubblico. *
La Cgil ritiene che tutti i provvedimenti di politica economica
adottati dal Governo e dalle Agenzie internazionali, compreso il Wto,
debbano essere subordinati alla valutazione di impatto sulla salute, in
modo da conseguire politiche economiche sane, pubbliche o private che
siano. 4
La prevenzione, una cultura da affermare 4.1 Gli
studi epidemiologici evidenziano la crescita del numero delle persone in
stato di disagio. Ciò è il frutto anche dell’accentuarsi della
disuguaglianza che caratterizza questa fase dello sviluppo della nostra
società. La stessa speranza di vita delle persone dipende non solo da
eventi meramente biologici, bensì dalle condizioni sociali, di lavoro e
dalle opportunità che la società offre. Il grado e le forme delle
disuguaglianze sociali incidono sulle condizioni di salute della
popolazione, tant’è che le classi sociali più povere presentano
un’attesa di vita significativamente più bassa rispetto a quelle
culturalmente ed economicamente più elevate e una minore capacità di
selezione e scelta rispetto al loro bisogno effettivo. Ciò dimostra che
le politiche della salute sono strettamente correlate ad interventi
sociali mirati e non possono essere lasciate alle dinamiche spontanee del
mercato. Cresce
l’area della emarginazione, si affievoliscono gli interventi a tutela
dei tossicodipendenti e della popolazione carceraria, riemerge una cultura
che nega i diritti, si mettono in discussione le conquiste realizzate con
la legge 180 nell'assistenza al disagio mentale. 4.2 Il
quadro demografico vede l’aumento della popolazione infantile nelle aree
meno protette dal punto di vista delle opportunità sociali e
l’allungamento della vita media, con conseguenti problemi legati a una
più lunga persistenza di cronicità di tipo sanitario. Tutto ciò rende
più complesse le scelte relative all’assistenza, ma anche centrali
nella programmazione del sistema. 4.3
L’ultimo “Rapporto sulle politiche contro la povertà”
contiene dati allarmanti: si stabilizza il dato relativo a quella che
viene definita “emergenza da esclusione”, che coinvolge almeno il
13,6% delle persone; vivono al di sotto della soglia di quella che viene
definita di "povertà relativa" 7.830.000 persone; sono stimate
in 3 milioni le persone che vivono in povertà assoluta. Nel quadriennio
1997-2000 sono cresciute le percentuali di povertà relativa tra coloro la
cui età è compresa fra i 35 e i 44 anni. Ancor più preoccupante è la
situazione tra i minori. Altro
problema è la “persistenza in povertà”. La povertà, infatti, sembra
una condizione immutabile. Molto raramente le famiglie che vivono in
situazione di povertà e di emarginazione riescono autonomamente a
percorrere la difficile strada del miglioramento della situazione
economica e del reinserimento nel contesto sociale attivo. Se nelle
regioni del centro-nord esiste qualche possibilità di uscire dalla povertà,
nel sud le speranze sono vicine allo zero. 4.4.
Sui luoghi di lavoro il tema salute e sicurezza risulta, in un
sempre maggior numero di casi, assolutamente residuale, sia dal versante
degli imprenditori, che lo considerano un puro costo, sia da quello dello
Stato e dei soggetti pubblici, che abbassano progressivamente il livello
di vigilanza, di controllo e di ricerca sulla prevenzione, con il
risultato di oltre un milione di infortuni all’anno, di cui 1500 mortali
e una consistente presenza di malattie professionali in genere
“silenti”. Rapporti di lavoro precari e piccole imprese hanno il
primato negativo in materia. In
un quadro caratterizzato dalla scarsità di risorse
messe a disposizione dallo Stato, si differenziano solo poche realtà
regionali, che hanno realizzato progetti ed investito in qualità. Tale
condizione ha subito un ulteriore peggioramento con le politiche
perseguite dall’attuale esecutivo, che mantiene un ruolo residuale per
gli operatori pubblici ed
equipara, nell’esercizio delle competenze rispetto alla
medicina del lavoro, i medici legali e gli igienisti ai medici del lavoro
specializzati in questa disciplina. La
fine del vincolo di destinazione del Fondo sanitario, ancor più in un
contesto di drastico ridimensionamento delle risorse, comporterà una
consistente riduzione degli strumenti e del personale della prevenzione. La
pressione delle imprese, gli interessi condizionanti che sussistono in
alcuni campi della ricerca biomedica, l’utilizzo poco pertinente di
alcune acquisizioni mediche e tecnologiche più recenti,
stanno mettendo sempre più in discussione la razionalità
collettiva dell’intervento di prevenzione. La
delega sulla prevenzione nei luoghi di lavoro – in corso di approvazione
– è la base che il governo si dà per smantellare l’intero sistema di
tutela della salute nel lavoro, adeguando le norme alla “compatibilità
aziendale” e rendendo più evanescenti le già scarse funzioni di
vigilanza, fino a far prefigurare la depenalizzazione. 4.5 Il quadro dei rischi che mina la salute alimentare è ampio e
grave ed una parte minima è rappresentata dalle sempre più diffuse
intolleranze, dall’aumento dei soggetti obesi nella popolazione, dal
crescente numero di anziani con patologie da alimentazione, per non
parlare delle forme acute, più
facilmente individuabili. Nulla si sa sui rischi a lungo termine derivanti
dalle manipolazioni biochimiche, di più recente introduzione; su quelli
relativi agli agenti introdotti nelle colture per la concimazione e per la
lotta agli infestanti, nonché su quelli usati per la conservazione e il
trasporto dei prodotti. A tutto ciò, va aggiunta la presenza ricorrente
di attività illegali, quali l’uso di materiali inquinati da sostanze
chimiche (pcb, diossine), l’uso di ormoni per la crescita e lo sviluppo
di particolari attitudini produttive degli animali (latte, ad esempio) e
la produzione di mangimi tramite materiali provenienti da animali anche
malati, di cui è drammatica testimonianza la vicenda della BSE. La
strategia legislativa per la sicurezza alimentare in Europa adottata negli
ultimi trent’anni si è rivelata insufficiente a garantire gli scopi cui
era dedicata e se ne è avviata, di conseguenza, la riforma, il cui punto
centrale è la trasparenza del sistema produttivo agroalimentare. *
La Cgil affronta la complessità dei fattori che compongono il
quadro della salute nel nostro paese e i rischi derivanti da veri e propri
processi contro- riformatori voluti dal governo, innanzitutto rilanciando
la cultura della prevenzione. Nella vita, nel lavoro, nell’ambiente. Essa
rappresenta il momento principale dell’intervento dei sistemi
socio-sanitari finalizzato ad implementare la qualità della vita e il
benessere delle persone ed a preservare lo stato di salute dalla
insorgenza di malattie e disabilità. *
Prevenzione significa considerare l’essere umano come persona e
la salute come un bene complessivo. *
Nell’intervento sanitario sviluppare la prevenzione significa
invertire la rotta che ha
visto finora centrale il momento della cura e dell’assistenza
ospedaliera; investire risorse adeguate per sviluppare i servizi sul
territorio; incrementare il livello di consapevolezza delle persone;
promuovere corretti stili di vita. Servono, in particolare, campagne di
sensibilizzazione e di informazione - già a partire dalle scuole -
sull'utilizzo consapevole dei farmaci, anche attraverso specifici
protocolli con i medici di medicina generale, campagne rivolte alla
prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale e delle più diffuse
patologie tumorali femminili e maschili; va, altresì, rilanciata, in
questo contesto, l'informazione sulle attività dei consultori familiari.
Occorre, altresì, attivare servizi mirati rivolti alle persone con
problematiche connesse alle diversità di identità e di orientamento
sessuale. *
Nel sociale la prevenzione significa
promuovere il benessere sociale rivolgendosi agli strati deboli
della popolazione, per reddito e cultura, agli anziani, agli emarginati,
ai tossicodipendenti, ai malati di mente, ai detenuti, offrendo loro non
solo sostegno, ma reali possibilità di riprogettare la propria esistenza.
