pubblicato sul n. 35/2006 del Sole24 Ore Sanità
Libera professione intramoenia e liste di attesa, sono due aspetti rilevanti per la sanità pubblica sui quali è necessario fare chiarezza, onde evitare equivoci e strumentalizzazione, a danno dei cittadini e degli stessi medici. Silvio Garattini, (v. Il Sole24 Ore Sanità n.29/2006), ha proposto il divieto per i medici pubblici di poter svolgere attività libero professionale, sia intramoenia che extramoenia. Sindacati medici autonomi reclamano invece (v. Il Sole24 Ore Sanità n.29/2006) il diritto per il medico pubblico di poter svolgere sempre e comunque l’attività libero professionale. Il nostro ragionamento non può che partire da una situazione reale, fotografata dalla Ragioneria Generale dello Stato, che nel rapporto 2005 denuncia l’inosservanza della normativa e dei regolamenti di attività intramuraria, e la mancata connessione, nella sua programmazione e controllo, con le liste di attesa, anche a causa del proliferare di autorizzazioni allo svolgimento dell’attività presso studi privati, anziché in spazi posti a disposizione dalle aziende pubbliche. La Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama ha anche avviato un’indagine conoscitiva sulla libera professione intramoenia per verificare il fallimento della 229 in relazione alla riduzione delle liste d’attesa. Il suo Presidente Ignazio Marino ha affermato che con il convenzionamento degli studi privati dei medici con gli ospedali “non è cambiato nulla e per i cittadini ed è peggiorata la situazione. Si sono create liste d’attesa con fenomeni a volte intollerabili rispetto alla suddivisione dei cittadini in abbienti e non abbienti, quelli che possono avere subito tutto e altri che aspettano mesi”. Basta leggere i risultati delle indagini delle associazioni dei cittadini per rendersi conto che la realtà quotidiana è ben lontana da una situazione ideale, dove la malasanità è solo conseguenza di illeciti penali. L’obbiettivo della libera professione intramoenia contenuto nella 229, e concordato con la Bindi, non era certamente questo. Ed oggi è insostenibile che per una prestazione sanitaria il cittadino debba aspettare diversi mesi, quando pagando il pomeriggio lo stesso medico che la mattina lavora nel pubblico, la ottiene in pochi giorni con l’intramoenia, allargata o non. Il diritto alla cura non può e non deve essere garantito dall’intramoenia, perchè in un sistema sanitario che si rivolge a tutti, e che tutti pagano attraverso la fiscalità generale secondo le proprie capacità contributive, non è ammissibile una differenziazione dei cittadini nell’accesso alle prestazioni sanitarie dovute, tra chi può pagare e chi no. La ratio della libera professione intramoenia per noi si deve tradurre nella possibilità del cittadino di poter scegliere quando e da chi farsi visitare od operare, e un più alto livello di comfort alberghiero; fermo restando per tutti i cittadini, anche non paganti, il diritto ad essere visitati ed operati nei tempi giusti. A fronte di questa situazione continuiamo a credere al diritto alla libera scelta del cittadino, e per questo siamo d’accordo con la possibilità per i medici pubblici di poter esercitare la libera professione intramoenia. Il problema è che la scelta dei cittadini deve essere veramente libera e non essere condizionata dalla necessità di superare le liste di attesa, per le quali le responsabilità sono diffuse, ma dalle quali non possiamo escludere il ruolo del medico. Nella vigente proroga di un regime berlusconiano di tana libera tutti, dove ogni anno il medico sceglie “liberamente” se gli convenga di più un rapporto di esclusività o non, perfino se è direttore di struttura complessa o responsabile di struttura semplice, c’è chi investe maggiormente il pomeriggio nel redditizio privato, che non la mattina nel pubblico. Ebbene noi crediamo che prima il medico debba investire nel pubblico, a rapporto esclusivo e con l’aggiornamento della relativa indennità ferma ai valori di sei anni fa, e poi possa svolgere l’attività libero professionale intramuraria nella struttura pubblica, e non negli studi privati