Significa, anche, promuovere partecipazione e socializzazione e sviluppare
reti relazionali. *
Prevenzione significa creare ambienti di vita e di lavoro salubri,
eliminare le condizione di rischio, sostituire le sostanze tossiche o
pericolose e migliorare in un'opera di monitoraggio continuo il microclima
lavorativo. Prevenzione significa rafforzare le competenze del delegato
della sicurezza e promuovere la sperimentazione diffusa del delegato
sociale, collegando queste figure - per le rispettive competenze - alla
contrattazione sulle condizioni di lavoro e di vita. Significa, inoltre,
incrementare, anziché annullare, interventi efficaci di vigilanza e
sanzioni, fino al livello penale. Significa, anche, emanare i
provvedimenti che da anni il governo deve produrre, ad esempio sui
registri degli esposti, essenziali per i singoli lavoratori e per le
indagini epidemiologiche. * Prevenzione nel sistema agro-alimentare, significa applicare il
principio del “controllo di filiera”, affidandolo sia alla reciprocità
degli obblighi commerciali ed etici tra contraenti economici, sia alla
supervisione delle Autorità regionali e locali. Alla base delle scelte di
filiera e della supervisione delle autorità, il "Principio di
precauzione" è lo strumento che può indurre la prevenzione
primaria, determinata all'origine. Per queste ragioni, è necessario che
la funzione generale di controllo sugli alimenti sia esercitata dal
ministero della salute e non da quello delle politiche agricole, come
proposto dal governo. *
Prevenzione è un impegno certo di risorse, ma anche un sicuro
risparmio economico su costi sociali e sanitari futuri. * Prevenzione è un’impronta culturale che deve informare i
comportamenti di tutti e di ognuno, in particolare, di quanti programmano,
ai diversi livelli di competenza e di responsabilità loro affidate, le
attività sociali e sanitarie per la promozione della salute. * Prevenzione è, infine, promuovere una adeguata educazione
sanitaria dei cittadini, per l’appropriatezza delle prestazioni. *
Accanto al rilancio della cultura della prevenzione la Cgil ritiene
decisiva la battaglia a difesa delle leggi che, nei vari settori qui
trattati, hanno segnato il processo riformatore degli anni scorsi e che,
oggi, il governo vuole cancellare o, almeno, vanificarne la portata. In
particolare, la riforma sanitaria nella sua ispirazione di fondo e quella
ultima, la cosiddetta “riforma Bindi”, la legge quadro
sull’assistenza, la riforma della psichiatria, la legge sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro, la riforma della sanità penitenziaria e la legge
sulle tossicodipendenze. Difendere questo quadro normativo certo e
positivo per il sistema salute del nostro paese, rappresenta il
presupposto per l’obiettivo qualità che intendiamo realizzare.
5 L’integrazione socio-sanitaria e un sistema di qualità, una scelta strategica 5.1Un sistema socio-sanitario universalistico e solidaristico ha
bisogno di strutture adeguate per garantire servizi di qualità. Ciò
rende necessaria una strategia e una progettualità che
vadano oltre i confini ordinari dell’azione amministrativa e
siano in grado, invece, di mettere in rete tutte le competenze e le
risorse che operano sul territorio. 5.2 Il sistema territoriale è l'elemento su cui operare una vera e
propria svolta. Il punto critico del nostro Servizio sanitario nazionale,
che pure ha raggiunto livelli di eccellenza come dimostrano le ricerche
prodotte dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, può essere
individuato nella carenza dei servizi dedicati alla prevenzione, alla
lotta alla diseguaglianza e all'emarginazione, nella carenza di una
efficiente rete di interventi territoriali e distrettuali. Del tutto
inadeguato è stato così lo sviluppo di un sistema di cure primarie che
riconoscesse nel distretto il punto di reale integrazione e
programmazione; sono pochissime infatti le regioni che hanno spostato il
baricentro dell’intervento sanitario dalla cura alla prevenzione,
dall’ospedale al territorio, come dimostra l'Emilia Romagna, che destina
ad esso il 52% delle risorse, a fronte del 38% della regione Lazio. Questa
situazione è anche il frutto di un approccio alle questioni
socio-sanitarie ancora centrato sui servizi di carattere
clinico-individuale. 5.3 L’esigenza di programmazione e integrazione si afferma, oggi, a fronte della domanda di servizi connotata da una forte crescita e da tratti di novità. E’ una realtà che va interpretata e governata per tempo per evitare lacerazioni e squilibri sociali. L’aumento del numero degli anziani produce una domanda crescente di servizi sanitari, prevalentemente dedicati alle forme di cronicità e di assistenza socio-sanitaria. Una risposta a questo fenomeno attraverso una tradizionale politica di “posti letto” quale soluzione residenziale assistita, si rivela sempre più costosa e incontra sempre meno consenso tra i soggetti interessati. La
crescita della società multietnica determina nuovi bisogni e necessita di
nuove tutele anche sanitarie, in particolare verso gli immigrati che
ancora non sono regolarizzati. E’ una condizione, questa, che somma al
rischio per la loro salute le occasioni di esclusione. 5.4 Un moderno Servizio sanitario riserva all’ospedale il ruolo di
cura di quegli episodi acuti che, richiedendo un’alta intensità di
assistenza, un monitoraggio continuo delle funzioni vitali e un impiego di
mezzi diagnostici complessi, non possono essere affrontati efficacemente
in ambulatorio, o al domicilio del paziente. L’ospedale è il luogo dove
il sapere medico, frutto della conoscenza e della buona pratica
professionale, si integra con le straordinarie possibilità diagnostiche e
terapeutiche offerte dalla moderna tecnologia. In
questo quadro gli ospedali devono costituire une rete integrata di presidi
caratterizzati da una diversa intensità di cura e specializzazione, ma
comunque sempre finalizzate al massimo livello di qualità. In essi le
prestazioni e le dotazioni strumentali di elevata tecnologica devono
consentire la permanenza del paziente soltanto per il tempo strettamente
necessario alla risoluzione dell’acuzie o alla formulazione diagnostica.
5.5 Il sistema ospedaliero del nostro paese pur attestandosi nel suo
complesso ad un livello
adeguato alla media europea mostra ancora disequilibri e
disorganizzazione, che vanno combattuti e che richiedono progettualità,
definizione esatta degli obiettivi ed investimenti. Gli
attuali standard di dotazione in posti letto, così come definiti dalla
legge 405/2001 nel numero di 5 per mille, di cui uno per riabilitazione,
vedono un eccesso di posti letto per acuti (circa 35.000) ed un difetto
dei posti di riabilitazione e post acuzie (circa 29.500): si pone dunque
la necessità di una riconversione, che riguarda sia gli usi delle
strutture, sia le funzioni degli operatori. Le
regioni governate dal centro destra hanno scelto con determinazione un
percorso fatto di politiche restrittive, di tagli selvaggi, quanto
inutili. Sono stati chiusi interi ospedali al di fuori di una logica di
riequilibrio tra territorio ed ospedale stesso, tra acuzie e
riabilitazione. Riabilitazione che rappresenta sempre di più un serissimo
problema per il cittadino e la famiglia, proprio quando più dovrebbe
essere garantita la continuità terapeutica. Hanno finito col prevalere,
esclusivamente, esigenze finanziarie senza preoccupazione alcuna per le
conseguenze sui cittadini. 5.6 Le diverse tipologie di assistenza – dal sostegno domiciliare, al reddito minimo di inserimento, dal sostegno all’handicap, alle Residenze sanitarie assistenziali, al potenziamento dei consultori materno-infantili - coprono un ventaglio di bisogni non comprimibili che vanno affrontati attuando una programmazione territoriale consapevole dei bisogni effettivi del territorio. A
queste esigenze il governo risponde riducendo drasticamente le risorse
destinate agli enti locali a sostegno delle politiche sociali. La mancata
definizione dei Leas rappresenta, nel contempo, l’emblematica
raffigurazione di una volontà vanificatrice della legge 328 – che nella
finanziaria 2003 arriva al livello massimo di far discendere la
definizione dei Lea sociali dalle compatibilità finanziarie - e la
condizione mancante per rendere universale ed esigibile il diritto della
persona ad essere assistita in caso di bisogno. * La Cgil assume la centralità del territorio e del distretto come
asse strategico della propria iniziativa politico-rivendicativa per la
realizzazione di una vera integrazione socio-sanitaria. Centralità del
sistema territoriale-distrettuale, intesa come luogo nel quale si
intercettano i bisogni, si interpreta la domanda di assistenza, si individuano le fonti del disagio, si incontrano
la programmazione sociale e quella sanitaria; si portano i servizi
vicino alle persone e ai loro bisogni in forma partecipata; si supera
l'approccio alla politica sanitaria intesa solo come produzione
ospedaliera e di posti letto: si afferma compiutamente il diritto alla
salute e al benessere. * La Cgil si batte per una riorganizzazione della rete ospedaliera
capace di coinvolgere energie, attori sociali, nuovi investimenti. In
questo quadro, considera negativamente ogni ipotesi di scorporo degli
ospedali e di loro trasformazione in Fondazioni come meccanismo per
privatizzare il Servizio sanitario nazionale. Pensiamo ad un processo di
razionalizzazione accompagnato da una intensa azione di potenziamento
delle cure domiciliari e quindi delle strutture territoriali e dei
distretti, in grado di garantire, ad ogni cittadino, la necessaria
continuità tra la cura dell’episodio acuto e
la riabilitazione. Questo tema, peraltro, deve rientrare
formalmente nei protocolli diagnostico-terapeutici e nel percorso
assistenziale di ogni paziente. I reparti di lungo-degenza
per la stabilizzazione dei quadri clinici, i reparti di riabilitazione
estensiva, i centri di cure territoriali e gestiti in collaborazione con i
medici di medicina generale, rappresentano strutture importanti su cui
investire in termini di risorse, nuovi modelli organizzativi e
professionalità elevate. Solo in questo modo è possibile dare una
risposta adeguata e credibile ai bisogni di certezze e sicurezza espresse
dai cittadini, che altrimenti rischiano di veder sparire gli ospedali
cui essi hanno storicamente fatto riferimento, in assenza di
risposte alternative adeguate. * La Cgil ritiene necessario
ottimizzare l’utilizzo delle risorse integrandone capacità operative
per obiettivi funzionali. Propone, quindi, di realizzare veri e propri
“contenitori polifunzionali” dove si riconoscano gli spazi per le
attività di promozione della salute (che significa intercettare il
disagio anche sociale e prevenirne gli effetti negativi o, comunque,
marginalizzanti, a partire
dalla funzione dei distretti) e di partecipazione dei cittadini; luoghi
ove ospitare gli studi medici dell’area, i
servizi per la continuità assistenziale, gli ambulatori specialistici, la
struttura amministrativa di supporto e il centro unificato di
prenotazione, le attività diagnostiche strumentali previste e
standardizzate, le attività sociali e riabilitative; una sede comune che
renda contigui i servizi e gli operatori e consenta di realizzare, senza
dispersione di tempo e di risorse, l’integrazione professionale
richiesta dal piano sanitario nazionale e quella prefigurata per il
distretto stesso e per le forme del Segretariato sociale dalla legge 328. *
Nell’organizzazione distrettuale va rilanciata la funzione dei
Consultori e ridisegnata quella del medico di medicina generale
prevedendone l’ integrazione con la altre figure professionali anche ai
fini di un suo coinvolgimento diretto nella
gestione sanitaria del servizio. *
In funzione di questo obiettivo, è indispensabile che gli accordi
nazionali e regionali fra servizio sanitario e medici di medicina generale
assumano quali priorità l’associazionismo medico e lo sviluppo
dell’assistenza domiciliare integrata. Una nuova impostazione del
rapporto fra medici di base e servizio sanitario, fondata su una
integrazione reale, è condizione indispensabile per garantire ai
cittadini del distretto l’accesso alle cure non procrastinabili almeno
per tutto l’arco delle fasce diurne e le condizioni organizzative per
evitare i ricoveri inappropriati in ospedale. * La stessa assistenza domiciliare
integrata costituisce una risposta efficace che la medicina del territorio
può offrire alle persone bisognose di trattamenti integrati che non
possano essere risolti nelle strutture ambulatoriali ma che, al contempo,
non richiedano l’intensità di cure proprie dell’ospedale. Si tratta,
in sostanza, di sviluppare il sistema territoriale per consolidare l’
assistenza per le post-acuzie, sia territoriale che domiciliare. Allo
stesso modo l’ospedalizzazione a domicilio rappresenta una efficace
risposta del territorio a quelle persone che, una volta dimesse
dall’ospedale dopo la risoluzione della fase acuta, necessitino ancora
di una continuità terapeutica erogabile a domicilio
dagli stessi operatori della struttura ospedaliera. Per rilanciare
l’assistenza domiciliare è necessario pensare alla contestuale
definizione di interventi di carattere sociale – disponibilità di
sostegno parentale e di prossimità, condizione abitativa, reddito, ecc.
– che rendano possibile il mantenimento dell’assistito nel suo
ambiente abituale di vita. *
Sul versante della salute mentale occorre ribadire che il
dipartimento forte, a struttura, che il sindacato ha sempre rivendicato,
deve essere inteso come strumento di prevenzione, cura e riabilitazione,
ma anche di integrazione sociale e sanitaria. In questo modo si contrasta
una nuova stagione di istituzionalizzazione strisciante, già in atto,
dove i posti letto nelle strutture residenziali psichiatriche crescono ben
oltre gli standard previsti, sia dal Progetto obiettivo “Tutela della
salute mentale”, che dagli stessi livelli essenziali di assistenza, e
dove il disagio psico-sociale viene rinchiuso in istituzioni variamente
denominate, da “case di riposo” a Rsa, da” istituti di
riabilitazione” a “case
di cura”. Occorre, altresì, che si sviluppino nuove forme di intervento
alternative alla contenzione, che sempre di più sta riaffermandosi come
unica pratica, in particolare in direzione dei Centri di salute mentale
aperti 24 ore. Le strutture residenziali sono senz’altro necessarie in un'ottica
dipartimentale, ma come fase, temporalmente limitata, di un progetto
individuale proiettato verso il migliore possibile reinserimento sociale.
Il dipartimento di salute
mentale, infatti, non può
diventare esso stesso una istituzione ipertrofica alla quale la società
delega la gestione della “diversità”, anche attraverso l’inclusione
nel suo ambito di altri servizi considerati “collaterali” nel progetto
sanitario e sociale di questo governo,
da quelli per la tossicodipendenza a quelli per la psicogeriatria.
Deve essere, perciò, una struttura aperta ed integrata in primo luogo con
il distretto sanitario, deputato alla “lettura” del bisogno di
assistenza e, quindi, all’organizzazione della risposta sociale e
sanitaria in tutte le sue forme e integrazioni. *
Bisogna inoltre rilanciare un’iniziativa diffusa per facilitare
l’accesso ai servizi diagnostici e ridurre le liste d’attesa. Anche a questo proposito
si tratta in primo luogo di capovolgere gli indirizzi centralistici,
burocratici e inefficaci del ministero della salute, riaffermando,
viceversa, il ruolo delle regioni e delle Asl nel governo della domanda. La riduzione, il controllo
e la gestione, in forma partecipata, delle liste d’attesa costituiscono
condizioni essenziali per garantire l’esigibilità del diritto alla
salute da parte dei cittadini. Le azioni per il contenimento delle liste
d’attesa consentono di far emergere il legame fra appropriatezza clinica
e organizzativa e di dare risposte adeguate ai bisogni di assistenza dei
cittadini secondo criteri di equità e di priorità. Si tratta dunque di
applicare tutte le disposizioni in essere atte e svuotare le liste di
attesa, dando, così,
trasparenza al sistema e impedendo un uso distorto della libera
professione intramoenia e, a maggior ragione, della libera professione
extramuraria; semplificare i percorsi diagnostici e terapeutici, evitando
alle persone inutili file o passaggi burocratici ingiustificati; garantire
subito le urgenze; regolare, con altrettanta trasparenza, il sistema delle
visite di controllo. Intervenire sulle liste
d’attesa significa mettere a disposizione delle regioni e delle Asl
risorse certe e adeguate per realizzare, in forma partecipata, le
riorganizzazioni necessarie. * La Cgil, inoltre, si batte per difendere la legge 328
dagli attacchi del governo. Chiediamo la sua applicazione su tutto
il territorio nazionale, rivendichiamo
un suo adeguato finanziamento e l’attuazione di tutti gli strumenti
applicativi, a partire dalla definizione dei livelli essenziali di
assistenza sociale. * Allo stesso modo la Cgil chiede che si determini, stabilmente, per
via legislativa, così come previsto dalla Costituzione, la definizione
dei livelli essenziali di assistenza che devono fondarsi su criteri di
efficacia, appropriatezza ed equità e devono essere resi concretamente
esigibili in tutto il territorio nazionale (livelli essenziali uniformi).