o nelle cliniche private in regime di ricovero. A questo proposito appare curiosa la tesi di chi sostiene che chi, come noi, vuole una regolamentazione dell’attività libero professionale, voglia regalare questa attività alle strutture private, quando già si svolge anche presso le strutture private, con le stesse parcelle, e per il cittadino cambia solo la ricevuta, con il timbro aziendale. Allora si tratta non di vietare ma di arrivare a nuove norme che garantiscano una libera professione intramuraria etica, corretta e non speculativa, da attuarsi nelle strutture pubbliche e con controlli appropriati, in primo luogo rispetto alle liste di attesa. Prima il medico deve garantire una serie di volumi prestazionali istituzionali concordati nell’ambito di definizione annuale del budget con l’azienda, da svolgere all’interno del suo normale orario di lavoro. In secondo luogo se viene attivata la libera professione aziendale, in particolare per abbattere le liste di attesa, può scegliere di aderire. E solo successivamente, anche in presenza di liste di attesa, può essere autorizzato alla libera professione individuale intramoenia ma all’interno della struttura pubblica, con proporzioni e percentuali concordate all’interno dell’unità operativa, e con tariffe anch’esse concordate. I tempi medi per l’esecuzione di esami e/o visite in attività istituzionale o libero professionale dovranno essere coerenti. Al fine di garantire la trasparenza della organizzazione e delle informazioni verso i cittadini, le agende di prenotazione della libera professione dovranno essere inserite nel CUP. Anche la strutturazione delle agende dell’attività istituzionale dovrebbe comunque cercare di favorire nel caso di visite ripetute e di foloow-up, la possibilità del cittadino di essere seguito dallo stesso medico. Si tratta di un sistema praticabile, peraltro già vigente nella Regione Friuli Venezia Giulia, che certamente può essere portato avanti da chi crede nella sanità pubblica e ed in questa vuole investire. Pensiamo che gli stessi medici che vogliono lavorare esclusivamente nel pubblico, siano gratificati ad operare in strutture ospedaliere e territoriali improntate alla loro valorizzazione professionale, invece di rimanere in strutture inefficienti, con lunghe liste di attesa, e dove la gratificazione professionale è raggiunta da una parte dei medici nei loro studi professionali o nelle cliniche private. In questa ottica abbiamo apprezzato la normativa proposta dalla Ministra della Salute Livia Turco nell’ambito della legge sulle liberalizzazioni, che non si limita ad una ultimativa e definitiva proroga dell’intramoenia allargata fino al completamento degli interventi strutturali necessari ad assicurare l’esercizio dell’attività libero professionale, e comunque entro al 31 luglio 2007. Affida anche alle Regioni i controlli sulle modalità di svolgimento dell’attività libero professionale, arrivando a prevedere per le aziende inadempienti la nomina di un commissario ad acta. Afferma infine che in ogni caso l’attività libero professionale non potrà superar sul piano quantitativo, nell’arco dell’anno, l’attività istituzionale dell’anno precedente. Adesso si tratta di andare avanti su questa strada prevedendo, nell’ambito dei Patti sulla Salute tra Ministero e Regioni, che le aziende sanitarie inadempienti presentino, entro il 31 dicembre 2006, un piano di reperimento degli spazi per il rientro di tutta l’attività libero professionale nelle strutture pubbliche entro il 31 luglio 2007. Il Ministero della Salute dovrà inoltre istituire l’Osservatorio sulla libera professione, previsto dalla normativa vigente ma rimasto solo sulla carta. Aspettiamo infine le conclusioni dell’indagine del Senato per integrare la normativa vigente, al fine di arrivare ad una normativa complessiva che riveda tutto il sistema della libera professione, tenendo realmente coniugati il principio prioritario del diritto alla cura, insieme ai principi della libera scelta dei cittadini e della possibilità della libera professione per i medici pubblici.
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