Sarà questa l’occasione per definire in maniera più compiuta i criteri
di base della formulazione dei livelli stessi; colmare le lacune; superare
l’indeterminatezza delle formulazioni che rendono scarsamente esigibili
i diritti; garantire quel confronto democratico con le organizzazioni
sindacali che il Governo ha reiteratamente escluso. *
La programmazione, nonché la valorizzazione delle risorse umane e
delle risorse professionali, è
la strada maestra ineludibile per rendere virtuoso e democratico un
sistema sanitario pubblico e per garantire in concreto i diritti dei
cittadini e la loro libertà di scelta. *
Per questa ragione, c’è bisogno di un vero Piano sanitario
nazionale. Quello elaborato dall’attuale ministro della salute abbandona
la strada del confronto e della concertazione e anche per questo risulta
un progetto arretrato, per di più generico, di nessuna utilità politica,
ininfluente sulla struttura materiale del Servizio sanitario nazionale. La Cgil rivendica un Piano
sanitario nazionale, concertato con le parti sociali, che metta in essere
e faccia funzionare, a tutti i livelli, gli strumenti di conoscenza
epidemiologica e di monitoraggio necessari per una programmazione mirata;
contenga obiettivi di salute in corrispondenza ai dati di conoscenza;
stabilisca gli standard fondamentali per garantire in quantità e qualità
i livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio nazionale;
preveda, tenendo conto del
nuovo assetto istituzionale, intese nella Conferenza Unificata con le
Regioni italiane, e con ciascuna di esse; favorisca la partecipazione
democratica a tutti i livelli della programmazione sanitaria; individui le
sedi, i tempi e gli strumenti per la verifica dei risultati ottenuti dalla
programmazione. 6 Le risorse umane, un
investimento per il sistema 6.1 In un sistema orientato alla qualità il capitale umano, nel settore sanitario e in quello assistenziale, rappresenta una investimento su cui fare convergere risorse e progetti orientati alla crescita professionale. Per l’attuale Esecutivo in carica invece il personale rappresenta un costo da comprimere, un capitolo di spesa su cui realizzare economie; sono queste le vere ragioni che spingono il governo a impedire il rinnovo dei contratti non mettendo a disposizione le risorse necessarie per l’avvio della trattativa. Lo
stesso ricorso sempre più consistente a rapporti di lavoro precario e per
ciò stesso a qualificazione discutibile, oltre a rappresentare un
problema per la persona, contribuisce alla strategia generale della
maggioranza di centro-destra di dequalificare, prima, le strutture
pubbliche per determinare, poi, l’avanzamento di processi di
privatizzazione del sistema. * Le risorse umane rappresentano un
fattore primario per obiettivi di qualità. Un servizio socio-sanitario
che assuma la qualità come asse centrale del suo essere e del suo
operare, si deve porre strutturalmente il tema del coinvolgimento di tutti
gli operatori, del riconoscimento delle professionalità, della loro
partecipazione alla vita aziendale e alla definizione delle
scelte strategiche; il rapporto di lavoro deve rappresentare uno
strumento di
valorizzazione delle professionalità, un elemento di discontinuità
rispetto al precedente formalismo gerarchico burocratico che ha
caratterizzato finora la pubblica amministrazione. Il rapporto di lavoro
esclusivo per tutti i dirigenti del ruolo sanitario è il fondamento
indispensabile per una piena condivisione della missione aziendale da
parte dei propri dirigenti ed un elemento di trasparenza nei confronti
degli utenti e di quanti si affidano alla struttura pubblica. *
Lo stesso esercizio, nella sanità e nel sociale, della
contrattazione determina un fattore di qualità. Infatti, il contratto
nazionale - anche nel quadro di una prospettiva di costruzione di un unico
contratto di settore per gli operatori del privato sociale - rappresenta
non solo un insostituibile strumento di difesa universale dei diritti dei
lavoratori, ma anche un elemento di garanzia per i cittadini di accesso ad
omogenei livelli di assistenza e di fruizione di prestazioni con
caratteristiche uniformi su tutto il territorio nazionale; il secondo
livello di contrattazione, poi, intervenendo sull’organizzazione dei
servizi e sull’organizzazione del lavoro, rappresenta uno strumento
decisivo per la realizzazione di un modello diverso di
organizzazione del sistema di erogazione dei servizi, di uno snellimento
della burocrazia, dell’abbattimento delle liste di attesa, del
miglioramento e potenziamento delle prestazioni erogate, il tutto
finalizzato agli obiettivi di qualità che ci prefiggiamo. *
La formazione permanente e l’aggiornamento continuo sono gli
strumenti indispensabili per la piena valorizzazione della
professionalità del personale del servizio sanitario nazionale; essi sono
finalizzati al completamento della preparazione professionale, al
miglioramento della qualità del servizio e alla progressione delle
capacità professionali. La formazione e
l’aggiornamento professionale devono essere assunti dalle aziende come
parte integrante di un rapporto di lavoro
che veda i propri dipendenti nel ruolo di lavoratori della
conoscenza, di risorse di cui dispone l’azienda, di investimenti e non
più di semplici costi. Le aziende sanitarie
devono conseguentemente definire i programmi
di aggiornamento e di formazione continua attraverso la
costituzione di appositi organismi e la messa a disposizione di adeguate
risorse ed investimenti. 7 Diritto alla salute e
lotta all’esclusione, più risorse e più investimenti 7.1 Le risorse che il nostro paese destina al Servizio sanitario
nazionale e all'assistenza sono inferiori rispetto a quelle di altri paesi
europei. Nonostante ciò, il governo riduce ulteriormente le risorse per
la sanità e le politiche sociali, fino a decidere, sciaguratamente,
l’applicabilità, anche nella sanità, del decreto di dicembre “taglia
spese”. In questo modo, tra l’altro, si crea una situazione di
difficoltà anche per quelle regioni che hanno gestito con rigore e senza
deficit i propri bilanci e quelli delle strutture di riferimento.
L'abolizione del vincolo di destinazione del Fondo sanitario, a partire
dal 2004, è un altro elemento che rende labile il finanziamento reale del
sistema regionale e priva di certezze le singole articolazioni che lo
costituiscono. L’idea del governo, di trasformare le aziende
ospedaliere e gli IRCCS in Fondazioni, modificando radicalmente il decreto
legislativo 229, non ha nulla a che vedere con l'implementazione della
qualità, ma mira soltanto alla loro privatizzazione. Anche in questo
campo come in quello fiscale, l'idea è sempre quella dell’iniquità:
del colpire, cioè, chi si comporta correttamente. 7.2
La legge finanziaria va proprio in questa direzione: vengono
rafforzati i vincoli temporali di rientro dal deficit da parte delle
regioni, peggiorando la condizione di accesso all’adeguamento del
finanziamento del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004,
2005. Con la precedente finanziaria esso ammontava, infatti, a 12.027
miliardi di lire per il 2003 e a 13.214 per il 2004, fondi già
insufficienti, in quanto le risorse messe a disposizione per il 2003
equivalgono alla spesa registrata nel 2002. Per accedere dunque al riparto
di quel finanziamento - 12.027 miliardi di lire per il 2003 che,
evidentemente, costituiscono uno scaglione necessario a colmare la
sottostima del fondo nazionale, non fosse altro che per l’incremento
dell’inflazione reale - si decide oggi che le regioni debbono
prioritariamente sanare il disavanzo del 2002 (pari a circa 4000 miliardi
di lire) con manovre di razionalizzazione organizzativa. Ciò
significa, anche, subordinare i Livelli essenziali di assistenza alle
risorse disponibili. Tutto questo, nonostante il titolo V abbia
riconosciuto materia esclusiva dello Stato la definizione dei Lea ed abbia
previsto, in caso di inadempienza delle regioni, l’intervento
sostitutivo dello Stato.
7.3 Gli scenari futuri, poi, minacciano
la stessa
sopravvivenza del SSN; il Governo ha infatti intenzione, nell’ambito
dell’approvazione della delega fiscale, di abolire l’IRAP e con essa
una delle fonti primarie di finanziamento del SSN;
è un fatto di gravità inaudita
che l’Esecutivo abbia messo in cantiere tale progetto senza avere
indicato prima quale sarà il tributo sostitutivo, come saranno
garantite le risorse finanziarie necessarie. 7.4 La vistosa retromarcia del governo, a proposito della
progressiva cancellazione dei ticket anche sugli esami e sulle visite
specialistiche, prevista dalle finanziarie precedenti, ripropone, inoltre,
seri problemi di equità nell’accesso ai servizi, oltre a evidenti
effetti negativi proprio sui redditi dei lavoratori e dei pensionati più
deboli. La prima fase di applicazione del nuovo regime ci consegna una
situazione in cui al danno per i singoli cittadini, si aggiunge la beffa
di una babele di trattamenti diversi, contrari ai più semplici principi
di equità e di uguaglianza fra i cittadini stessi. 7.5 Allo stesso modo il governo non mette in campo un’adeguata politica industriale, senza la quale l’industria farmaceutica del nostro paese non inverte la tendenza di questi ultimi anni ad un progressivo ridimensionamento che di fatto ha assunto - per quanto riguarda la capacità di sintetizzare molecole innovative e quindi di competere sul terreno della ricerca nel mercato globale - le dimensioni di un vero declino. La
spesa farmaceutica - con l’acuirsi delle difficoltà economiche delle
regioni insieme alla stretta sui vincoli di bilancio imposti dal patto di
stabilità interno - viene
rappresentata esclusivamente in termini di costi da sottoporre a
controllo e quindi a contrazione con l’adozione di manovre correttive a
senso unico o quasi, le cui conseguenze sono state fatte ricadere
prevalentemente sugli utenti. Totalmente assente nell’azione del governo è stata una politica seriamente e coerentemente orientata a sviluppare i percorsi di appropriatezza nell’ uso di questa risorsa, il farmaco, in molti casi assolutamente insostituibile. Tutto questo rende più odiosa l’imposizione dei ticket da parte di alcune regioni, in quanto la mancanza di idonee politiche e di capacità progettuali e di governo della spesa viene di fatto scaricata sulla parte più debole e meno garantita della popolazione, quella degli utenti; nessun tentativo o quasi viene fatto per sviluppare negli operatori la cultura dell' appropriatezza e della corretta gestione delle risorse. Carente
è stato dunque in questa
partita il ruolo giocato dalle regioni che, con pochissime eccezioni tra
cui la Toscana e L’Emilia Romagna, non hanno voluto utilizzare gli
spazi, limitati, ma
esistenti. 7.6. Da molti anni l'attacco alla legge 194 si accompagna a una
lenta ma costante marginalizzazione e dequalificazione dei consultori
istituiti per promuovere la salute sessuale e riproduttiva delle donne,
degli adolescenti, delle coppie. In molte regioni i tagli che hanno
investito l'insieme dei servizi territoriali si sono abbattuti anche sui
consultori, privandoli di specifico personale e relegandoli ad ambulatori
con poche ore settimanali di apertura e procedendo a una progressiva
riorganizzazione tendente più a "seguire la maternità"
piuttosto che a rientrare nelle funzioni primarie del consultorio, che
vanno dalla prevenzione, alla educazione sessuale, al rispetto del
principio all'autodeterminazione delle donne. La dequalificazione del
consultorio porta, ovviamente, con sé, un suo progressivo abbandono, cosa
questa che viene presa a pretesto per un suo ulteriore ridimensionamento,
alimentando così il mercato privato. 7.7 La volontà di intervenire nuovamente per via legislativa sul
disagio psichico e i contenuti delle proposte che sono state avanzate,
denunciano un ritorno all’istituzionalizzazione della malattia mentale,
considerata una forma che necessita l’esclusione dalla rete dei rapporti
sociali. Così,
la diversità di chi soffre di disturbi psichici viene sempre più
accomunata a quella di chi ha problemi di tossicodipendenza, alcoolismo,
demenza. La “pericolosità” diventa l’altro elemento decisivo per
l’istituzionalizzazione e coinvolge, quindi, le forze di pubblica
sicurezza e la riattivazione degli ex padiglioni manicomiali, fino a
prevedere la legittimità dell’omissione di soccorso per quegli
operatori che abbandonassero l’intervento durante il Trattamento
sanitario obbligatorio (Tso). 7.8 La linea di assoluto disimpegno del governo verso i disabili
porterà ad un effetto
devastante sul percorso dell’integrazione sociale di questi cittadini.
Non si possono con una legge diminuire le necessità di questa fascia
debole della popolazione e delle loro famiglie, che sono gravate oltre
misura da impegni e da sofferenze per la risoluzione e l’affermazione di
diritti fondamentali. Infatti, la riduzione dei trasferimenti agli enti
locali, la diminuzione della spesa per i servizi e il mancato
rifinanziamento di leggi specifiche - in particolare a favore dei disabili
gravi, quali la legge 162/98, o la destinazione dei fondi al problema del
“dopo di noi” (come aveva stabilito la legge 388/2000) – metterà in
forse servizi essenziali, creando i presupposti per una “guerra tra
poveri”, in quanto gli insufficienti fondi trasferiti agli enti locali
vengono accorpati in un unico
capitolo, senza che siano vincolati ad un utilizzo preciso. Allo
stesso modo, con i tagli alla sanità sul versante della riabilitazione
comportano una progressiva regressione delle condizioni generali del
disabile. Il progetto di vita di ogni persona, a maggior ragione di un
disabile, è quello di
acquisire autonomia; se si limitano servizi, risorse e progetti
individualizzati, si cancella la speranza per il futuro e si assicura un
presente fatto di discriminazione ed emarginazione. Ciò comporta,
processi riabilitativi discontinui, perché legati alla scarsità di
risorse e il determinarsi di
situazioni davvero irrecuperabili. 7.9 La riduzione delle risorse destinate alla giustizia, a fronte
del mancato completamento del riordino della sanità penitenziaria,
trascina con sé gravi conseguenze, a partire da una netta diminuzione
delle ore di lavoro del personale, in larga maggioranza a contratto di
collaborazione, mentre cresce il disagio fisico e psichico delle persone, detenute e internate, ma anche del
personale addetto alla sicurezza delle carceri, che sempre più
frequentemente si trova a contatto con stati patologici per i quali non è
preparato a intervenire. Oltre
a ciò, il governo sembra intenzionato a smantellare i presupposti
normativi e culturali che hanno caratterizzato il processo di riforma
della sanità penitenziaria, aperto
con il decreto delegato in base all’articolo 5 della legge 419/98 sul
“riordino della medicina penitenziaria”, che definiva le condizioni
per il trasferimento al servizio sanitario nazionale della competenza
sulla tutela della salute dei detenuti. In particolare, il coordinamento
effettivo tra due sistemi che derivano la loro legittimazione e
autorevolezza da fonti ordinamentali diverse; il trasferimento del
personale da un’amministrazione a un’altra e la conseguente modifica
di trattamento normativo; l’individuazione delle figure professionali
necessarie allo svolgimento delle attività sanitarie; il riconoscimento
della quota-parte di funzioni legate alle procedure di sicurezza e la loro
riarticolazione compatibile con la tutela della salute, rischiano di
venire cancellati in nome di una istituzione totale. 7.10 Sul versante della lotta alle tossicodipendenze, in questi anni, non si sono stanziate risorse
adeguate per la creazione di dipartimenti, la valorizzazione del privato
sociale attraverso l’accreditamento e l’integrazione con la struttura
pubblica (Sert). In più, con la finanziaria 2003, cancellando dal Fondo
nazionale per le politiche sociali ogni vincolo di destinazione, si
rischia di colpire quelle fasce di popolazione con meno capacità di
rappresentanza e di “contrattazione”, come appunto i
tossicodipendenti. Inoltre, poiché anche le risorse del sistema sanitario
nazionale, che alimentano buona parte delle attività dei Sert, vengono
ridotte, c’è il rischio che la legge 45/99 non sia applicata.
E’ in atto, quindi, un duro attacco al tentativo compiuto
negli anni passati di affrontare il “problema droga” sulla base del
paradigma della cittadinanza. La legge 45/99 prevedeva, infatti,
l’integrazione fra servizi pubblici (Sert) e privato sociale, oltreché
il coordinamento fra Stato, Regioni e Comuni.
I dipartimenti e l’accreditamento ne costituivano i principali
strumenti attuativi. A tre anni dall’approvazione della legge
sono assai gravi, in molte regioni, le difficoltà per l'applicazione
degli atti d'intesa ad essa collegati: si fa così sempre più vicino il
rischio che il sistema integrato previsto dall’attuale legislazione non
potrà reggere e diventerà facile bersaglio di chi contrappone ai Sert le
Associazioni di Comunità, spostando il baricentro del sistema sempre più
verso le strutture private, al
di fuori di qualsiasi regolamentazione e integrazione con i Sert. 7.11 Altrettanto, se non più, preoccupante è la situazione sul
fronte della spesa direttamente sociale, anche perché siamo in presenza
di un sistema non assestato sul “vecchio” modello di intervento, né
tantomeno avviato ad assumere veramente il “nuovo” modello di welfare
locale. I Piani di Zona, strumento per attuare la programmazione degli
interventi basati sulla lettura dei bisogni reali, sono quasi dovunque
costruiti sull’esistente, piuttosto che su un progetto di politica
sociale integrata in tutte le sue funzioni. L’intero impianto della legge finanziaria per il 2003 riduce le opportunità e la capacità di spesa di regioni e comuni, sia intervenendo sulla possibilità, negata, di imposizione fiscale attraverso strumenti progressivi (l’Irpef), sia scegliendo una formulazione distorta e fuorviante del Fondo sociale senza vincolo di destinazione. Una formula in apparenza coerente con la riforma, viene inserita in un contesto di norme che ne stravolgono di fatto gli effetti. Basti rilevare, a questo proposito, la riserva di fondi vincolata con provvedimenti centralizzati, o il rinvio della riforma dei trattamenti di invalidità, che attualmente assorbono in forma rigida e precostituita la parte prevalente della spesa sociale. Si pratica dunque un indirizzo che, aumentando la quota rigida e centralizzata della spesa sociale e riducendo quella flessibile e decentrata, paralizza i tentativi locali di riforma e innovazione, riducendo gli enti locali a un ruolo residuale e asservito alle necessità di controllo centralizzato della spesa. Per
questa via, si intende adottare, nei fatti,
la strada della non trasparenza nella destinazione delle risorse
del Fondo e ciò è congeniale ad un’idea di assistenza non vincolata
alla programmazione degli strumenti e delle modalità di intervento. Si
sostiene, inoltre, un meccanismo di intervento sociale a sostegno solo
delle fasce debolissime o di bisogni particolari, lasciando all’offerta
l’iniziativa di orientare le proprie scelte indipendentemente dalla
domanda. 7.12 La legge-quadro di riforma dell’assistenza istituisce due “titoli per l’acquisto di servizi”: gli assegni di cura e i buoni-servizio. Con essi, si dà l’avvio alla sperimentazione di nuove forme organizzative che comportano rischi di ulteriori esternalizzazioni dei servizi e di una affermazione di forme improprie di libero mercato delle prestazioni assistenziali. Il buono-servizio è un titolo spendibile presso soggetti accreditati, affinché si possano acquistare prestazioni assistenziali. L’assegno di cura è, invece, una somma spendibile dal cittadino, riconoscendogli l’attività di cura svolta dalla famiglia e può essere utilizzato come supporto diretto al reddito ed impiegato per acquistare prestazioni di singole persone. In
tutti i casi, questi strumenti il centro-destra li sta utilizzando come
grimaldello per processi di privatizzazione dei servizi, con effetti
negativi sulla ripartizione del lavoro di cura e con rischi di crescita
dell'area del lavoro sommerso. 7.13 Per il finanziamento del Fondo per le politiche sociali, l’impegno a non ridurre la quota prevista nel 2001 è stato immediatamente vanificato. Si passa infatti dai 1.662 milioni di euro nel 2002 a 1522,766 milioni di euro nella finanziaria di quest’anno, in presenza di un’inflazione programmata totalmente irrealistica, che porterà ad una decurtazione in valore reale del Fondo di circa 67 milioni di euro. Inoltre,
rispetto a normative che hanno un forte valore di sostegno alle opportunità
offerte dalle politiche sociali, non si prevede, per esempio,
il rifinanziamento della legge 285 per l’infanzia e
l’adolescenza e si porta a esaurimento il reddito minimo di inserimento. *
La Cgil considera realizzabile l’incremento del finanziamento
pubblico alla sanità, rendendo il rapporto tra la spesa e il Pil in linea
con quello dei paesi come la Germania e la Francia e un adeguato
finanziamento del Fondo per
le politiche sociali, nonchè il reperimento di risorse aggiuntive per
l'insieme delle politiche dell'assistenza. *
Nell’immediato, la Cgil innanzitutto conferma la propria netta
contrarietà ai contenuti della finanziaria 2003, esprime la propria
solidarietà alle regioni che hanno intrapreso un ricorso al TAR contro il
decreto “ taglia spesa”, si impegna a che
su tutto il territorio nazionale non si proceda a tagli delle
prestazioni e ad aumento delle rette. * Nell’ambito delle modifiche da apportare al decreto legislativo 56 sul
federalismo fiscale, devono essere rivisti i
meccanismi di finanziamento delle
regioni. Il fondo perequativo, in accordo con il nuovo dettato
costituzionale previsto dalla riforma del titolo V, per potere svolgere
appieno le proprie funzioni deve superare l’attuale meccanismo di
perequazione orizzontale, a favore di un meccanismo solidaristico di tipo
verticale. * In questo quadro, occorre garantire la ripartizione delle risorse sulla
base della quota capitaria ponderata, respingendo la proposta del ministro
Sirchia di ripartizione del fondo, a partire dall'anno 2003, con un
meccanismo che prevede un progressivo ridimensionamento della quota
capitaria a partire dal 70% dell'attuale valore. Occorre inoltre
finalizzare risorse aggiuntive alle regioni meridionali – le cui
drammatiche condizioni di partenza non possono ulteriormente essere
tollerate - per piani pluriennali, concordati bilateralmente tra il
governo e le regioni interessate, di risanamento e rilancio del sistema
sanitario di quelle realtà. Questa è la condizione per garantire
concretamente l’universalità e l’equità delle prestazioni su tutto
il territorio nazionale. *
L'esperienza di questi mesi, inoltre, conferma la necessità di
rivendicare con determinazione la cancellazione del sistema di ticket
regionale sui farmaci. La Cgil ritiene che una
politica adeguata del
farmaco richieda, tra gli altri interventi, un pieno coinvolgimento degli
ordinatori di spesa (in particolare ma non solo i medici di medicina
generale) con la messa a punto di specifici protocolli
diagnostico-terapeutici per le patologie di più frequente riscontro,
finalizzati a sviluppare una corretta pratica prescrittiva, come già
realizzato in alcune regioni. La Cgil
continua a ritenere, anche alla luce del mutato quadro legislativo
venutosi a determinare con la legge 178/2002 - in cui forti risparmi
vengono ipotizzati, sia con la
nuova classificazione dei farmaci e il relativo prontuario, sia con il
nuovo meccanismo di determinazione del prezzo - che la razionalizzazione
della spesa farmaceutica non possa essere attuata con l'introduzione di
regimi di compartecipazione alla spesa. I ticket rimangono iniqui e
intollerabili perché sono posti a carico della parte più debole e meno
tutelata della popolazione e non riescono a risolvere un problema che pure
va affrontato con impegno; devono invece essere percorse le strade
alternative, che pure esistono e che riguardano: da un lato
la corretta pratica prescrittiva da parte dei medici e l’uso
nella valutazione dell’efficacia clinica e terapeutica della medicina
basata sulle evidenze; dall’altro,
tramite il ricorso a misure organizzative capaci di determinare
risparmi, come la distribuzione diretta dei farmaci da parte degli
ospedali, la stipula di appositi accordi regionali finalizzati alla
riduzione di costi (tra produttori, farmacie e regioni e organizzazioni di
rappresentanza) e l’impiego estensivo dei farmaci generici non più
coperti da brevetto. La Cgil ritiene necessaria
una nuova politica industriale del settore farmaceutico, fondata su
processi di innovazione e ricerca, in grado di mantenere una produzione di
qualità nel nostro paese. * La Cgil conferma la messa al centro della propria iniziativa il
rilancio e la promozione delle salute sessuale e riproduttiva delle donne,
la difesa della legge 194 e della libertà e autodeterminazione delle
donne contro chi vuole imporre con una serie di provvedimenti (anche sulla
fecondazione medicalmente assistita) uno stato etico e anche contro tutti
quelli che intendono speculare sul desiderio di maternità e sulla salute
delle donne per arricchire il mercato privato. Per questa ragione, la
Cgil intende avviare una campagna di iniziative culturali e negoziali per
mettere sotto osservazione i servizi preposti, a partire dal rilancio e
dalla riqualificazione dei consultori. Essi devono essere dotati di
risorse finanziarie e professionali adeguate, per avviare un processo
educativo e di promozione della salute nel territorio, rivolto all'utenza
più a rischio di maternità indesiderate o di malattie sessualmente
trasmissibili. Questo significa comporre delle equipe mediche e sociali,
che agiscano con modelli organizzativi integrati e con nuova progettualità.
Questa iniziativa della Cgil non può che essere pensata e agita
rilanciando le reti di rapporto con tutti i movimenti femminili e
femministi che lavorano nel territorio. *
Per quanto riguarda i buoni servizio e gli assegni di cura, la Cgil
ritiene che essi rappresentino un rischio per la tenuta del servizio
pubblico. Alla luce di tutto ciò, i buoni-servizio previsti dalla 328, di
fronte all'aumento della domanda, devono essere utilizzati solo in forme
integrative e a condizione che si inseriscano entro il quadro della
programmazione pubblica degli interventi. Gli stessi vanno, inoltre,
subordinati alla valutazione di appropriatezza ed efficacia da parte delle
unità di valutazione multidimensionale previste dalla 328. Ciò è
indispensabile per evitare il
prevalere di logiche di mercato improprie nell’area delle prestazioni di
cura, fenomeni di deresponsabilizzazione degli enti locali, il
potenziamento di una rete informale non professionale dell’offerta.
Ancora più rischioso è l'utilizzo dell'assegno di cura, trattandosi di
uno strumento puramente monetario, che incentiva una risposta privata,
fuori dalla rete dei servizi, a scapito di un'assunzione di responsabilità
collettiva e solidale. *
La Cgil si attiverà, a tutti i livelli, nazionale e territoriale,
affinchè vengano previste adeguate risorse finanziarie per l'applicazione
concreta delle leggi che, da diversi anni, permettono l'integrazione
attiva della persona con disabilità. *
La Cgil rivendica l'estensione del Reddito minimo di inserimento,
come misura concreta e non puramente assistenziale di lotta alla povertà
e all'esclusione sociale. *
La Cgil rivendica, infine, la costituzione di un Fondo nazionale
per la non autosufficienza, quale integrazione ulteriore del Fondo per le
politiche sociali. Il Fondo nazionale rappresenta una necessità assoluta
per far fronte a un fenomeno le cui caratteristiche e quantità
rappresentano già oggi e sempre più in avvenire, una vera e propria
emergenza per milioni di persone, soprattutto anziani, e per milioni di
famiglie. Il carattere nazionale del Fondo ne garantisce la fruibilità su
tutto il territorio e non impedisce che nelle regioni si prevedano forme e
modi di implementazione dello stesso, utilizzando, innanzitutto, al
meglio, le risorse delle regioni e dei comuni oltreché i patrimoni delle
Ipab e delle Fondazioni. Il Fondo deve essere alimentato sulla base di
principi di universalità e solidarietà e, di conseguenza, non può che
riferirsi alla fiscalità generale. 8 L'accreditamento, regole
e qualità 8.1 In tema di accreditamento, in questi anni, si è proceduto,
nella maggioranza dei casi, nella totale inosservanza della legge.
L’accreditamento, infatti, rappresenta il processo fondamentale in
base al quale i soggetti che vogliono erogare prestazioni sanitarie
ottengono da parte delle regioni l’ autorizzazione all’esercizio delle loro attività, potendo così operare per conto, o a carico, del servizio
sanitario. La concessione dell’accreditamento istituzionale è
subordinato, da un lato alla programmazione regionale, dall’altro al
possesso di requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità
rispetto agli indirizzi di programmazione regionale ed
alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati
raggiunti. L’accreditamento, quindi, non si esaurisce nell’atto del
suo accoglimento, ma rappresenta un processo dinamico nel corso del tempo;
esso, infatti, è sottoposto
a costante verifica e non può certo costituire, come spesso accade,
vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a
corrispondere, in eterno, remunerazione delle prestazioni erogate. In
più, abbiamo assistito a come la definizione dei requisiti indispensabili
per l’acquisizione del titolo di soggetto accreditato, demandata dal
Decreto legislativo 229 ad
uno specifico atto di indirizzo e coordinamento, sia stata
irresponsabilmente omessa dal governo. Oltre
all’inosservanza della legge, molte regioni hanno proceduto
all’accreditamento, seguendo l’unico interesse a che strutture
private, indipendentemente da ogni accertamento sui requisiti di legge,
entrassero nel “mercato” del socio-sanitario, con l’obiettivo di
spostare risorse dal pubblico al privato. Nessun rapporto, quindi,
neppure, con la programmazione regionale. Infine, un costo elevatissimo
per la collettività, come dimostrano i casi, in primis del Lazio e della
Lombardia. 8.2 La definizione dei Leas e il principio della universalità dei servizi e delle prestazioni devono accompagnarsi al raggiungimento di una nuova qualità dei servizi. Le istituzioni locali nel corso degli ultimi anni, a fronte di minori trasferimenti di risorse e di una crescente domanda di servizi, hanno fatto uno sforzo per mantenere e in alcuni casi sviluppare i servizi sociali contenendo la spesa. L’affidamento di parte dei servizi attraverso gare al massimo ribasso e senza criteri di misurazione della qualità dei servizi stessi ha comportato spesso l’erogazione di prestazioni non rispondenti ai reali bisogni della persona. La mancanza da parte degli operatori di professionalità e di esperienza, di qualità organizzative, compromette i risultati con conseguente spreco di risorse umane ed economiche. Mancano la volontà e la capacità amministrativa ai diversi livelli istituzionali di definire e far rispettare requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi. Altrettanto
trascurato è l’impegno verso la valutazione dei risultati, e ciò non
consente di intervenire
tempestivamente a migliorare la qualità delle prestazioni e dei servizi
che non raggiungono i risultati previsti. *
La Cgil ritiene che l’emanazione dell’atto di indirizzo e
coordinamento sia un atto non più procrastinabile se si vuole dare
certezza e qualità al nostro servizio sanitario. Del pari, vanno
incrementati i fondi per gli investimenti in conto capitale, in mancanza
dei quali diventa impossibile adeguare le strutture pubbliche agli
standard richiesti. *
Nell’atto dell'accreditamento devono trovare ampia definizione le
dotazioni strumentali e tecnologiche che sono la garanzia della qualità
delle prestazioni rese richieste; queste
devono essere rispondenti a criteri
di appropriatezza per quantità, qualità e funzionalità in
relazione alla tipologia delle prestazioni erogabili e alla loro diversa
complessità; il modello di organizzazione interna
adottato dai soggetti erogatori dovrà necessariamente essere
conforme a quello dipartimentale ed essere basato sulla
interdisciplinarietà degli interventi. Le strutture accreditate devono
dunque garantire uniformemente e senza distinzione, basata sulla loro
natura giuridica, standard ottimali di organizzazione interna, con
specifico riferimento alla dotazione quantitativa
e alla qualificazione professionale del personale effettivamente
impiegato e garanzia di applicazione del ccnl di settore. Momento centrale
del processo è poi la partecipazione degli operatori a processi di
valutazione sistematica e continuativa dell'appropriatezza delle
prestazioni erogate e della loro qualità. *
Nelle strutture accreditate grande
rilievo deve essere riservato alle forme di partecipazione democratica dei
cittadini e degli utilizzatori dei servizi e delle loro associazioni alla
verifica dell'attività svolta e alla formulazione di proposte rispetto
all'accessibilità dei servizi offerti. Per affermare la qualità
sociale del servizio occorre definire i criteri distintivi della qualità
stessa, attrezzare le strutture pubbliche ad effettuare monitoraggio e
valutazione dei risultati. Ma soprattutto è indispensabile richiedere ai
soggetti erogatori di servizi una serie di obblighi previsti dalla legge
328/2000 quali: la presenza di figure professionali adeguate al servizio
da svolgere e di un coordinatore responsabile del servizio; l’adozione
di una Carta dei servizi sociali e di un registro degli utenti del
servizio con l’indicazione dei piani individuali di assistenza, sulla
base dei quali definire norme
per l’accreditamento sociale. A questo fine è
necessario che ogni livello istituzionale svolga i compiti di indirizzo e
legislativi che la stessa legge 328/2000 ha affidato. Lo Stato deve
emanare linee guida, le regioni debbono disciplinare le modalità per
l’istituzione dell’elenco dei fornitori di servizi autorizzati che si
dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e
caratteristiche qualitative concordate, i comuni devono stipulare
convenzioni con i fornitori iscritti nell’elenco definito a livello
regionale. 9 Terzo Settore, un
fattore di qualità 9.1 A seguito della definizione del Piano di intervento sui servizi sociali, nella fase di progettazione e di gestione della rete di servizi sociali e sanitari, una funzione importante va riconosciuta al Terzo Settore che ha registrato negli anni scorsi, e ancora più in tempi recenti, uno sviluppo organizzativo e occupazionale considerevole, anche se non privo di contraddizioni. Queste ultime, dovute principalmente alla diffusione di una cultura e di una pratica di riduzione della spesa pubblica che ha utilizzato il Terzo settore come strumento di compressione dei costi e prodotto in vari casi, di conseguenza, una scarsa qualità dei servizi e il mancato rispetto dei contratti nazionali di lavoro. La
politica finanziaria del governo che ha ridotto le risorse per i servizi,
i ripetuti tentativi del governo stesso di dividere la rappresentanza del
Terzo Settore, le spinte interne ed esterne al Settore tese ad accentuare
più il carattere privatistico che quello sociale delle diverse
organizzazioni, la legge delega sull’impresa sociale, la modifica della
legge sul socio-lavoratore di cooperative, mettono continuamente alla
prova l’identità riformatrice e progressista dei protagonisti dello
sviluppo dell’economia sociale. Il complesso e variegato mondo
costituito dal volontariato, dall’associazionismo, dalla cooperazione
nazionale e internazionale, al proprio interno ha forti motivazioni
partecipative, solidaristiche, etiche, nonchè religiose.
* La Cgil considera la rappresentanza unitaria e l’autonomia del
Terzo Settore valori da difendere. Ritiene dannosa la pratica
di chi cerca di dividere il mondo dell’economia sociale tra chi
deve operare con la logica imprenditoriale e chi ha il compito di
occuparsi in modo caritatevole degli ultimi. In tutti i casi la Cgil
considera una garanzia per le
istituzioni e per i cittadini il fatto di contare su un soggetto che opera
per lo sviluppo dell’economia e della coesione sociale. * La Cgil condivide con il Terzo Settore alcuni principi che sono alla
base della costruzione di una nuova rete di servizi sociali. In
particolare: lo sviluppo economico compatibile con l’universalità delle
prestazioni; la partecipazione attiva dei cittadini alla definizione e
alla gestione dei servizi di un rinnovato welfare. * La riorganizzazione territoriale dei servizi e delle prestazioni
sociali deve superare vecchie logiche e riconoscere al Terzo settore un
ruolo importante nella progettazione e nell’innovazione delle pratiche
di gestione dei servizi, nella promozione di nuove relazioni sociali. Allo
stesso modo, il terzo settore deve riconoscere nel valore del contratto
collettivo nazionale di lavoro un elemento di valorizzazione e di tutela
dei lavoratori e di promozione della qualità dell’intervento. E ancora,
occorre che il terzo settore abbandoni negli appalti la pratica del
massimo ribasso. Occorre potenziare e coordinare meglio tutte le risorse
finanziarie, culturali, professionali, presenti nel territorio attraverso
un processo di partecipazione attiva dei cittadini e delle organizzazioni
interessate alla conquista di nuovi diritti e allo sviluppo economico e
sociale del territorio. * Il Terzo Settore deve essere
sempre più un soggetto politico e sociale impegnato da un lato a
sostenere i processi e le iniziative contro il disagio, la povertà,
l’esclusione sociale, e dall’altro a lavorare per il rinnovamento
della rete dei servizi sociali e sanitari. 10 La sanità integrativa,
un'opportunità per ampliare l'offerta di prestazioni 10.1 La politica del governo punta all’estensione del mercato privato e, per questa via, induce al consumo sanitario, anche in eccesso e – per le dinamiche messe in atto con la gestione dei Lea e le modalità della loro applicazione – rende di fatto diversificato l’accesso alle prestazioni, da regione a regione, ingenerando nella popolazione la sensazione di precarietà e difficoltà nell’ottenere ciò che ritiene suo diritto. Per
questa ragione, le continue “incursioni” dei soggetti istituzionali
sulla mutualità trovano ancor più facile presa. 10.2 La centralità dei livelli essenziali di assistenza, della loro
caratteristica di universalità sul territorio nazionale, della loro
preesistenza all’allocazione di risorse necessarie e sufficienti da
parte delle regioni per garantirle proprio
in quanto uniformi ed appropriate è messa in discussione dalla
gestione che il governo e alcune regioni ne stanno facendo. *
I principi di fondo che guidano la Cgil nel campo della mutualità
integrativa riguardano, innanzitutto, il fatto che la stessa sia intesa
effettivamente come opportunità per accedere a prestazioni sanitarie non
offerte dal Servizio sanitario nazionale (ossia, quelle non previste dai
Lea); che le opportunità della sanità integrativa non si traducano in
elementi di disuguaglianza nell’accesso alle prestazioni per fasce di
popolazione; che, in tal senso, si realizzi effettivamente una massa
critica finanziaria capace di “reggere”
l’impegno finanziario della domanda di prestazioni previste dal
D.Lgs.229 (ivi comprese quelle di integrazione sociosanitaria);
che i sistemi di sanità integrativa (mutue o assicurazioni) non
operino distinzioni sulla base del rischio individuale. * La Cgil giudica essenziale che le forme di Sanità integrativa non
implementino una domanda sanitaria eccessiva e non appropriata e,
attraverso questa via, anche il livello della spesa. Il rischio di una
domanda impropria – cui si risponde con un eccesso di prestazioni –
trova d’altro canto ragion d’essere nell’insicurezza generata anche
dalla difficoltà di avere certezze circa i tempi e le opportunità di
accesso alle diagnosi – prima ancora che alle terapie – attraverso il
sistema delle liste di attesa non qualificate e non costruite su criteri
di separazione delle priorità. * La Cgil considera i Livelli essenziali di assistenza, la loro
uniformità sul territorio nazionale e la loro appropriatezza il
discrimine sul quale costruire forme di Sanità integrativa che
comprendano prestazioni in grado di ampliare l’offerta dei Livelli
essenziali di assistenza e non di sostituirsi ad essa. Solo a questa
condizione le opportunità “aggiuntive” offerte dalla Sanità
integrativa non si traducono in elementi di disuguaglianza nell’accesso
alle prestazioni per fasce di popolazione. * La natura sindacale e contrattuale di molti Fondi sanitari ci obbliga
ad una riflessione di merito, circa i loro contenuti, il loro utilizzo, la
loro necessità e la coerenza con gli obiettivi proposti a riferimento di
un loro sviluppo, non controproducente rispetto al sistema che vogliamo ed
alle dinamiche della spesa. Inoltre, la consapevolezza
di diverse capacità negoziali ci deve rendere chiaro che il sistema
contrattuale attuale introduce comunque all’interno del mondo del lavoro
disuguaglianze nelle opportunità derivanti dal diverso grado possibile di
copertura negoziale. *
Obiettivo della Cgil deve essere quello, in ogni caso, di sostenere
a livello territoriale forme utili ad
evitare, anche attraverso l’applicazione di quanto previsto dal decreto
229 sulle gestioni miste di fondi integrativi sanitari,
discriminazioni rispetto a fasce di popolazione non tutelata da
strumenti negoziali, che finirebbero per costituire fasce “residuali”
nell’accesso all’assistenza sanitaria, in presenza di un sistema che
non erogasse correttamente i Livelli
essenziali di assistenza. 11 La ricerca, un fattore
di sviluppo 11.1 La questione della ricerca biomedica si pone, nella nostra società, come un elemento essenziale per la qualità del sistema sanitario e delle cure: perciò essa va colta nella complessa molteplicità dei suoi aspetti, che riguardano le sue finalità cliniche, i luoghi e le modalità del suo sviluppo, le caratteristiche funzionali alla domanda di salute, le professionalità dei soggetti che la producono, la loro formazione e le caratteristiche di interdipendenza con il sistema sanitario, o con quello più complessivo del mercato, il suo rapporto con il mercato farmaceutico, il suo rapporto con le innovazioni più strettamente legate alle biotecnologie, le quantità di risorse dedicate. In tale partita, un ruolo di rilievo hanno svolto finora gli IRCCS, riuscendo in molti casi a coniugare ricerca biomedica e assistenza di qualità. Inoltre,
l’insieme della ricerca biomedica, collegata o meno all’assistenza
sanitaria, ci pone oggi problemi inediti e acuiti dall’esistenza della
società dell’informazione con il
conseguente interrogarsi anche sull’uso dei saperi e sulle possibili
distorsioni, che hanno sempre effetti significativi sul tessuto sociale,
spesso manipolati a fini economici o di controllo sociale. 11.2 I problemi inediti posti dalle nuove frontiere della ricerca,
nei rapporti fra uomo e natura (il senso del limite e le problematiche
della bioetica), tra scienziato e società (responsabilità della scienza,
comunicazione, trasparenza delle scelte nell’implementazione dei
saperi), tra scienza e politica (la delega all’uso delle scoperte
scientifiche e il suo utilizzo per il consenso sociale), tra politica e
istituzioni (per esercitare le forme di controllo sociale), sono alcuni
dei temi cui prestare grande attenzione. Essi colgono i nessi profondi tra
la scienza, il suo utilizzo e le trasformazioni della società civile e
dei suoi paradigmi teorici. 11.3 Su tutto ciò, però, gravano le scelte politiche del governo. Gli interventi sull'Università e sulla ricerca, ivi compresa la riduzione dei finanziamenti, la riforma in senso privatistico nella gestione dei Policlinici e degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), nell’ambito solo delle azioni sul sistema sanitario, definiscono un quadro assai allarmante. In particolare, la finanziaria taglia il 15,59% dei fondi per la ricerca sanitaria complessivamente. Si cerca di far dipendere sempre di più gli Enti e le strutture istituzionali che si occupano in particolare di ricerca biomedica dalle Fondazioni e dalla case farmaceutiche. Gli effetti sono evidenti: da un lato il rischio di condizionamenti sempre più massicci sugli obiettivi della ricerca; dall’altro, la sempre minore autonomia finanziaria dei centri di produzione e di applicazione della ricerca biomedica, con ripercussioni gravi sulla loro stessa sopravvivenza e sulla formazione e promozione delle professionalità necessarie. Rischia di determinarsi, quindi, una situazione delicatissima per le implicazioni future che tutto ciò comporta. Per
l’Università, la mancata attuazione della delega che riformava il
rapporto tra il Ssn e l’Università stessa, ha facilitato le condizioni
per la proposta di riforma del ministro Moratti e per il consolidamento
delle posizioni di potere dei clinici universitari. Queste scelte, oltre
che alle ragioni di interesse dei poteri forti, rispondono a una logica di
frammentazione dei luoghi e degli indirizzi della ricerca biomedica,
funzionale all’inserimento di soggetti privati. 11.4 La vicenda degli Istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico è emblematica. E’ stata da poco approvata la legge che ne
cambia radicalmente la configurazione. Mentre la gestione degli Irccs
dovrebbe caratterizzarsi sempre più per
indipendenza e autonomia, a partire
dagli indirizzi della ricerca, per ancorarla agli obiettivi della
medicina basata sull’evidenza (utili alla definizione dei principi di
appropriatezza ed efficacia delle cure) e nel ruolo indipendente dei
medici e ricercatori, la legge imprime una svolta e pregiudica proprio
questi principi, attraverso la
trasformazione di questi Istituti in Fondazioni sottoposte alla vigilanza
non solo del Ministero della salute, ma anche del Ministero delle finanze
e dell’economia. Si prevede inoltre, nella gestione e negli assetti
proprietari, la partecipazione di soggetti privati anche per le attività
di cura, laddove in ragione normativa sono stati fino ad oggi esclusi
dall’esercizio diretto dell’assistenza nell’ambito delle strutture
pubbliche. E’ evidente quanto tutto ciò incida sugli stessi indirizzi
della ricerca pubblica biomedica e sull’autonomia degli operatori. I
soggetti privati, infatti, avranno un ruolo notevole proprio nel definire
i piani e gli indirizzi della ricerca. E’ evidente, allo stesso tempo,
l’esito che questo meccanismo produrrà: la ricerca privata e i suoi
interessi, tradizionalmente fortissimi nel campo della sanità e della
biomedicina, condizioneranno fortemente le scelte degli obiettivi di
ricerca degli Istituti. 11.5 Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico rappresentano, invece, punti importanti per la ricerca in sanità pubblica, fortemente collegata all’assistenza, che offre un terreno privilegiato di ricerca finalizzata, capace di cogliere la domanda biomedica e clinica e di cercare risposte con una visibilità e una trasparenza più vicine alla percezione delle persone. Un rischio analogo a quello degli Irccs lo corrono i Policlinici universitari a gestione diretta, trasformati in Fondazioni, i cui effetti non sembrano meno dirompenti sulla qualità dell'assistenza e della ricerca. Siamo,
quindi, in presenza di una pesante e interessata intromissione dei
soggetti privati nella definizione dei piani e degli obiettivi di questi
istituti. 11.6 Tutto ciò si rifletterà, com’è ovvio, anche sulla ricerca
farmaceutica: nessuno ignora, infatti, che i “trials” di
sperimentazione si avvalgono di nuovi preparati in campo farmacologico e
che l’industria farmaceutica già da tempo, negli istituti di ricerca
clinica privati, condiziona criteri e tempi della sperimentazione. * La Cgil intende affrontare, assumendone tutta la complessità, la questione della ricerca biomedica, considerandola una chiave di volta nella definizione di un sistema sanitario di qualità. Ciò significa sviluppare un’analisi attenta e coerente delle problematiche della ricerca biomedica, nel quadro delle bioscienze, da tutti i punti di vista: culturale, delle relazioni sociali, dell’assistenza sanitaria, fino ad investire il sistema formativo e informativo. *
La Cgil ritiene essenziale riprendere gli indirizzi definiti dalla
legge 517/99 per il riordino organizzativo e funzionale dei Policlinici
universitari, in direzione del loro rapporto con il sistema sanitario e la
titolarità programmatoria delle regioni. *
La Cgil considera la privatizzazione degli Irccs e la loro
trasformazione in Fondazioni una scelta sbagliata, tesa a cedere la
ricerca biomedica pubblica, nonché i punti di eccellenza attualmente
esistenti, al mercato e ai suoi interessi. *
La Cgil si impegna, quindi, insieme a tutti i soggetti
professionali, sociali e istituzionali, a contrastare le scelte del
governo in materia di ricerca scientifica e in ambito biomedico.
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